Il Blog di Livia Turco

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Categoria: Lettere aperte

Manifestazione dei medici in difesa della sanità pubblica

25 Ottobre, 2012 (11:17) | Lettere aperte | Da: Redazione

Ecco la mia lettera con la quale ho comunicato la mia convinta adesione alla manifestazione indetta per il 27 ottobre a Roma dai sindacati della dirigenza medica, sanitaria e amministrativa del Ssn.
Livia Turco

Alle organizzazioni sindacali promotrici della manifestazione “Diritto alla cura. Diritto a curare”

La mia è una adesione convinta. Con la testa e con il cuore. Credo da sempre nella sanità pubblica e in tutti coloro, medici e operatori a tutti i livelli, che dedicano la loro vita alla salute dei cittadini.
La loro è una missione, nel senso vero e alto del termine. Lo è fin dall’inizio, quando decidono di dedicare anni di studi in materie difficili e impegnative e lo è ancor di più dopo, quando dalla teoria passano ai fatti. Trasformandosi in veri tutori del bene più importante che abbiamo: la nostra salute e quella dei nostri cari.
Ma svolgere oggi questa missione è sempre più difficile. Sotto la minaccia di una crisi economica drammatica anche le politiche sanitarie hanno segnato il passo. Con continue manovre di contenimento dei finanziamenti alla sanità pubblica.
Ma ora è il momento di dire basta.
Di tagli, e soprattutto tagli lineari senza una strategia reale di razionalizzazione e ottimizzazione della spesa, mirando a colpire con precisione le reali inefficienze e non genericamente il complesso del settore, la sanità pubblica muore.
Muore nelle corsie, senza letti, senza personale e senza investimenti per l’ammodernamento strutturale e teconologico. Muore nella medicina del territorio, che attende da anni gli investimenti indispensabili per diventare una reale alternativa all’ospedale. Muore nelle liste d’attesa inaccettabili cui sono costretti migliaia di cittadini e muore nella piaga della migrazione sanitaria dal Sud al Nord del Paese, perché dopo decenni non siamo ancora riusciti a dotare il Meridione d’Italia di una sanità degna del livello di civiltà di un Paese come il nostro.
A tutto questi i sindacati del Ssn hanno deciso di dire basta. E io con loro.
La sanità pubblica italiana costa meno di quella dei nostri partner europei ed è giudicata tra le migliori del Mondo. Un primato che ormai rischiamo di perdere se non si interrompe la miopia di provvedimenti a senso unico che stanno portando anche le Regioni con un servizio sanitario “virtuoso”, efficiente e di qualità, verso un inarrestabile declino.
La sanità italiana, poi, è anche un volano straordinario di risorse e conoscenze per lo sviluppo del Paese. E lo dimostrano i dati che mostrano con chiarezza come, a fronte di un 7,3% di incidenza sul Pil della spesa sanitaria pubblica, corrisponda oltre il 12% di ricchezza prodotta dalla filiera della salute. Una ricchezza che si prosciugherà presto, dopo i tagli sommari operati dal precedente Governo Berlusconi, ma anche dall’attuale Governo Monti. Sia con la spending review che con l’ultima legge di stabilità.
La sanità pubblica e chi ci lavora devono essere salvaguardati. Rappresentano una sorta di “ultima e invalicabile” trincea per la tenuta sociale del Paese. Tagliare la sanità vuol dire tagliare la vita, la solidarietà, la coesione sociale già messa a durissima prova da questa crisi e dagli interventi per contenerla.
Per tutti questi motivi, come parlamentare del Pd, come ex ministro alla Salute che si è sempre battuta per innalzare il livello e la qualità del nostro Servizio sanitario nazionale e come cittadina e “utente” della sanità pubblica, ribadisco ancora una volta la mia adesione alla manifestazione del 27 aprile, augurandomi che sia di stimolo al Governo per rivedere le sue politiche sanitarie, favorendo la riapertura di quel tavolo di confronto tra tutti gli attori del sistema che deve portare alla sigla di un nuovo e innovativo Patto per la Salute.
Livia Turco

Se non ora quando. “Care colleghe del centro destra…”

