Il Blog di Livia Turco

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Categoria: Articoli pubblicati

Migranti, la strada buona dell’Italia L’analisi

14 Luglio, 2014 (10:52) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

 Di Livia Turco da L’Unità - 7 luglio

Con l’operazione Mare Nostrum e la predisposizione del piano di accoglienza che sta facendo il governo, l’Italia finalmente sta gestendo il dramma degli arrivi e dei morti in mare con la consapevolezza che non siamo di fronte ad una emergenza ma ad un fenomeno di lungo periodo, strutturale e chiama per nome coloro che sfidando la morte arrivano da noi: non sono clandestini ma persone che fuggono dalle guerre, dai conflitti, dalle carestie e dunque bisognosi di protezione internazionale. Questo flusso è destinato a durare e l’Italia al pari degli altri Pasei europei, deve essere attrezzata a gestire politiche di accoglienza e di integrazione. Come è stato scritto da più parti, deve fare i compiti a casa per avere l’autorevolezza di imporre una svolta europea. Che è ormai improcrastinabile per l’Europa stessa e non solo per l’Italia. Il ritardo che dobbiamo recuperare è il frutto di quelle dissennate politiche del centrodestra basate sul facile slogan: no all’immigrazione, sono tutti clandestini. Tali politiche e tale retorica, che ha coinvolto il sentimento profondo degli italiani, hanno paralizzato il nostro Paese dentro la spirale: spiazzati dagli eventi e costretti a rincorrere l’emergenza, costretti a stanziare risorse ingenti per l’accoglienza. Facendo un grave danno al nostro Paese che si sentiva in balia di presunte invasioni e si è trovato ,anche a causa di quella retorica sbagliata a gestire da solo i problemi. Aver confuso immigrazione economica e richiedenti asilo ha creato danni enormi. Ora finalmente ci si è incamminati sulla buona strada. Bisogna proseguire e gestire tutta la politica dell’immigrazione con un ottica di lungo periodo. Bisogna rispondere ad interrogativi cruciali e molto concreti: come cambierà l’immigrazione nei prossimi anni sul piano internazionale? Quale sarà nei prossimi anni la dinamica dei flussi migratori? Quale rapporto tra l’immigrazione, la crisi economica attuale ed il rilancio della crescita e dello sviluppo in Europa? Come costruire il motto europeo della «Unità nella diversità»? Cosa significa questo per l’Italia? Quale società, quale nazione dobbiamo costruire nel nuovo millennio? Bisogna partire dalla consapevolezza che l’immigrazione non è un segmento della società ma un «fattore», un «agente» del cambiamento. È un «determinante» della crescita,dello sviluppo e della coesione sociale. L’Europa per uscire dalla crisi ha bisogno di investire sul capitale umano, sulla promozione della mobilità delle persone, sulla costruzione di legami, contatti, scambi economici, sociali e culturali con i Paesi del Mediterraneo e dell’Europa Orientale. La promozione della mobilità delle persone e la valorizzazione del capitale umano dovrebbe essere la cifra peculiare del suo modello di sviluppo. Per questo e non solo per la sua composizione demografica avrà bisogno dell’immigrazione. Pertanto l’innovazione da costruire dal punto di vista del suo modello sociale è come rendere praticabile la mobilità delle persone. Bisogna inventare politiche di welfare che garantiscano la portabilità dei diritti, a partire da quelli pensionistici, proteggano dalla caduta nella povertà. Bisogna facilitare la libera circolazione dei lavoratori immigrati lungoresidenti nello spazio europeo. Definire quote di ingresso a livello europeo, promuovere parternariati per la mobilità delle persone.Bisogna definire politiche di ingresso per lavoro mirate e differenziate, come l’ingresso per ricerca di lavoro, sponsor collettivi includendo anche le università’ per incentivare l’ingresso di studenti stranieri. Politiche attive del lavoro che puntino alla qualificazione e valorizzazione anche dei lavori svolti dai migranti, come il lavoro di cura. Vi è poi il tema cruciale «quale convivenza, quale nazione, quale società europea vogliamo essere». Credo sia necessario che su questo si apra finalmente un dibattito pubblico. Non basta accontentarsi della situazione di fatto in cui ci troviamo che vede prevalere un modello di integrazione basato sullo stare gli uni accanto agli altri senza distrurbarsi ma senza fare la fatica del conoscersi e riconoscersi. Bisogna definire un orizzonte comune e condiviso di valori, avere obbiettivi comuni di crescita e sviluppo del nostro Paese, bisogna costruire relazioni positive tra italiani ed immigrati. Insomma,bisogna costruire il motto europeo del ‘unità nella diversità.Torna allora cruciale la questione della partecipazione politica dei migranti. Per sollecitare e rendere concreto l ‘esercizio della responsabilità verso il Paese che li ospita. Cittadinanza per i figli dei migranti nati in Italia, diritto di voto e partecipazione politica:sono battaglie che il Pd deve rilanciare e condurre con determinazione.

