Il Blog di Livia Turco

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La politica del «noi» delle donne del Pci

11 Luglio, 2022 (12:13) | Documenti | Da: Redazione

I nomi e i cognomi, spesso, si dimenticano o sbiadiscono sovrastati dai grandi processi storici. Eppure, dietro alla nascita del Pci e alla lotta antifascista, nella Resistenza e nella costruzione della Repubblica, a sostegno della modernizzazione della famiglia e della società c’erano i nomi e i cognomi di tante donne alle quali Livia Turco, nel suo “Compagne”, restituisce visibilità e importanza. Un libro necessario, con l’anno del centenario del Pci appena alle spalle, in cui sono stati pubblicati tanti volumi su diversi aspetti e implicazioni della storia dell’ultimo secolo, ma non pagine adeguate sulla componente femminile.

Con Camilla Ravera e Teresa Noce, Rita Montagnana ed Elettra Pollastrini, Adele Bei e Gisella Floreanini, Nilde Iotti e Marisa Rodano, Adriana Seroni e Giglia Tedesco, Lalla Trupia e le molte altre figure incisive e lungimiranti rievocate in questo lavoro, si ripercorre la vita politica e sociale del Paese, e non è un caso che questa operazione di recupero della memoria arrivi da chi, a quella stagione, a un certo punto ha preso parte da autorevole protagonista.

Non si può cominciare che da Camilla Ravera, attiva sin dagli albori: ricordare il suo apporto alla lotta antifascista, la stima che Gramsci - il quale la volle nella redazione dell’«Ordine nuovo» - nutre per lei, il suo coraggio nell’opporsi al patto Ribbentrop-Molotov, la condanna al carcere e il riconoscimento di Pertini che la nomina senatrice a vita, vuol dire rifiutarsi di arrendersi all’oblio. Lo stesso oblio cui vanno sottratte le militanti che fuori dai confini italiani rischiano la vita portando informazioni e materiale di propaganda nel territorio dominato dai fascisti: sono i cosiddetti “fenicotteri rosa”, e anche grazie alla loro attività clandestina non si spense l’azione di contrasto alla dittatura che, dopo il delitto Matteotti e le leggi fascistissime, diviene asfissiante.

Si capisce, dunque, quanto fossero strutturate, esperte e motivate le esponenti del partito all’interno dei Gruppi di difesa della donna, l’organizzazione nata nell’autunno del ’43 per combattere il nazi-fascismo, e che comprende tutte le formazioni del Comitato di liberazione nazionale coinvolgendo 70mila donne. Poco tempo dopo nasce l’Unione donne italiane (Udi), fortemente voluta da Montagnana e a lungo presieduta da Maria Maddalena Rossi, mentre le conferenze nazionali scandiranno il tempo del cambiamento della condizione femminile.

Livia Turco (classe 1955, parlamentare dal 1987 al 2013 e ministra nei governi dell’Ulivo) sottolinea la dimensione della comunità, la capacità di aggregazione, di saper creare “un popolo” di tutte le militanti. Caratteristiche, queste, che animano in primis le elette all’Assemblea Costituente: sono nove e a ciascuna è dedicato uno spazio che ne fa emergere la personalità e le vicende biografiche.

Vite da film, punteggiate da momenti drammatici come l’esilio, i campi di concentramento, il carcere, il confino. Nei lavori dell’Assemblea difendono con tenacia le loro idee, ma senza arroccarsi su posizioni che avrebbero pregiudicato la conquista dei loro obiettivi, ricercando anzi un punto d’incontro con le colleghe democristiane e socialiste. Negli anni seguenti sono in prima linea per tradurre i principi costituzionali in leggi che li rendano concreti (è del ’50 un vero e proprio pilastro legislativo, quello sulla maternità, la cui prima artefice è Teresa Noce).

Eliana De Caro (Il Sole 24 ore)

Uomini e donne per una società migliore

26 Ottobre, 2018 (16:58) | Documenti | Da: Redazione

Per rinascere la sinistra deve ripartire dalla costruzione del legame umano e sociale con le persone per costruire una Società umana, a misura di donne e uomini. Un idea di società ed una pratica sociale per rendere più umana la nostra società, la nostra vita, per rendere concreto ed effettivo il rispetto della dignità umana  e l’uguaglianza di rispetto delle persone.

Ciò che colpisce di questo nostro tempo  è ’impoverimento delle relazioni umane, la rottura del legame comunitario, le tante forme di solitudine che coinvolgono sia i giovani che gli anziani , sia gli uomini che le donne. Permane la mancanza o la difficoltà  di comunicazione tra donne e uomini e la difficoltà degli uomini a comprendere il valore ed il senso della libertà femminile. Che è la radice fondamentale dei tanti fenomeni di violenza degli uomini sulle donne. La crisi economica scatenatasi a partire dal 2008 ha aumentato le diseguaglianze e le povertà , ha fatto crescere la solitudine ed un sentimento di rancore che si è scagliato contro le èlite ed il potere genericamente inteso. I processi di globalizzazione hanno spogliato tante volte i territori dei  tradizionali luoghi  di lavoro che erano anche luoghi di identità sociale e comunitaria , di cultura. Ci sono stati gli arrivi degli immigrati , necessari alla nostra vita e generalmente ben integrati con l’aiuto del volontariato, dei comuni, del sindacato, delle chiese. Ma, in fase di crisi economica, e di identità sociale  rancorose sono diventati il “ capro espiatorio” delle nostre paure, la ragione concreta, visibile di ciò che ci far stare male, il nemico da colpire. Si sono costruite delle comunità intese come “ Guscio”, luoghi di separazione, di chiusura, di difesa, di contrapposizione all’altro .

Come scrive Bauman  nel suo libro “ Voglia di comunità”  questa comunità del guscio accentua le ragioni dell’ansia moderna che risiede nel processo di atomizzazione, in quel cercare soluzioni individuali a problemi che sono comuni.” Nel mondo sempre più globalizzato viviamo tutti una condizione di interdipendenza e di conseguenza nessuno di noi può essere padrone del suo destino. Ci sono compiti con cui ogni singolo individuo si confronta ma che non possono essere affrontati e superati individualmente. Tutti noi abbiamo la necessità di acquisire il controllo sulle condizioni nelle quali affrontiamo le sfide della vita, ma per gran parte di noi tale controllo può  essere ottenuto solo collettivamente. Se mai può  esistere  una comunità nel mondo degli individui può essere ed è necessario che sia una comunità intessuta di comune e reciproco interesse; una comunità responsabile, volta a garantire il pari diritto di essere considerati esseri umani e la pari capacità di agire in base a tale diritto. Bisogna elaborare positivamente questa condizione di interdipendenza che lega gli uni agli altri .Bisogna costruire la comunità non come separazione ma la comunità come costruzione di un reciproco interesse”.

La questione dell’impoverimento delle  relazioni umane ci riporta ad una questione ancora più di fondo: la mutazione antropologica che ha sostituito la persona , il soggetto in relazione aperto all’altro , che è alla base delle moderne Costituzioni europee e sicuramente della nostra Costituzione , con l’io solitario, individualista, consumatore, che si realizza nel consumo e nel godimento individuale. Questa mutazione antropologica è frutto del capitalismo finanziario globale, dei mutamenti dei sistemi di comunicazione  ed anche di correnti culturali, anche progressiste,  che hanno esaltato la libertà individuale perdendo di vista il valore del legame comunitario, hanno messo al centro i diritti civili trascurando a volte la condizione sociale con una banalizzazione della libertà individuale medesima e  della concezione dei diritti. Il  tema del cambiamento coincide con una nuova rivoluzione antropologica , ritrovare il senso profondo della relazione che unisce l’uno all’altro , avere la consapevolezza che la soggettività umana è interdipendente , che la libertà individuale è connessa alla elaborazione positiva della interdipendenza che ci lega gli uni agli altri , alle altre. La apertura all’altro come parte della propria libertà personale, della propria autonomia. Il bisogno dell’altro per  stare bene, scoprire che fare del bene fa stare bene come mi disse un volontario.

Bisogna dunque far rinascere questa soggettività aperta che investe nel legame umano, sociale e comunitario .Tanto più oggi che viviamo in un mondo interdipendente dove i problemi sono comuni e ci legano gli uni agli altri: l’ambiente, il lavoro, la produzione, la cultura.

Bisogna costruire una soggettività umana ed una cittadinanza incentrata sul valore- necessità di prendersi cura dell’altro e sulla ambizione di una vita che esprima e dia valore a tutti i talenti ed a tutte le dimensioni della esistenza umana e sociale. Bisogna riprendere l’idea marxiana e rielaborata da Antonio Gramsci dell’Uomo Onnilaterale che vive e vuole vivere con pienezza tutti i tempi della vita: lavoro, cura, formazione, mobilità, dono, tempo per sé. Promuovere una trasformazione economica e sociale che renda possibile vivere con pienezza tutte le dimensioni della vita. In questa società umana dovrà esserci molto spazio per i beni comuni, per la conservazione del territorio, della comunità, della cultura e dovrà avere un forte attaccamento alle tradizioni. Bisognerà costruire una solidarietà tra le generazioni come quella che in questi anni di dura crisi ha unito le madri con le figlie con le nonne con le bisnonne  che sono state l’anello forte della solidarietà famigliare e sociale  consentendo di far fronte ai compiti di cura, alle fragilità, alla precarietà economica  ed ha saldato  una alleanza culturale che ha consentito di tramandare affetti e saperi. Bisognerà anche accettare i “ confini porosi”, imparare la mescolanza tra popoli e tra culture , una mescolanza  vissuta come necessità e ricchezza scoprendo non solo la fatica ma la curiosità della convivenza tra persone con storie e culture diverse. La società umana è quella che fa vivere la coscienza del limite “ non tutto quello che si può si deve fare”. Innanzitutto nei confronti dei processi sempre più invasivi della mercificazione del corpo umano e della vita umana come la pratica dell’utero in affitto. Limite e responsabilità  sono il nutrimento del diritto , altrimenti i diritti individuali diventano un catalogo di cose, merci, di rivendicazioni. Diritto è dignità umana , esercizio della responsabilità, rifiuto della mercificazione dei corpi, della natura, delle sfere di vita.

Sviluppo umano; Europa dei popoli ed Europa Sociale; Dignità del lavoro; Welfare della solidarietà tra le generazioni, tra i generi, tra le genti che investe sui beni comuni, un Welfare Generativo che investe sul futuro e punta sui servizi alle persone valorizzando  tutte le risorse e gli attori economici e sociali presenti sul territorio; la democrazia partecipata che include nella partecipazione attiva tutte le persone a partire da quelle più fragili come indica l’articolo 3 della Costituzione; la società della convivenza basata sulla interazione tra italiani e nuovi italiani, migranti.

La società umana è quella a misura di donne e uomini.

La dualità del genere umano , la differenza maschile e femminile è una ricchezza dell’esperienza di vita. Sollecita un processo di trasformazione sociale , propone un ripensamento del pensiero e dello sguardo sulla vita. Per costruire una nuova amicizia e nuove relazione tra donne e uomini .Al difuori degli stereotipi di genere e superando ogni forma di gerarchia e di supremazia degli uomini sulle donne. Dopo tanti anni di femminismo e di battaglie legislative e culturali bisogna chiedersi quanto siano cambiate le relazioni tra donne e uomini sia nelle generazioni mature che in quelle giovani. Il cambiamento più significativo è rappresentato dall’ingresso nel lavoro delle donne in tutte le professioni che ha portato una differenza di approcci di qualità ed ha sollecitato gli uomini ad assumersi la responsabilità di padri. Questa rottura dei ruoli storicamente così radicata nel nostro paese , gli uomini che lavorano e che fanno i papà  prendendosi del tempo, le donne che si affermano nel lavoro dedicandosi ai figli costituisce anche una rottura profonda sul piano  piano simbolico e non solo pratico. Costituisce il definitivo superamento di quella distinzione per cui la sfera pubblica e la razionalità compete agli uomini, la cura delle persone alle donne. Consente di trasmettere ai giovani una nuova definizione di maschile e di femminile in cui ciascuno vive la pienezza della responsabilità e dei tempi di vita, in cui ciascuno è al contempo cura della vita, relazioni pubbliche, partecipazione attiva alla polis a partire dal lavoro .Siamo solo agli inizi di questo processo , permangono stereotipi , discriminazioni, diseguaglianze tra donne e uomini e tra le donne. Ma la  strada di una nuova identità maschile e femminile è tracciata. Essa va alimentata con buone politiche pubbliche , con la strategia dei congedi parentali incentivando quello dei padri, i servizi all’infanzia, la buona e piena  occupazione femminile. Credo che la consapevolezza della differenza sessuale possa oggi svolgere una funzione preziosa  nella umanizzazione della società. Può  spronare le donne di tutte le generazioni  a  far vivere la loro differenza , il loro legame speciale con la vita, il loro speciale prendersi cura delle persone come energia, forza per rendere espansivo questo principio, per espandere la cultura del prendersi cura quale risorsa economica ,sociale, culturale e politica.

Gli  uomini possono agire la loro differenza libera dalla gabbia degli stereotipi del possesso, della gerarchia, elaborando la loro nuova esperienza del prendersi cura e della mescolanza dei tempi di vita per farla diventare, con la loro forza ed influenza, motore della trasformazione sociale e culturale.

Livia Turco

Una società umana per i nostri figli

26 Ottobre, 2018 (16:55) | Documenti | Da: Redazione

Nella storia del welfare e delle politiche sociali, il Servizio Sociale e la figura professionale dell’Assistente Sociale è stata ed è la metafora ed il  motore dell’innovazione del welfare e delle politiche sociali. E’ la metafora e lo strumento concreto per il superamento del welfare categoriale, caritatevole, basato su interventi monetari ed emergenziali. E’stata ed è  la metafora e lo strumento concreto del welfare che promuove il benessere delle persone, ne valorizza le competenze e le abilità, promuove la rete integrata dei servizi sociali, sanitari, educativi e di inserimento lavorativo. Il welfare locale e comunitario che mette al centro come risorsa fondamentale la relazione umana. Un welfare  sociale che ha trovato la sua traduzione coerente nella legge 328/2000 “Disposizioni per un sistema integrato di interventi e servizi sociali” tanto attuale quanto inapplicata. Che dobbiamo applicare pur in contesto diverso da quello di vent’anni fa e   bisogna farlo con spirito innovativo.