14 Febbraio, 2011 (15:14) | Lettere aperte | Da: Livia Turco

Care colleghe del centrodestra,

ho firmato l’appello “se non ora quando “ per la difesa della dignità femminile di fronte alle vicende che coinvolgono il Presidente del Consiglio e sarò il 13 in piazza a manifestare. Mi rivolgo a voi direttamente per stima. Mi rivolgo ad alcune in particolare - Stefania Prestigiacomo, Isabella Rauti, Alessandra Mussolini, Giustina Destro, Adriana Poli Bortone, Lella Golfo - per aver condiviso, su fronti opposti, comuni battaglie per i diritti delle donne. Oggi ci separa un conflitto radicale. Tante volte dal conflitto può scaturire un nuovo dialogo, se c’è rispetto reciproco e chiarezza. E’ questo il senso del mio rivolgermi a voi.  Vorrei dirvi perché mi sento lesa della mia dignità di donna dal Presidente del Consiglio. Per due fatti che non appartengono alle indagini in corso ma alla dimensione pubblica e simbolica:
1 Berlusconi ha promosso in consiglio regionale una donna non in nome della sua competenza o del suo consenso elettorale ma della sua privata relazione sessuale.
2 Berlusconi ha avuto ripetute relazioni sessuali a pagamento con giovani donne.
Stiamo parlando non di un uomo qualunque ma del Presidente del Consiglio. I suoi gesti incidono nella dimensione simbolica e pubblica, contribuiscono a costruire la cultura e il senso civico di una nazione. Questi due fatti colpiscono il cuore del rapporto donne, politica e democrazia. Ricorrono i 150 anni dell’unità d’Italia. Se ripercorriamo le tappe della costruzione della cittadinanza sociale civile e politica delle donne ci rendiamo conto che il suo talismano risiede nell’esercizio dell’autonomia di pensiero e di azione attraverso l’alleanza e il reciproco riconoscimento tra donne. Nessuna delle conquiste, a partire dal diritto di voto, sarebbe stato possibile se alcune donne non avessero attivato la forza e l’acume del loro pensiero e non avessero promosso la partecipazione di tante. Se è vero che questa da sola non sarebbe bastata, che ci vollero alleanze politiche, tuttavia senza la messa in campo di un pensiero autonomo e di un esercizio dell’autonomia femminile ed anche del conflitto con gli uomini le donne non sarebbero diventate cittadine.

Introdurre da parte della massima autorità politica tra gli oggetti dello scambio sessuale in una relazione privata le istituzioni pubbliche significa “privatizzare” un bene pubblico (altro che invasione nella sfera privata del premier!), degradarlo a qualunque oggetto di scambio, e colpire l’autonomia delle donne. Oltre che colpire i valori della nostra Costituzione e della Carta Europea dei diritti umani fondamentali. Questo gesto è altamente simbolico e getta un’ombra su tutte. Tutte siamo sospette di essere in Parlamento per via di una relazione con qualche uomo anziché per la nostra forza, per i nostri meriti e le nostre competenze. Sospetto alimentato da una legge

elettorale per cui designati e non eletti. E, sulle designate, ricade pesante il sospetto di essere le protette del capo e non donne autorevoli e autonome. Possiamo discutere di questo? Possiamo porci insieme la domanda: come essere autonome ed autorevoli, valutate per ciò che sappiamo fare per le nostre competenze? Dobbiamo limitarci a conquistare più spazio nelle istituzioni oppure avere l’ambizione di cambiare le regole del gioco? Non pensate che noi donne avremmo tutto da guadagnare se nella politica le logiche della fedeltà, della cooptazione, fossero sostituite da quelle della valutazione delle capacità, del merito, del rapporto con il territorio e con le persone?
L’altra questione che voglio sottoporre alla vostra attenzione è quella della libertà sessuale.  Anch’essa è stata una grande conquista delle donne che ha cambiato profondamente le relazioni umane e sociali del nostro paese. Non c’è dubbio che le giovani donne che decidono di vivere relazioni sessuali in cambio di compenso e promozione esercitano la loro libertà e vanno rispettate. E’ altrettanto evidente che da questa affermazione dovrebbero derivare delle conseguenze come ad esempio considerare normale la regolamentazione della prostituzione. Inoltre, come conseguenza, in nome della libertà vanno rispettate tutte le scelte, compresa quella di avere un figlio con le nuove tecniche a disposizione, avere un figlio da sole, vivere l’omosessualità.  Se il principio è la libertà non possiamo poi parlare di egoismo femminile.
Personalmente non credo ad una libertà senza valori. La conquista della libertà sessuale, grazie al femminismo, non significò il libero arbitrio, il libertinismo o la semplice rottura di divieti. Significò al contrario l’esperienza e l’elaborazione di una nuova femminilità, di una nuova umanità femminile. Fu innanzitutto uno straordinario viaggio interiore, un forte sviluppo della propria interiorità. Ha significato costruire se stesse al di fuori dello sguardo e del desiderio maschile, rompere gli stereotipi culturali che incarceravano la nostra femminilità.

