Il Blog di Livia Turco

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Month: Maggio, 2018

Il rispetto dello Stato di diritto nell’Unione Europea

30 Maggio, 2018 (12:26) | Articoli pubblicati | Da: admin

L’Unione europea si fonda sul rispetto di alcuni valori fondamentali, quali la democrazia, lo Stato di diritto e i diritti umani. In particolare, lo Stato di diritto implica il rispetto della separazione dei poteri e di conseguenza l’indipendenza della magistratura rispetto al potere esecutivo praticata in tutte le democrazie occidentali. Gli Stati membri dell’Unione si sono impegnati a rispettare e a promuovere tali valori fondamentali, che rappresentano anche una condicio sine qua non per l’adesione di nuovi Stati all’Unione europea. L’Unione europea non sarebbe credibile nell’esigere il rispetto di tali valori da parte di paesi candidati all’adesione, quali ad esempio la Turchia, se non fosse altrettanto esigente nel verificarne il rispetto da parte dei propri Stati membri. Peraltro, il rispetto dello Stato di diritto da parte degli Stati membri dell’Unione è vitale per il progresso dell’integrazione europea. Lo spazio giudiziario interconnesso dell’Unione europea è fondato infatti sul principio della fiducia reciproca e sul riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie, principio che sarebbe difficilmente salvaguardato se uno Stato membro non fosse più governato nel rispetto dello Stato di diritto. Nel suo discorso sullo stato dell’Unione il 13 Settembre scorso, il Presidente Juncker aveva ricordato che il mancato rispetto di una sentenza della Corte europea di Giustizia oppure la messa in causa dell’indipendenza della magistratura nazionale equivale a privare i cittadini dei loro diritti fondamentali. Lo Stato di diritto – aggiungeva Juncker – non è un’opzione ma un obbligo in seno all’Unione europea. Questa dichiarazione del Presidente della Commissione europea faceva seguito all’annuncio, da parte del governo ungherese, di non voler rispettare la sentenza della Corte europea di Giustizia sulla ripartizione dei rifugiati nonché al voto di una legge da parte del Parlamento polacco che avrebbe permesso la revoca ed il pensionamento d’ufficio dei giudici della Corte suprema polacca. I Trattati europei hanno previsto il caso in cui uno Stato membro dell’Unione violi i valori fondamentali dell’Unione europea. Se questo avvenisse, il Consiglio europeo deliberando all’unanimità (senza il voto dello Stato oggetto della procedura) potrebbe costatare - sulla base di una proposta della Commissione o di un terzo degli Stati membri - l’esistenza di una violazione grave e persistente dei valori fondamentali e decidere di sospendere alcuni diritti dello Stato in questione, fra i quali il diritto di voto in seno al Consiglio. Appare evidente come tale procedura sia di difficile applicazione, poiché nel caso in cui una violazione dei valori fondamentali fosse commessa da due Stati membri, il veto di un solo Stato membro sarebbe sufficiente per impedire l’applicazione di una sanzione nei confronti dell’altro Stato. Il progetto di Trattato Spinelli del 1984 aveva attribuito alla Corte europea di Giustizia la competenza di certificare la violazione dello Stato di diritto, proprio per evitare un giudizio politico unanime del Consiglio europeo. Anche per la difficoltà di applicare tale procedura, la Commissione europea ha lungamente esitato prima di avviare la procedura sanzionatoria prevista dal Trattato nei riguardi degli Stati che, come la Polonia e l’Ungheria, hanno adottato leggi che mettono in causa l’indipendenza della magistratura nei riguardi del potere esecutivo oppure la libertà di stampa. Quando tuttavia il governo ed il Parlamento polacco hanno avviato nel 2015 un processo di controllo o di eliminazione progressiva di ogni fonte potenziale di opposizione, violando la stessa Costituzione polacca, la Commissione europea ha indirizzato tre avvertimenti successivi, sotto forma di raccomandazioni, al governo polacco. In questi atti formali, la Commissione europea aveva chiesto inizialmente l’esecuzione integrale da parte delle autorità polacche delle decisioni del tribunale costituzionale polacco che il governo aveva rifiutato di pubblicare. Successivamente, la Commissione aveva chiesto alle autorità polacche di non nominare il nuovo Presidente del tribunale costituzionale secondo una procedura non prevista dalla Costituzione. In assenza di una qualunque risposta da parte del governo polacco, la Commissione, invece di avviare la procedura sanzionatoria prevista dal Trattato, ha indirizzato alla Polonia una terza raccomandazione in cui criticava l’adozione di nuove leggi che permettevano al governo di dimettere tutti i giudici della Corte suprema e di controllare l’intero sistema di nomina dei giudici. Secondo la Commissione, l’entrata in vigore delle nuove leggi avrebbe compromesso l’indipendenza della magistratura in Polonia. Il governo polacco non solo si è ben guardato dal dare seguito alle richieste della Commissione ma ha anche messo in dubbio la competenza della Commissione per controllare il rispetto dello Stato di diritto in uno Stato membro. In un comunicato pubblico, il governo polacco ha affermato che la Commissione avrebbe disatteso i principi di obiettività, di rispetto della sovranità e dell’identità nazionale e avrebbe commesso un’ingerenza negli affari interni della Polonia. Tuttavia il governo polacco si è ben guardato dall’adire la Corte europea di Giustizia per far valere l’incompetenza della Commissione europea. Tale ricorso sarebbe stato probabilmente giudicato infondato poiché, se la Commissione dispone della competenza di avviare la procedura prevista dal Trattato (art. 7 TUE) per sanzionare la violazione dei valori fondamentali dell’Unione, in che modo essa potrebbe motivare l’avvio della procedura se non avesse il potere di sorvegliare il rispetto degli stessi valori da parte di uno Stato membro ? Senza addentrarci in un’analisi giuridica, il rispetto dello Stato di diritto è una necessità funzionale, a vari titoli, dell’Unione europea. Da un lato, tale rispetto influisce sulla legittimità del processo decisionale dell’Unione dato il ruolo che spetta agli Stati membri in seno al Consiglio europeo ed al Consiglio dell’Unione. Dall’altro, lo spazio giuridico europeo è uno spazio transnazionale, dove gli atti pubblici di uno Stato membro sono suscettibili di produrre degli effetti giuridici in altri Stati membri (per esempio, decisioni dei tribunali nazionali di ricorrere alla Corte europea di Giustizia, mandato di arresto europeo, ecc…). Come già ricordato, la fiducia reciproca tra gli Stati membri sarebbe compromessa se gli standards democratici non fossero più rispettati in uno Stato membro. La Corte europea di Giustizia deve poter contare sull’indipendenza dei tribunali nazionali nel quadro della procedura di ricorso pregiudiziale prevista dai Trattati. Se analizziamo il problema dal punto di vista politico, dobbiamo riconoscere che gli Stati dell’Est europeo dispongono di un sistema democratico debole, sia perché hanno avuto prevalentemente nella loro storia regimi autoritari – quelli che lo storico ungherese Jeno Szucs riassumeva nella sua opera “Le tre Europe” sotto la definizione di “dispotismo orientale” - sia perché la loro democrazia recente è condizionata dal problema della sicurezza (verso la Russia) e dalla questione migratoria (vista come difesa della loro identità culturale e religiosa). Pertanto, in mancanza di una reale sicurezza garantita da un governo federale europeo, questi Stati pensano di risolvere il problema con l’accentramento del potere nazionale e la limitazione delle libertà fondamentali (come fecero molti Stati europei negli anni ‘20/’30 del secolo scorso). Questo spiega anche perché la Polonia e l’Ungheria fanno riferimento alla nozione di “identità nazionale” - garantita dall’art. 4 del Trattato di Lisbona – per opporsi a quella che essi considerano come un’ingerenza della Commissione europea nella valutazione delle loro riforme del sistema costituzionale.