STORIA DELLE POLITICHE SOCIALI

Ritengo utile ,anche onorando i settanta anni della nostra Repubblica, ricordare le tappe più importanti della evoluzione delle politiche sociali nel nostro Paese.

Il pensiero corre alle nostra Madri Costituenti che proprio sui temi del welfare sono state le  grandi e decisive protagoniste ponendo le basi di un welfare innovativo.

Teresa Noce, Maria Federici, Lina Merlin sono state le Relatrici nella Terza Sottocommissione dell’Assemblea Costituente  dedicata ai problemi economici e sociali. Nelle loro relazioni hanno  delineato un  Welfare moderno basato sulla distinzione tra Previdenza ed  Assistenza, sulla centralità della persona, sui diritti dei lavoratori e lavoratrici, sulla conciliazione tra lavoro e famiglia e sul sostegno ai figli ed alle famiglie numerose, sulla lotta alla povertà ed al sostegno ai bisognosi. Ricordo l’articolo 3 che prevede la promozione della “eguaglianza di fatto” ed il superamento  delle discriminazioni basate sul sesso oltre che sulla razza e le religioni. Un concezione moderna ed avanzata di eguaglianza che obbliga le istituzioni a promuovere politiche che superino le discriminazioni e promuovano concretamente la giustizia sociale e l’eguaglianza sostanziale. Fu la giovane Costituente Teresa Mattei a proporre l’emendamento che contiene la dizione  “eguaglianza di fatto”. Articoli fondamentali della nostra Costituzione , 2, 3, 29, 30, 31, 32, 37, 38 per una impostazione avanzata della promozione della dignità umana, della inclusione sociale, di una democrazia inclusiva, della trasformazione sociale, della dignità del lavoro, delle politiche di welfare a partire dal riconoscimento  della parità uomo donna. Innovazioni straordinarie se rapportate alla storia del nostro paese contrassegnato da una pervicace cultura patriarcale codificata nel Codice civile del 1865  e nell’istituto  “dell’autorizzazione maritale”, articolo 134 del Codice Medesimo che negava alle donne di stabilire contratti economici  e di trasferire proprietà ed in quanto tale erano escluse dalla vita pubblica e relegate ai margini della società. Sono state brave le nostre Madri Costituenti perché sono state determinanti, attraverso un  mirabile gioco di squadra tra di loro, ad incidere su articoli fondamentali della Costituzione, e, con il sostegno delle associazioni femminili, dei sindacati, dei  partiti popolari cattolici e di sinistra  sono riuscite a tradurre fin dall’inizio le norme Costituzionali in Leggi di Riforma. Cosa non scontata visto il dibattito durato alcuni anni  tra Costituzionalisti e  tra politici sulla cosiddetta normatività della Costituzione, cioè quanto i principi costituzionali dovessero rimanere tali e quanto dovessero tradursi in norme. Non è casuale se le prime due leggi di riforma della Repubblica Italiana sono state depositate da parlamentari donne e riguardano la condizione femminile. Si tratta della Legge Teresa Noce sulla Tutela Sociale della Maternità  depositata il 14 giugno del 1948 ed approvata due anni dopo diventando la legge Noce- Federici, due Costituenti, una Comunista e l’altra Democristiana e il 6 agosto del 1948 fu  depositata la legge Lina Merlin per la chiusura delle Case di Tolleranza in cui si esercitava la prostituzione di Stato e che fu approvata ben 10 anni dopo. Su questi temi mi permetto di segnalare il  volume curato dalla Fondazione Nilde Iotti “ La Repubblica delle donne” Settanta anni di battaglie e di conquiste (Donzelli Editore).Le altre tappe legislative importanti sono state: la conquista della legge 833/78 per un Servizio Sanitario Universalistico e solidale, basato sulla medicina territoriale e sulla integrazione socio sanitaria; la legge 112/98 “Conferimento  delle funzioni e dei compiti amministrativi alle Regioni ed agli Enti Locali in attuazione del capo 1 della legge 15 marzo 1997,n.59”.L ’articolo 5  della medesima legge colloca i Servizi Sociali nella più ampia accezione dei servizi alla persona ed alla comunità ;in tale contesto è implicito il processo volto ad osservare nel rispetto degli art.2,3,32,38 il principio della coesione sociale, dell’inclusione sociale e dell’empowerment. A livello locale il Comune deve  promuove una “ comunità competente” quale titolare primario delle politiche sociali. La legge 23 marzo1993,n.84 “Ordinamento della professione dell’Assistente Sociale ed istituzione dell’Albo Professionale”, frutto delle vostre tenaci battaglie. La legge 285/97  “Disposizioni per la Promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e dell’adolescenza” e la legge sulla Sperimentazione del Reddito Minimo d’Inserimento contro la povertà del 1998 , che mettono  al centro la costruzione della rete integrata dei servizi sociali e la valorizzazione del welfare locale e comunitario con un ruolo centrale di programmazione da parte del pubblico ed un significativo stanziamento di risorse. Entrambe pongono come centrale  nella costruzione della  rete integrata dei servizi  il ruolo del Servizio Sociale. Infine, la più importante di tutte, la Legge Quadro sulle Politiche Sociali, la 328/2000, la legge della dignità sociale. L’art. 22 comma 4 della legge quadro 328/2000  definisce il servizio sociale professionale ed il segretariato sociale un livello essenziale di assistenza ; l’art.5 della medesima legge quadro prevede  la internalizzazione del servizio sociale professionale e  del segretariato sociale. Ulteriormente articolato  e valorizzato nel primo ed unico Piano Sociale Nazionale del 2000. Leggi, che lo dico ai più giovani, furono elaborate attraverso la pratica della condivisone, dei tavoli apparecchiati presso il Ministero della Solidarietà Sociale  con la partecipazione di tutti i soggetti competenti ed interessati. Della legge quadro 328/2000 voglio citare alcuni articoli molto dimenticati ma che trattano di un tema molto attuale : l’articolo 23 REDDITO MINIMO D’INSERIMENTO che prevede la discussione in Parlamento entro il 30 maggio  2001della Relazione Tecnica che fu redatta da un  gruppo di competenze eccellenti scelte dal Ministero della Solidarietà Sociale contenente una accurata valutazione sulla sperimentazione dell’RMI attuata nel 1998 per poi, con successivo provvedimento, mettere a regime l’RMI medesimo considerato nell’articolo 22della 328/2000  primo livello essenziale di assistenza. L’articolo 28-

INTERVENTI URGENTI CONTRO LA POVERTA’ ESTREMA- con un finanziamento dedicato. Tali norme sono state successivamente abbandonate e riprese vent’anni dopo con la misura del Reddito d’Inclusione Sociale. E’ il caso di dire  “ perché  perdere vent’anni di tempo? “ Vi è qui una delle patologie del nostro sistema democratico per cui le leggi non vengono valutate nei loro esiti, nel loro funzionamento, nei risultati che conseguono ma abbandonate o radicalmente cambiate solo su opzioni politiche. Dopo vent’anni abbiamo finalmente una misura nazionale ed universalistica contro la povertà. La legge recente istitutiva del Reddito di Inclusione Sociale  è una misura molto importante che coniuga sostegno al reddito ed inclusione lavorativa e sociale attiva  e nella cui applicazione si è ancora una volta riscontrata la centralità della competenza del Servizio Sociale e dell’Assistente Sociale. Legge elaborata con il coinvolgimento attivo della società attraverso la Alleanza contro la Povertà che considero un evento importante e prezioso avvenuto nel nostro Paese. Un nuovo pilastro delle Politiche Sociali. Va detto che questa legge avrebbe dovuto essere approvata all’inizio della legislatura dotandola di risorse più consistenti. Infine ricordo l’importantissima legge  che riconosce e valorizza il Dopo Di NOI , anch’ essa con una storia che inizia con uno stanziamento di risorse nel Fondo per le Politiche Sociali nella Legge Finanziaria  2000, seguìto dal Testo unificato approvato in Commissione Affari Sociali nel 2012 e lì rimasto perché il Governo Monti non lo considerò una priorità e non lo finanziò. Anche questa legge è frutto della competenza delle associazioni e delle famiglie che la proposero al Legislatore. Ribadisco anche in questa occasione la mia gratitudine a queste associazioni ed a queste famiglie. Ho citato in questo breve percorso non tutte le leggi sociali ma quelle  importanti per costruire le reti dei servizi e dei professionisti e che prevedono un ruolo centrale del Servizio Sociale.

La fase politica attuale mi pare caratterizzata da un sostanziale disinteresse nei confronti dei temi del welfare, tutto incentrato su Reddito di cittadinanza e sulla  Previdenza. Si vagheggiano interventi monetari ma la questione dei grandi beni comuni come la scuola pubblica, la sanità pubblica e la rete integrata dei servizi sociali non sono presenti nel dibattito pubblico.

Preoccupa il dibattito sul reddito di cittadinanza, per due ragioni. Perché in nome dell’ottimo e della novità si interrompe un processo faticosamente avviato ma positivo della applicazione della misura del Reddito di Inclusione Sociale; perché la questione della povertà, soprattutto la povertà minorile che è la grande emergenza del nostro Paese , non si risolve con interventi monetari ma con azioni integrate di presa in carico, con l’attivazione di relazioni umane e sociali , di umanizzazione dei contesti di vita, di miglioramento degli interventi e delle opportunità formative. Perché esso è  previsto solo agli italiani, così come l’accesso gli asili nido. E’ quanto  si legge nei documenti governativi fino ad predisposti. Sono evidenti per una professione come l’Assistente Sociale ed il Servizio Sociale gli aspetti di incostituzionalità di tale limitazione  “solo agli italiani”  e la sua contraddizione rispetto all’elementare e fondamentale principio di Inclusione sociale.

In generale in questi ultimi anni abbiamo assistito ad un arretramento culturale che segnala la incomprensione del valore della Rete integrata di interventi, servizi e prestazioni sociali al fine di una presa in carico attiva della persona e per promuovere una effettiva inclusione sociale.

Si è proseguito sulla strada dei bonus e degli interventi monetari come conferma la mancata definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza, alla elaborazione di un Nuovo Piano Sociale Nazionale e la decurtazione pesante delle risorse pubbliche per il Sociale. Le poche esistenti sono frammentate nei diversi Fondi: per la famiglia, per i giovani, per la non autosufficienza, per il sostegno alla locazione, per il Servizio Civile ecc.. Con un impatto negativo sul personale sempre più carico di oneri e responsabilità ed a cui si chiedono molte competenze , personale sempre più scarso rispetto alla quantità e qualità dei bisogni sociali. Con un preoccupante processo si esternalizzazione dei servizi ed anche del personale.

Nonostante le difficoltà proseguono i Piani Di Zona, proseguono in tanti territori politiche sociali innovative. Il punto è la disomogeneità degli interventi.

L’inversione di tendenza, il cambio di passo rispetto alla cultura della 328/2000  è datato 2001 con l’avvento del Governo di Centro-Destra  con i Ministri  Tremonti, Sacconi, Maroni  che avevano teorizzato i Welfare del Dono e della Gratuità in cui il ruolo del pubblico doveva essere quello di valorizzare il volontariato ed il privato sociale considerando secondario il ruolo dei Servizi sociali. A questa svolta culturale e pratica il Centrosinistra non ha sempre reagito con coerente fermezza ed anche l’ultima legislatura, se ha visto le  leggi importanti già citate , insieme con la Riforma del Terzo Settore , tuttavia non si è ritenuto prioritario investire sulla Rete Integrata dei Servizi  incrementando Fondo Sociale Nazionale ,definire i Livelli Essenziali di Assistenza, investire  sulle professioni sociali. Che considero una assoluta priorità per costruire un sistema di welfare attivo e garantire un omogeneo ed equo accesso ai servizi.

IL SISTEMA PAESE ED I NUOVI BISOGNI SOCIALI

La professione dell’assistente sociale fin dalla  sua nascita pone  alla base della sua deontologia professionale la capacità di individuare i bisogni sociali, di leggere la società e le persone, di sollecitare le istituzioni ad aggiornare le loro risposte e le loro politiche.

Oggi pertanto un grande ruolo del Servizio Sociale  è quello  di aiutare tutti noi, cittadini ed istituzioni, a capire nel profondo questo nostro Paese, quali sono i bisogni sociali emergenti.

Aumento delle diseguaglianze e delle povertà, emergenza della povertà minorile, cambiamento delle condizioni di vita nelle famiglie e tra i giovani per la  mancanza di lavoro e per la  precarietà del lavoro, la grande emergenza lavoro.

L’impoverimento delle relazioni umane , la povertà relazionale. Il cambiamento delle famiglie e la grande difficoltà economica e sociale  ad avere i figli che si desiderano. Considero questa una grande priorità politica del nostro Paese non riducibile alle misure dei bonus. Sono aumentate le diseguaglianze nella salute: per l’accesso alle cure ed a prestazioni non garantite dal servizio sanitario Nazionale e che risultano troppo costose; per l’impatto che sulla Salute hanno i cosiddetti “Determinanti della salute”: il lavoro, l’istruzione, le relazioni sociali, l’abitazione. Tema cruciale per promuovere una buona ed efficace politica per la salute . Come scrive lo studioso Marmot nel suo libro “La Salute Diseguale”:  “a che serve curare le persone e poi  riportarle nelle condizioni che le hanno fatte ammalare?” Sono cresciuti di importanza per le famiglie  i grandi temi della non autosufficienza, della disabilità, della salute mentale che sono quasi scomparsi dall’agenda dei soggetti pubblici e lasciati alla responsabilità ed alla solitudine delle famiglie. Come se la crisi di questi anni avesse operato una sorta di gerarchizzazione  del disagio sociale per quanto riguarda l’intervento pubblico che si è concentrato sul sostegno economico alle famiglie anche perché inedito per numero e qualità di famiglie coinvolte. Lasciando tante volte sole le famiglie con persone fragili. Bisogna, inoltre, misurarsi con i nuovi fattori che generano la diseguaglianza come il fattore tempo. I tempi di vita e di lavoro  per alcune fasce di popolazione diventano così difficili da conciliare anche perché si è affermata una “tirannia” del tempo di lavoro sugli altri tempi di vita. Perché  è difficile per tante persone trovare un po’ di tempo per sé e per la cura della famiglia. Il tempo diventa fattore di diseguaglianza tra chi può riuscire a conciliare e vivere con pienezza tutti i tempi della vita e chi deve sacrificare il tempo della cura ed il tempo per sé alla tirannia del tempo di lavoro. Per questo resta cruciale la politica tanto auspicata dalla Unione Europea della conciliazione vita lavorativa e vita famigliare attraverso la condivisone delle responsabilità famigliari tra donne e uomini attraverso una coerente strategia  dei congedi parentali e di servizi sociali alla persona ed alle famiglie. Ricordo su questo tema l’elaborazione svolta negli anni 80’ -90’ dalle donne che è approdata nelle legge 53/2000 .