Ha significato ricercare dentro se stesse le ragioni delle proprie scelte, vivere i sentimenti e le relazioni umane con una nuova consapevolezza e responsabilità. La nostra umanità di donne scaturita dalla libertà sessuale ha avuto ed ha il timbro della maggiore consapevolezza, della più forte autenticità ed intensità dei sentimenti e di una più consapevole responsabilità verso l’altro.
Questa nuova umanità delle donne è stata però ingabbiata in una rappresentazione che ha esaltato la libertà come rottura dei vincoli come pura esteriorità, come semplice esibizione del corpo. E’ stata accompagnata dal mito del successo individuale, della competizione, dell’arricchimento. E’ questo il relativismo etico che ci ha travolte ed ha nascosto e tante volte ostacolato la nostra nuova umanità. Tale relativismo etico ha molte origini, ed è stato diffuso anche dal martellante messaggio a partire dalle tv del Presidente del Consiglio.

Come rappresentare l’umanità vera delle donne e la loro nuova femminilità che vive ogni giorno nei luoghi di lavoro e nelle case è un problema reale che possiamo porci insieme? Questa nuova umanità delle donne non dovrebbe essere anche ascoltata dalla politica e da essa sollecitata a costruire un nuovo senso civico e di valori condivisi di questa nostra nazione? Personalmente sono convinta che nella vita delle donne italiane sia depositato un giacimento di risorse morali che dovrebbe essere riconosciuto dalle classi dirigenti del nostro paese e che le donne dovrebbero essere chiamate non solo al governo della cosa pubblica ma, prima ancora, alla costruzione di un clima culturale di rispetto dell’altro, di pacatezza, di mitezza, di valorizzazione dei beni comuni di cui il nostro paese ha bisogno per tornare a crescere e per dare un futuro ai giovani.