Questa concezione della democrazia nazionale è stata contestata dal Presidente Macron nel suo recente discorso di Strasburgo al Parlamento europeo quando ha opposto l’autorità della democrazia alla democrazia autoritaria. Macron aveva già contestato l’inazione dell’Unione europea quando aveva affermato il 27 Aprile 2017 che non era possibile avere un’Europa “che discuta sui decimali dei bilanci di ogni paese dell’Unione e che decida di non fare nulla quando uno Stato membro si comporti come la Polonia o l’Ungheria su temi relativi ai rifugiati o ai valori fondamentali” della stessa Unione europea. Questa critica diretta del comportamento dei governi polacco e ungherese ha certamente incoraggiato la Commissione europea ad avviare la procedura sanzionatoria del Trattato nei confronti della Polonia per violazione dei valori fondamentali dell’Unione (come anche il Presidente Juncker ad annunciare nel suo discorso del Settembre scorso sullo stato dell’Unione che la Commissione prenderà un’iniziativa prima della fine del 2018 per assicurare il rispetto dello Stato di diritto in seno all’Unione). Un’iniziativa legislativa generale da parte della Commissione europea dovrebbe eliminare il sospetto che le Istituzioni europee concentrino la loro critica sul governo polacco poiché il partito al potere in Polonia è membro del gruppo dei conservatori in seno al Parlamento europeo (che sarà decimato alle prossime elezioni europee in seguito all’uscita dal PE dei conservatori britannici) mentre il partito al governo in Ungheria è membro del partito popolare europeo e contribuisce a rafforzare la maggioranza relativa di cui dispone il PPE. Allo stesso modo, la Commissione europea ha dimostrato la sua volontà di operare a favore del rispetto dei valori fondamentali dell’Unione da parte di tutti gli Stati membri quando ha proposto formalmente il 2 Maggio scorso di introdurre un meccanismo che permetta di proteggere il bilancio dell’Unione europea nel caso di violazioni generalizzate dello Stato di diritto in uno o più Stati membri. Tale meccanismo, se venisse approvato dal Consiglio al momento dell’adozione del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2020-2027, permetterebbe alla Commissione europea di sospendere o addirittura di annullare i pagamenti previsti dai Fondi europei agli Stati membri che non applicassero la regola dello Stato di diritto (salvo decisione contraria del Consiglio presa a maggioranza qualificata). Questa concezione alquanto mercantile dello Stato di diritto (è come se l’Unione dicesse ai suoi Stati membri : “dovete rispettare lo Stato di diritto ma nel caso doveste violarlo è sufficiente il pagamento di una sanzione pecuniaria”) permetterà comunque di aggirare la regola dell’unanimità necessaria per sanzionare la Polonia o l’Ungheria e penalizzerà finanziariamente gli Stati che vogliono continuare a violare i valori fondamentali dell’Unione. L’avvio parallelo da parte della Commissione europea della procedura sanzionatoria dell’art. 7 del Trattato di Lisbona ha già prodotto degli effetti indiretti che confermano l’interconnessione dei sistemi giuridici degli Stati membri e la necessità funzionale del ripristino dello Stato di diritto in tutti i paesi dell’Unione : 1) La decisione del Consiglio sul mandato d’arresto europeo prevede già che, nel caso di attivazione dell’art. 7 del Trattato, uno Stato membro possa rifiutare di riconoscere delle misure nazionali nel campo penale. Pertanto un giudice dell’Alta Corte irlandese ha rifiutato recentemente l’estradizione di un cittadino polacco dall’Irlanda verso la Polonia motivando tale decisione con l’argomento che i cambiamenti recenti della legislazione polacca hanno alterato il rispetto dello Stato di diritto e potrebbero compromettere un giudizio equo della persona di cui è stata richiesta l’estradizione; 2) le disposizioni europee in vigore prevedono che l’attivazione dell’art. 7 del Trattato faccia cadere la presunzione secondo cui il paese oggetto di una procedura sanzionatoria possa ancora essere considerato come un paese “sicuro” ai fini del riconoscimento del diritto di asilo. Detto altrimenti, il diritto di asilo potrebbe essere riconosciuto ad un cittadino polacco che ne facesse domanda e che potesse dimostrare di averne diritto. 3) La Corte europea di Giustizia ha reso recentemente una sentenza nella quale afferma che, nella misura in cui l’applicazione del diritto europeo ed il controllo giurisdizionale sono di competenza sia della Corte stessa che dei tribunali nazionali, il principio generale della protezione giurisdizionale effettiva, in quanto elemento essenziale dello Stato di diritto, è obbligatorio anche per gli Stati membri. Questo principio implica che il rispetto dell’obbligo di assicurare una protezione giurisdizionale effettiva include l’esigenza di rispettare l’indipendenza dei giudici nazionali. Pertanto la possibilità di avere accesso ad un tribunale “indipendente” è un’esigenza legata al diritto fondamentale dei cittadini europei di disporre di un “ricorso giudiziario effettivo”.

L’insieme di questi elementi e sentenze recenti conferma che il rispetto dello Stato di diritto e l’esistenza di una magistratura indipendente non solo fanno parte dei valori fondamentali dell’Unione europea ma costituiscono anche una necessità funzionale affinché sia preservata la fiducia reciproca tra gli Stati membri ed assicurato il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie nazionali.

Paolo Ponzano (Docente di governance europea al Collegio europeo di Parma).

Aborto: legge saggia abbandonata da politica

20 Maggio, 2018 (19:32) | Dichiarazioni | Da: Redazione

 “La legge 194 ha quarant’anni ma non li dimostra perché è stata ed è una legge fondamentale per le donne”. Lo afferma Livia Turco che da ministro della Sanità si è battuta per l’applicazione delle norme “per la tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza”.    “Entrata in vigore il 22 maggio 1978, la 194 ha stroncato l’aborto clandestino - sottolinea Livia Turco - ed ha ridotto drasticamente l’interruzione volontaria di gravidanza: 85.000 aborti nel 2016 a fronte dei 500.000 del 1982″.

“Una legge umana - aggiunge - che ha funzionato perché ha fatto leva sulla libertà di scelta delle donne e ha valorizzato la responsabilità femminile. Le donne oggi considerano l’aborto un dramma e uno scacco o una dolorosa necessità e questo anche perché la legge ha contribuito a far crescere la cultura della responsabilità nei confronti della sessualità e della procreazione”. “Una legge - prosegue - che ha voluto colmare la disuguaglianza tra le donne che morivano di aborto, perché si erano rivolte alle mammane che utilizzavano erbe e ferri da calza, e le donne che potevano ricorrere al medico privato che, in una stanza nascosta del suo studio, praticava ciò che la legge proibiva. Il codice Rocco, infatti, considerava l’aborto un reato penale commesso contro l’integrità e la sanità della stirpe”.


“Una legge che il Movimento per la Vita ha tentato di abrogare nel 1981 indicendo un Referendum perso con il 68% di voti in favore della legge”, ricorda Livia Turco che sulla legge 194 ha recentemente scritto un libro, ‘Per non tornare al buio’.    “Stiamo parlando, dunque - insiste l’ex ministro della Sanità - di un provvedimento saggio e lungimirante, che ha dimostrato negli anni la sua efficacia ma che è stato troppo abbandonato dalla politica e mal applicato in troppe regioni d’Italia”.   

“L’altissimo tasso di medici obiettori, l’abbandono dei consultori, la disattenzione nei confronti di politiche pubbliche di prevenzione, le scarse misure di sostegno alla maternità sono i problemi da affrontare oggi per non tornare al buio dell’aborto clandestino”. “Serve, dunque, regolamentare l’obiezione di coscienza del personale medico; potenziare i consultori; promuovere l’educazione sensuale nelle scuole; diffondere l’uso della RHU 486 cancellando l’assurdo obbligo del ricovero in ospedale per tre giorni, prevedere la contraccezione gratuita per i giovani”.    “E’ solo costruendo una società accogliente nei confronti della maternità - conclude Livia Turco - che si consente ai giovani di tornare a fare i figli che desiderano”.

(di Anna Lisa Antonucci - ANSA)

Contratto governo: su asili nido proposta indecente

19 Maggio, 2018 (18:15) | Dichiarazioni | Da: Redazione

”Nel Contratto 5 Stelle-Lega,che ha un impianto coerentemente di destra su temi cruciali come il fisco,l’ economia, l’immigrazione, c’e una proposta semplicemente indecente: il sostegno gratuito per l’asilo nido a favore delle sole famiglie italiane”.

Lo dichiara Livia Turco ex ministro della Solidarietà sociale. ”Gli asili nido gratuiti per le famiglie italiane sono al punto 18 del contratto quando si parla di ‘politiche per le famiglie e la natalità’ - aggiunge Livia Turco - Una proposta gravissima ed indecente dal punto do vista umano, costituzionale e della battaglia contro le diseguaglianze”.

”Discriminare i bambini in base alla razza - aggiunge - calpesta l’articolo 3 della Costituzione che vieta discriminazioni contro il sesso, la razza e le religioni.E’una barbarie dal punto di vista della dignità umana perché introduce una discriminazione che riguarda i bambini.Contraddice la volontà ‘ di combattere le diseguaglianze perché ,al contrario, si radica la diseguaglianza nel momento e sul punto cruciale della vita del bambino:quando si formano i processi cognitivi e la capacità di relazione umana e sociale”.

”Gli educatori ed i pedagogisti - aggiunge l’ex ministro - sollecitano la frequenza dell’asilo nido perché aiuta la formazione dei processi cognitivi e della personalità del minore, dunque si introduce una discriminazione grave che fa arretrare i processi educativi e la vita delle comunita”’.

Secondo Livia Turco, inoltre ”è antistorico sentire sventolare proposte ‘per gli italiani’- e aggiunge - Ledere i diritti dei bambini e promuovere discriminazioni che incidono sulla dignità della persona in nome della Italianita’ offende profondamente il popolo italiano, la cultura italiana, la scuola italiana che hanno imparato l’eguale rispetto della dignità della persona e la praticano ogni giorno, e che i nostri emigrati hanno trasmesso e radicato in tutto il mondo”.

”E’ necessario cancellare quella frase dal contratto - conclude Livia Turco - Lega e M5S rinuncino a questa politica oscena e disumana. La sinistra compatta e le donne che si battono per la libertà di scelta e per il valore della maternità e dei figli siano intransigenti: guai se questa diventa una politica del nostro Paese”.(ANSA).

40 anni legge 194. Lettera aperta ai giovani ed alle ragazze

17 Maggio, 2018 (20:26) | Documenti | Da: Redazione

Care ragazze, cari giovani,

Voglio parlarvi di un tema duro, difficile persino da dire, carico di sofferenza e di implicazioni morali: l’aborto.

Voglio  parlarvi  di  questo tema  difficile , innanzitutto,  per condividere con voi l’impegno  e  la  speranza  di una società libera dall’aborto, per costruire con voi  una  società  materna che  sia accogliente  del figlio che nasce, della maternità  e della paternità.Mi addolora perché  ho vissuto la bellezza della maternità  e nel mio impegno politico ed istituzionale ho promosso leggi e provvedimenti a sostegno della maternità e paternità e per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Se avere un figlio diventa un lusso  siamo una società povera, sterile, disumana.

Per questo voglio parlarvi dell’aborto. Per dirvi che esso è un dramma che bisogna prevenire ,che bisogna in ogni modo scongiurare di vivere, sia da giovane che da adulte. Aborto è la soppressione di una potenzialità di vita che diventerebbe figlio se fosse accolta dal grembo materno. Le donne possono raccontarvi quanto sia duro vivere questa triste necessità, quale scacco del pensiero, quale dramma,  quale senso di sconfitta e di perdita.

Voglio parlarvi dell’aborto perché mi consente di raccontarvi una storia bella e positiva di questo nostro paese che ci testimonia concretamente che l’aborto si può sconfiggere, che le donne possono scegliere liberamente la maternità e crescere con gioia i propri figli . Posso raccontarvi una pagina di bella politica, quella che ha portato a conquistare nel 1975 la legge che istituisce i consultori famigliari, che mi auguro voi abbiate potuto conoscere e frequentare, e nel 1978  la legge 194 “Norme  per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza.”