E’ aperta da tempo una riflessione sugli effetti della globalizzazione, sul bisogno di sicurezza , di confine, sulla ricerca del guscio entro cui ripararsi, sul bisogno di protezione.

Non c’è dubbio che per tanto tempo abbiamo tessuto le lodi della globalizzazione mettendo in risalto le opportunità che si aprivano  per i nuovi continenti, l’importanza per il nostro paese dell’apertura al mondo  e di essere competitivo sul piano mondiale. Poi abbiamo cominciato a vedere che la globalizzazione significava anche chiusura di fabbriche, spostamento in altri parti del mondo di nostre produzioni, flessibilità del lavoro, precarietà del lavoro, rottura dei legami sociali. Questo ha ingenerato un sentimento profondo di insicurezza  alimentato da una cultura dell’individuo solitario, che fa da se’, dei diritti individuali scissi dai legami sociali. Un individualismo esasperato basato sul mito dell’apparire che riduce la persona umana a consumatore. E’ cosi cresciuta un ‘ idea ed un bisogno di comunità intesa come separazione, chiusura, appunto, il Guscio entro cui difendersi dagli altri, dagli estranei. Questo sentimento profondo di insicurezza ha avuto bisogno di trovare il nemico contro cui scagliarsi ed il nemico sono stati gli immigrati o gli altri soggetti più deboli. Cerchiamo soluzioni individuali a problemi che sono comuni, cerchiamo la salvezza individuale da problemi che sono comuni. Gli estranei diventano il bersaglio contro cui si focalizzano le nostre paure soffuse e frammentate. Contro gli estranei si ricerca la comunità  che diventa però una comunità basata   sulla divisione, sulla segregazione, sul mantenimento delle distanze. Questa comunità anziché proteggerci aumenta le ragioni dell’ansia, che risiede nel processo di atomizzazione in quel cercare soluzioni individuali a problemi collettivi. Riporto qui una acuta riflessione di Bauman tratta dal suo libro di qualche anno fa “ Voglia di comunità” Ed.Laterza.  Scrive Bauman:” Nel nostro mondo sempre più globalizzato viviamo tutti in una condizione di interdipendenza, di conseguenza, nessuno di noi può essere padrone del suo destino. Ci sono compiti con cui ogni singolo individuo si confronta, ma che non possono essere affrontati e superati individualmente. Tutto ciò che ci separa e ci istiga a mantenere le distanze dagli altri , a tracciare confini ed erigere barricate, rende sempre più ardua la gestione di tali compiti. Tutti noi abbiamo la necessità  di acquisire il controllo sulle condizioni nelle quali affrontiamo le sfide della vita, ma per la gran parte di noi tale controllo può essere ottenuto solo collettivamente. Proprio qui, nell’espletamento di tali compiti, l’assenza di comunità è maggiormente avvertita e sofferta, ma sempre qui, una volta tanto, la comunità ha l’occasione di smettere di essere assente. Se mai può esistere una comunità nel mondo degli individui, può essere (ed è necessario che sia) soltanto una comunità intessuta di comune e reciproco interesse; una comunità responsabile, volta a garantire il pari diritto di essere considerati esseri umani e la pari capacità di agire in base a tale diritto.” Mi soffermo su questo tema del sentimento di insicurezza, sulla difficoltà a costruire legame sociale perché credo che proprio  la costruzione dei legami sociali, la tessitura di comunità sia il compito fondamentale delle politiche sociali e più in generale sia il compito di ciascun cittadino democratico e  di una autentica ed efficace politica democratica. Sulla costruzione di relazioni umane che sollecitino le competenze delle persone e sulla tessitura di comunità molto può dare il Servizio sociale ed una professione come quella delle assistenti Sociali.

Il SEVIZIO SOCIALE E LE POLITICHE DI  WELFARE

Mi insegnate che c’è un legame molto forte tra il ruolo del Servizio sociale e la qualità delle politiche di welfare. Il nostro sguardo deve partire dall’Europa. Abbiamo bisogno di un Europa Sociale con una precisa e forte Agenda Sociale. Su questo punto , di elaborazione e di battaglia politica , dobbiamo sentirci impegnati come cittadini, professioni, attori sociali che hanno a cuore il valore della  solidarietà. Guai se si rompe l’Europa. Le politiche sociali, per la salute, per l’occupazione, per la parità di genere, contro la povertà hanno avuto nell’Unione Europea- nel corso degli anni- pur tra molte contraddizioni, un punto di riferimento importante. Potremmo elencare: le decisioni della Corte di giustizia e degli organi di governo europei che hanno mirato ad estendere da un paese all’altro i diritti sociali dei cittadini europei, il libero movimento dei lavoratori, la salute e la sicurezza sul lavoro, l’uguaglianza di genere, il Fondo sociale europeo, la legislazione sulla non discriminazione, la protezione contro i licenziamenti, l’inclusione sociale, le politiche pensionistiche e sanitarie Sottolineo in particolare il valore della Carta Europea dei Diritti Umani Fondamentali. Che costituisce la carta d’identità di una comunità politica sopranazionale e che è diventata giuridicamente rilevante con il Trattato di Lisbona. La Carta dei diritti disegna un modello sociale europeo distinto e più avanzato  rispetto alle altre regioni del mondo. Attraverso le 5 parole chiave - Dignità,  Uguaglianza, Solidarietà, Cittadinanza, Giustizia- sono declinati i diritti- doveri fondamentali che riguardano la complessità delle persona e del tessuto economico e sociale. Nel Preambolo della Carta leggiamo “ Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale , l’Unione si fonda sui valori indivisibili ed universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà. l’Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, di sicurezza e  di giustizia.”

 

Bisogna andare avanti con più Europa e più Europa Sociale.

Bisogna costruire il Welfare delle 3 G :Generazioni, Generi, Genti .Solidarietà tra le generazione; le pari opportunità tra donne e uomini ed anche una nuova relazione, una nuova amicizia, una nuova grammatica dei sentimenti; la convivenza tra italiani ed immigrati. Nella consapevolezza, come insegna l’esperienza che “ insieme si può”. Si possono risolvere i conflitti perché si può lavorare insieme per combattere la povertà,  il degrado urbano, la criminalità; insieme si possono costruire contesti di vita umani e sicuri.

Bisogna investire sui grandi beni pubblici come il lavoro, la scuola, la sanità. Promuovere la salute in tutte le politiche come indica l’Unione Europea attraverso Piani Intersettoriali per la salute.

Bisogna investire sulla Rete Integrata sei Servizi Sociali, con servizi sanitari, scuola, inserimento lavorativo. Bisogna promuovere  una forte battaglia culturale sul valore dei servizi sociali nella vita delle persone. I servizi sociali sono  “oro” nella vita delle persone ma è un oro che non “brilla”. Bisogna farlo Brillare . Bisogna promuovere una nuova idea del Sociale. Non solo politiche specifiche ma il Sociale, la Solidarietà, l’Inclusione Sociale Come Parametro dello Sviluppo economico e sociale. Le politiche sociali come politiche di sviluppo. Ed allora il Sociale, la Solidarietà deve attraversare tutte le politiche  della città e le politiche nazionali.  Il Sociale e la Salute in tutte le politiche. Il lavoro, l’ambiente, le infrastrutture,  l’urbanistica ,la casa, l’istruzione. Bisogna fare il Piano Sociale Nazionale ed il Piano Sociale  delle città che non solo indichi i Livelli Essenziali di Assistenza ma traduca concretamente l’idea del Sociale come parametro che orienta l’insieme delle politiche, e declinare le diverse politiche secondo il valore della solidarietà e dell’inclusione sociale che dunque deve essere coordinato dal Presidente del Consiglio, dal Presidente della Giunta Regionale, dal Sindaco della città. Bisogna promuovere un nuovo ruolo del pubblico che deve avere la capacità di programmazione, di scelta nello stanziamento delle risorse ma in più ed in modo spiccato deve porsi come  “Sollecitatore di Responsabilità” verso tutti i soggetti economici e sociali. Il Pubblico autorevole, l’istituzione pubblica autorevole è quella che mette attorno ad un tavolo ,per programmare politiche di sviluppo che investano sul capitale umano, sulla lotta alle diseguaglianze , tutti gli attori economici e sociali chiedendo a ciascuno di fare la sua parte. Ma di farlo non in modo frammentato, ciascuno per conto suo ma in modo coordinato secondo una visone condivisa del Benessere Sociale ,condividendo le priorità delle politiche di sviluppo e delle politiche di benessere sociale necessarie al Paese e ad un determinato territorio.

Tanto più in questo tempo in cui il welfare è diviso in tre comparti: il welfare pubblico sempre più residuale; il welfare aziendale; le Fondazioni Bancarie.

Non penso certo che bisogna annullare questa pluralità. Penso che bisogna investire molto di più sulla Rete Integrata dei servizi sociali e sanitari, sui Beni pubblici. Bisogna integrare i tre welfare attorno ad una visione condivisa delle priorità da perseguire , attraverso un azione di Rete. Promossa e sollecitata dalle istituzioni pubbliche.

In questo contesto il  ruolo del Servizio Sociale è particolarmente rilevante. Perché  costituisce:

IL GARANTE DELLA PRESA IN CARICO DELLA PERSONA NELLA PIENEZZA DELLA SUA DIGNITA’;

IL PILASTRO DELLA RETE INTEGRATA DEI SERVIZI SOCIALI,SANITARI, PER L’INSERIMENTO LAVORATIVO E SCOLASTICO;

IL PARADIGMA DI UN WELFARE ATTIVO E COMUNITARIO CHE INVESTE SULLE COMPETENZE DELLE PERSONE; SULLE RELAZIONI UMANE ; SULLA COMUNITA’; SULLA EDUCAZIONE E PROMOZIONE DELLA CITTADINZA ATTIVA DELLE PERSONE.

Bisogna rilanciare il Piano Sociale Nazionale ed i Livelli essenziali di assistenza con relativo finanziamenti.

Bisogna valorizzare le professioni sociali puntando sul lavoro in cooperazione, investendo sulla professionalità e valorizzando al contempo la peculiarità di ciascuna. Bisogna rilanciare la figura dell’assistente sociale quale professionista di prossimità, in grado di realizzare il segretariato sociale e di realizzare il servizio sociale professionale secondo il principio della competenza e della responsabilità. I comuni sono pertanto obbligatoriamente tenuti ad assicurare tale servizio evitando esternalizzazioni che ne inficiano la qualità prevedendo al riguardo il calcolo del rapporto assistente sociale popolazione servita pari a 1/5000 abitanti anche attraverso piante organiche intercomunali per le amministrazioni in piccola dimensione, aggregate in Unioni di Comuni.

Il ruolo dell’assistente sociale è fondamentale per promuovere il cambiamento che favorisce l’accesso dei cittadini, soprattutto quelli più fragili, ai servizi territoriali ma anche per costruire sul territorio la rete tra i diversi attori pubblici e privati che vi operano , per attivare buone pratiche, per sollecitare la partecipazione attiva dei cittadini, la loro capacità di proposta e di controllo, ricercando le alleanze possibili con tutti gli attori sociali. Come avete scritto nel vostro Manifesto per il welfare , l’assistente sociale come “ catalizzatore sociale” e “sensore sociale”. Efficacia degli interventi, Partecipazione attiva, Connessione tra le diverse istituzioni: sono gli ingredienti preziosi della vostra professione.

Da cittadina , militante del sociale, che ha sempre avuto a cuore la professione dell’assistente sociale vedo oggi 4 funzioni preziose che solo voi potete svolgere:

1) promuovere cittadini competenti;

2) promuovere legami sociali e comunità;

3) incidere nell’agenda politica portando la vostra competenza ed esperienza in tutti i luoghi della discussione pubblica, della partecipazione e della decisione politica;

4) promuovere una battaglia culturale per far capire il valore dei servizi sociali, essenziali non solo per le persone fragili ma per la qualità della vita di ciascuna persona e per il benessere della società. Bisogna far brillare l’Oro contenuto nei  servizi sociali.

l compito che sta difronte a tutti noi è quello di costruire una società più giusta e più umana. “Prendersi cura delle persone” è un dovere di ciascuno di noi, è compito della politica, è compito delle politiche di welfare. Per vivere meglio tutte e tutti, italiani e immigrati; per vivere  sicuri e sereni. Per lasciare una Società Umana ai nostri figli.

Livia Turco

Relazione al Convegno degli assistenti sociali - Trento 20 settembre 2018 

40 anni legge 194. Lettera aperta ai giovani ed alle ragazze

17 Maggio, 2018 (20:26) | Documenti | Da: Redazione

Care ragazze, cari giovani,

Voglio parlarvi di un tema duro, difficile persino da dire, carico di sofferenza e di implicazioni morali: l’aborto.

Voglio  parlarvi  di  questo tema  difficile , innanzitutto,  per condividere con voi l’impegno  e  la  speranza  di una società libera dall’aborto, per costruire con voi  una  società  materna che  sia accogliente  del figlio che nasce, della maternità  e della paternità.Mi addolora perché  ho vissuto la bellezza della maternità  e nel mio impegno politico ed istituzionale ho promosso leggi e provvedimenti a sostegno della maternità e paternità e per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Se avere un figlio diventa un lusso  siamo una società povera, sterile, disumana.

