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Month: Maggio, 2011

Migranti. Dopo la sentenza della Corte Europea

2 Maggio, 2011 (14:48) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

Riportiamo l’articolo di Livia Turco apparso su L’Unità del 29 aprile dopo la bocciatura della Corte di Giustizia Europea delle norme sull’immigrazione clandestina

La Corte di giustizia europea boccia senza appello la norma contenuta nella legge 94 del 2009 “disposizione in materia di sicurezza pubblica” (la Berlusconi-Maroni) contenente il reato di immigrazione clandestina ed impone al governo italiano di disapplicare la disposizione che prevede una pena con la reclusione da 1 a 4 anni il “cittadino di un paese terzo in soggiorno irregolare che non si sia conformato a un ordine di lasciare il territorio nazionale”.

Ciò in quanto difforme dalla direttiva europea del 16 dicembre 2008 relativa al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare che non a caso il governo italiano non ha mai recepito nel suo ordinamento ma che è comunque vincolante per lo stato membro dell’Unione europea. E’ interessante la motivazione con cui la Corte di giustizia europea impone all’Italia di rivedere la sua normativa “la reclusione può compromettere la realizzazione dell’obiettivo della direttiva Ue di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti umani fondamentali”.

Dunque, non c’entra il buonismo ma l’efficacia della politica di regolazione dei flussi migratori. La detenzione e il carcere non sono uno strumento efficace per combattere l’immigrazione clandestina, è solo uno strumento disumano e molto costoso. Il ministro Maroni ha reagito a questa sentenza imprecando ancora una volta contro l’Unione europea che porrebbe solo ostacoli anziché risolvere i problemi. Gesto patetico da parte di un ministro se non fosse che rivela la profonda distanza di questo governo dall’assetto costituzionale europeo, tanto più rilevante e cogente dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona che accresce il potere e le funzioni del parlamento e delle istituzioni europee. Il governo non può non sapere che una direttiva europea anche se non piace deve essere applicata, cito l’articolo 249 del trattato di Lisbona: “la direttiva vincola lo stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati”.

Il governo di centrodestra non ha partecipato alla costruzione di una politica europea sull’immigrazione ma ha soltanto preteso aiuto quando si è trovata in difficoltà. Tale atteggiamento gli ha tolto ogni credibilità come si è visto nella recente vicenda degli immigrati tunisini. Nel 2009 il governo Berlusconi varava le norme sulla sicurezza ed il contrasto dell’immigrazione clandestina introducendo il reato di immigrazione clandestina e l’aggravante di clandestinità ben sapendo che la direttiva europea in materia, pur molto severa, proponeva un diverso modo di contrastare l’immigrazione clandestina facendo leva sul rimpatrio volontario e prevedendo garanzie per i richiedenti asilo, per la tutela dei minori e per il rispetto dei diritti umani fondamentali. Il governo ha preferito ignorarla, non recepirla nel nostro ordinamento anche se i suoi termini scadevano nel 2010 e ne ha utilizzato solo la norma più drastica ma anche più costosa ed inutile come il trattenimento nei centri di identificazione fino ai 18 mesi.

Norma inutile perché solo la collaborazione con i paesi da cui provengono le persone clandestine possono consentire di identificarle, di espellerle e di riammetterle nel loro territorio. Questa sentenza costituisce un ulteriore colpo alla politica ed alla normativa del centrodestra in materia di immigrazione. Si aggiunge a quelli già inferti dalle sentenze della Corte costituzionale sulle ronde e sull’aggravante di clandestinità. Vale la pena di ricordare proprio una sentenza della Corte costituzionale ( la 22 del 2007) che sottolinea come “il controllo dei flussi migratori e la disciplina dell’ingresso e della permanenza degli stranieri nel territorio nazionale costituiscono un grave problema sociale, umanitario ed economico che tuttavia implica valutazione di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali di ordine e di sicurezza pubblica né sovrapponibili o assimilabili a problematiche diverse, legate alla pericolosità di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti che nulla hanno a che fare con il fenomeno dell’immigrazione”. Sono stati i fatti a decretare il fallimento di una norma irragionevole come il reato di immigrazione clandestina!