Solo quarant’anni fa di aborto si moriva. Vi erano le “ mammane” che con erbe e ferri procuravano l’aborto alle donne povere. Quelle ricche ricorrevano al medico di fiducia che in una stanza nascosta nel suo studio praticava ciò che la legge proibiva.

Le donne non amavano l’aborto, tutt’altro.. Accadeva di rimanere incinte anche se i figli  erano sempre benedetti e le famiglie numerose, oltre un certo numero non era possibile averne altri. Ed allora iniziavano i giorni tremendi  della paura,  del dolore e della solitudine. Gli uomini non sempre erano solidali. La famiglia era  patriarcale dove il padre padrone comandava sulle donne e sui figli. Pretendevano dalle donne il sesso  senza considerare le conseguenze che rimaneva un problema che gravava solo sulle spalle delle donne. Donne e uomini si amavano ma i rapporti erano diseguali e la responsabilità di una maternità non desiderata, non possibile da sostenere ricadeva tutta sulle donne. Il corpo delle donne e la loro sessualità era considerato una proprietà maschile che doveva sottostare al  desiderio degli uomini.

Le donne seppur forti, lavoratrici, cittadine, madri insostituibili non riuscivano a considerare il corpo ed il sesso parte integrante, intima della loro persona e personalità  e tante volte non riuscivano a  viverlo con la consapevolezza, la gioia, la responsabilità di qualcosa che è tuo, prima di tutto tuo, che tu hai il dovere di condividere con l’altro su un piano di parità  attraverso i sentimenti del rispetto e dell’amore. Erano impedite a farlo dalla cultura ed educazione che le aveva forgiate secondo cui il corpo ed il sesso era un dono di Dio, ed una proprietà degli uomini.

Era la componente bella di se’, della propria persona su cui non potevano agire liberamente e che sentivano incarcerato ,impedite a viverlo con gioia e libertà se non nei modi scelti  dal desiderio maschile.

“Sesso amaro” era il titolo di una inchiesta che il giornale dell’UDI, un Associazione di donne nata nel 1944 che si è battuta nel corso di tanti anni per la dignità ed i diritti delle donne, condusse tra le  italiane sollecitandole a prendere la parola sulla loro sessualità, sulla piaga dell’aborto clandestino. Fu uno shock, un fatto che fece riflettere, discutere e prendere coscienza.

Non c’erano solo dolore, solitudine, ma anche leggi matrigne che punivano con il carcere  le donne che abortivano e i medici che lo procuravano. La materia era regolata dal Codice penale detto Codice  Rocco dal nome del suo autore: l’aborto in qualsiasi sua forma era sempre considerato  un reato (art.545 e seguenti).

L’aborto era un reato penale che rientrava tra i “Delitti contro la integrità e la sanità della stirpe”. I  beni da tutelare erano la stipe e non la persona, l’onore e non la salute e la dignità della persona.

In particolare:

causare l’aborto di una donna non consenziente ( o consenziente ma minore di quattordici anni) era punito con la reclusione da sette a dodici anni.(art.545);

causare l’aborto di una donna consenziente era punito con la reclusione da due a cinque anni, comminati sia all’esecutore dell’aborto, sia alla donna stessa (art.546);

procurarsi l’aborto era invece punito con la reclusione da uno a quattro anni (art.547);

istigare all’aborto ,o fornire i mezzi per procedere ad esso era punito con la reclusione da sei mesi a due anni (art.548).

In caso di lesioni o morte della donna le pene erano ovviamente inasprite ma nel caso ”..alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 545,546,547,548,549,550 è stato commesso per salvare l’ONORE  proprio o quello di un prossimo congiunto ,le pene ivi stabilite sono diminuite dalla metà ai due terzi”.

Avete inteso bene… l’aborto era considerato meno grave se colpiva l’onorabilità della donna e del suo consorte anziché la dignità e la salute delle donne. Le donne erano di fatto, secondo queste leggi “non persone”.

L’analogo Codice Rocco impediva ogni  forma di contraccezione.

Colpisce questa durezza nei confronti del corpo delle donne, questa chiusura verso la libertà sessuale in anni che avevano visto grandi cambiamenti culturali con il Movimento  studentesco del  1968, con la nascita del movimento di emancipazione delle donne e poi del femminismo  che aveva ottenuto conquiste importanti come l’abolizione delle case chiuse per l’esercizio della prostituzione(1950), leggi per la parità nel lavoro e la tutela sociale della maternità, l’accesso delle donne in magistratura ed in tutte le cariche pubbliche, l’introduzione del divorzio, la riforma del Diritto di Famiglia, traguardo molto importante perché impernia  la vita famigliare sui valori della pari dignità di donne e uomini, di genitori e figli, superando l’odiosa impostazione patriarcale per cui il padre era il padrone di moglie e figli,  e stabilisce la pari responsabilità del padre e della madre verso i figli.

 In realtà stava avvenendo tra le donne qualcosa di profondo nelle loro coscienze: si stavano liberando  del pudore verso questa parte oscura di sé, cominciavano a  parlarne con le altre donne, a scoprire attraverso la parola, il confronto, la relazione che la sessualità le apparteneva, che il godimento della sessualità non era un peccato o qualcosa che le rendeva meno autorevoli , che avere un figlio era un evento bellissimo ,un dono che dovevano accogliere ma su cui potevano e dovevano esercitare una loro scelta. Ancora più’ degli uomini perché un figlio nasce se il grembo materno lo accoglie, lo desidera, lo vuole nutrire. Costruisce una relazione.

 

Scegliere, libertà di scelta, autodeterminazione : ecco le  parole importanti che le donne  scoprono e cominciano a pronunciare.

Anche nella politica , nella società , nel mondo medico le cose cominciano a cambiare.

Il 14 marzo del 1971 la Corte Costituzionale, dichiarò con una Sentenza della Consulta ,illegittimo l’articolo 553 del Codice Penale che prevedeva pene severe per chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda contro di esse. Tale sentenza apre la strada all’utilizzo dei contraccettivi.

Nel 1968 era stata commercializzata la pillola Pincus ma solo a scopo terapeutico..

Nello  stesso anno l’Enciclica Humane Vitae d del Papa Paolo VI  pronunciò parole molto severe contro il controllo delle nascite.

Il giornale ”Noi Donne” continuava attraverso la sua rubrica delle Lettere scritte dalle lettrici cui rispondeva la direttrice Giuliana Dal Pozzo, l’ascolto delle opinioni e della vita delle donne .Che esprimeva lo spaccato di un pezzo del mondo femminile che stava cambiando nella sua identità profonda. Lo stesso giornale in sintonia con il dibattito che si era aperto in altri paesi  europei cominciava a parlare del rapporto tra la scienza, la tecnica, ed il corpo femminile. Sollecitava la promozione e lo sviluppo della contraccezione. Nasceva, su iniziativa dello psicologo, Luigi De Marchi l’associazione AIED, associazione italiana per l’educazione demografica e la promozione della contraccezione, che creò  tanti consultori in Italia per diffondere la contraccezione.

Come vi ho detto all’inizio nel 1975 il Parlamento approvava una legge molto importante che dovete conoscere ed utilizzare la legge 45 del 1975 sui Consultori famigliari, luoghi della sanità pubblica  che affrontano i temi relativi alla sessualità, alla salute delle donne, alla contraccezione, alla prevenzione dell’aborto, alle relazioni tra donne e uomini. L’Organizzazione Mondiale della Sanità li ha indicati come esempio di servizi innovativi che promuovono il benessere delle persone.

Nel 1975  inizia la battaglia del Partito Radicale attraverso forme che destano l’attenzione dell’opinione pubblica perché nuove e trasgressive. Marco Pannella, Gianfranco Spadaccia,  Adele Faccio , Emma Bonino si erano autodenunciati alla polizia per aver praticato aborti e furono arrestati.

Adele  Faccio con altre donne aveva fondato il CISA che si proponeva di combattere concretamente  l’aborto clandestino, creando i primi consultori in Italia ed organizzando dei” viaggi della speranza” verso le cliniche inglesi ed olandesi a costi accessibili.

Nel 1975 il CISA si federa con il Partito Radicale e portano avanti una battaglia comune contro l’aborto clandestino.

Il 5 febbraio una delegazione comprendente Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore del giornale l’Espresso  presentava alla Corte di Cassazione la richiesta di un Referendum abrogativo degli articoli del codice Rocco che riguardano i reati d’aborto. Cominciava in questo modo la raccolta delle firme. Il referendum era patrocinato dalla Lega XIII  maggio e da l’Espresso che lo promossero unitamente al Partito Radicale ed al Movimento di Liberazione della donna. Tra le forze politiche aderenti figuravano Lotta Continua, Avanguardia Operaia, il PDUP, che erano forze politiche della sinistra più estremista.

Furono raccolte 7000.000 firme.

Un altro fatto importante era intervenuto a sollecitare la modifica del Codice Rocco: la sentenza n.27 del 18 febbraio 1975 della Corte Costituzionale. Con tale sentenza, la Suprema Corte, pur ritenendo che la tutela del concepito ha fondamento costituzionale, consentiva il ricorso all’ interruzione volontaria di gravidanza per  motivi di salute molto gravi riguardanti la madre.