Per questo voglio parlarvi dell’aborto. Per dirvi che esso è un dramma che bisogna prevenire ,che bisogna in ogni modo scongiurare di vivere, sia da giovane che da adulte. Aborto è la soppressione di una potenzialità di vita che diventerebbe figlio se fosse accolta dal grembo materno. Le donne possono raccontarvi quanto sia duro vivere questa triste necessità, quale scacco del pensiero, quale dramma,  quale senso di sconfitta e di perdita.

Voglio parlarvi dell’aborto perché mi consente di raccontarvi una storia bella e positiva di questo nostro paese che ci testimonia concretamente che l’aborto si può sconfiggere, che le donne possono scegliere liberamente la maternità e crescere con gioia i propri figli . Posso raccontarvi una pagina di bella politica, quella che ha portato a conquistare nel 1975 la legge che istituisce i consultori famigliari, che mi auguro voi abbiate potuto conoscere e frequentare, e nel 1978  la legge 194 “Norme  per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza.”

Solo quarant’anni fa di aborto si moriva. Vi erano le “ mammane” che con erbe e ferri procuravano l’aborto alle donne povere. Quelle ricche ricorrevano al medico di fiducia che in una stanza nascosta nel suo studio praticava ciò che la legge proibiva.

Le donne non amavano l’aborto, tutt’altro.. Accadeva di rimanere incinte anche se i figli  erano sempre benedetti e le famiglie numerose, oltre un certo numero non era possibile averne altri. Ed allora iniziavano i giorni tremendi  della paura,  del dolore e della solitudine. Gli uomini non sempre erano solidali. La famiglia era  patriarcale dove il padre padrone comandava sulle donne e sui figli. Pretendevano dalle donne il sesso  senza considerare le conseguenze che rimaneva un problema che gravava solo sulle spalle delle donne. Donne e uomini si amavano ma i rapporti erano diseguali e la responsabilità di una maternità non desiderata, non possibile da sostenere ricadeva tutta sulle donne. Il corpo delle donne e la loro sessualità era considerato una proprietà maschile che doveva sottostare al  desiderio degli uomini.

Le donne seppur forti, lavoratrici, cittadine, madri insostituibili non riuscivano a considerare il corpo ed il sesso parte integrante, intima della loro persona e personalità  e tante volte non riuscivano a  viverlo con la consapevolezza, la gioia, la responsabilità di qualcosa che è tuo, prima di tutto tuo, che tu hai il dovere di condividere con l’altro su un piano di parità  attraverso i sentimenti del rispetto e dell’amore. Erano impedite a farlo dalla cultura ed educazione che le aveva forgiate secondo cui il corpo ed il sesso era un dono di Dio, ed una proprietà degli uomini.

Era la componente bella di se’, della propria persona su cui non potevano agire liberamente e che sentivano incarcerato ,impedite a viverlo con gioia e libertà se non nei modi scelti  dal desiderio maschile.

“Sesso amaro” era il titolo di una inchiesta che il giornale dell’UDI, un Associazione di donne nata nel 1944 che si è battuta nel corso di tanti anni per la dignità ed i diritti delle donne, condusse tra le  italiane sollecitandole a prendere la parola sulla loro sessualità, sulla piaga dell’aborto clandestino. Fu uno shock, un fatto che fece riflettere, discutere e prendere coscienza.

Non c’erano solo dolore, solitudine, ma anche leggi matrigne che punivano con il carcere  le donne che abortivano e i medici che lo procuravano. La materia era regolata dal Codice penale detto Codice  Rocco dal nome del suo autore: l’aborto in qualsiasi sua forma era sempre considerato  un reato (art.545 e seguenti).

L’aborto era un reato penale che rientrava tra i “Delitti contro la integrità e la sanità della stirpe”. I  beni da tutelare erano la stipe e non la persona, l’onore e non la salute e la dignità della persona.

In particolare:

causare l’aborto di una donna non consenziente ( o consenziente ma minore di quattordici anni) era punito con la reclusione da sette a dodici anni.(art.545);

causare l’aborto di una donna consenziente era punito con la reclusione da due a cinque anni, comminati sia all’esecutore dell’aborto, sia alla donna stessa (art.546);

procurarsi l’aborto era invece punito con la reclusione da uno a quattro anni (art.547);

istigare all’aborto ,o fornire i mezzi per procedere ad esso era punito con la reclusione da sei mesi a due anni (art.548).

In caso di lesioni o morte della donna le pene erano ovviamente inasprite ma nel caso ”..alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 545,546,547,548,549,550 è stato commesso per salvare l’ONORE  proprio o quello di un prossimo congiunto ,le pene ivi stabilite sono diminuite dalla metà ai due terzi”.

Avete inteso bene… l’aborto era considerato meno grave se colpiva l’onorabilità della donna e del suo consorte anziché la dignità e la salute delle donne. Le donne erano di fatto, secondo queste leggi “non persone”.

L’analogo Codice Rocco impediva ogni  forma di contraccezione.

Colpisce questa durezza nei confronti del corpo delle donne, questa chiusura verso la libertà sessuale in anni che avevano visto grandi cambiamenti culturali con il Movimento  studentesco del  1968, con la nascita del movimento di emancipazione delle donne e poi del femminismo  che aveva ottenuto conquiste importanti come l’abolizione delle case chiuse per l’esercizio della prostituzione(1950), leggi per la parità nel lavoro e la tutela sociale della maternità, l’accesso delle donne in magistratura ed in tutte le cariche pubbliche, l’introduzione del divorzio, la riforma del Diritto di Famiglia, traguardo molto importante perché impernia  la vita famigliare sui valori della pari dignità di donne e uomini, di genitori e figli, superando l’odiosa impostazione patriarcale per cui il padre era il padrone di moglie e figli,  e stabilisce la pari responsabilità del padre e della madre verso i figli.

 In realtà stava avvenendo tra le donne qualcosa di profondo nelle loro coscienze: si stavano liberando  del pudore verso questa parte oscura di sé, cominciavano a  parlarne con le altre donne, a scoprire attraverso la parola, il confronto, la relazione che la sessualità le apparteneva, che il godimento della sessualità non era un peccato o qualcosa che le rendeva meno autorevoli , che avere un figlio era un evento bellissimo ,un dono che dovevano accogliere ma su cui potevano e dovevano esercitare una loro scelta. Ancora più’ degli uomini perché un figlio nasce se il grembo materno lo accoglie, lo desidera, lo vuole nutrire. Costruisce una relazione.

 

Scegliere, libertà di scelta, autodeterminazione : ecco le  parole importanti che le donne  scoprono e cominciano a pronunciare.

Anche nella politica , nella società , nel mondo medico le cose cominciano a cambiare.

Il 14 marzo del 1971 la Corte Costituzionale, dichiarò con una Sentenza della Consulta ,illegittimo l’articolo 553 del Codice Penale che prevedeva pene severe per chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda contro di esse. Tale sentenza apre la strada all’utilizzo dei contraccettivi.

Nel 1968 era stata commercializzata la pillola Pincus ma solo a scopo terapeutico..

Nello  stesso anno l’Enciclica Humane Vitae d del Papa Paolo VI  pronunciò parole molto severe contro il controllo delle nascite.

Il giornale ”Noi Donne” continuava attraverso la sua rubrica delle Lettere scritte dalle lettrici cui rispondeva la direttrice Giuliana Dal Pozzo, l’ascolto delle opinioni e della vita delle donne .Che esprimeva lo spaccato di un pezzo del mondo femminile che stava cambiando nella sua identità profonda. Lo stesso giornale in sintonia con il dibattito che si era aperto in altri paesi  europei cominciava a parlare del rapporto tra la scienza, la tecnica, ed il corpo femminile. Sollecitava la promozione e lo sviluppo della contraccezione. Nasceva, su iniziativa dello psicologo, Luigi De Marchi l’associazione AIED, associazione italiana per l’educazione demografica e la promozione della contraccezione, che creò  tanti consultori in Italia per diffondere la contraccezione.

Come vi ho detto all’inizio nel 1975 il Parlamento approvava una legge molto importante che dovete conoscere ed utilizzare la legge 45 del 1975 sui Consultori famigliari, luoghi della sanità pubblica  che affrontano i temi relativi alla sessualità, alla salute delle donne, alla contraccezione, alla prevenzione dell’aborto, alle relazioni tra donne e uomini. L’Organizzazione Mondiale della Sanità li ha indicati come esempio di servizi innovativi che promuovono il benessere delle persone.

Nel 1975  inizia la battaglia del Partito Radicale attraverso forme che destano l’attenzione dell’opinione pubblica perché nuove e trasgressive. Marco Pannella, Gianfranco Spadaccia,  Adele Faccio , Emma Bonino si erano autodenunciati alla polizia per aver praticato aborti e furono arrestati.

Adele  Faccio con altre donne aveva fondato il CISA che si proponeva di combattere concretamente  l’aborto clandestino, creando i primi consultori in Italia ed organizzando dei” viaggi della speranza” verso le cliniche inglesi ed olandesi a costi accessibili.

Nel 1975 il CISA si federa con il Partito Radicale e portano avanti una battaglia comune contro l’aborto clandestino.

Il 5 febbraio una delegazione comprendente Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore del giornale l’Espresso  presentava alla Corte di Cassazione la richiesta di un Referendum abrogativo degli articoli del codice Rocco che riguardano i reati d’aborto. Cominciava in questo modo la raccolta delle firme. Il referendum era patrocinato dalla Lega XIII  maggio e da l’Espresso che lo promossero unitamente al Partito Radicale ed al Movimento di Liberazione della donna. Tra le forze politiche aderenti figuravano Lotta Continua, Avanguardia Operaia, il PDUP, che erano forze politiche della sinistra più estremista.

Furono raccolte 7000.000 firme.

Un altro fatto importante era intervenuto a sollecitare la modifica del Codice Rocco: la sentenza n.27 del 18 febbraio 1975 della Corte Costituzionale. Con tale sentenza, la Suprema Corte, pur ritenendo che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale, consentiva il ricorso all’ interruzione volontaria di gravidanza per  motivi di salute molto gravi riguardanti la madre.

 Il 10 luglio del 1976 all’ICMESA una fabbrica del Nord, vicino a Milano esce una nube tossica contenete molti chili di diossina, una sostanza quasi sconosciuta che ricade sul centro abitato. Essa provocava in modo particolare  alterazioni neonatali ormonali.  Molte donne furono costrette all’aborto terapeutico. Laura Conti, consigliere  regionale  della Lombardia del partito Comunista Italiano, partigiana, ambientalista, si dedicò alle popolazioni del luogo, scrisse  due libri “Vista da Seveso” e “Una lepre con una faccia da bambino”. Tale vicenda accese ulteriormente il dibattito sull’aborto come ci racconta nella sua bella testimonianza, in questo libro,  il Dottor Rusticali. Nel  1976 ,dopo le elezioni politiche in cui c’era stato un forte spostamento dell’elettorato, soprattutto femminile e giovanile, a sinistra, tutti i partiti presentarono  disegni di legge per la regolamentazione dell’interruzione di gravidanza. Solo La Democrazia Cristiana ed il Movimento Sociale Italiano presentarono disegni di legge il cui titolo era “ Disposizioni relative al delitto di aborto”. I titoli indicano la profonda differenza d’impostazione. Da un lato  c’erano  i  partiti che  volevano regolamentare il ricorso all’aborto tenendo conto della salute fisica e psichica della donna e delle sue condizioni economiche e sociali.

  Dall’altra  la DC e l’MSI consideravano l’aborto un delitto che deve essere punito tranne  il caso in cui  era in  pericolo di vita delle donne o la stessa aveva subito violenza sessuale accertata dall’indagine della magistratura.

Nonostante le profonde differenze nelle Commissioni Sanità e Giustizia della Camera iniziava  il 26 febbraio 1976 un dibattito molto approfondito , con lo sforzo di cercare di trovare, pur nelle differenze,  dei punti di contatto tenendo conto della realtà, la quale diceva che tante donne ricorrevano all’aborto clandestino, che l’aborto era una piaga sociale dietro alla quale oltre  al tormento della donna, si nascondevano anche  gravissimi fatti di speculazione morale e finanziaria sulla sofferenza e sulla indigenza. Per cancellare questa piaga sociale  bisognava farla emergere dalla clandestinità , puntare sulla prevenzione  e dunque su un forte sviluppo della consapevolezza delle persone e sull’uso della contraccezione, sulla tutela sociale della maternità. Date le profonde differenze vi era un relatore di maggioranza che esprimeva la posizione a favore della regolamentazione dell’aborto ed uno di minoranza che esprimeva la posizione che proibiva il ricorso all’aborto.

La Democrazia Cristiana In Commissione aveva  condiviso  un testo che  prevedeva l’interruzione di gravidanza  in coerenza con la sentenza della Corte Costituzionale. In Aula cambiò posizione e presentò un emendamento, l’emendamento Flaminio Piccoli, che consentiva l’aborto solo in caso di acclarato pericolo della vita della donna. Una sorta di aborto terapeutico che non sarebbe stato minimante in grado di incidere sulla piaga dell’aborto clandestino. La differenza era sostanziale. Il testo dell’articolo 2 votato in Commissione con l’adesione anche della Dc prevedeva “l’interruzione della gravidanza nei primi novanta giorni quando c’è un serio pericolo per la salute fisica e psichica della donna; quando la donna  e la famiglia  versano  in  condizioni economiche di grave disagio  e non sono nelle condizioni di crescere il figlio; quando vi  sono rilevanti rischi di malformazione fetale, di anomalie congenite al nascituro” .

L’emendamento Piccoli riproponeva la punibilità dell’aborto come norma generale ed indicava i casi in cui l’aborto non poteva essere punito: “per impedire un reale pericolo per la vita delle donne o grave danno per la salute della donna medicalmente accertati e non altrimenti evitabili; quando la donna ha subito uno stupro ed ha esposto querela all’autorità giudiziaria. La pena è ridotta da un terzo a due terzi quando l’aborto è commesso in conseguenza di un turbamento provocato alla madre da condizioni economiche e sociali di eccezionale gravità ; il turbamento provocato nella madre dal ragionevole timore di una gravissima malformazione o anomalia del nascituro.”