L’ultimo è stato l’ingresso dei 20.000 tunisini di fronte ai quali se il governo avesse applicato la sua norma avrebbe dovuto infliggere a ciascuno una multa dei 5 ai 10 mila euro, avrebbe dovuto processarli ed espellerli subito. Sarebbe stato travolto in modo ancora più grave e grottesco di quanto è successo dal suo fallimento con esiti imprevedibili. Questa ultima sentenza conferma l’opinione dimostrata ampiamente dai fatti che l’immigrazione non si governa con il furore ideologico né con le norme penali ma solo attraverso regole razionali ed umane e con la cooperazione con i paesi da cui provengono i flussi migratori.

Livia Turco

Biotestamento. Turco (Pd): “Legge tutta da riscrivere”

2 Maggio, 2011 (11:25) | Interviste | Da: Livia Turco

“Chiediamo un testo nuovo, ispirato al ‘diritto mite’. Perché lo Stato non deve intromettersi nel fine vita”. Così l’ex ministro della Salute, intervistata da www.quotidianosanita.it,  che assicura che sarà questa la posizione che il Partito Democratico porterà in Aula alla ripresa del dibattito sul biotestamento all’indomani delle amministrative di metà maggio. E sulle divisioni interne al partito: “Non esiste alcuna spaccatura nel Pd. Esiste pluralità di opinioni e libertà di coscienza”.
 
Onorevole Turco, cosa ne pensa dell’accelerazione imposta alla discussione del ddl sul biotestamento, per la quale si è speso anche Berlusconi con una lettera inviata ai singoli parlamentari del Pdl invitandoli a sostenere la legge?
L’aspetto smaccatamente elettoralista l’ha evidenziato il centrodestra stesso. Abbiamo assistito a una vera beffa, dove da una parte si è insistito per discutere il ddl e dall’altra se ne è chiesto l’immediato blocco per rinviare il testo alla commissione Bilancio. La verità è che l’orologio che anima questa legge è quello della convenienza politica. Non credo sia un caso se l’avvio dell’esame è stato calendarizzato in coincidenza con l’appuntamento elettorale per le amministrative di metà maggio. Come fu fatto con la RU486 nella precedente tornata elettorale per le regionali, la Maggioranza sta cercando di strumentalizzare il testamento biologico per raccogliere voti.

Secondo lei, dunque, la Maggioranza non ha una reale volontà di arrivare a una legge?
L’intento è quello di avere un’arma in più da giocarsi nella campagna elettorale. Sia in queste settimane precedenti il voto del 15 e 16 maggio, che dopo, quando il dibattito parlamentare coinciderà con i ballottaggi. La Maggioranza ha bisogno evidentemente di uno scalpo elettorale da giocare, soprattutto a Milano, ma anche in altre realtà.

Qual è il punto del ddl che ha richiesto il parere della commissione Bilancio?
Come sempre il centrodestra parla con grande facilità delle politiche di sostegno alle persone, ma quando si tratta di passare dalle parole ai fatti, scopre il suo vero volto. Nello specifico, l’articolo 5 del ddl sul testamento biologico prevede il miglioramento dell’assistenza alle persone in stato vegetativo. Si tratta di un nostro emendamento, che la Maggioranza non poteva rifiutare, ma è evidente che questo ha un costo e non può avvenire, come la Maggioranza pretende, “senza maggiori oneri per lo Stato”.