 Il 10 luglio del 1976 all’ICMESA una fabbrica del Nord, vicino a Milano esce una nube tossica contenete molti chili di diossina, una sostanza quasi sconosciuta che ricade sul centro abitato. Essa provocava in modo particolare  alterazioni neonatali ormonali.  Molte donne furono costrette all’aborto terapeutico. Laura Conti, consigliere  regionale  della Lombardia del partito Comunista Italiano, partigiana, ambientalista, si dedicò alle popolazioni del luogo, scrisse  due libri “Vista da Seveso” e “Una lepre con una faccia da bambino”. Tale vicenda accese ulteriormente il dibattito sull’aborto come ci racconta nella sua bella testimonianza, in questo libro,  il Dottor Rusticali. Nel  1976 ,dopo le elezioni politiche in cui c’era stato un forte spostamento dell’elettorato, soprattutto femminile e giovanile, a sinistra, tutti i partiti presentarono  disegni di legge per la regolamentazione dell’interruzione di gravidanza. Solo La Democrazia Cristiana ed il Movimento Sociale Italiano presentarono disegni di legge il cui titolo era “ Disposizioni relative al delitto di aborto”. I titoli indicano la profonda differenza d’impostazione. Da un lato  c’erano  i  partiti che  volevano regolamentare il ricorso all’aborto tenendo conto della salute fisica e psichica della donna e delle sue condizioni economiche e sociali.

  Dall’altra  la DC e l’MSI consideravano l’aborto un delitto che deve essere punito tranne  il caso in cui  era in  pericolo di vita delle donne o la stessa aveva subito violenza sessuale accertata dall’indagine della magistratura.

Nonostante le profonde differenze nelle Commissioni Sanità e Giustizia della Camera iniziava  il 26 febbraio 1976 un dibattito molto approfondito , con lo sforzo di cercare di trovare, pur nelle differenze,  dei punti di contatto tenendo conto della realtà, la quale diceva che tante donne ricorrevano all’aborto clandestino, che l’aborto era una piaga sociale dietro alla quale oltre  al tormento della donna, si nascondevano anche  gravissimi fatti di speculazione morale e finanziaria sulla sofferenza e sulla indigenza. Per cancellare questa piaga sociale  bisognava farla emergere dalla clandestinità , puntare sulla prevenzione  e dunque su un forte sviluppo della consapevolezza delle persone e sull’uso della contraccezione, sulla tutela sociale della maternità. Date le profonde differenze vi era un relatore di maggioranza che esprimeva la posizione a favore della regolamentazione dell’aborto ed uno di minoranza che esprimeva la posizione che proibiva il ricorso all’aborto.

La Democrazia Cristiana In Commissione aveva  condiviso  un testo che  prevedeva l’interruzione di gravidanza  in coerenza con la sentenza della Corte Costituzionale. In Aula cambiò posizione e presentò un emendamento, l’emendamento Flaminio Piccoli, che consentiva l’aborto solo in caso di acclarato pericolo della vita della donna. Una sorta di aborto terapeutico che non sarebbe stato minimante in grado di incidere sulla piaga dell’aborto clandestino. La differenza era sostanziale. Il testo dell’articolo 2 votato in Commissione con l’adesione anche della Dc prevedeva “l’interruzione della gravidanza nei primi novanta giorni quando c’è un serio pericolo per la salute fisica e psichica della donna; quando la donna  e la famiglia  versano  in  condizioni economiche di grave disagio  e non sono nelle condizioni di crescere il figlio; quando vi  sono rilevanti rischi di malformazione fetale, di anomalie congenite al nascituro” .

L’emendamento Piccoli riproponeva la punibilità dell’aborto come norma generale ed indicava i casi in cui l’aborto non poteva essere punito: “per impedire un reale pericolo per la vita delle donne o grave danno per la salute della donna medicalmente accertati e non altrimenti evitabili; quando la donna ha subito uno stupro ed ha esposto querela all’autorità giudiziaria. La pena è ridotta da un terzo a due terzi quando l’aborto è commesso in conseguenza di un turbamento provocato alla madre da condizioni economiche e sociali di eccezionale gravità ; il turbamento provocato nella madre dal ragionevole timore di una gravissima malformazione o anomalia del nascituro.”

Perché  quel voltafaccia da parte di un grande partito? Perché un partito popolare e maggioritario nel paese dimostrava di non considerare e non comprendere la gravità dell’aborto clandestino, di questa grave piaga sociale? Perché dimostrava così scarsa autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche? Perché non si faceva carico della spaccatura che la sua posizione provocava nel paese? Sono gli interrogativi che nel corso del dibattito parlamentare  posero molti parlamentari preoccupati per la condizione delle donne e per le sorti del paese. In realtà la Democrazia Cristiana pur essendo unita nel no all’aborto aveva al suo interno differenti anime culturali.

Forse anche per questo non riuscì a tenere sulla vicenda una linea chiara ed univoca scegliendo  una posizione tra quelle che lo stesso Flaminio Piccoli aveva delineato nella discussione interna al suo partito “ O battaglia frontale con un deciso no in occasione del voto finale o un azione per un miglioramento delle singole norme giungendo eventualmente ad una astensione”. In realtà la DC oscillò tra queste due posizioni :  nelle Commissioni prevaleva la volontà’ di dialogo e di condizionamento delle posizioni altrui, in Aula avveniva il voltafaccia e la rottura. Nella fase finale, nel  1978, anche grazie a personalità come Maria Eletta Martini, presidente della Commissione Affari Sociali della Camera prevalse l’apertura ed il dialogo pur esprimendo quel partito un voto contrario alla legge.

Tornando al Dibattito iniziato in Aula alla Camera il 26 febbraio 1976, l’emendamento Piccoli  fu approvato con il voto determinante del Movimento Sociale Italiano:298 voti a favore 286 contrari. Era il 1 aprile 1976. Un fatto clamoroso  che determinò una crisi di governo. Craxi ritirò  l’appoggio  del PSI al Quinto  Governo Moro   perché considerava gravissima la proposta approvata, lontana dalle posizioni culturali  del suo partito, di tante forze politiche e dalla  maggioranza delle donne e  del paese  e che, peraltro,  aveva tradito lo sforzo di dialogo che era stato tenacemente perseguito da parte di tutte le forze politiche. Di fronte alla crisi di governo il Presidente della Repubblica fu costretto a sciogliere le Camere, nel mese di giugno del 1976, e si andò’ al voto.

Il dibattito riprende nella Settima Legislatura  al Senato. Si lavora nelle Commissioni riunite Sanità e Giustizia. La pressione che sale dal paese per cancellare la vergogna dell’aborto clandestino ,per liberare il nostro paese dall’ipocrisia di una normativa che fa a pugni con la realtà e con la sofferenza della persona, l’ipocrisia di una retorica sulla vita che non si accorge delle vite che vengono stroncate sembra coinvolgere  anche  la DC ed il mondo cattolico che presenta riflessioni nuove, riflette sulla laicità, su come si promuove in modo concreto la vita ed il sostegno alla maternità’. Viene elaborato un testo unitario. Bisogna votare il passaggio del testo dalle Commissioni all’esame dell’Aula.

Qui ,in modo sorprendente si verifica un altro voltafaccia della DC che vota contro il passaggio in Aula del testo. Secondo il regolamento del Senato in casi come questi bisogna che trascorrano sei mesi prima che si possa riprendere in esame il testo di legge bocciato nel suo passaggio in Aula. La DC aveva fatto il gioco del Partito Radicale il quale era contrario ai testi di legge che si stavano discutendo e volevano che si celebrasse il  referendum abrogativo del Codice Rocco di cui erano stati promotori. Più  il tempo trascorreva ed il Parlamento non legiferava più si avvicinava il tempo del referendum.

Per questo le forze politiche a favore del testo di legge in Parlamento decisero di iniziare subito  l’iter alla Camera. Era la terza volta che la Camera affrontava questo argomento.   Il testo elaborato dalle Commissioni del Senato e bloccato nel passaggio in Aula fu assunto come testo base per la discussione alla Camera. Era il 9 giugno del 1977. Il 18 maggio del 1977 il testo  fu  proposto all’esame delle Commissioni riunite Sanità e Giustizia. Il 30 novembre del 1977 venne  presentata la relazione di maggioranza, relatori Giovanni Berlinguer ed Antonio Del Pennino; il 9 dicembre 1977 venne  presentata  la relazione di minoranza dell’MSI con relatore Giuseppe Rauti; il 30 marzo 1978  venne  presentata la relazione di minoranza della Democrazia Cristiana, relatori Giuseppe Gargani e Bruno Orsini. La legge approdò   in Aula con un testo di maggioranza e due di minoranza il 5 aprile 1978 e venne  approvata il 13 aprile con 308 voti a favore e 275 contrari. L’ iter iniziò al Senato il 18 aprile per concludersi ed approvare in modo definitivo   la attuale legge 194 il 18 maggio 1978.Relatrice di maggioranza fu  la senatrice Giglia Tedesco.

La legge venne pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e divenne  operativa il 22 maggio 1978. Anche in questa occasione il confronto fu aspro ed i sostenitori della legge misero l’accento in modo particolare sulla necessità di essere rapidi ed approvare finalmente una legge giusta perché l’opinione pubblica era indignata dalle lungaggini, dall’ipocrisia, dalle discussioni infinite ed inconcludenti  tra le  forze politiche. In modo particolare si stava creando una frattura tra le donne italiane e le istituzioni democratiche. Tale sentimento era percepito dalle donne parlamentari di ogni schieramento politico che ebbero non a caso un ruolo importante per costruire, al di là delle differenze, punti di incontro.

Per capire il clima del tempo riporto uno stralcio dell’intervento svolto il 2 marzo 1976 da una delle protagoniste più autorevoli di tale battaglia, Adriana Seroni , parlamentare e dirigente del Partito Comunista Italiano.” Bisogna fare in fretta, non c’è tempo da perdere. Basta scorrere le cronache di queste settimane di questi mesi per capire quale è il costo in termini umani e sociali del tempo che passa. Una donna ,moglie di un emigrato calabrese, madre di cinque figli  e malata è morta  a Torino perché non le è stato praticato l’aborto terapeutico. Una donna moglie di un operaio di Gela, madre di sei figli, alla vigilia di Natale si uccide ponendo in stato di accusa una società che non l’ha aiutata né a controllare le nascite né a sfamare i suoi bambini. Intanto a Verona si è processato una donna per aver abortito: una donna di 43 anni, prima operaia, poi domestica, sei figli ,cinque aborti, un marito schizofrenico, una vita buia di miseria e di stenti .