Perché  quel voltafaccia da parte di un grande partito? Perché un partito popolare e maggioritario nel paese dimostrava di non considerare e non comprendere la gravità dell’aborto clandestino, di questa grave piaga sociale? Perché dimostrava così scarsa autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche? Perché non si faceva carico della spaccatura che la sua posizione provocava nel paese? Sono gli interrogativi che nel corso del dibattito parlamentare  posero molti parlamentari preoccupati per la condizione delle donne e per le sorti del paese. In realtà la Democrazia Cristiana pur essendo unita nel no all’aborto aveva al suo interno differenti anime culturali.

Forse anche per questo non riuscì a tenere sulla vicenda una linea chiara ed univoca scegliendo  una posizione tra quelle che lo stesso Flaminio Piccoli aveva delineato nella discussione interna al suo partito “ O battaglia frontale con un deciso no in occasione del voto finale o un azione per un miglioramento delle singole norme giungendo eventualmente ad una astensione”. In realtà la DC oscillò tra queste due posizioni :  nelle Commissioni prevaleva la volontà’ di dialogo e di condizionamento delle posizioni altrui, in Aula avveniva il voltafaccia e la rottura. Nella fase finale, nel  1978, anche grazie a personalità come Maria Eletta Martini, presidente della Commissione Affari Sociali della Camera prevalse l’apertura ed il dialogo pur esprimendo quel partito un voto contrario alla legge.

Tornando al Dibattito iniziato in Aula alla Camera il 26 febbraio 1976, l’emendamento Piccoli  fu approvato con il voto determinante del Movimento Sociale Italiano:298 voti a favore 286 contrari. Era il 1 aprile 1976. Un fatto clamoroso  che determinò una crisi di governo. Craxi ritirò  l’appoggio  del PSI al Quinto  Governo Moro   perché considerava gravissima la proposta approvata, lontana dalle posizioni culturali  del suo partito, di tante forze politiche e dalla  maggioranza delle donne e  del paese  e che, peraltro,  aveva tradito lo sforzo di dialogo che era stato tenacemente perseguito da parte di tutte le forze politiche. Di fronte alla crisi di governo il Presidente della Repubblica fu costretto a sciogliere le Camere, nel mese di giugno del 1976, e si andò’ al voto.

Il dibattito riprende nella Settima Legislatura  al Senato. Si lavora nelle Commissioni riunite Sanità e Giustizia. La pressione che sale dal paese per cancellare la vergogna dell’aborto clandestino ,per liberare il nostro paese dall’ipocrisia di una normativa che fa a pugni con la realtà e con la sofferenza della persona, l’ipocrisia di una retorica sulla vita che non si accorge delle vite che vengono stroncate sembra coinvolgere  anche  la DC ed il mondo cattolico che presenta riflessioni nuove, riflette sulla laicità, su come si promuove in modo concreto la vita ed il sostegno alla maternità’. Viene elaborato un testo unitario. Bisogna votare il passaggio del testo dalle Commissioni all’esame dell’Aula.

Qui ,in modo sorprendente si verifica un altro voltafaccia della DC che vota contro il passaggio in Aula del testo. Secondo il regolamento del Senato in casi come questi bisogna che trascorrano sei mesi prima che si possa riprendere in esame il testo di legge bocciato nel suo passaggio in Aula. La DC aveva fatto il gioco del Partito Radicale il quale era contrario ai testi di legge che si stavano discutendo e volevano che si celebrasse il  referendum abrogativo del Codice Rocco di cui erano stati promotori. Più  il tempo trascorreva ed il Parlamento non legiferava più si avvicinava il tempo del referendum.

Per questo le forze politiche a favore del testo di legge in Parlamento decisero di iniziare subito  l’iter alla Camera. Era la terza volta che la Camera affrontava questo argomento.   Il testo elaborato dalle Commissioni del Senato e bloccato nel passaggio in Aula fu assunto come testo base per la discussione alla Camera. Era il 9 giugno del 1977. Il 18 maggio del 1977 il testo  fu  proposto all’esame delle Commissioni riunite Sanità e Giustizia. Il 30 novembre del 1977 venne  presentata la relazione di maggioranza, relatori Giovanni Berlinguer ed Antonio Del Pennino; il 9 dicembre 1977 venne  presentata  la relazione di minoranza dell’MSI con relatore Giuseppe Rauti; il 30 marzo 1978  venne  presentata la relazione di minoranza della Democrazia Cristiana, relatori Giuseppe Gargani e Bruno Orsini. La legge approdò   in Aula con un testo di maggioranza e due di minoranza il 5 aprile 1978 e venne  approvata il 13 aprile con 308 voti a favore e 275 contrari. L’ iter iniziò al Senato il 18 aprile per concludersi ed approvare in modo definitivo   la attuale legge 194 il 18 maggio 1978.Relatrice di maggioranza fu  la senatrice Giglia Tedesco.

La legge venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e divenne  operativa il 22 maggio 1978. Anche in questa occasione il confronto fu aspro ed i sostenitori della legge misero l’accento in modo particolare sulla necessità di essere rapidi ed approvare finalmente una legge giusta perché l’opinione pubblica era indignata dalle lungaggini, dall’ipocrisia, dalle discussioni infinite ed inconcludenti  tra le  forze politiche. In modo particolare si stava creando una frattura tra le donne italiane e le istituzioni democratiche. Tale sentimento era percepito dalle donne parlamentari di ogni schieramento politico che ebbero non a caso un ruolo importante per costruire, al di là delle differenze, punti di incontro.

Per capire il clima del tempo riporto uno stralcio dell’intervento svolto il 2 marzo 1976 da una delle protagoniste più autorevoli di tale battaglia, Adriana Seroni , parlamentare e dirigente del Partito Comunista Italiano.” Bisogna fare in fretta, non c’è tempo da perdere. Basta scorrere le cronache di queste settimane di questi mesi per capire quale è il costo in termini umani e sociali del tempo che passa. Una donna ,moglie di un emigrato calabrese, madre di cinque figli  e malata è morta  a Torino perché non le è stato praticato l’aborto terapeutico. Una donna moglie di un operaio di Gela, madre di sei figli, alla vigilia di Natale si uccide ponendo in stato di accusa una società che non l’ha aiutata né a controllare le nascite né a sfamare i suoi bambini. Intanto a Verona si è processato una donna per aver abortito: una donna di 43 anni, prima operaia, poi domestica, sei figli ,cinque aborti, un marito schizofrenico, una vita buia di miseria e di stenti .

Questa donna ha scritto ponendo a tutti una domanda precisa: ”Io mi domando se è giusto che lo Stato processi me, senza aver mai dato nulla a me ed ai miei figli  e se è giusto che  adesso debba  andare in carcere lasciando i miei figli, solo perché non potevo mettere al mondo anche il settimo figlio e non avevo i soldi per andare in Svizzera. Io non so se questo sia giusto Ditemelo voi”. Milioni di donne ci guardano ed aspettano. Sul tema dell’aborto si misura anche la capacità dello Stato di tener conto delle donne, di riconoscere la loro dignità e la loro soggettività politica. Quella dell’aborto è una ferita aperta tra le donne ed il sistema democratico, le istituzioni. Bisogna cancellare questa ipocrisia che inquina il nostro sistema democratico altrimenti lo sdegno potrà solo radicalizzarsi ed estendersi”.

Infatti era fortemente cresciuta la consapevolezza delle donne italiane  e la loro determinazione ad avere una legge giusta che riconoscesse la loro autonoma possibilità di scelta, che incentivasse la prevenzione e l’uso della contraccezione ,che sostenesse in modo concreto la maternità.

Nel femminismo c’erano diversi punti di vista. Una componente parlava di aborto come diritto ma la maggioranza delle donne parlava dell’aborto, come scacco, sconfitta della propria volontà ,come dolore e dramma perché ciascuna donna è consapevole che abortire vuol dire interrompere una vita che è cominciata a formarsi dentro il suo grembo materno.

Interrompere questa vita è un grande problema morale che pesa sulla coscienza  e fa tanto più’ soffrire  quando si ricorre all’aborto per le condizioni economiche e sociali che non consentono di avere altri figli. Le donne facevano sentire la loro voce ovunque: sulle piazze, sulla stampa e sui media, nel dialogo fitto con le altre donne, nelle associazioni e nei partiti.

Ricordo la discussione accesa che ci fu nel Partito Comunista Italiano cui ero una giovane militante. Discutemmo molto animatamente con i vertici del partito su due punti fondamentali: a chi compete la scelta di ricorrere all’aborto e la possibilità anche per le minorenni che si trovavano a vivere una gravidanza indesiderata di poter ricorrere a certe condizioni all’aborto .Fu uno scontro duro tra il partito che proponeva che a decidere  se interrompere la gravidanza fosse una commissione di medici dopo aver ascoltato la donna e noi donne ma anche tanti uomini che sostenevano che  l’ultima parola spettava alla donne. Ricordo le riunioni appassionate, affollate, in ogni parte d’Italia. Vincemmo  noi donne perché eravamo in tante, unite e determinate , perché  avemmo dalla nostra parte  donne dirigenti  autorevoli come Adriana Seroni  (prima firmataria della legge del Partito Comunista) e Giglia Tedesco( che fu relatrice del testo di legge al Senato) e uomini intelligenti come Giovanni Berlinguer, medico ,scienziato, politico di intensa umanità che fu anche il relatore della legge alla Camera  insieme a Del Pennino, esponente del Partito Repubblicano Italiano. Vincemmo con la forza della passione e degli argomenti. C’era in ogni schieramento politico una pattuglia di donne autorevoli- Adriana Seroni, Giglia Tedesco, Luciana Castellina, Simona Mafai, Adriana Lodi, Carmen Casapieri, Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Ines Boffardi,  Cassanmagnago Cerretti Maria Luisa, Adele Faccio,  Emma Bonino, Adelaide Aglietta,   Maria Magnani  Noia, - molto legate alla realtà femminile del paese che, nonostante i forti conflitti, cercarono  di capirsi, di capire le ragioni del punto di vista dell’altra e comporre una sintesi tra valori  che stavano a cuore a tutte come la dignità femminile, la consapevolezza della tragedia dell’aborto clandestino che invece sfuggiva a molti maschi intrisi di una cultura maschilista, il valore sociale della maternità, l  ’educazione alla sessualità attraverso una adeguata valorizzazione dei Consultori famigliari, il valore della vita umana.

Non era facile legiferare su una materia che riguarda la vita del concepito e la volontà e la salute  psicofisica della donna.

In quegli anni tumultuosi e di cambiamento l’Italia fu teatro di un fenomeno inedito. Dopo il terrorismo nero, fascista, assistevamo alla nascita del terrorismo rosso che voleva abbattere lo Stato considerato traditore dei valori della sinistra e della classe operaia. Una grande tragedia, che ricordo molto bene per i morti che esso provocò anche solo nella mia città, Torino. Ricordo lo sgomento e lo smarrimento che determinò nel nostro cuore e nelle nostre menti.

 

Quel terrorismo allontanava le riforme di cui l’Italia aveva bisogno e richiedeva l’unità politica e culturale di tutte le forze politiche per difendere lo Stato democratico che andava riformato ma attraverso riforme democratiche decise in Parlamento e non attraverso la violenza ceca e bruta.

Ricordo i giorni terribili del rapimento di Aldo Moro e l’uccisione degli uomini della sua scorta, ricordo i giorni terribili pieni di angoscia della sua prigionia. Ricordo il dolore acuto e lo smarrimento che ci colse quando fu trovato il corpo ucciso del grande politico.

Ricordo le scelte difficili cui fu difronte la sinistra italiana e gli interrogativi, i dilemmi che in particolare vivevamo  noi giovani che sentivamo l’urgenza di un profondo cambiamento della società italiana e della politica.

Mai avremmo immaginato di dover  sostenere un governo di emergenza, tra tutte le forze politiche, detto  delle larghe intese e programmatico, con presidente del consiglio Giulio Andreotti.

Dopo lo smarrimento iniziale decidemmo che dovevamo utilizzare la nuova influenza del PCI e della sinistra  nella vita politica italiana per strappare riforme, ottenere le riforme tanto attese. Dovevamo utilizzare lo spirito di collaborazione tra le forze politiche non solo per difendere lo Stato e la democrazia ma per varare le tanto attese riforme. Organizzammo  forti mobilitazioni e imponenti manifestazioni di piazza con i movimenti giovanili  per combattere la disoccupazione giovanile ed ottenemmo la legge 285/ 1978 per promuovere il lavoro dei giovani. Il 1978 può essere definito l’anno delle riforme ,” le riforme della speranza” perché  furono varate contemporaneamente: la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale universalistico e solidale, la legge 833, Ministro della Sanità  Tina Anselmi, relatore Giovanni Berlinguer, riforma che si basa sulla concezione della salute come diritto garantito a tutti a prescindere dal reddito partendo dal riconoscimento del principio universale della dignità umana così come indicato dall’articolo 32 della nostra Costituzione “ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”;  la legge Basaglia sulla psichiatria che elimina  i manicomi; la legga 194 sulla tutela della maternità e la interruzione volontaria della gravidanza.

Tutte queste leggi avevano alle spalle anni di battaglie sociali, culturali   che avevano coinvolto i lavoratori  con i sindacati, le donne, i giovani  i medici, gli psichiatri, le forze intellettuali del nostro paese . Avevano impegnato il Parlamento in discussioni e confronti senza pervenire a conclusioni. In quello straziante 1978,  Il clima di dialogo tra le forze politiche ed il senso della comune responsabilità verso il paese favorì la loro rapida approvazione con impostazioni di merito avanzate come si può constatare leggendo gli atti parlamentari.

Dentro il dramma nazionale ci fu una pagina di bella politica. Per questo mi piace definire  quelle riforme “le riforme della speranza”. Perché sono l’espressione di una forma della democrazia: basata sulla mobilitazione sociale, sulla partecipazione attiva dei cittadini, sul dialogo e la costruzione di mediazioni e nuove sintesi  tra le forze politiche che avevano nel  Parlamento il loro fulcro . Esprimevano inoltre una nuova concezione del welfare: solidaristico, universale, capace di valorizzare le competenze delle persone, che punta  non solo a prevenire il disagio ma  a promuovere il benessere delle persone.