Livia Turco

Turco a Marini: c’è qualcosa che non mi torna

22 Giugno, 2010 (18:03) | Lettere aperte | Da: Livia Turco

Caro Franco Marini,
la tua intervista al Corriere della Sera di qualche giorno fa, mi ha chiarito le idee e mi ha rassicurata su quello che stava diventando un nuovo tormentone nel Pd: il disagio dei popolari. Sintetizzando, mi pare che tu poni l’esigenza di rilanciare il progetto del Partito democratico, di costruire un partito nuovo che superi le tradizioni culturali da cui proveniamo. Condivido totalmente il tuo pensiero. Però c’è qualcosa che non mi torna. È come se i cattolici democratici si sentissero ospiti in una casa che non è loro, ospiti degli ex Ds. È questo il sentimento vero e profondo che è alla base del disagio dei popolari? Se così fosse dovresti dirlo schiettamente. Non solo per capire se questa affermazione corrisponde alla realtà ma, soprattutto, perché se ci fosse una traccia di verità, io che resto orgogliosamente della sinistra che viene dal Pci mi sentirei sconfitta. Ho fatto molta fatica ad accettare un progetto e un soggetto che non si definisca più attraverso la parola sinistra. Ho accettato di vivere e contribuire a questa sfida pensando a mio figlio, alla possibilità che quelli della sua generazione non solo siano protagonisti della politica ma trovino un riferimento in un pensiero nuovo capace di delineare il futuro del mondo. Proprio per questo, io per prima non voglio che il Pd sia la copia sbiadita dei Ds. Se così fosse, era meglio tenersi l’originale. Dunque, se i cofondatori si sentono ospiti, è un fallimento di tutti e non la vittoria di qualcuno. Io non credo che questa sia la realtà del Pd. E non è questo il Pd che sta tratteggiando Bersani quando parla di giovani, di lavoro, di scuola e di Costituzione? Gli atti fondativi di questo partito e le sue proposte programmatiche sono all’insegna della mescolanza e dell’innovazione. Certo, sono ancora frammentarie, hanno bisogno di collocarsi in una visione di insieme, hanno bisogno di nutrirsi di un pensiero più lungo. Questo è ciò che dobbiamo fare insieme, oggi, attraverso un gioco di squadra. Condivido la tua rivendicazione orgogliosa del ruolo del cattolicesimo democratico e dell’egemonia, in senso gramsciano, di alcune sue categorie del pensiero e della sua visione dell’uomo, come quella racchiusa nella parole ‘persona’. Potrei ricordare quanto questa strada sia stata forte e abbia esercitato un ruolo nel Paese nel momento in cui ha raccolto la sfida che gli proveniva dalla sinistra a coniugare la democrazia con la giustizia sociale e l’eguaglianza. Per questo mi chiedo: che cosa vi fa essere pessimisti sulla vostra possibilità di incidere sul Pd? Vedo questo pericolo solo se tutti rinunciamo al progetto del Pd, se prevalesse una politica di piccolo cabotaggio chiusa nei diversi recinti del ceto politico tutta assorbita nelle conte interne. Questo è il rischio vero che può travolgerci, e a questo rischio siamo esposti tutti. A meno che non ci sia un retro pensiero e cioè che l’innovazione del Pd significhi meno sinistra e più cattolicesimo democratico o la convinzione che l’innovazione consiste nel sostituire una sinistra conservatrice con una tradizione cattolica democratica che avrebbe saputo superare le usure del tempo. Temo il piccolo cabotaggio. Temo lo smarrimento dell’anima del riformismo che è quella di domandarsi come possiamo essere utili al Paese, come possiamo cambiare qui e ora la vita delle persone. Oggi la politica deve riscoprire una sua autorevolezza e fiducia. Molto più che in passato, questa fiducia si ricostruisce se la politica è capace di intessere relazioni umane con le persone, se sa ascoltarle e condividere i problemi, se sa essere prossima. È da questa pratica politica che potrà essere costruito un pensiero riformista nuovo. È questo il tema di fondo che ci propone Bersani con la sfida ostinata a ricercare un legame con le persone in carne ed ossa. Questo suo stare tra gli operai, gli studenti, gli imprenditori non è una cosa banale, non è una riedizione del passato ma la consapevolezza che solo attraverso la ricostruzione di questo legame di fiducia e simpatia con le persone potrà prendere vigore il pensiero riformista. Su questo punto vedo una inadeguatezza del Pd ed è su questo che proprio noi che veniamo dalle tradizioni culturali che hanno fatto la costituzione dovremmo cimentarci dobbiamo anche imparare a guardare il mondo con gli occhi dei nostri figli. Ci renderemmo conto che parole che sembrano vecchie in realtà sono modernissime. Penso al lavoro. Alla definizione del pd partito del lavoro. Se intendessimo questa definizione come un ritorno al laburismo sbaglieremmo. Sarebbe un riflesso condizionato delle nostre vecchie appartenenze. Ma il problema non è il superamento del laburismo. È che il lavoro per i nostri figli è diventato la scommessa della vita ed il luogo per esprimere i propri talenti. In questa pretesa così ragionevole c’è una sfida enorme per un partito riformista. Penso alla parola ‘persona’. Il mondo moderno, le scoperte tecnico-scientifiche, le grandi responsabilità che la scienza attribuisce alla persona ripropongono la questione dell’autonomia e della libertà della persona. Il mondo moderno ha bisogno di farsi guidare da un pensiero personalista e di ridefinire un umanesimo integrale. Non c’è dubbio che il personalismo del cattolicesimo democratico dimostri tutta la sua fecondità. Che sarà tale però se si confronta con che cosa significa oggi dignità della persona: l’orgoglio della coscienza individuale per essere protagonista del proprio destino ma anche una percezione inedita della propria fragilità,. Quanto sono preziosi a questo proposito pensatrici come Martha Nussbaum e Carol Gilligan e di tutto il filone del femminismo che ha focalizzato proprio l’individuo relazionale e la dipendenza dall’altro come parte della propria crescita umana. Proprio il filo che lega l’autonomia personale con il bisogno dell’altro può illuminare il dibattito sulla bioetica per superare le contrapposizione che nella vita concreta suonano astratte: autonomia della persona contro il valore della vita. Non a caso l’individuazione e la elaborazione di questo filo ci ha consentito, nella commissione Affari sociali della Camera in occasione del dibattito sul testamento biologico, di costruire una bella pagina del Pd. Insomma, ho voluto dirti che la cultura del cattolicesimo democratico è andata molto oltre i suoi confini ed è diventata abito mentale anche di chi non proviene da quella tradizione. Non siete minoranza. Il punto è che tutti insieme dobbiamo fare rivivere in noi il sentimento della giovinezza e guardare il mondo con gli occhi dei nostri figli.

