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Kyenge, pasionaria dello ius soli

7 Luglio, 2013 (12:20) | Interviste | Da: Redazione

Intervista di Andrea Malaguti a Livia Turco su La Stampa del 7 maggio 2012
«Io?», insiste. «No, è stato Letta. È lui che ha scelto Cecile». Ma quelle parole - «hai scelto tu, lo sanno tutti» - evidentemente le piacciono. Ci gode Livia Turco. E lo confessa con un po’ di imbarazzo che questa storia la gratifica. Ma in fondo va bene così. Di fatto è una certezza che se non ci fosse stato l’ex ministro cuneese - una donna capace di fare un passo indietro, di rinunciare alla poltrona in cambio dello spazio per due dei suoi pupilli cresciuti in Italia e nati da un’atra parte del mondo - oggi Cecile Kyenge Kashetu, quarantanovenne congolese non sarebbe seduta sui banchi del governo. Donna. E nera. La prima. «È una persona dolce e determinata, che sa che cosa significa lavorare in gruppo. Sono fiera di lei. Così come sono fiera di Khalid Chaouki».

Benvenuti nel nuovo mondo, dove i dirigenti del Pd, il partito più sgangherato della galassia, per scegliere il ministro dell’Integrazione hanno bizzarramente usato un criterio di qualità, portando al ballottaggio uno scrittore, politico e giornalista di Brazzaville, Jean Leonard Touadi, e una mamma medico di Modena, nata a Kambove e italiana per matrimonio. «Ha vinto Cecile solo perché è donna e nera. E da un punto di vista dell’immagine in questo momento funziona di più», spiega cinico un dirigente democratico fumando nel cortile di Montecitorio. È vero? Forse.

Di certo Enrico Letta si accorse di Cecile, quando la vide a Torino a un incontro del Forum Nazionale per l’Immigrazione. Lui, lei, la Turco. La dottoressa era una donna dai modi morbidi e dai concetti chiari, con un’ossessione chiamata «ius soli», diritto di cittadinanza per chi nasce in questa terra. Una bestemmia? Un’ovvietà. Se hai emesso il tuo primo vagito negli Stati Uniti. Da noi no. In ogni caso lei ci credeva. Al punto da firmare - appena eletta - una proposta di legge assieme a Bersani, re senza terra che aveva deciso di consegnarle un seggio sicuro inserendola nel proprio listino di irrinunciabili.

Donna curiosa, Cecile. Diversa da tutte. Un diesel. Una che va dritto allo scopo. Forse perché con un padre poligamo e 37 fratelli ha capito in fretta che era inutile sprecare parole. «Ha la pazienza per arrivare a dama. È moderna. Preparata. E di sicuro non gioca a fare il panda». Scusi? Il deputato modenese Davide Baruffi si illumina. «Io la conosco dal 2006. Lei viene dai Ds, poi è passata nel Pd. Conosce e lavora per il partito. Non bara. Non strumentalizza. Combatte una battaglia in cui crede. E sa quello che dice. Per questo Letta ha puntato su di lei». E lei, portavoce della rete Primo Marzo (l’associazione che nel 2010 organizzò lo sciopero degli immigrati) non ha tremato davanti al compito.
Alla prima occasione pubblica ha dichiarato: «Io non sono di colore. Io sono nera». Applausi. Boati. E una valanga di inevitabili improperi internettistici. «Questo è il governo del bonga bonga», disse schiumando tutta la sua volgarità l’europarlamentare leghista Borghezio.

E alla seconda (facendo mille precisazioni sui propri ruoli e competenze e su quelli del ministro dell’Interno Angelino Alfano): «Lavorerò per l’introduzione dello ius soli e per l’abolizione del reato di immigrazione clandestina». E anche qui boati, applausi e improperi. Di una sgradevolezza dolorosa. Accompagnati da rampogne infastidite e fastidiose di Renato Schifani, Maurizio Gasparri e Bobo Maroni. E da commenti nebbiosamente velenosi come quello della parlamentare Pdl Elvira Savino. «Dopo il ddl sullo ius soli, il ministro intende presentarne uno anche sulla poligamia praticata dalla sua famiglia in Congo?». Ottusità da bar di periferia. «O anche opinioni da mettere in conto, d’altra parte Gasparri non sarebbe lui se non usasse certi toni. E io non mi starei a spaventare. Non lo farà neppure Cecile. Il suo non è un compito facile. Ma il Paese è pronto ad andare avanti. Lei dovrà essere brava a coinvolgere gli altri componenti del governo», chiosa la Turco.

Brava? Una fuoriclasse. Perché per non sentirsi come una farfalla finita in un bicchiere, il più facile degli spot del governo del cambiamento annunciato, dovrà convincere un Parlamento intero che il multiculturalismo non è uno scioglilingua da salotto, ma vita di gente vera. Un salto mortale triplo. Carpiato. E rovesciato.

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