Ecco i contenuti più importanti della legge 194/98 che fu  scritta in modo chiaro , attraverso una limpida indicazione dei valori che si intendono perseguire : la tutela della vita umana fin dal concepimento ; la centralità della autodeterminazione della donna, la valorizzazione della scienza e coscienza del medico.

Innanzitutto il Titolo” Norme per la tutela sociale della maternità, riconoscimento del diritto alla  vita  e  interruzione volontaria  della  gravidanza”.

L ‘ articolo 1 recita : ”Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana fin dall’inizio. L’interruzione volontaria di gravidanza, di cui alla presente legge, non è il mezzo di controllo delle nascite. Lo Stato, le Regioni, gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze e funzioni promuovono e sviluppano i servizi socio sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.” La procedura da seguire è semplice: la donna si rivolge al consultorio ed al medico di fiducia ed esprime la sua volontà di ricorrere all’aborto che deve avvenire entro i 90 giorni dal concepimento. Il medico discute con lei le ragioni che la inducono ad una scelta così impegnativa e dolorosa,  in particolare per capire se queste sono di ordine economico e sociale. In questo caso chiede alla donna se difronte a sostegni ed aiuti economici terrebbe con se’ il figlio.

Difronte al parere ed alla scelta espressa dalla donna il medico le rilascia un certificato e le indica la struttura cui rivolgersi per abortire sette giorni dopo il colloquio per dare il tempo alla donna di riflettere ulteriormente sulla sua scelta.(Art.4 e 5)

L’interruzione di gravidanza avviene in un ospedale o poliambulatorio pubblico o privato convenzionato. La legge potenzia il ruolo dei Consultori famigliari che devono fornire informazioni sulla contraccezione, fare campagne per prevenire l’aborto, dare informazioni alle donne ed alle coppie, certificare l’interruzione di gravidanza coinvolgere la donna dopo l’intervento per avviarla ad una sicura contraccezione.( Art.2). E’ prevista l’obiezione di coscienza dei ginecologi anestesisti e del personale sanitario ma l’ospedale o la struttura ambulatoriale è tenuta a garantire l’interruzione di gravidanza senza che si formino liste di attesa anche attraverso la mobilità del personale.( Art.9). L’interruzione di gravidanza dopo i novanta giorni è prevista solo quando ci sia un pericolo per la vita della donna quando si è difronte ad anomalie o malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.( Art.6)Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto , l’interruzione di gravidanza può

 essere praticata solo nel caso di pericolo per la vita della donna ed il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto(Art.7).

La legge fu approvata in un tempo relativamente rapido, tre anni. Anche  per il timore  del referendum del Partito Radicale che nessuna forza politica voleva perché avrebbe lacerato il paese ed avrebbe solo depenalizzato l’aborto, poi ci sarebbe comunque voluta una legge per regolamentarlo. Va riconosciuto però un grande merito all’azione furente dei Radicali perché senza la loro determinazione per il referendum il Parlamento avrebbe impegnato molto più’ tempo per  approvarla. Come è accaduto per ottenere altre riforme .

Come avete potuto constatare sono stati anni  molto difficili ed anche rilevanti dal punto di vista politico, sociale e culturale. Anni di conflitti, crisi politiche, drammi del terrorismo che modificarono le strategie politiche dei partiti ,  ma misero anche  il seme di nuovi e più avanzati incontri sul piano culturale in particolare tra la sinistra ed i cattolici .Insomma la vicenda della legge sull’aborto non ebbe solo risvolti pratici, giuridici, culturali ma incise fortemente sulla vicenda politica del nostro Paese. Le riforme che chiamano in causa l’emancipazione femminile, la libertà delle donne hanno sempre richiesto tanta fatica per essere approvate e tanto tempo. Pensate:  dieci anni di lotte per conquistare Il piano nazionale per gli asili nido(1971);   vent’anni di lotte  perché lo stupro non fosse più  considerato reato contro la morale ma reato contro la persona (1996).  Solo nel 1963 alle donne è stato  consentito l’accesso alla Magistratura nonostante che su questo punto le donne nell’Assemblea Costituente nel 1946 avessero fatto una forte battaglia, perdendola. Solo nel 1970 entrò in vigore la legge sul divorzio, solo nel 1975  venne  varata una profonda riforma del Diritto di Famiglia, solo nel 1968 l’adulterio femminile non fu  più considerato reato,  solo nel 1981 venne  cancellato il “delitto d’onore”,  solo nel 1976  venne  eletta la prima donna ministro, Tina Anselmi,  solo nel 1979 venne  eletta la prima donna Presidente della Camera ,Nilde Iotti , solo nel 2000 venne  approvata una legge organica sui servizi sociali, la 328/2000 che sostituisce la legge Crispi del 1870.!

  Finalmente  approvata la legge sull’aborto  iniziava il difficile percorso della sua applicazione.

Non si passava dalla legge” delitto “alla legge “diritto”. Bisognava compiere una vasta azione culturale e sociale.

Sostenere la maternità e la paternità ,educare e crescere bene i figli comportava un profondo mutamento sociale, garantire il lavoro, una scuola qualificata per tutti, una maggiore giustizia sociale ,un sentimento di solidarietà umana e civica. Significava garantire il diritto alla salute attuando la riforma sanitaria da poco approvata. Bisognava costruire una unità nel paese, tra le forze politiche, sociali  e culturali, tra le donne ,tra i medici ed il personale sanitario . Invece fin da subito il 60% dei ginecologi si dichiara obiettore. In modo particolare doveva cambiare la cultura nei confronti della sessualità,  riconoscendo la dignità ,l’autonomia e la differenza femminile. Dovevano cambiare le relazioni tra i sessi e gli uomini dovevano imparare a rispettare le donne nella sfera intima della sessualità. Le donne a loro volta, di ogni età ed estrazione sociale,  dovevano imparare il rispetto di se stesse, il rispetto della propria  femminilità, essere le costruttrici dei valori della dignità, del rispetto, della libertà e responsabilità. Dovevano imparare a non vergognarsi più della loro sessualità e a non vergognarsi più se si trovavano nella situazione dolorosa di dovere abortire. Mi è rimasto impresso nella mente un episodio di quegli anni quando io ero una giovane militante  : appena entrata in vigore la legge una donna di Pordenone più che quarantenne, malata e madre di undici figli,  bussò alla porta dell’ospedale per fare l’interruzione di gravidanza. L’ospedale le rispose che non era ancora attrezzato per realizzare l’intervento, che molti medici avevano dichiarato l’obiezione di coscienza, ma lei non  lasciò quell’ospedale finchè  non furono vinte le inammissibili quanto illegali resistenze al rispetto della legge che le garantiva l’assistenza.

Per capire il clima del tempo mi piace riportare ana riflessione di Paola Gaiotti De Biase, storica cattolica, appartenente all’allora Partito della Democrazia Cristiana.

“Vi è la necessità di un riflessione razionale e civile. Il nostro patrimonio di cattolici non possiamo tenerlo per noi ,isolarlo, ma  lo dobbiamo mettere a disposizione dell’intero paese perché la crescita di una cultura della sessualità si sviluppi in Italia, portando anche il nostro segno in chiave unitaria.” Purtroppo tale posizione non esprimeva il punto di vista prevalente della Chiesa e del suo partito ma conferma i fermenti nuovi che l’approvazione della legge aveva messo in movimento.

Furono i  medici  e gli  operatori sanitari che avevano speso molto impegno per far approvare la legge e  che erano  profondamente dalla parte delle donne a dedicarsi per la piena applicazione della legge medesima. A questa generazione di medici ginecologi, anestesisti, operatori sanitari dobbiamo  la gratitudine  per aver reso normale  l’applicazione della legge.  Fu loro il merito di aver avviato il funzionamento della legge , di essersi battuti perché negli ospedali si costruissero le strutture per accogliere le donne, che fecero informazione, che sostennero i gruppi di donne che si impegnavano per controllare l’applicazione di ogni parte della legge medesima e facevano volontariato nei consultori. Le Regioni si attivarono per adeguare i reparti, per la formazione degli operatori, per potenziare i consultori.

Fu importante in quegli anni la unità delle donne e la loro mobilitazione per incalzare le Regioni, per informare le donne, per sostenere i medici che si impegnavano nella applicazione delle nuove norme.

Purtroppo l’unità culturale nel paese fu ostacolata da forze ostili alla legge.

 Nacque il Movimento per la Vita animato in modo particolare dall’onorevole Carlo Casini . Raccolsero le firme per l’abrogazione della legge 194 attraverso un Referendum che si svolse il 17 marzo 1981.

Eravamo fiduciose di avere dalla nostra parte la stragrande maggioranza delle donne, anche le donne cattoliche e tanta parte degli uomini. Ci impegnammo a costituire I Comitati Unitari a difesa della legge 194, aprimmo un dialogo con tutti i movimenti femministi ,con le donne cattoliche, con le giovani .Facemmo un lavoro casa per casa per difendere il principio di libertà di scelta delle donne spiegando che non era egoismo  ma esercizio della  responsabilità ;  per valorizzare i consultori e parlare della contraccezione, della prevenzione dell’aborto ,della responsabilità degli uomini che dovevano cambiare il loro rapporto con le donne ,imparando a riconoscere loro dignità, rispetto ,pari opportunità; valorizzavamo la vita umana la maternità scelta e responsabile, la bellezza di avere dei figli, il dovere della società di essere accogliente nei confronti della maternità e dei figli.

Fu un dialogo bellissimo, un passa parola tra donne che si sentivano protagoniste e che volevano andare avanti nella conquista dei loro diritti e nella promozione della loro dignità. Donne di tutte le generazione che si guardavano negli occhi. Non c’era solo una legge da difendere ed applicare ma dei valori da affermare ed una società da cambiare per renderla più umana, a misura di donne e uomini.

L’80% delle italiane e degli italiani disse Si alla legge 194 “Tutela sociale della maternità, riconoscimento del diritto alla vita e interruzione volontaria della gravidanza”. L’esito del referendum placò le acque attorno al tema dell’aborto. Nessuno poteva più mettere in discussione che si trattava di una legge dello Stato che andava applicata. Tanto più che le Relazioni al Parlamento che secondo la norma di legge dovevano essere presentata ogni anno dal Ministero della Salute indicava dopo il picco raggiunto nel 1982 ,dovuto all’assorbimento dell’area dell’aborto clandestino, si assisteva di anno in anno ad un costante decremento del ricorso all’aborto, conferma che la legge funzionava e che non alimentava nessuna mentalità abortista e lassista, di relativismo etico nei confronti della vita umana. Al contrario, cresceva la cultura della responsabilità. Bisognava continuare ad investire sulla prevenzione, sul ruolo dei consultori, sulla educazione  sessuale nelle scuole, temi sui quali, passata la forte mobilitazione, i riflettori si erano un po’ spenti con il rischio  da parte dei decisori pubblici ed in particolare della politica di mettere questi temi in secondo piano.

Tuttavia il dibattito sull’aborto non venne mai meno, un dibattito che riguardava gli aspetti etici e che ruotava sempre attorno all’autodeterminazione della donna considerato un  principio egoistico che non valorizzava e salvaguardava in modo adeguato la vita umana .L’aborto era considerato come l’ uccisione della vita umana e dunque doveva essere massimamente limitato. La novità intervenuta negli anni novanta era che tali posizioni non riguardavano solo alcune parti del mondo cattolico e le gerarchie ecclesiastiche  ma anche esponenti , prevalentemente uomini,  del mondo laico.

 

Ho vissuto con durezza e dolore questo attacco alla 194 in prima persona quando ero Ministro della Salute  del Governo Prodi nel 2006-2008.

Mi portavo nella mia “cassetta degli attrezzi” la consapevolezza, peraltro autorevolmente indicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS) che la salute delle donne era parametro, indicatore della salute di tutta la popolazione.

Sapevo che dovevo usare la mi posizione di Ministra per mettere al centro come priorità della salute pubblica, la piena applicazione della 194/78, la prevenzione dell’aborto ,investire sui consultori, sostenere la salute materno infantile a partire dalla promozione del parto naturale, temo che nel corso degli anni erano scivolati agli ultimi posti dell’agenda politica. Promossi una Commissione “ Salute della  donna” per la elaborazione di un Piano intersettoriale di azione triennale  che assume la salute delle donne quale obiettivo strategico di tutte le politiche. Mi avvalsi di esperte di grande valore come Maura Cossutta medico, parlamentare per tanti anni, legata al movimento delle donne ed alle associazioni femminili che aveva la delega a seguire questi problemi, ma anche Monica Bettoni, medico, senatrice e Sottosegretaria  alla Salute in precedenti governi, Vaifra Palanca, esperta sui temi dell’immigrazione, Grazia Labate, esperta di politica sanitaria, già parlamentare e Sottosegretaria al Ministero della Salute. C’erano le bravissime  e bravissimi dirigenti del Ministero e dell’Istituto Superiore di Sanità. Ogni mattina poi discutevo con Cesare Fassari , capo ufficio stampa ma anche grande esperto della materia sanitaria,  con Renato Finocchi Ghersi, capo di Gabinetto, con  Marisa Infantone , segretaria particolare , che per primi condividevano  i drammi della giornata perché ogni giorno sul tavolo del Ministro  vi erano problemi o disgrazie da affrontare. Le polemiche sull’aborto o su qualcuno dei temi etici erano quotidiane.

L’8 marzo 2007  andammo a Napoli in una assemblea di operatori e donne dove presentai il Piano di Azione per la salute della donna ed in particolare per la tutela della salute materno infantile.