Livia Turco

Dopo Rosarno: una lettera aperta alle associazioni

15 Gennaio, 2010 (14:53) | Lettere aperte | Da: Livia Turco

All’indomani della visita a Rosarno, Livia Turco ha scritto a tutte le associazioni che si occupano di immigrazione in Italia per fissare un’agenda comune, proponendo di organizzare, proprio nella cittadina calabrese, una grande conferenza nazionale sulle politiche di integrazione e convivenza.

Di seguito il testo della lettera.

Carissima, carissimo,

giovedì 14 gennaio, con il segretario nazionale Pierluigi Bersani e i parlamentari democratici calabresi, siamo stati a Rosarno per capire cosa è accaduto, per guardare in profondità i problemi, per formulare le proposte adeguate in una battaglia culturale e politica che intendiamo condurre con molta determinazione. Siamo andati per la dignità di ciascuna persona, per la vera legalità, per una civile convivenza. Abbiamo incontrato le forze economiche e sociali, le imprese e i sindacati, il vescovo di Palmi, il commissario prefettizio e i parroci di Rosarno, le associazioni e i cittadini, le persone ricoverate all’ospedale di Polistena.
Siamo stati lì per dire NO al razzismo, no alla guerra tra poveri, no alla criminalizzazione di una intera comunità; e per dire SI alla legalità, alla dignità umana, allo sviluppo e alla civile convivenza. Mi hanno colpito molto nelle parole di tutti gli interlocutori, la forte domanda di legalità, di lotta alla criminalità, di richiesta di sviluppo e lavoro. Mi hanno colpito le parole di indignazione nei confronti di una rappresentazione della Calabria quale luogo di solo degrado e, soprattutto, la netta repulsa della etichettatura razzista, la rivendicazione della tradizione di accoglienza e di generosità di quelle terre. La richiesta è quella di combattere il caporalato, lo sfruttamento del lavoro sommerso, di promuovere la legalità del lavoro promuovendo strumenti legislativi innovativi. Ma soprattutto attivando controlli efficaci e continuativi. Ci è stato raccontato di uno sviluppo agricolo che ha tentato la strada dell’innovazione e che sta vivendo i problemi della competizione nel mondo globale, come la sovrapproduzione delle arance e la competizione con le altre coltivazioni nel Mediterraneo. Ci è stato suggerito che Rosarno non è una eccezione ma una situazione esemplare di altre che potrebbero scoppiare nel Mezzogiorno d’Italia ma anche al Nord, in relazione al lavoro nero e al degrado sociale.
Questa giornata ci ha indicato che bisogna lavorare su tre fronti: la promozione dello sviluppo, la legalità del lavoro e dunque la promozione del lavoro regole degli immigrati, la promozione della convivenza attraverso un piano nazionale per le politiche di integrazione. Nel corso dell’assemblea pubblica ci siamo assunti un impegno ambizioso: tenere a Rosarno la conferenza nazionale per le politiche di integrazione e convivenza. Per costruire una civile convivenza.
Questo obiettivo dobbiamo costruirlo insieme. Vi proponiamo di lavorare insieme per cancellare le immagini razziste di Rosarno e far vivere quelle della convivenza, dello scambio e della reciprocità. Portiamo nel Comune calabrese le pagine positive dell’Italia della convivenza che tanti italiani e nuovi italiani stanno costruendo in tante parti di Italia, a partire dalla Calabria. Costruiamo insieme, iniziando dalle esperienze, un piano nazionale per le politiche di integrazione e di convivenza. Obblighiamo il governo a misurarsi su questo tema e a stanziare le risorse adeguate. Cominceremo in Parlamento con una mozione. Partiamo anche dal sollecito nei confronti del governo e degli enti locali per prevenire altre Rosarno e bonificare i bacini della schiavitù e del degrado. Diamoci un obiettivo immediato, governo enti locali, associazioni e forze politiche insieme: fare in modo che i prossimi lavoratori che torneranno a Rosarno possano vivere in un centro di accoglienza che sia un luogo normale e civile in cui vivere dopo aver lavorato. Così come ci ha chiesto ieri ‘mamma Africa’, una donna di Rosarno che ha dedicato tutta la vita agli immigrati, come ci hanno chiesto i sindacati e le associazioni di Rosarno.

