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San Camillo. Turco: “Troppi ritardi sulle cure palliative”

6 Ottobre, 2016 (12:10) | Dichiarazioni | Da: Redazione

“Il pronto soccorso per un malato terminale è il luogo più improprio. Non volevo credere che nessuno avesse informato la famiglia sulle possibilità della presa in carico nel fine vita”. Livia Turco, ex ministro della Salute, si dice “indignata” dalla vicenda di Marcello Cairoli, malato terminale di tumore, deceduto in una sala del Pronto Soccorso al San Camillo di Roma. 
 
“I familiari - spiega ad Askanews - avrebbero dovuto essere orientati dal medico di famiglia e dall’oncologo: sapere di aver la possibilità di rivolgersi a una struttura per le cure palliative. E di poter attivare l’assistenza domiciliare. Non volevo credere che un malato terminale fosse al Pronto Soccorso. Chissà quanti ce ne saranno, e questo purtroppo, pur avendo noi una legge avanzatissima, la 38 del 2010, una delle più avanzate d’Europa, e che per quanto riguarda i malati terminali prevede non soltanto il potenziamento degli Hospice, ma anche le cure domiciliari”.
 
L’ex ministro della Salute individua più facce del problema: nessuno ha indirizzato la famiglia, nessuno l’ha informata sui suoi diritti “una cosa sconcertante”. Ma anche il fatto che “i temi della fase terminale della vita, del dolore, della dignità del fine vita e più in generale delle terapie anti dolore, non abbiano adeguata considerazione nella cultura medica e nella cultura politica e amministrativa. C’è un arretramento - denuncia Turco all’Askanews -: non è spiegabile, che ad anni dal varo di una delle leggi più avanzate d’Europa, queste norme non siano conosciute e siano così poco applicate. Medici, infermieri, farmacisti: tutte le strutture sanitarie devono essere preparate, devono informare, devono orientare”.
 
E il fatto che “a volte le strutture dedicate siano carenti nel nostro paese” non rappresenta una scusante: “c’è caduta di interesse su questo tema. Serve una forte azione di formazione, di sensibilizzazione. Bisogna fare in modo che questo tema torni ad essere vissuto come importante. Stiamo parlando della dignità del fine vita dopo tanta retorica e scontri sul testamento biologico poi abbiamo un malato terminale che muore nel Pronto soccorso?”. E, osserva: “non è una questione di risorse: questo è un diritto. E’ un livello essenziale di assistenza”.
 
E poi è una questione di umanità, avverte l’ex ministro della Salute: “serve calore umano da parte dei medici e da parte di tutti. Perché non solo un malato terminale non va inviato al Pronto Soccorso, ma una volta lì chi gestisce la struttura non può non attivarsi per trovare un’altra soluzione. Stiamo parlando di persone non di numeri. Umanità. Questo serve. Non posso credere che gli operatori del San Camillo non abbiano sentito questa responsabilità: alzare il telefono e indirizzare il paziente in un Hospice di Roma. Non ci posso credere! Non puoi lasciarlo morire in barella in pronto soccorso”.

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