La mia prima legge da Ministra della salute  fu un Disegno di Legge per garantire la tutela dei diritti della partoriente e del neonato, favorire il parto naturale, ridurre il ricorso al parto cesareo, promuovere il parto senza dolore introducendo l’analgesia epidurale ,promuovere l’allattamento al seno, incrementare l’attività  dei consultori. Il provvedimento di legge fu approvato il 19 ottobre 2006, approdò  nella Commissione Affari Sociali della Camera dove tutti si dissero  d’accordo con il provvedimento ma…misteri della politica… in due anni  non fu  approvata. Introducemmo  per primi in Europa il vaccino gratuito per le ragazze dodicenni contro il cancro della cervice uterina. Promuovemmo una campagna di sensibilizzazione verso le donne immigrate per prevenire l’aborto, finanziammo una ricerca per fare il punto sulla situazione dei consultori. Avviai in grande silenzio,( per evitare il clamore delle polemiche ideologiche che paralizzano sempre tutto e non consentono di fare le cose concrete) la procedura per introdurre anche in Italia RU486 che infatti entrò nella farmacopea del nostro paese nel marzo 2008 quando non ero più Ministro. Aggiornammo  le linee guida sulla  legge 40 relativamente alla procreazione medicalmente assistita per introdurre la possibilità della diagnosi pre impianto.  In accordo con l’Istituto Superiore di Sanità e con l’aiuto di Monica Bettoni  e di Franca Franconi e con il sostegno di donne parlamentari di ogni schieramento politico, tra cui voglio ricordare la Senatrice Laura Bianconi,  avviammo la “ medicina di genere” promuovendo  ricerche sul diverso impatto che i farmaci hanno sulla salute di donne e uomini, sulle malattie che colpiscono in modo differenziato donne e uomini. Un approccio nuovo che tiene conto delle differenze di genere nella medicina, dell’impatto che i determinanti della salute hanno su donne e uomini , su come le malattie colpiscono donne e uomini e dunque sui diversi modi di prevenirle e curarle.

Avevo nella mente e nel cuore la difesa- senza se e senza ma-  della legge 194,  la sua  valorizzazione  e  piena applicazione.  Una legge saggia e lungimirante, efficace nella riduzione dell’aborto.  Su questo fui assolutamente determinata. Determinazione  necessaria perché la legge fu al centro di attacchi da parte del mondo cattolico e del mondo laico.

LE figure emergenti di questo attacco erano il Cardinal Ruini, Giuliano Ferrara, autorevoli parlamentari del Centro destra  ed anche del Centro Sinistra.

Mi sentivo impegnata in una  rigorosa  applicazione della legge sapendo guardare in avanti,  per cogliere i  problemi nuovi che emergevano e  le  opportunità inedite   offerte dalla ricerca scientifica, come l’inserimento nella farmacopea italiana dell’RU486, un metodo abortivo utilizzato in tutta Europa e che  dimostrava di essere efficace, sicura, meno invasiva per la donna.

Il 27 agosto 2007 successe un episodio che mi turbò profondamente, scosse il mio animo di donna che aveva sempre difeso la libertà di scelta delle donne. All’Ospedale  S.Paolo  di Milano vi fu un errore medico nel corso di un aborto terapeutico in una gravidanza gemellare che aveva portato alla eliminazione del feto sano. La riflessione si concentrò su un aspetto che era rimasto in ombra nel dibattito, l’aborto terapeutico. Se rifiutavo la tesi della natura eugenetica della legge tuttavia lo sviluppo delle tecniche che consentono di conoscere da subito in grande prevalenza le situazioni di malformazioni del feto sono certamente  un fatto positivo  ed era certamente  giusto che la donna valutasse se fosse in grado di gestire quella malformazione ,tuttavia il rischio di un abbassamento della soglia di accettazione del mistero della vita umana e di scelta sulla base della perfezione del figlio aveva un fondamento di verità.  L’articolo 6 prevede l’interruzione di gravidanza oltre  il novantesimo giorno quando le malformazioni del  feto comportino  gravi rischi per la salute fisica e psichica della donna.

L ’articolo 7 prevede che quando c’è vita autonoma del feto l’aborto possa essere consentito solo se è a rischio la vita della donna  e contempla il dovere di  mettere in atto ogni azione per salvare la vita autonoma del feto.

Quando inizia la vita autonoma del feto? Come salvare la vita del feto senza cadere in pratiche di accanimento terapeutico?

Erano domande nuove, domande doverose che  la politica non poteva eludere e che doveva affrontare  coinvolgendo la comunità scientifica ,ascoltando il suo parere e definire , se possibile, indirizzi comuni.

Un punto di forza della legge 194 è proprio quella di non porre essa stessa vincoli ma di affidarsi alla scienza e coscienza medica ,per definire, se possibile, indirizzi operativi comuni.

L’orientamento condiviso fino a quel momento era quello di considerare come data convenzionale  l’inizio di vita autonoma del feto a partire   dalla 24 settimana. Tale orientamento era condiviso e praticato da tutti gli operatori’. Era ancora valida o andava aggiornata a fronte del numero crescente di parti molto pretermine? Decisi di porre il quesito al Consiglio Superiore di Sanità, organo previsto dal nostro ordinamento composto da scienziati, medici, specialisti, allora presieduto dal Professor Franco Cuccurullo, che ha il compito di rispondere ai quesiti di ordine medico scientifico che il Ministro propone o che la comunità scientifica autonomamente decide di affrontare . Questa mia scelta suscitò molte perplessità tra persone del mondo laico.  Ricordo un articolo di Miriam Mafai che esplicitamente mi chiedeva perché volessi porre ulteriori vincoli alla scelta delle donne e del medico.  La mia scelta era proprio  motivata dalla volontà di realizzare una più  efficace tutela della salute della donna e del nascituro e consentire una scelta più libera anche perché più consapevole ed informata. Il mondo medico apprezzò  invece la mia proposta, la sostenne ed il Consiglio Superiore di Sanità dopo un ampia consultazione del mondo medico, delle professioni sanitarie e sociali  definì  un  PARERE e delle RACCOMANDAZIONI  su “ Individuazione di protocolli per le cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse”. Esse si rivelarono molto utili per aiutare i medici nelle loro scelte di cura e presa in carico dei  parti molto pretermine, per  garantire cure che non sfociassero nell’accanimento terapeutico, nell’informare e costruire le giuste  relazioni con i genitori. Confermarono la 24 settimana coma data convenzionale pe stabilire  l’inizio della vita autonoma del feto .

Continuavano però  furibondi gli attacchi contro la 194.Giuliano Ferrara aveva persino   proposto una moratoria sulla 194. Io non riuscivo a darmi pace del silenzio delle donne. Mi sentivo molto sola nel difendere la legge e nel difendermi nel Centro Sinistra.  Ne parlavo con la mie collaboratrici  nonché amiche,  donne che avevano condotto  battaglie per le donne nel femminismo, per conquistare la le legge 194  e che ora si impegnavano per difenderla.  Perché le donne,  le nostre amiche  e compagne di  anni di battaglie  ci lasciavano sole ? Come coinvolgerle? Pensavo ad una Consulta di associazioni femminili da costruire presso il Ministero con l’obiettivo di difendere ed applicare la 194 ma temevo di risultare invadente dell’autonomia dell’associazionismo femminile. Se tornassi indietro quella Consulta la costituirei visto che io ero stata “la Ministra  Apparecchia Tavoli”  perché mio normale ed abituale metodo di lavoro era quello di  coinvolgere e condividere  nella definizione delle  leggi  tutti gli attori   professionali , sociali e  del Volontariato.

Decidemmo con le Regioni una iniziativa che proponesse una azione complessiva per il miglioramento dell’applicazione della legge. Un Atto di Indirizzo Governo-Regioni che affrontasse tutti gli aspetti critici relativi all’applicazione della legge per migliorarla .Prevenzione dell’IVG con il potenziamento dei consultori con particolare attenzione ai giovani ed alle donne immigrate, formazione degli operatori; possibilità di prenotare tramite il consultorio l’intervento dell’IVG in ospedale e ritorno al consultorio per avviare una efficace  azione di contraccezione; rapporto consultori-scuole; garantire la presenza di un medico non obiettore in ogni distretto;

la rimozione delle cause sociali ed economiche che potrebbero indurre le donne all’aborto ed il sostegno alle maternità difficili anche garantendo un assistenza domiciliare nel periodo dopo il parto; l’appropriatezza e la qualità nel percorso della diagnosi prenatale ed in particolare nei casi di anomalie cromosomiche e malformazioni; la promozione dell’informazione sul diritto a partorire in anonimato  per evitare l’abbandono dei figli appena partoriti. Questo Atto d’Indirizzo elaborato con tanto lavoro ,ascolto, tavoli di discussione fu approvato da tutte le Regioni tranne la Lombardia di Formigoni. Perché un atto d’intesa Stato –Regioni abbia carattere vincolante e sia approvato ci vuole l’unanimità delle Regioni. Ancora una volta un calcolo elettorale, un meschino distinguo ideologico e politico si sovrapponeva sulla sostanza delle cose ed un atto che sarebbe potuto essere molto utile venne boicottato dall’esercizio della cattiva politica.

Un mattino del febbraio 2008 non ero ancora arrivata in ufficio che il telefono della Presidenza del Consiglio, la cosiddetta BATTERIA mi stava cercando con urgenza.

Da Napoli venivo informata  che al Policlinico Federico Secondo ,su segnalazione di un presunto  aborto illegale c’era stato un blitz della polizia nel reparto maternità. Invia subito gli ispettori per accertare l’accaduto  attraverso una rigorosa ispezione. Fu accertato che non si era verificato nessun intervento abortivo illegale e che pertanto l’irruzione della polizia fu un atto sbagliato e inopportuno.

Il fatto scosse nel profondo le coscienze e finalmente le donne uscirono dal silenzio.

Tantissime manifestazioni in tutte le città italiane.4000 donne in piazza a Roma. Molte vennero a manifestare davanti  al Ministero della Salute. Fui  felicissima di questo gesto. Scesi ad incontrare le donne e dissi loro “ costruiamo insieme un patto per difendere la  194 e per applicarla pienamente.

Lavoriamo insieme. Prepariamo per il prossimo 8 marzo una grande manifestazione nazionale a difesa della legge 194. Purtroppo nel mese di marzo del 2008 Berlusconi riusciva a comprare con la forza del denaro il consenso di senatori che eletti nelle liste dell’Ulivo passarono dall’altra parte e fecero  cadere il Governo Prodi. Il  governo che nell’ambito della Sanità aveva aumentato in modo consistente le risorse per il Livelli essenziali di assistenza, aggiornato i livelli essenziali di assistenza, stanziato miliardi per ammodernare gli ospedali, costruito le Case della Salute, investito nella salute delle donne, promosso le cure palliative e le terapie antidolore, aiutato i malati di Sla e le persone non autosufficienti.

Cara ragazze, Cari giovani,

scusatemi se mi sono dilungata ma ho voluto raccontarvi la storia di una legge importante, una legge che voi dovete conoscere  ed impegnarvi perché sia applicata a partire dalla prevenzione dell’aborto, affinchè   nessuno di voi debba fare questa esperienza dolorosa.

 Dovete battervi ed impegnarvi  per  non tornare indietro, per non tornare, senza dirlo e senza accorgersene, nel buio dell’aborto clandestino.

Dovete impegnarvi  perché  il tema dell’aborto sia affrontato nella  Scuola di   Specialistica  in  Ostetricia e Ginecologia,  perché  su questo tema ci sia la giusta informazione e formazione del personale,  perché  sia regolamentata l’obiezione di coscienza,  perché  siano potenziati e resi accessibili i consultori,  perché  dei temi della sessualità, delle relazioni uomo donna, dei sentimenti e della contraccezione si parli nelle scuole.

 Consentitemi  infine di dirvi  ciò che una madre direbbe ad un figlio ,ad una figlia.

Progettate di essere padri e madri, ricercate dentro di voi ed esprimete il vostro desiderio di un figlio,  fatelo subito prima che il tempo biologico trascorra troppo rapidamente e siate costretti alla rinuncia o alle tecniche  riproduttive. So che è molto difficile fare questi progetti quando il lavoro non arriva ,trovare una casa è un lusso, pensare il futuro quasi un gioco  di fantasia.

Per questo dovete pretendere dalla politica che si impegni finalmente a costruire una società accogliente nei confronti del figlio che nasce. Politiche concrete come gli  asili nido, l’assegno per il figlio, spazi nei quartieri delle città in cui i bambini possano giocare e stare insieme, politiche di condivisione  del lavoro di cura tra uomini e donne che  consentano alle mamme ed ai papà di prendersi cura del figlio mentre lavorano. E’ molto importante che i papà  imparino a prendersi cura dei figli. E’ molto importante il congedo di paternità che c’è nelle nostre leggi e che va potenziato.

Fa bene ai figli, fa bene ai padri, li rende uomini più maturi e con tanta ricchezza in più nel cuore perché scoprono sentimenti e dimensioni nuovi  della vita..

 Sarebbe bello riuscite voi a realizzare quello che  noi non siamo riuscite a fare :

CREARE UN IMMAGINE PUBBLICA DELLA MATERNITA’ CHE SIA BELLA PERCHE’VERA ,

sostituisca  quelle immagini che raccontano una mamma che non c’è : sempre bella, sempre felice, sempre in casa.

CREATE UN  IMMAGINE PUBBLICA DELLA MATERNITA’ CHE CONTENGA UNA SPERANZA raccogliendo le cose belle e nuove che la nostra generazione con tanta fatica ha costruito per le figlie ed i figli

 UNA IMMAGINE DELLA MATERNITA’  in cui donne e uomini crescono insieme i figli, in cui  le mamme  sono premiate e non punite  nel lavoro e nella carriera,   le mamme fanno politica, volontariato ,  pratica sociale   portandosi con se’ i figli e trovando tempi e spazi per i figli  nei luoghi pubblici, nei luoghi della polis, che smettono così di essere luoghi escludenti le donne perché  escludenti la maternità ed i figli.

CREATE UN IMMAGINE PUBBLICA CHE RAPPRESENTI LA “ POTENZA DELLA MATERNITA’.

LA POTENZA DELLA MATERNITA’ è mettere a disposizione  se stesse  per fare crescere e rendere autonoma  la creatura che si è portata nel proprio corpo.

Dopo aver protetto e custodito la vita del figlio la  madre opera per consegnarlo al mondo.

E’ quello che una grande psicanalista Silvia Vegetti  Finzi  vede mirabilmente ritratta nella scena  della madre “ china sul proprio bambino “ mentre lo aiuta a compiere i primi passi. ”Da una parte lo comprende dentro il suo corpo arcuato e lo sostiene  per le fragili braccia, dall’altro guida i suoi passi lontano da lei verso il mondo”

La madre insegna al figlio ad imparare i passi che lo  porteranno nel mondo e lo staccheranno definitivamente da lei.