Livia Turco

Turco a Bondi: una legge per la libertà religiosa

1 Dicembre, 2009 (15:48) | Lettere aperte | Da: Livia Turco

Turco: “L’esito del referendum in Svizzera contro un simbolo pacifico come i minareti, espressione più autentica di una grande religione di pace come l’Islam, non può che preoccupare e farci riflettere”.

Da qui la necessità di riprendere il lavoro iniziato nella scorsa legislatura, che aveva visto impegnato anche l’attuale Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, per una legge che assicuri la libertà religiosa nel nostro Paese.

Di seguito la lettera inviata oggi da Livia Turco al Ministro Sandro Bondi per sollecitare un impegno comune.

Gentile ministro Bondi,
mi rivolgo a Lei in questo momento di scontro su un tema cruciale come quello del diritto a vivere la propria religione. Mi rivolgo a Lei per l’incarico che ricopre nell’attuale governo ma anche per il suo impegno nella precedente legislatura per dotare il nostro paese di una legge sulla libertà religiosa in applicazione della Costituzione.
L’esito del referendum in Svizzera contro un simbolo pacifico come i minareti, espressione più autentica di una grande religione di pace come l’Islam, non può che preoccupare e farci riflettere. Proprio perché la volontà dei cittadini deve essere tenuta in considerazione come da Lei affermato. L’Italia, paese con una profonda tradizione religiosa, conosce bene il valore del sentimento religioso e l’importanza di poterlo esprimere e celebrare in conformità della legge. Gli articoli 8 e 19 della Costituzione esprimono in modo limpido il valore della religione come parte integrante della dignità e libertà delle persone e del suo diritto ad essere celebrato. L’Italia, paese a prevalenza cattolica, sta diventando multi religiosa e la seconda religione italiana è proprio l’Islam. Per un paese civile, che voglia garantire a tutti sicurezza e prosperità, è fondamentale consentire anche ai cittadini di religione islamica di professare la propria fede, di farlo in un quadro di regole certe, coerenti con la nostra Costituzione. Come ebbe a dire il presidente Sarkoszy “a essere pericolosi non sono i minareti, sono i seminterrati o i garage che contengono occulti luoghi di preghiera”. Confinare la religione islamica nei garage o negli scantinati non è dignitoso per quella religione ed è motivo di insicurezza per tutti. Questa materia non può essere regolata solo dalle singole iniziative dei Comuni e deve essere sottratta alla propaganda politica e allo scontro ideologico. Per questo sarebbe molto importante che Lei si facesse promotore nel suo governo e nella sua maggioranza di un’iniziativa per mettere all’ordine del giorno e finalmente approvare una legge sulla libertà religiosa. Iter che era iniziato da parecchie legislature e che era pervenuto alla definizione di un testo condiviso. Perché non ripartire proprio da quel testo? Sarei molto contenta di avere una sua opinione in merito dato il rilievo del tema. Il dialogo tra le religioni è un nutrimento prezioso per la convivenza pacifica e per la crescita umana delle nostre società. La politica deve fare di tutto per favorirlo.