Questa donna ha scritto ponendo a tutti una domanda precisa: ”Io mi domando se è giusto che lo Stato processi me, senza aver mai dato nulla a me ed ai miei figli  e se è giusto che  adesso debba  andare in carcere lasciando i miei figli, solo perché non potevo mettere al mondo anche il settimo figlio e non avevo i soldi per andare in Svizzera. Io non so se questo sia giusto Ditemelo voi”. Milioni di donne ci guardano ed aspettano. Sul tema dell’aborto si misura anche la capacità dello Stato di tener conto delle donne, di riconoscere la loro dignità e la loro soggettività politica. Quella dell’aborto è una ferita aperta tra le donne ed il sistema democratico, le istituzioni. Bisogna cancellare questa ipocrisia che inquina il nostro sistema democratico altrimenti lo sdegno potrà solo radicalizzarsi ed estendersi”.

Infatti era fortemente cresciuta la consapevolezza delle donne italiane  e la loro determinazione ad avere una legge giusta che riconoscesse la loro autonoma possibilità di scelta, che incentivasse la prevenzione e l’uso della contraccezione ,che sostenesse in modo concreto la maternità.

Nel femminismo c’erano diversi punti di vista. Una componente parlava di aborto come diritto ma la maggioranza delle donne parlava dell’aborto, come scacco, sconfitta della propria volontà ,come dolore e dramma perché ciascuna donna è consapevole che abortire vuol dire interrompere una vita che è cominciata a formarsi dentro il suo grembo materno.

Interrompere questa vita è un grande problema morale che pesa sulla coscienza  e fa tanto più’ soffrire  quando si ricorre all’aborto per le condizioni economiche e sociali che non consentono di avere altri figli. Le donne facevano sentire la loro voce ovunque: sulle piazze, sulla stampa e sui media, nel dialogo fitto con le altre donne, nelle associazioni e nei partiti.

Ricordo la discussione accesa che ci fu nel Partito Comunista Italiano cui ero una giovane militante. Discutemmo molto animatamente con i vertici del partito su due punti fondamentali: a chi compete la scelta di ricorrere all’aborto e la possibilità anche per le minorenni che si trovavano a vivere una gravidanza indesiderata di poter ricorrere a certe condizioni all’aborto .Fu uno scontro duro tra il partito che proponeva che a decidere  se interrompere la gravidanza fosse una commissione di medici dopo aver ascoltato la donna e noi donne ma anche tanti uomini che sostenevano che  l’ultima parola spettava alla donne. Ricordo le riunioni appassionate, affollate, in ogni parte d’Italia. Vincemmo  noi donne perché eravamo in tante, unite e determinate , perché  avemmo dalla nostra parte  donne dirigenti  autorevoli come Adriana Seroni  (prima firmataria della legge del Partito Comunista) e Giglia Tedesco( che fu relatrice del testo di legge al Senato) e uomini intelligenti come Giovanni Berlinguer, medico ,scienziato, politico di intensa umanità che fu anche il relatore della legge alla Camera  insieme a Del Pennino, esponente del Partito Repubblicano Italiano. Vincemmo con la forza della passione e degli argomenti. C’era in ogni schieramento politico una pattuglia di donne autorevoli- Adriana Seroni, Giglia Tedesco, Luciana Castellina, Simona Mafai, Adriana Lodi, Carmen Casapieri, Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Ines Boffardi,  Cassanmagnago Cerretti Maria Luisa, Adele Faccio,  Emma Bonino, Adelaide Aglietta,   Maria Magnani  Noia, - molto legate alla realtà femminile del paese che, nonostante i forti conflitti, cercarono  di capirsi, di capire le ragioni del punto di vista dell’altra e comporre una sintesi tra valori  che stavano a cuore a tutte come la dignità femminile, la consapevolezza della tragedia dell’aborto clandestino che invece sfuggiva a molti maschi intrisi di una cultura maschilista, il valore sociale della maternità, l  ’educazione alla sessualità attraverso una adeguata valorizzazione dei Consultori famigliari, il valore della vita umana.

Non era facile legiferare su una materia che riguarda la vita del concepito e la volontà e la salute  psicofisica della donna.

In quegli anni tumultuosi e di cambiamento l’Italia fu teatro di un fenomeno inedito. Dopo il terrorismo nero, fascista, assistevamo alla nascita del terrorismo rosso che voleva abbattere lo Stato considerato traditore dei valori della sinistra e della classe operaia. Una grande tragedia, che ricordo molto bene per i morti che esso provocò anche solo nella mia città, Torino. Ricordo lo sgomento e lo smarrimento che determinò nel nostro cuore e nelle nostre menti.

 

Quel terrorismo allontanava le riforme di cui l’Italia aveva bisogno e richiedeva l’unità politica e culturale di tutte le forze politiche per difendere lo Stato democratico che andava riformato ma attraverso riforme democratiche decise in Parlamento e non attraverso la violenza ceca e bruta.

Ricordo i giorni terribili del rapimento di Aldo Moro e l’uccisione degli uomini della sua scorta, ricordo i giorni terribili pieni di angoscia della sua prigionia. Ricordo il dolore acuto e lo smarrimento che ci colse quando fu trovato il corpo ucciso del grande politico.

Ricordo le scelte difficili cui fu difronte la sinistra italiana e gli interrogativi, i dilemmi che in particolare vivevamo  noi giovani che sentivamo l’urgenza di un profondo cambiamento della società italiana e della politica.

Mai avremmo immaginato di dover  sostenere un governo di emergenza, tra tutte le forze politiche, detto  delle larghe intese e programmatico, con presidente del consiglio Giulio Andreotti.

Dopo lo smarrimento iniziale decidemmo che dovevamo utilizzare la nuova influenza del PCI e della sinistra  nella vita politica italiana per strappare riforme, ottenere le riforme tanto attese. Dovevamo utilizzare lo spirito di collaborazione tra le forze politiche non solo per difendere lo Stato e la democrazia ma per varare le tanto attese riforme. Organizzammo  forti mobilitazioni e imponenti manifestazioni di piazza con i movimenti giovanili  per combattere la disoccupazione giovanile ed ottenemmo la legge 285/ 1978 per promuovere il lavoro dei giovani. Il 1978 può essere definito l’anno delle riforme ,” le riforme della speranza” perché  furono varate contemporaneamente: la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale universalistico e solidale, la legge 833, Ministro della Sanità  Tina Anselmi, relatore Giovanni Berlinguer, riforma che si basa sulla concezione della salute come diritto garantito a tutti a prescindere dal reddito partendo dal riconoscimento del principio universale della dignità umana così come indicato dall’articolo 32 della nostra Costituzione “ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”;  la legge Basaglia sulla psichiatria che elimina  i manicomi; la legga 194 sulla tutela della maternità e la interruzione volontaria della gravidanza.

Tutte queste leggi avevano alle spalle anni di battaglie sociali, culturali   che avevano coinvolto i lavoratori  con i sindacati, le donne, i giovani  i medici, gli psichiatri, le forze intellettuali del nostro paese . Avevano impegnato il Parlamento in discussioni e confronti senza pervenire a conclusioni. In quello straziante 1978,  Il clima di dialogo tra le forze politiche ed il senso della comune responsabilità verso il paese favorì la loro rapida approvazione con impostazioni di merito avanzate come si può constatare leggendo gli atti parlamentari.

Dentro il dramma nazionale ci fu una pagina di bella politica. Per questo mi piace definire  quelle riforme “le riforme della speranza”. Perché sono l’espressione di una forma della democrazia: basata sulla mobilitazione sociale, sulla partecipazione attiva dei cittadini, sul dialogo e la costruzione di mediazioni e nuove sintesi  tra le forze politiche che avevano nel  Parlamento il loro fulcro . Esprimevano inoltre una nuova concezione del welfare: solidaristico, universale, capace di valorizzare le competenze delle persone, che punta  non solo a prevenire il disagio ma  a promuovere il benessere delle persone.

Ecco i contenuti più importanti della legge 194/98 che fu  scritta in modo chiaro , attraverso una limpida indicazione dei valori che si intendono perseguire : la tutela della vita umana fin dal concepimento ; la centralità della autodeterminazione della donna, la valorizzazione della scienza e coscienza del medico.

Innanzitutto il Titolo” Norme per la tutela sociale della maternità, riconoscimento del diritto alla  vita  e  interruzione volontaria  della  gravidanza”.

L ‘ articolo 1 recita : ”Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana fin dall’inizio. L’interruzione volontaria di gravidanza, di cui alla presente legge, non è il mezzo di controllo delle nascite. Lo Stato, le Regioni, gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze e funzioni promuovono e sviluppano i servizi socio sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.” La procedura da seguire è semplice: la donna si rivolge al consultorio ed al medico di fiducia ed esprime la sua volontà di ricorrere all’aborto che deve avvenire entro i 90 giorni dal concepimento. Il medico discute con lei le ragioni che la inducono ad una scelta così impegnativa e dolorosa,  in particolare per capire se queste sono di ordine economico e sociale. In questo caso chiede alla donna se difronte a sostegni ed aiuti economici terrebbe con se’ il figlio.