Storie dell’Italia invisibile

16 Maggio, 2014 (14:48) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco da L’Unità

C’è un’Italia invisibile che produce quel bene straordinario che e’la solidarietà umana. Un’Italia nascosta, non vista dalla politica e dai media che con entusiasmo ma anche con tanta fatica, perché la solitudine pesa, si dedica alle persone fragili ed in difficoltà per  promuoverne la dignità’ e non solo alleviarne la sofferenza. Un’Italia che produce un “oro che non brilla”. Così mi sento di definire le tante comunità, esperienze di inserimento attivo, servizi sociali.

Tali luoghi trasmettono un  calore umano e promuovono un accoglienza che sono oro prezioso per le persone che li vivono e ne hanno bisogno. Questo “oro ” non ha però la giusta considerazione sociale,politica e culturale,dunque non brilla..Ne ho avuto conferma nella giornata del primo maggio che ho trascorso in uno di questi luoghi in cui si produce “l’oro che non brilla”, la Comunità di Capodarco di Grottaferrata.

Questa comunità ha una lunga storia,ha animato tante esperienze innovative,si avvale di tante strutture e costituisce,insieme a tante altre in Italia,un pilastro della coesione sociale. Giovedì’ scorso  vi ho ritrovato uno dei Padri Fondatori, il tenacissimo Don Franco, vi ho ritrovato gli operatori che ne hanno costruito la storia ed hanno un bagaglio straordinario di competenze,ho conosciuto operatori e operatrici  giovani , pieni di slancio.

Capodarco accoglie persone in difficoltà, soprattutto disabili, e offre loro ed alle loro famiglie un contesto di vita normale, in cui stare con gli altri,svolgere le attività connesse alla loro autonomia personale,sperimentare e sviluppare le proprie capacita’attraverso esperienze lavorative nella cooperativa agricola, nel via vai..ecc..La festa del primo maggio è stata una occasione per le famiglie di ritrovarsi, di stare in allegria ed in compagnia, per i ragazzi di mettere a disposizione degli altri i propri talenti ad  esempio esibendosi nel  canto e nella musica. Ho avuto conferma stando con loro di quanto sia prezioso per genitori e figli stare con gli altri, condividere un pezzo di vita normale, vivere momenti di allegria e serenità, mescolati con tanti altri.

La Comunità di Capodarco svolge questo inserimento attivo delle persone attraverso un sistema integrato in cui lavorano insieme la casa famiglia, l’inserimento lavorativo nell’agricoltura, la formazione professionale. Il tutto animato dal sentimento dell’accoglienza che riconosce e da’ dignità alle persone attraverso  il rispetto ed il calore delle relazioni umane. Coltivano da anni il progetto che Don Franco chiama “Prima del dopo”, vale a dire offrire alla persona con disabilita’intellettiva ed alla sua famiglia un contesto di vita normale,in cui vivere relazioni con gli altri,sperimentare ed attivare  le proprie capacità’,sentire il sostegno alla propria fragilità’.

Soprattutto, uscire dalla solitudine, perché essa non solo rende infelici ma blocca ogni stimolo all’iniziativa ,ogni pensiero positivo,ogni anelito alla speranza. Questo progetto è condiviso e portato avanti da tante famiglie ed associazioni. Penso per esempio all’Anfas, associazione storica di famiglie con figli disabili intellettivi che hanno inventato il Dopodinoi che ora vuole essere preparato dal “durante noi”. Genitori  che con l’ amore e l’impegno per i diritti e la  dignità  dei  figli consentono loro di vivere più  a lungo…ma…si chiedono, cosa sarà di loro  quando noi non ci saremo più’?

La domanda di questi genitori interpella ciascuno di noi. Interpella la politica. Nella precedente legislatura avevamo elaborato nella Commissione Affari Sociali della Camera un testo di legge sul “Dopo di noi”che era stato votato all’unanimità e poi è stato fermato per mancanza di risorse..Se Il presidente Renzi sostenesse oggi quel provvedimento sarebbe un bellissimo segnale dell’Italia che “cambia verso”.