 Livia Turco

RU 486: l’abbaglio de La Stampa

2 Ottobre, 2009 (10:27) | Lettere aperte | Da: Livia Turco

Sul quotidiano “La Stampa” di ieri , a corredo di un articolo sulla pillola RU 486, è apparso un breve trafiletto, reso però piuttosto evidente da una mia foto pubblicata a fianco, nel quale si indicava Livia Turco come responsabile di un fantomatico blocco alla procedura di approvazione della pillola RU486 al tempo in cui svolgeva l’incarico di ministro della Salute.
Una notizia evidentemente priva di qualsiasi fondamento, alla quale ho risposto con questa lettera inviata al direttore del quotidiano torinese, che penso sia comunque di interesse per tutti coloro che volessero ricostruire i termini esatti della questione RU 486.
Ecco la lettera:

Alla cortese attenzione
Dottor Mario Calabresi
Direttore de La Stampa

Gentile direttore,
la “notizia” riportata oggi da La Stampa secondo la quale avrei bloccato nel 2007 l’iter di approvazione della RU 486 è assolutamente falsa e priva di fondamento.
Semmai è vero l’esatto contrario. Fui proprio io, fin dall’inizio del mio mandato di ministro della Salute nel maggio 2006, ad avviare tutte le procedure utili affinché anche in Italia fosse garantita la possibilità di un’alternativa farmacologica per l’interruzione volontaria di gravidanza, come già avviene in quasi tutti i Paesi del mondo.
Il primo ostacolo che dovetti affrontare fu la ritrosia, da parte della ditta francese titolare del farmaco, a formulare la domanda di autorizzazione all’immissione in commercio anche in Italia. E’ bene ricordare, infatti, che finché la ditta produttrice non chiede l’autorizzazione non può scattare alcuna procedura.
Fino ad allora, conscia dell’ostilità manifesta delle autorità italiane verso questo farmaco, la ditta francese aveva infatti deciso di non inserire il nostro Paese nella procedura europea di mutuo riconoscimento con la quale il farmaco era stato già autorizzato, oltre che in Francia, in Austria, Belgio, Germania, Danimarca, Grecia, Spagna, Finlandia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Estonia, Norvegia, Regno Unito e Svezia.
All’appello mancavano solo Ungheria, Lettonia, Portogallo, Romania e, appunto, l’Italia.
La domanda della ditta giunse all’Agenzia italiana del farmaco il 7 novembre 2007.
E, come, si può facilmente verificare, è da allora che sono scattate tutte le procedure previste dall’iter, ora finalmente giunto alla sua fase conclusiva.
Fui sempre io, poi, a sollecitare l’8 gennaio 2008 il Consiglio superiore di sanità a fornire un proprio parere sulle modalità di impiego della RU 486 nel rispetto della legge 194, al fine di sgomberare il campo rispetto a strumentali obiezioni che nel frattempo si erano manifestate sulla compatibilità di questo farmaco con la nostra legge sull’aborto.
Affermare che sia stata io a bloccare l’autorizzazione di questo farmaco è quindi veramente inaccettabile.
Ps. Per completare la sua informazione al riguardo, le segnalo infine che l’unico blocco all’iter di autorizzazione giunse dall’estero, a seguito di una richiesta di arbitrato europeo formulata dall’Ungheria. Questa richiesta sospese l’iter nei cinque Paesi, compresa l’Italia, oggetto della nuova richiesta di mutuo riconoscimento. Sempre per completezza, la informo che quella richiesta fu respinta, sbloccando nuovamente l’iter di approvazione in tutti e cinque i Paesi.

Livia Turco

Roma, 1 ottobre 2009