Difronte al parere ed alla scelta espressa dalla donna il medico le rilascia un certificato e le indica la struttura cui rivolgersi per abortire sette giorni dopo il colloquio per dare il tempo alla donna di riflettere ulteriormente sulla sua scelta.(Art.4 e 5)

L’interruzione di gravidanza avviene in un ospedale o poliambulatorio pubblico o privato convenzionato. La legge potenzia il ruolo dei Consultori famigliari che devono fornire informazioni sulla contraccezione, fare campagne per prevenire l’aborto, dare informazioni alle donne ed alle coppie, certificare l’interruzione di gravidanza coinvolgere la donna dopo l’intervento per avviarla ad una sicura contraccezione.( Art.2). E’ prevista l’obiezione di coscienza dei ginecologi anestesisti e del personale sanitario ma l’ospedale o la struttura ambulatoriale è tenuta a garantire l’interruzione di gravidanza senza che si formino liste di attesa anche attraverso la mobilità del personale.( Art.9). L’interruzione di gravidanza dopo i novanta giorni è prevista solo quando ci sia un pericolo per la vita della donna quando si è difronte ad anomalie o malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.( Art.6)Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto , l’interruzione di gravidanza può

 essere praticata solo nel caso di pericolo per la vita della donna ed il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto(Art.7).

La legge fu approvata in un tempo relativamente rapido, tre anni. Anche  per il timore  del referendum del Partito Radicale che nessuna forza politica voleva perché avrebbe lacerato il paese ed avrebbe solo depenalizzato l’aborto, poi ci sarebbe comunque voluta una legge per regolamentarlo. Va riconosciuto però un grande merito all’azione furente dei Radicali perché senza la loro determinazione per il referendum il Parlamento avrebbe impegnato molto più’ tempo per  approvarla. Come è accaduto per ottenere altre riforme .

Come avete potuto constatare sono stati anni  molto difficili ed anche rilevanti dal punto di vista politico, sociale e culturale. Anni di conflitti, crisi politiche, drammi del terrorismo che modificarono le strategie politiche dei partiti ,  ma misero anche  il seme di nuovi e più avanzati incontri sul piano culturale in particolare tra la sinistra ed i cattolici .Insomma la vicenda della legge sull’aborto non ebbe solo risvolti pratici, giuridici, culturali ma incise fortemente sulla vicenda politica del nostro Paese. Le riforme che chiamano in causa l’emancipazione femminile, la libertà delle donne hanno sempre richiesto tanta fatica per essere approvate e tanto tempo. Pensate:  dieci anni di lotte per conquistare Il piano nazionale per gli asili nido(1971);   vent’anni di lotte  perché lo stupro non fosse più  considerato reato contro la morale ma reato contro la persona (1996).  Solo nel 1963 alle donne è stato  consentito l’accesso alla Magistratura nonostante che su questo punto le donne nell’Assemblea Costituente nel 1946 avessero fatto una forte battaglia, perdendola. Solo nel 1970 entrò in vigore la legge sul divorzio, solo nel 1975  venne  varata una profonda riforma del Diritto di Famiglia, solo nel 1968 l’adulterio femminile non fu  più considerato reato,  solo nel 1981 venne  cancellato il “delitto d’onore”,  solo nel 1976  venne  eletta la prima donna ministro, Tina Anselmi,  solo nel 1979 venne  eletta la prima donna Presidente della Camera ,Nilde Iotti , solo nel 2000 venne  approvata una legge organica sui servizi sociali, la 328/2000 che sostituisce la legge Crispi del 1870.!

  Finalmente  approvata la legge sull’aborto  iniziava il difficile percorso della sua applicazione.

Non si passava dalla legge” delitto “alla legge “diritto”. Bisognava compiere una vasta azione culturale e sociale.

Sostenere la maternità e la paternità ,educare e crescere bene i figli comportava un profondo mutamento sociale, garantire il lavoro, una scuola qualificata per tutti, una maggiore giustizia sociale ,un sentimento di solidarietà umana e civica. Significava garantire il diritto alla salute attuando la riforma sanitaria da poco approvata. Bisognava costruire una unità nel paese, tra le forze politiche, sociali  e culturali, tra le donne ,tra i medici ed il personale sanitario . Invece fin da subito il 60% dei ginecologi si dichiara obiettore. In modo particolare doveva cambiare la cultura nei confronti della sessualità,  riconoscendo la dignità ,l’autonomia e la differenza femminile. Dovevano cambiare le relazioni tra i sessi e gli uomini dovevano imparare a rispettare le donne nella sfera intima della sessualità. Le donne a loro volta, di ogni età ed estrazione sociale,  dovevano imparare il rispetto di se stesse, il rispetto della propria  femminilità, essere le costruttrici dei valori della dignità, del rispetto, della libertà e responsabilità. Dovevano imparare a non vergognarsi più della loro sessualità e a non vergognarsi più se si trovavano nella situazione dolorosa di dovere abortire. Mi è rimasto impresso nella mente un episodio di quegli anni quando io ero una giovane militante  : appena entrata in vigore la legge una donna di Pordenone più che quarantenne, malata e madre di undici figli,  bussò alla porta dell’ospedale per fare l’interruzione di gravidanza. L’ospedale le rispose che non era ancora attrezzato per realizzare l’intervento, che molti medici avevano dichiarato l’obiezione di coscienza, ma lei non  lasciò quell’ospedale finchè  non furono vinte le inammissibili quanto illegali resistenze al rispetto della legge che le garantiva l’assistenza.

Per capire il clima del tempo mi piace riportare ana riflessione di Paola Gaiotti De Biase, storica cattolica, appartenente all’allora Partito della Democrazia Cristiana.

“Vi è la necessità di un riflessione razionale e civile. Il nostro patrimonio di cattolici non possiamo tenerlo per noi ,isolarlo, ma  lo dobbiamo mettere a disposizione dell’intero paese perché la crescita di una cultura della sessualità si sviluppi in Italia, portando anche il nostro segno in chiave unitaria.” Purtroppo tale posizione non esprimeva il punto di vista prevalente della Chiesa e del suo partito ma conferma i fermenti nuovi che l’approvazione della legge aveva messo in movimento.

Furono i  medici  e gli  operatori sanitari che avevano speso molto impegno per far approvare la legge e  che erano  profondamente dalla parte delle donne a dedicarsi per la piena applicazione della legge medesima. A questa generazione di medici ginecologi, anestesisti, operatori sanitari dobbiamo  la gratitudine  per aver reso normale  l’applicazione della legge.  Fu loro il merito di aver avviato il funzionamento della legge , di essersi battuti perché negli ospedali si costruissero le strutture per accogliere le donne, che fecero informazione, che sostennero i gruppi di donne che si impegnavano per controllare l’applicazione di ogni parte della legge medesima e facevano volontariato nei consultori. Le Regioni si attivarono per adeguare i reparti, per la formazione degli operatori, per potenziare i consultori.

Fu importante in quegli anni la unità delle donne e la loro mobilitazione per incalzare le Regioni, per informare le donne, per sostenere i medici che si impegnavano nella applicazione delle nuove norme.

Purtroppo l’unità culturale nel paese fu ostacolata da forze ostili alla legge.

 Nacque il Movimento per la Vita animato in modo particolare dall’onorevole Carlo Casini . Raccolsero le firme per l’abrogazione della legge 194 attraverso un Referendum che si svolse il 17 marzo 1981.

Eravamo fiduciose di avere dalla nostra parte la stragrande maggioranza delle donne, anche le donne cattoliche e tanta parte degli uomini. Ci impegnammo a costituire I Comitati Unitari a difesa della legge 194, aprimmo un dialogo con tutti i movimenti femministi ,con le donne cattoliche, con le giovani .Facemmo un lavoro casa per casa per difendere il principio di libertà di scelta delle donne spiegando che non era egoismo  ma esercizio della  responsabilità ;  per valorizzare i consultori e parlare della contraccezione, della prevenzione dell’aborto ,della responsabilità degli uomini che dovevano cambiare il loro rapporto con le donne ,imparando a riconoscere loro dignità, rispetto ,pari opportunità; valorizzavamo la vita umana la maternità scelta e responsabile, la bellezza di avere dei figli, il dovere della società di essere accogliente nei confronti della maternità e dei figli.

Fu un dialogo bellissimo, un passa parola tra donne che si sentivano protagoniste e che volevano andare avanti nella conquista dei loro diritti e nella promozione della loro dignità. Donne di tutte le generazione che si guardavano negli occhi. Non c’era solo una legge da difendere ed applicare ma dei valori da affermare ed una società da cambiare per renderla più umana, a misura di donne e uomini.

L’80% delle italiane e degli italiani disse Si alla legge 194 “Tutela sociale della maternità, riconoscimento del diritto alla vita e interruzione volontaria della gravidanza”. L’esito del referendum placò le acque attorno al tema dell’aborto. Nessuno poteva più mettere in discussione che si trattava di una legge dello Stato che andava applicata. Tanto più che le Relazioni al Parlamento che secondo la norma di legge dovevano essere presentata ogni anno dal Ministero della Salute indicava dopo il picco raggiunto nel 1982 ,dovuto all’assorbimento dell’area dell’aborto clandestino, si assisteva di anno in anno ad un costante decremento del ricorso all’aborto, conferma che la legge funzionava e che non alimentava nessuna mentalità abortista e lassista, di relativismo etico nei confronti della vita umana. Al contrario, cresceva la cultura della responsabilità. Bisognava continuare ad investire sulla prevenzione, sul ruolo dei consultori, sulla educazione  sessuale nelle scuole, temi sui quali, passata la forte mobilitazione, i riflettori si erano un po’ spenti con il rischio  da parte dei decisori pubblici ed in particolare della politica di mettere questi temi in secondo piano.

Tuttavia il dibattito sull’aborto non venne mai meno, un dibattito che riguardava gli aspetti etici e che ruotava sempre attorno all’autodeterminazione della donna considerato un  principio egoistico che non valorizzava e salvaguardava in modo adeguato la vita umana .L’aborto era considerato come l’ uccisione della vita umana e dunque doveva essere massimamente limitato. La novità intervenuta negli anni novanta era che tali posizioni non riguardavano solo alcune parti del mondo cattolico e le gerarchie ecclesiastiche  ma anche esponenti , prevalentemente uomini,  del mondo laico.

 

Ho vissuto con durezza e dolore questo attacco alla 194 in prima persona quando ero Ministro della Salute  del Governo Prodi nel 2006-2008.