Nella bella Gionata del primo maggio alla Comunità di Capodarco di Grottaferrata ho avuto ulteriore conferma che questo nostro paese ha bisogno di vivere una nuova primavera delle politiche sociali. Che le consideri finalmente politiche di sviluppo. Che coinvolga attori nuovi come le imprese ed i soggetti economici. Che investa sulle competenze delle persone e delle famiglie,che consideri il Terzo Settore non solo il gestore di servizi mai il soggetto che con il pubblico elabora le scelte e le politiche  a partire dai suoi speri e dalle sue competenze..come peraltro e’previsto da una legge in vigore, la 328/2000,la legge della  dignità sociale.

Livia Turco

Parità di genere. Il voto di giovedì è un pesante arretramento

12 Marzo, 2014 (19:23) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da l’Unità del 12 marzo 2014

Quella della democrazia paritaria è una questione di qualità e forza della democrazia. Infatti, la presenza paritaria di donne e uomini misura la democrazia nella sua capacità di essere inclusiva, di costruire un legame autentico  con la vita delle persone e dunque di essere efficace nel governo del Paese.

Altroché poltrone delle deputate……Alle quali va la gratitudine di essersi impegnate con generosità e intelligenza in una riforma vitale per il Paese, rispettando cosi il  patto con tante donne che si sono mobilitate attivamente in una battaglia che ha una storia ormai ventennale. Una battaglia per fortuna condivisa da tanti uomini. Per questo il voto di giovedì costituisce un pesante arretramento, tanto più grave ed incomprensibile perché avviene in una congiuntura politica che ha l’ambizione di riformare il sistema politico.

Quella della democrazia paritaria  è infatti una  fondamentale riforma del sistema politico , è un aspetto qualificante dell’assetto democratico nel suo insieme.
Ciò’che oltre vent’anni di battaglie , mobilitazioni, riflessioni, evoluzione del pensiero giuridico, esperienze concrete hanno confermato e’proprio questo:la democrazia paritaria o diventa di tutte le forze politiche,diventa il tratto distintivo del sistema politico o resta inefficace. Non può essere la bandiera di un solo partito. Che deve fare la sua parte,essere di traino ed esempio,come e’stato ed ha fatto il PD! Che, proprio per questo non doveva rinunciare a porre tale riforma al centro del negoziato con le altre forze politiche nel momento in cui si affrontano le riforme complessive del sistema , per fare di essa un tratto distintivo della modernizzazione da realizzare finalmente in modo compiuto.

L ‘affermazione del premier e segretario del PD Matteo Renzi,secondo cui il suo partito continuerà a farsi carico della rappresentanza di genere contiene in realtà’ un equivoco ed offusca il salto di qualità’che l’intero sistema politico deve realizzare.

L’equivoco è che nel PD la democrazia paritaria sia garantita dalla coerenza del Leader quando invece essa,per merito prima di tutto delle donne,e’diventata parte integrante del suo Statuto,delle sue regole e della cultura politica del partito.
Come ho prima accennato quella della democrazia paritaria e’una battaglia che ha una lunga storia di iniziative parlamentari,di battaglie sociali,di evoluzione del pensiero giuridico. Essa ebbe un inizio importante nel 1987 quando le donne del PCI sulla base di un progetto politico che aveva come parola d’ordine “dalle donne la forza delle donne” convinsero il loro partito e l’elettorato femminile e portarono  in Parlamento alla Camera un numero di donne che costituivano il 30%del loro gruppo politico. Si resero subito consapevoli che quella loro forza da sola non avrebbe potuto realizzare il cambiamento sperato e necessario alla società Italiana.

Abbandonarono il legittimo orgoglio e costruirono un alleanza con le donne degli  altri partiti affinché il riequilibrio  della rappresentanza diventasse un progetto di tutte le donne e di tutte le forze politiche. Da questa scelta scaturirono nel 1993  le riforme legislative contenenti le prime norme antidiscriminatorie. Cui seguirono le  sentenze della Corte Costituzionale che ne annullò i dispositivi innovativi. La reazione fu una mobilitazione sociale e culturale ancora più intensa all’insegna del patto tra donne. Fino ad arrivare nel 2003 alla riforma costituzionale relativa all’articolo 51 che afferma “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Tale riforma ha consentito gli interventi legislativi successivi tra cui il più significativa è la legge n.215 /2012 che consente nei consigli comunali l’espressione della doppia preferenza con l’indicazione di un uomo e di una donna. Legge che sta dando buoni risultati.
Le regole da sole non bastano. C’è  bisogno  di progetti politici,di pratica politica.
Le regole tuttavia sono essenziali e devono essere capaci di costruire per tutti e tutte una casa solida ed accogliente.