Quali sono gli aspetti del ddl più critici?
È l’impianto stesso della legge a non essere condivisibile, perché nega le volontà del paziente affermando che le Dat hanno un puro valore orientativo sia per il medico che per i familiari e il fiduciario. Negando la volontà del paziente si nega anche la relazione di fiducia tra medico e paziente mentre, come è scritto nel Codice deontologico dei medici e come dalla comunità medica è stato più volte ribadito, l’alleanza terapeutica alla base del testamento biologico si fonda essenzialmente sulla capacità di ascolto e sulla relazione con il paziente.
Nel ddl, inoltre, da una parte si esalta la funzione dei medici ma dall’altra si tira in ballo il codice penale perché si teme che i medici compiano atti di eutanasia. È insito un profondo sospetto nei confronti dei medici, ignorando che tutta la deontologia medica è orientata a promuovere la salute e non certo a danneggiarla.
Non condividiamo, poi, la decisione di escludere dalle Dat sempre e comunque la nutrizione e l’alimentazione artificiale, salvo non risultino più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo. Secondo noi anche questi due elementi devono costituire materia di Dichiarazione anticipata di trattamento.

Sarà una battaglia che condurrete emendamento dopo emendamento?
Abbiamo presentato un pacchetto di emendamenti che configura una proposta alternativa, a partire dalla richiesta di sopprimere l’intera legge per arrivare a un solo articolo che indichi i principi e i valori su cui impostare una legge in materia.
Chiediamo un testo nuovo, ispirato al cosiddetto “diritto mite”, cioè a una legislazione che non sia intrusiva ma di indirizzo e non ponga divieti ed ostacoli. Perché lo Stato non deve intromettersi nel fine vita e nella vita privata delle persone. Tanto meno decidere.

Una legge mite non rischia di creare un’incertezza che potrebbe inasprire il rapporto tra medico e paziente e quindi portare la risoluzione dei singoli casi in tribunale?
Esattamente il contrario. Una legge mite è una legge che proprio perché non si intromette nella vita delle persone e non dice al medico cosa deve o non deve fare, apre un importante spazio alla relazione di fiducia medico-pazienti-familiari. È in quello spazio che si troverà soluzione, caso per caso. Perché quel che deve accadermi non lo deve decidere una legge. Né un giudice. Ma sarà deciso sulla base delle mie volontà e dell’alleanza tra i soggetti coinvolti. Partendo da un presupposto: la volontà del paziente non può essere solo tenuta in conto, come dice il ddl del centrodestra. Le volontà del paziente devono essere impegnative per il medico, per i familiari, per il fiduciario. Ma questo non vuol dire neanche che devono essere rigidamente vincolanti per il medico. Nessuno intende estromettere la scienza e la coscienza del medico. Una volontà “impegnativa” si realizza nella relazione di fiducia tra tutte le parti.

Nella scorsa seduta dell’Aula abbiamo assistito a una spaccatura all’interno del Pd, con alcuni esponenti che non hanno votato le pregiudiziali di costituzionalità. Crede che alla fine il Pd riuscirà a trovare una posizione compatta per il voto sul ddl?
Non esiste alcuna spaccatura nel Pd. Esiste pluralità di opinioni e libertà di coscienza. All’interno di questa libertà c’è, però, una posizione prevalente elaborata nel corso di un lungo periodo e di un profondo confronto.
Il testamento biologico è stato oggetto di grande discussione e cura da parte del Partito Democratico, dove è si praticata quell’idea di confronto, di mediazione e di reciproco ascolto che ha portato alla costruzione di una posizione più avanzata. Parlare di “diritto mite”, di “relazione di fiducia tra medico e paziente”, usare il termine “impegnativo”, testimonia la volontà di compiere un passo avanti rispetto a impostazioni radicate in una certa tradizione della sinistra e da un lato e del cattolicesimo dall’altro. È una posizione innovativa sostenuta da una maggioranza nettamente prevalente nel Partito.
Il Pd, poi, non è un partito in cui il leader impone posizioni e scrive lettere alla vigilia delle elezioni, per cui continuerà ad esserci la libera espressione da parte di tutti anche se è evidente che le posizioni non si esprimono solo a parole, ma anche con il voto. Credo, tuttavia, che alla fine il Pd troverà una posizione prevalente anche nel voto.

L.C.