Mi portavo nella mia “cassetta degli attrezzi” la consapevolezza, peraltro autorevolmente indicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS) che la salute delle donne era parametro, indicatore della salute di tutta la popolazione.

Sapevo che dovevo usare la mi posizione di Ministra per mettere al centro come priorità della salute pubblica, la piena applicazione della 194/78, la prevenzione dell’aborto ,investire sui consultori, sostenere la salute materno infantile a partire dalla promozione del parto naturale, temo che nel corso degli anni erano scivolati agli ultimi posti dell’agenda politica. Promossi una Commissione “ Salute della  donna” per la elaborazione di un Piano intersettoriale di azione triennale  che assume la salute delle donne quale obiettivo strategico di tutte le politiche. Mi avvalsi di esperte di grande valore come Maura Cossutta medico, parlamentare per tanti anni, legata al movimento delle donne ed alle associazioni femminili che aveva la delega a seguire questi problemi, ma anche Monica Bettoni, medico, senatrice e Sottosegretaria  alla Salute in precedenti governi, Vaifra Palanca, esperta sui temi dell’immigrazione, Grazia Labate, esperta di politica sanitaria, già parlamentare e Sottosegretaria al Ministero della Salute. C’erano le bravissime  e bravissimi dirigenti del Ministero e dell’Istituto Superiore di Sanità. Ogni mattina poi discutevo con Cesare Fassari , capo ufficio stampa ma anche grande esperto della materia sanitaria,  con Renato Finocchi Ghersi, capo di Gabinetto, con  Marisa Infantone , segretaria particolare , che per primi condividevano  i drammi della giornata perché ogni giorno sul tavolo del Ministro  vi erano problemi o disgrazie da affrontare. Le polemiche sull’aborto o su qualcuno dei temi etici erano quotidiane.

L’8 marzo 2007  andammo a Napoli in una assemblea di operatori e donne dove presentai il Piano di Azione per la salute della donna ed in particolare per la tutela della salute materno infantile.

La mia prima legge da Ministra della salute  fu un Disegno di Legge per garantire la tutela dei diritti della partoriente e del neonato, favorire il parto naturale, ridurre il ricorso al parto cesareo, promuovere il parto senza dolore introducendo l’analgesia epidurale ,promuovere l’allattamento al seno, incrementare l’attività  dei consultori. Il provvedimento di legge fu approvato il 19 ottobre 2006, approdò  nella Commissione Affari Sociali della Camera dove tutti si dissero  d’accordo con il provvedimento ma…misteri della politica… in due anni  non fu  approvata. Introducemmo  per primi in Europa il vaccino gratuito per le ragazze dodicenni contro il cancro della cervice uterina. Promuovemmo una campagna di sensibilizzazione verso le donne immigrate per prevenire l’aborto, finanziammo una ricerca per fare il punto sulla situazione dei consultori. Avviai in grande silenzio,( per evitare il clamore delle polemiche ideologiche che paralizzano sempre tutto e non consentono di fare le cose concrete) la procedura per introdurre anche in Italia RU486 che infatti entrò nella farmacopea del nostro paese nel marzo 2008 quando non ero più Ministro. Aggiornammo  le linee guida sulla  legge 40 relativamente alla procreazione medicalmente assistita per introdurre la possibilità della diagnosi pre impianto.  In accordo con l’Istituto Superiore di Sanità e con l’aiuto di Monica Bettoni  e di Franca Franconi e con il sostegno di donne parlamentari di ogni schieramento politico, tra cui voglio ricordare la Senatrice Laura Bianconi,  avviammo la “ medicina di genere” promuovendo  ricerche sul diverso impatto che i farmaci hanno sulla salute di donne e uomini, sulle malattie che colpiscono in modo differenziato donne e uomini. Un approccio nuovo che tiene conto delle differenze di genere nella medicina, dell’impatto che i determinanti della salute hanno su donne e uomini , su come le malattie colpiscono donne e uomini e dunque sui diversi modi di prevenirle e curarle.

Avevo nella mente e nel cuore la difesa- senza se e senza ma-  della legge 194,  la sua  valorizzazione  e  piena applicazione.  Una legge saggia e lungimirante, efficace nella riduzione dell’aborto.  Su questo fui assolutamente determinata. Determinazione  necessaria perché la legge fu al centro di attacchi da parte del mondo cattolico e del mondo laico.

LE figure emergenti di questo attacco erano il Cardinal Ruini, Giuliano Ferrara, autorevoli parlamentari del Centro destra  ed anche del Centro Sinistra.

Mi sentivo impegnata in una  rigorosa  applicazione della legge sapendo guardare in avanti,  per cogliere i  problemi nuovi che emergevano e  le  opportunità inedite   offerte dalla ricerca scientifica, come l’inserimento nella farmacopea italiana dell’RU486, un metodo abortivo utilizzato in tutta Europa e che  dimostrava di essere efficace, sicura, meno invasiva per la donna.

Il 27 agosto 2007 successe un episodio che mi turbò profondamente, scosse il mio animo di donna che aveva sempre difeso la libertà di scelta delle donne. All’Ospedale  S.Paolo  di Milano vi fu un errore medico nel corso di un aborto terapeutico in una gravidanza gemellare che aveva portato alla eliminazione del feto sano. La riflessione si concentrò su un aspetto che era rimasto in ombra nel dibattito, l’aborto terapeutico. Se rifiutavo la tesi della natura eugenetica della legge tuttavia lo sviluppo delle tecniche che consentono di conoscere da subito in grande prevalenza le situazioni di malformazioni del feto sono certamente  un fatto positivo  ed era certamente  giusto che la donna valutasse se fosse in grado di gestire quella malformazione ,tuttavia il rischio di un abbassamento della soglia di accettazione del mistero della vita umana e di scelta sulla base della perfezione del figlio aveva un fondamento di verità.  L’articolo 6 prevede l’interruzione di gravidanza oltre  il novantesimo giorno quando le malformazioni del  feto comportino  gravi rischi per la salute fisica e psichica della donna.

L ’articolo 7 prevede che quando c’è vita autonoma del feto l’aborto possa essere consentito solo se è a rischio la vita della donna  e contempla il dovere di  mettere in atto ogni azione per salvare la vita autonoma del feto.

Quando inizia la vita autonoma del feto? Come salvare la vita del feto senza cadere in pratiche di accanimento terapeutico?

Erano domande nuove, domande doverose che  la politica non poteva eludere e che doveva affrontare  coinvolgendo la comunità scientifica ,ascoltando il suo parere e definire , se possibile, indirizzi comuni.

Un punto di forza della legge 194 è proprio quella di non porre essa stessa vincoli ma di affidarsi alla scienza e coscienza medica ,per definire, se possibile, indirizzi operativi comuni.

L’orientamento condiviso fino a quel momento era quello di considerare come data convenzionale  l’inizio di vita autonoma del feto a partire   dalla 24 settimana. Tale orientamento era condiviso e praticato da tutti gli operatori’. Era ancora valida o andava aggiornata a fronte del numero crescente di parti molto pretermine? Decisi di porre il quesito al Consiglio Superiore di Sanità, organo previsto dal nostro ordinamento composto da scienziati, medici, specialisti, allora presieduto dal Professor Franco Cuccurullo, che ha il compito di rispondere ai quesiti di ordine medico scientifico che il Ministro propone o che la comunità scientifica autonomamente decide di affrontare . Questa mia scelta suscitò molte perplessità tra persone del mondo laico.  Ricordo un articolo di Miriam Mafai che esplicitamente mi chiedeva perché volessi porre ulteriori vincoli alla scelta delle donne e del medico.  La mia scelta era proprio  motivata dalla volontà di realizzare una più  efficace tutela della salute della donna e del nascituro e consentire una scelta più libera anche perché più consapevole ed informata. Il mondo medico apprezzò  invece la mia proposta, la sostenne ed il Consiglio Superiore di Sanità dopo un ampia consultazione del mondo medico, delle professioni sanitarie e sociali  definì  un  PARERE e delle RACCOMANDAZIONI  su “ Individuazione di protocolli per le cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse”. Esse si rivelarono molto utili per aiutare i medici nelle loro scelte di cura e presa in carico dei  parti molto pretermine, per  garantire cure che non sfociassero nell’accanimento terapeutico, nell’informare e costruire le giuste  relazioni con i genitori. Confermarono la 24 settimana coma data convenzionale pe stabilire  l’inizio della vita autonoma del feto .

Continuavano però  furibondi gli attacchi contro la 194.Giuliano Ferrara aveva persino   proposto una moratoria sulla 194. Io non riuscivo a darmi pace del silenzio delle donne. Mi sentivo molto sola nel difendere la legge e nel difendermi nel Centro Sinistra.  Ne parlavo con la mie collaboratrici  nonché amiche,  donne che avevano condotto  battaglie per le donne nel femminismo, per conquistare la le legge 194  e che ora si impegnavano per difenderla.  Perché le donne,  le nostre amiche  e compagne di  anni di battaglie  ci lasciavano sole ? Come coinvolgerle? Pensavo ad una Consulta di associazioni femminili da costruire presso il Ministero con l’obiettivo di difendere ed applicare la 194 ma temevo di risultare invadente dell’autonomia dell’associazionismo femminile. Se tornassi indietro quella Consulta la costituirei visto che io ero stata “la Ministra  Apparecchia Tavoli”  perché mio normale ed abituale metodo di lavoro era quello di  coinvolgere e condividere  nella definizione delle  leggi  tutti gli attori   professionali , sociali e  del Volontariato.