Livia Turco

Crisi di Governo. Perché avrei votato “No” in Direzione

17 Febbraio, 2014 (16:52) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

di Livia Turco, da l’Unità del 16 febbraio 2013

Se facessi parte della direzione del PD, giovedì scorso, avrei votato No all’ordine del giorno che dichiara conclusa l’esperienza del Governo Letta. Per una ragione molto semplice. In quell’atto non è contenuta alcuna proposta politica ma si avvalla in modo ipocrita una operazione di potere cinica e spregiudicata. Dal mio punto di vista,grondante di immoralità.

Si chiude l’esperienza di un governo ,nata in un momento di eccezionale crisi sociale e della rappresentanza politica,voluta dal Pd e guidato da un suo leader di primo piano,in nome della responsabilità’ verso il Paese; si compie un atto duro e senza precedenti come la sfiducia del proprio leader in una sede di partito,si fa tutto questo senza che ne siano indicate le ragioni e  che sia tracciata una prospettiva politica e programmatica per il futuro. l’unico elemento chiaro e’che bisogna cambiare leader e compagine di governo.

Guardo alle vicende con passione ma senza partigianeria. Ho criticato il Presidente Letta quando non è stato capace di sostituire la Ministra  Cancellieri, ho criticato come tanti la vicenda dell’IMU, che un giorno c’era,l’altro scompariva per poi ritornare. Ma, questo governo ha fatto cose buone ed importanti per l’Italia.Se il PD  non impara a valorizzare ciò che fa, se non adotta uno spirito di squadra, non sarà mai  percepito come forza credibile, di cui fidarsi..

Bisogna cambiare passo, adottare una politica più netta per il lavoro, la crescita, contro le diseguaglianze. Nella  consapevolezza che tale partita si gioca prima di tutto in Europa. Ciò che mi colpisce del linguaggio e delle mosse del segretario del PD è l’enfasi sulla velocità, sulla  vitalità della giovinezza, sull’azzardo, sul giocarsi tutto.
Come se la questione della crisi italiana e del governo del Paese fosse legata essenzialmente alle capacità ed alla forza di un Leader. E’ stata importante la determinazione con cui ha imposto la riforma della legge elettorale, la riforma del Senato e del federalismo.

E’ bastato che dalle conferenza stampa si passasse alle Aule parlamentari perché la velocità si smorzasse e le indicazioni temporali si facessero più caute. Perché un conto sono le dichiarazioni altro è il percorso parlamentare, che certo va rivisto,razionalizzato ma, obiettivamente, e fortunatamente, contempla il tempo del dialogo, del confronto,della costruzione condivisa delle soluzioni. Perché questa è  la democrazia. Ha ragione Enrico Letta quando osserva che da tempo chiedeva al PD le proposte per una nuova fase del governo e gli veniva risposto che prima bisognava  portare a casa la riforma della legge elettorale.

Non è questione di galanteria ma di scelte politiche, di concezione e pratica della politica. Un partito che si rispetti ed una leadership all’altezza dichiara in modo esplicito le sue intenzioni e la sua strategia. Io credo che sarebbe stato meglio per il Paese la distinzione dei due piani:l’azione di governo aggiornata ed affidata ad un Letta bis;l’azione delle riforme istituzionali e della politica affidata al partito ed al suo leader. Il segretario del PD, proprio grazie  al mandato delle primarie che lo ha eletto segretario, avrebbe dovuto proseguire l’azione per le riforme istituzionale accompagnandola con una mobilitazione del Paese, attraverso un dialogo vero con i cittadini, coinvolgendo il popolo delle primarie.

Perché la  crisi profonda della politica è di legittimità ed  autorevolezza; è crisi della rappresentanza. Per risalire la china bisogna ricostruire un legame vero e profondo con le persone. Bisogna frequentare i luoghi della vita quotidiana,le roccaforti del disagio sociale. In questi mesi, il partito, gli iscritti, il popolo delle primarie sono stati ridotti a spettatori delle mosse del leader  e siamo ricaduti in taluni momenti al peggior politichese..

Quello che è accaduto in questi giorni ha aperto una ferita. Credo  siano in tanti a viverla. La ferita provocata  da una politica come gioco di potere,come personalismo,come indifferenza verso la comunità. Dove è finita la promessa di una politica nuova?