Sarebbe bello che aveste il coraggio il giorno della Festa della mamma di tappezzare le città ed i paesi  di grandi dipinti di questa immagine della mamma china sul figlio  che gli insegna a muovere i passi verso il mondo .

Avremmo così  davanti agli occhi rappresentata la vere potenza umana della maternità.

Una potenza che dovremmo tutti imparare  perché è la potenza del dono, della gratuità, della presa in carico dell’altro.  E’ la consapevolezza che ciascuno di noi vive con l’altro ed in relazione all’altro.

C’è bisogno di immettere nella società il calore, l’energia ,di questa potenza umana del dono, farlo diventare patrimonio pubblico ed ingrediente della cittadinanza.

Per questo bisogna combattere tutte quelle tecniche che in nome del diritto ad avere un figlio stravolgono il senso della maternità.

Il figlio non è un diritto ma una scelta, un dono ,appartiene all’ordine delle possibilità umane  che bisogna saper accettare.

Non si fa un figlio per se stessi ma per amore del figlio che nasce il quale deve poter essere accolto e cresciuto con tutto l’amore possibile.

Amore che non è esclusivo della coppia uomo donna ma anche delle persone singole e di coppie  dello stesso sesso.

Ma resta la peculiare umanità del figlio nato dal corpo di donna.

Perché quel corpo non è un grembo fisico ma psichico ed umano, è la relazione che nel corpo si costruisce tra madre e figlio. Relazione che dura nel tempo.

In nome del figlio e della pluralità di amori e convivenze non si può distruggere la madre perché si distruggerebbe un caposaldo della nostra umanità.

La relazione madre figlio è il dono della maternità che può ,deve contagiare la società del nostro tempo per renderla più umana, per costruire famiglie allargate in cui ciascuno di noi si  senta padre  e madre  dei figli che si incontrano nella vita quotidiana e non solo di quelli che si generano.

Ma per costruire   questa società materna  bisogna essere consapevoli e valorizzare la potenza umana della maternità: la relazione con il figlio che si forma parla ed agisce fin dal grembo materno.

Per questo bisogna dire un NO grande a quelle forme di maternità come la maternità surrogata per cui si compra il figlio da una donna che lo concepisce e lo procrea per un’altra donna vedendo così’ ridotto il suo corpo a strumento ,a merce.

Non a caso questa pratica abominevole colpisce e coinvolge le donne dei paesi  più poveri del mondo. PER questo essa deve essere proibita ,non solo in Italia ma in tutti i paesi del mondo.

Una forma di barbarie  cui mi auguro voi giovani saprete opporvi usando con la “coscienza del limite” le tecniche che avrete a disposizione. Dove per” coscienza del limite” intendo dire salvaguardare e non mettere mai a repentaglio in nome del progresso l’umanità della relazione generativa e della relazione di cura madre e figlio.

Livia Turco

Tratta dal libro “Per non tornare al buio. Dialoghi sull’aborto” di Livia Turco e Chiara Micali

Casa, cultura e lavoro per l’integrazione

22 Ottobre, 2017 (09:59) | Documenti | Da: Redazione

Relazione di Livia Turco al Convegno Sidief,  Banca d’Italia , 18 ottobre 2017

Il tema di questo convegno è molto importante perché affronta una questione  cruciale per ogni persona, italiana o immigrata , e per la nostra comunità : l’accesso alla casa.

 E’ altrettanto meritevole di sottolineatura il fatto che il convegno e le ricerche preparatorie si siano soffermate su quegli immigrarti di cui non parla nessuno che sono i cinque milioni di persone regolarmente presenti sul nostro territorio, che lavorano, studiano, pagano le tasse, versano i contributi Inps, aiutano il nostro welfare. Quegli immigrati che come dicono tutti i dati, a partire dalle tasse versate e dai contributi pagati, dai lavori svolti,  considerando anche il  loro attaccamento e culturale e sentimentale con  nostro paese, sono una ricchezza e ci aiutano a vivere meglio.

La vostra ricerca ci dice che la casa è un fattore di grande precarietà per le persone immigrate a fronte di un loro desiderio e di una loro propensione ed impegno ad essere inseriti pienamente nella nostra  società rispettando i suoi valori e le sue regole.

AFFITTO TROPPO COSTOSO

SOVRAFFOLLAMENTO

PRECARIETA’ ALLOGGIO

QUALITA’ DELL’ALLOGGIO

CONCENTRAZIONE IN DETERMINATI QUARTIERI INDOTTI DA FATTORI ESTERNI E NON PER SCELTA

DISCRIMINAZIONI

MANCANZA DI UNA POLITICA PUBBLICA RELATIVA ALL’EDILIZIA SOCIALE SIA PER ITALIANI CHE PER IMMIGRATI.

LA STRETTA CHE E’ INTERVENUTA NELLA CONCESSIONE DEI MUTUI.

Va ricordato che per quanto riguarda gli alloggi  di edilizia residenziale pubblica messa a disposizione dai Comuni , mentre la partecipazione ai bandi da parte degli immigrati è pari al 50% degli italiani  la quota si riduce nel momento dell’assegnazione dell’alloggio .Gli alloggi assegnati agli immigrati sono in percentuale più bassa rispetto al numero di immigrati residenti in quel quartiere. Ciò è dovuto al fatto che il punteggio che sta alla base delle graduatorie tiene maggiormente conto dei profili delle famiglie italiane.

COSA PREVEDE LA NOSTRA LEGISLAZIONE

La legge 40/98- Turco Napolitano  al Capo terzo, articolo 40 prevede disposizioni in materia di alloggio ed assistenza sociale. Punta in particolare sulla costituzione dei Centri di Accoglienza per organizzare la prima accoglienza; prevede  l’accesso alla edilizia popolare e sociale prevista dalle Regioni e dai Comuni. Prevedeva inoltre la concessione di contributi da parte delle Regioni  ai Comuni o ad enti morali  privati e pubblici che intendevano ristrutturare  alloggi da destinare all’affitto  per  persone immigrate regolarmente soggiornanti. Tale articolo fu poi abrogato dalla Bossi Fini. All’articolo 43 comma 2 lettera c  la legge 40/98  (diventata poi Dgl 286) considera discriminatorio il comportamento di chi illegittimamente impone condizioni più svantaggiate o si rifiuta di fornire accesso all’alloggio allo straniero regolarmente soggiornante ,in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione , etnia, nazionalità. Contro questi tipi di atti di discriminazione è prevista una specifica tutela giurisdizionale: l’azione civile contro la discriminazione ex articolo 44 del Testo Unico sull’ immigrazione (Dgl286/98).

La legge 189/2002 , Bossi-Fini subordina l’accesso alle misure di integrazione sociale al possesso del permesso di soggiorno di durata biennale con regolare contratto di lavoro. E’ questo il requisito per poter accedere agli alloggi di edilizia pubblica. Sono escluse le persone iscritte all’ufficio di collocamento. La legge prevede altresì che il datore di lavoro che stipula un contratto di lavoro debba farsi carico di trovare un alloggio al  lavoratore immigrato il cui costo verrà decurtato mensilmente dallo stipendio del lavoratore medesimo.

Il recente  PIANO PER L’INTEGRAZIONE E LA CONVIVENZA  DEI RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO  proposto dal Ministro Minniti  contiene anche qualche disposizione sulla casa.

Le cito “ Includere i rifugiati e richiedenti asilo verificando anche la possibilità’ di includerli negli interventi di edilizia popolare e di sostegno alla locazione. Incentivare fin dalla fase dell’accoglienza l’avvio di percorsi volti a favorire iniziative di caobitazione,  affitti condivisi, condomini solidali come pure la sperimentazione di pratiche di buon vicinato. Prevedere programmi di intervento sociale per rispondere alla complessità relativa agli insediamenti informali nei centri urbani stabilendo procedure di accompagnamento alla fuoriuscita anche attraverso la ricognizione di edifici pubblici in disuso da destinare all’abitare sociale”.

Si tratta di un importante passo in avanti.

Ma, il Piano nazionale per le politiche di integrazione dovrebbe essere prassi normale e riguardare tutte le persone immigrate, tanto più quelle stabili, con lavoro, per studio, con famiglia. Come avviene in molti paese europei.

L’articolo 3 della legge 40/98 lo prevede in modo chiaro: Governo e Parlamento con i Comuni e le parti sociali devono elaborare  un programma triennale sulle politiche migratorie che valuti il fabbisogno di immigrati da parte della nostra economia , la sostenibilità sociale dell’immigrazione, le politiche di integrazione necessarie per dare coesione, serenità e sicurezza al nostro Paese.

Questo articolo, tutt’ora in vigore  è stato applicato solo nel 1998 .con un relativo Fondo nazionale per le politiche di integrazione . Poi l’articolo 3 pur in vigore è caduto nel dimenticatoio. Il fondo Nazionale cancellato. A  conferma che le politiche di integrazione non sono mai state considerate dai governi che si sono succeduti una componente importante del governo dell’immigrazione. Che ha sempre avuto una impostazione emergenziale, tanto più grave ed incomprensibile a fronte del carattere strutturale della presenza degli immigrati. Affidando le politiche di integrazione ai Comuni, alle associazioni, alla società civile ed al mondo economico.

PROPOSTA: COSTRUIRE  UN  WELFARE DELLA  SICUREZZA e DELLA CONVIVENZA  che coinvolga italiani ed immigrati.

Un welfare  che vada incontro alle persone attivando percorsi differenziati per intercettare e coinvolgere i gruppi più vulnerali che solitamente sono i più bisognosi ma anche quelli che restano esclusi dalle politiche pubbliche di sicurezza sociale. Praticare ” l’universalismo selettivo “ che non è un ossimoro ma una pratica reale dell’universalismo. Attivare percorsi  differenziati tenendo conto delle peculiarità dei bisogni delle persone.  Vanno evitate” politiche specifiche”  verso gli immigrati perché  esse alimentano la contrapposizione tra soggetti deboli ed immigrati. Bisogna attivare politiche mirate per superare le discriminazioni e favorire l’integrazione di tutti i gruppi sociali, compresi gli immigrati.

La nostra legislazione prevede parità di diritti tra italiani ed immigrati per quanto attiene l’educazione, l’accesso alle cure, l’accesso ai servizi sociali. Non  dà adeguata attenzione  al problema della casa.

Anzi vi è  il paradosso che per accedere alla casa devi essere in condizioni di regolarità quando questa regolarità è resa difficile proprio dalla carenza delle politiche pubbliche.

Bisogna puntare  come voi indicate  su nuove politiche sociali per la casa: favorire gli affitti; favorire l’accesso ai mutui; ridurre il costo degli affitti; ridurre la burocrazia per contrarre un mutuo.

L’esperienza delle politiche di integrazione e convivenza realizzate nel nostro paese ed in Europa suggeriscono  che bisogna evitare la concentrazione della popolazione migrante in determinati quartieri o caseggiati; bisogna promuovere l’accoglienza e la residenza diffusa; questo favorisce la mescolanza tra italiani ed immigrati, favorisce il dialogo e l’interazione nella vita quotidiana.

Bisogna puntare su un modello di CONVIVENZA  MITE   basato sul superamento delle discriminazioni, sull’inclusione sociale e culturale attiva, che punti al   superamento delle distanze tra italiani ed immigrati,  favorisca la fatica del conoscersi e riconoscersi, la condivisone di azioni quotidiane nel proprio quartiere o contesto di vita, la ricerca di obiettivi comuni e condivisi per quanto riguarda la vita nella propria comunità , dal quartiere alla nazione,  solleciti a costruire alleanze per vivere meglio nella propria comunità. Bisogna far sentire la persona immigrata, parte della comunità, soggetto della Polis con diritti e doveri.

Per questo la riforma della nostra legge sulla cittadinanza, la 91/92 , tutta  incentrata sullo ius sanguinis e lo ius connubi, grazie alla  quale la cittadinanza si acquisisce  solo per discendenza  o attraverso il matrimonio , va temperata con l’introduzione dello ius soli e lo ius culturae  per i giovani.

Per questo vanno promosse tutte le forme possibili di partecipazione attiva in particolare dei giovani, dallo sport, al servizio civile, alla promozione culturale e vanno estesi, con particolare attenzione alle donne , i corsi di lingua e cultura italiana.

L’accesso alla casa  può favorire,  anzi e’ determinante per favorire questa pacifica  convivenza.

Le politiche sociali in Italia. La loro storia, il loro futuro

24 Marzo, 2014 (12:36) | Documenti | Da: Redazione

La relazione di Livia Turco sulle politiche sociali svolta venerdi 21 marzo alla scuola dei giovani amministratori dell’Anci

La storia delle politiche sociali è recente.
Esse sono state inventate dalle persone, dalle famiglie,dai gruppi sociali che in prima persona vivono il disagio e la sofferenza; dai gruppi di volontariato, associazioni ed operatori che si sono  dedicati  a queste persone e famiglie per risolvere  i  problemi, alleviare le sofferenze, promuovere una presa in carico.

Le politiche sociali sono il frutto di una “creatività sociale”, nascono dalle persone e dai territori, nascono come risposta ad un problema, si avvalgono di un pensiero che è frutto della rielaborazione condivisa  delle esperienze di vita vissute.
Sono politiche “calde”, “creative” che richiedono un forte coinvolgimento personale.

Sul piano della politica esse possono essere definite politiche delle donne perché hanno trovato nelle donne le  interlocutrici più attente e che più si sono lasciate coinvolgere.
Questo non è avvenuto casualmente ma perché le politiche sociali richiedono una concezione e pratica della politica che mette al centro le persone, le relazioni con le persone e dunque la capacità di ascolto e condivisione che è propria della storia di genere femminile. Tale concezione e pratica della politica è oggi essenziale per ridare ad essa autorevolezza,credibilità,e renderla efficace.

Le politiche sociali sono state sempre considerate politiche minori. In realtà sono politiche eccellenti e di primordine perché la materia che trattano sono le persone e la loro finalità sono le persone medesime.

Leggi il testo integrale della relazione.