Decidemmo con le Regioni una iniziativa che proponesse una azione complessiva per il miglioramento dell’applicazione della legge. Un Atto di Indirizzo Governo-Regioni che affrontasse tutti gli aspetti critici relativi all’applicazione della legge per migliorarla .Prevenzione dell’IVG con il potenziamento dei consultori con particolare attenzione ai giovani ed alle donne immigrate, formazione degli operatori; possibilità di prenotare tramite il consultorio l’intervento dell’IVG in ospedale e ritorno al consultorio per avviare una efficace  azione di contraccezione; rapporto consultori-scuole; garantire la presenza di un medico non obiettore in ogni distretto;

la rimozione delle cause sociali ed economiche che potrebbero indurre le donne all’aborto ed il sostegno alle maternità difficili anche garantendo un assistenza domiciliare nel periodo dopo il parto; l’appropriatezza e la qualità nel percorso della diagnosi prenatale ed in particolare nei casi di anomalie cromosomiche e malformazioni; la promozione dell’informazione sul diritto a partorire in anonimato  per evitare l’abbandono dei figli appena partoriti. Questo Atto d’Indirizzo elaborato con tanto lavoro ,ascolto, tavoli di discussione fu approvato da tutte le Regioni tranne la Lombardia di Formigoni. Perché un atto d’intesa Stato –Regioni abbia carattere vincolante e sia approvato ci vuole l’unanimità delle Regioni. Ancora una volta un calcolo elettorale, un meschino distinguo ideologico e politico si sovrapponeva sulla sostanza delle cose ed un atto che sarebbe potuto essere molto utile venne boicottato dall’esercizio della cattiva politica.

Un mattino del febbraio 2008 non ero ancora arrivata in ufficio che il telefono della Presidenza del Consiglio, la cosiddetta BATTERIA mi stava cercando con urgenza.

Da Napoli venivo informata  che al Policlinico Federico Secondo ,su segnalazione di un presunto  aborto illegale c’era stato un blitz della polizia nel reparto maternità. Invia subito gli ispettori per accertare l’accaduto  attraverso una rigorosa ispezione. Fu accertato che non si era verificato nessun intervento abortivo illegale e che pertanto l’irruzione della polizia fu un atto sbagliato e inopportuno.

Il fatto scosse nel profondo le coscienze e finalmente le donne uscirono dal silenzio.

Tantissime manifestazioni in tutte le città italiane.4000 donne in piazza a Roma. Molte vennero a manifestare davanti  al Ministero della Salute. Fui  felicissima di questo gesto. Scesi ad incontrare le donne e dissi loro “ costruiamo insieme un patto per difendere la  194 e per applicarla pienamente.

Lavoriamo insieme. Prepariamo per il prossimo 8 marzo una grande manifestazione nazionale a difesa della legge 194. Purtroppo nel mese di marzo del 2008 Berlusconi riusciva a comprare con la forza del denaro il consenso di senatori che eletti nelle liste dell’Ulivo passarono dall’altra parte e fecero  cadere il Governo Prodi. Il  governo che nell’ambito della Sanità aveva aumentato in modo consistente le risorse per il Livelli essenziali di assistenza, aggiornato i livelli essenziali di assistenza, stanziato miliardi per ammodernare gli ospedali, costruito le Case della Salute, investito nella salute delle donne, promosso le cure palliative e le terapie antidolore, aiutato i malati di Sla e le persone non autosufficienti.

Cara ragazze, Cari giovani,

scusatemi se mi sono dilungata ma ho voluto raccontarvi la storia di una legge importante, una legge che voi dovete conoscere  ed impegnarvi perché sia applicata a partire dalla prevenzione dell’aborto, affinchè   nessuno di voi debba fare questa esperienza dolorosa.

 Dovete battervi ed impegnarvi  per  non tornare indietro, per non tornare, senza dirlo e senza accorgersene, nel buio dell’aborto clandestino.

Dovete impegnarvi  perché  il tema dell’aborto sia affrontato nella  Scuola di   Specialistica  in  Ostetricia e Ginecologia,  perché  su questo tema ci sia la giusta informazione e formazione del personale,  perché  sia regolamentata l’obiezione di coscienza,  perché  siano potenziati e resi accessibili i consultori,  perché  dei temi della sessualità, delle relazioni uomo donna, dei sentimenti e della contraccezione si parli nelle scuole.

 Consentitemi  infine di dirvi  ciò che una madre direbbe ad un figlio ,ad una figlia.

Progettate di essere padri e madri, ricercate dentro di voi ed esprimete il vostro desiderio di un figlio,  fatelo subito prima che il tempo biologico trascorra troppo rapidamente e siate costretti alla rinuncia o alle tecniche  riproduttive. So che è molto difficile fare questi progetti quando il lavoro non arriva ,trovare una casa è un lusso, pensare il futuro quasi un gioco  di fantasia.

Per questo dovete pretendere dalla politica che si impegni finalmente a costruire una società accogliente nei confronti del figlio che nasce. Politiche concrete come gli  asili nido, l’assegno per il figlio, spazi nei quartieri delle città in cui i bambini possano giocare e stare insieme, politiche di condivisione  del lavoro di cura tra uomini e donne che  consentano alle mamme ed ai papà di prendersi cura del figlio mentre lavorano. E’ molto importante che i papà  imparino a prendersi cura dei figli. E’ molto importante il congedo di paternità che c’è nelle nostre leggi e che va potenziato.

Fa bene ai figli, fa bene ai padri, li rende uomini più maturi e con tanta ricchezza in più nel cuore perché scoprono sentimenti e dimensioni nuovi  della vita..

 Sarebbe bello riuscite voi a realizzare quello che  noi non siamo riuscite a fare :

CREARE UN IMMAGINE PUBBLICA DELLA MATERNITA’ CHE SIA BELLA PERCHE’VERA ,

sostituisca  quelle immagini che raccontano una mamma che non c’è : sempre bella, sempre felice, sempre in casa.

CREATE UN  IMMAGINE PUBBLICA DELLA MATERNITA’ CHE CONTENGA UNA SPERANZA raccogliendo le cose belle e nuove che la nostra generazione con tanta fatica ha costruito per le figlie ed i figli

 UNA IMMAGINE DELLA MATERNITA’  in cui donne e uomini crescono insieme i figli, in cui  le mamme  sono premiate e non punite  nel lavoro e nella carriera,   le mamme fanno politica, volontariato ,  pratica sociale   portandosi con se’ i figli e trovando tempi e spazi per i figli  nei luoghi pubblici, nei luoghi della polis, che smettono così di essere luoghi escludenti le donne perché  escludenti la maternità ed i figli.

CREATE UN IMMAGINE PUBBLICA CHE RAPPRESENTI LA “ POTENZA DELLA MATERNITA’.

LA POTENZA DELLA MATERNITA’ è mettere a disposizione  se stesse  per fare crescere e rendere autonoma  la creatura che si è portata nel proprio corpo.

Dopo aver protetto e custodito la vita del figlio la  madre opera per consegnarlo al mondo.

E’ quello che una grande psicanalista Silvia Vegetti  Finzi  vede mirabilmente ritratta nella scena  della madre “ china sul proprio bambino “ mentre lo aiuta a compiere i primi passi. ”Da una parte lo comprende dentro il suo corpo arcuato e lo sostiene  per le fragili braccia, dall’altro guida i suoi passi lontano da lei verso il mondo”

La madre insegna al figlio ad imparare i passi che lo  porteranno nel mondo e lo staccheranno definitivamente da lei.

Sarebbe bello che aveste il coraggio il giorno della Festa della mamma di tappezzare le città ed i paesi  di grandi dipinti di questa immagine della mamma china sul figlio  che gli insegna a muovere i passi verso il mondo .

Avremmo così  davanti agli occhi rappresentata la vere potenza umana della maternità.

Una potenza che dovremmo tutti imparare  perché è la potenza del dono, della gratuità, della presa in carico dell’altro.  E’ la consapevolezza che ciascuno di noi vive con l’altro ed in relazione all’altro.

C’è bisogno di immettere nella società il calore, l’energia ,di questa potenza umana del dono, farlo diventare patrimonio pubblico ed ingrediente della cittadinanza.

Per questo bisogna combattere tutte quelle tecniche che in nome del diritto ad avere un figlio stravolgono il senso della maternità.

Il figlio non è un diritto ma una scelta, un dono ,appartiene all’ordine delle possibilità umane  che bisogna saper accettare.

Non si fa un figlio per se stessi ma per amore del figlio che nasce il quale deve poter essere accolto e cresciuto con tutto l’amore possibile.

Amore che non è esclusivo della coppia uomo donna ma anche delle persone singole e di coppie  dello stesso sesso.

Ma resta la peculiare umanità del figlio nato dal corpo di donna.

Perché quel corpo non è un grembo fisico ma psichico ed umano, è la relazione che nel corpo si costruisce tra madre e figlio. Relazione che dura nel tempo.

In nome del figlio e della pluralità di amori e convivenze non si può distruggere la madre perché si distruggerebbe un caposaldo della nostra umanità.

La relazione madre figlio è il dono della maternità che può ,deve contagiare la società del nostro tempo per renderla più umana, per costruire famiglie allargate in cui ciascuno di noi si  senta padre  e madre  dei figli che si incontrano nella vita quotidiana e non solo di quelli che si generano.

Ma per costruire   questa società materna  bisogna essere consapevoli e valorizzare la potenza umana della maternità: la relazione con il figlio che si forma parla ed agisce fin dal grembo materno.

Per questo bisogna dire un NO grande a quelle forme di maternità come la maternità surrogata per cui si compra il figlio da una donna che lo concepisce e lo procrea per un’altra donna vedendo così’ ridotto il suo corpo a strumento ,a merce.

Non a caso questa pratica abominevole colpisce e coinvolge le donne dei paesi  più poveri del mondo. PER questo essa deve essere proibita ,non solo in Italia ma in tutti i paesi del mondo.

Una forma di barbarie  cui mi auguro voi giovani saprete opporvi usando con la “coscienza del limite” le tecniche che avrete a disposizione. Dove per” coscienza del limite” intendo dire salvaguardare e non mettere mai a repentaglio in nome del progresso l’umanità della relazione generativa e della relazione di cura madre e figlio.

Livia Turco

Tratta dal libro “Per non tornare al buio. Dialoghi sull’aborto” di Livia Turco e Chiara Micali