Livia Turco

Quell’Italia inascoltata vuole una rivoluzione della dignità

11 Novembre, 2013 (16:17) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da l’Unità dell’11 novembre 2013

Perché è importante nell’Italia di oggi un partito che sia comunità, soggetto collettivo che promuova una politica popolare, che attivi la militanza ed in cui le persone si iscrivano? Oggi, non ieri. Non è questione di nostalgia per le proprie tradizioni. Parliamo dell`oggi, di questa nostra Italia. Guardiamola ed ascoltiamo ciò che ci dice. C`è una domanda fortissima di giustizia sociale, di dignità; ci sono situazioni di profonda solitudine e di sofferenza.

C`è una estraneità dalla politica ed un silenzio vissuti soprattutto da chi è debole, è ai margini, vive tutto il suo tempo con l`assillo del reddito che manca, del lavoro che non c`è. C`è l`Italia del coraggio e dei talenti, di chi, imprenditore, lavoratore, operatore sanitario e sociale, si rimbocca le maniche ed inventa nuove strategie, nuovi stili di vita, nuovi beni o riscopre beni trascurati come la natura e l`uso del tempo. Il problema è, allora, come far sentire la politica utile a chi soffre ed è estraneo, rendendolo protagonista del suo destino, e come valorizzare le competenze e l`ingegno di chi inventa e costruisce strade nuove.

Sono due facce della stessa medaglia. È la sfida di una democrazia che voglia mantenere fede al suo ideale egualitario, eguaglianza di dignità e di opportunità. È la sfida di una democrazia inclusiva. Quella limpidamente scritta nell`articolo 3 della nostra Costituzione, in particolare nel suo secondo comma. Se il tema fondamentale dell`Italia e dell`Europa è la lotta alle diseguaglianze, per creare sviluppo e giustizia sociale non bastano politiche economiche e sociali che abbiano chiaro questo obiettivo.

Bisogna affermare una visione della società, un `idea, un progetto che metta al centro la dignità della persona e del lavoro. La rivoluzione della dignità come ci propone Gianni Cuperlo nella sua mozione. In particolare è necessario che rinasca un protagonismo sociale, che si ricostruisca a partire dalla vita delle persone una «pratica sociale del cambiamento». Questo è l`oggetto della militanza. Che si è smarrito perché, a partire dalla fine degli anni `80 si è frantumato l`agire collettivo. Con la crisi dei grandi e tradizionali soggetti collettivi, con la crisi e l`esaurimento dei movimenti. Sono prevalsi successivamente, anche per l`avvento della società liquida e della atomizzazione del mondo del lavoro, l`isolamento, l`individualismo, la cultura del fare da sé.

Bisogna ricostruire, rendere efficace e dotare di senso l`azione sociale, la pratica sociale del cambiamento. Ricostruire attori sociali. Ascoltare quelli e quelle che agiscono, sono all`opera, anche se lo fanno in modo silenzioso. Penso alle donne ed al volontariato. È un tema questo che riguarda il Pd? Io penso di si. Se lo riguarda allora bisogna chiedersi come, ad esempio, si combatté la povertà nel proprio territorio, come si costruisce convivenza tra italiani ed immigrati nel proprio quartiere, come si dà dignità al lavoro nel proprio luogo di lavoro, come si valorizza la formazione nella propria scuola.

Bisogna mettere i rete queste esperienze, per realizzare scambi di pensieri ed esperienze e produrre nuovi pensieri, nuova cultura. Bisogna ricostruire la pratica della collaborazione come scrive R.Sennet nel suo bel libro «Insieme». Trarre vantaggio dall`essere insieme, realizzare ciò che non si riuscirebbe a fare da soli. Bisogna essere curiosi ed umili, imparare da chi ogni giorno pratica la solidarietà ed inventa nuovi linguaggi. Per fare questo non basta un partito che consulti ogni tanto i cittadini, che consenta loro di eleggere i dirigenti ed i candidati alle primarie.

C`e`bisogno di un partito che abbia l`autorevolezza e la capacità di chiedere alle persone di dedicare un po` del proprio tempo, della propria passione civile, dei propri sentimenti, delle proprie competenze per costruire il cambiamento nel proprio ambiente di vita e di lavoro. Oltre che per il Paese intero. Questo è il senso della militanza. Altrochè zavorra del passato. Essa oggi è l`espressione più genuina ed autentica della politica come bene comune e come servizio. È volontariato per gli altri e non solo manifestazione dell` «io», della propria voglia di esserci e contare. Per questo chi decide di condividere e praticare un progetto di cambiamento, di costruire una comunità e lavora per gli altri non può solo essere ascoltato dai suoi dirigenti né può essere messo sullo stesso piano di chi intende e pratica la politica solo come scelta del suo leader.

Livia Turco

Quell’Italia inascoltata vuole una rivoluzione della dignità

11 Novembre, 2013 (16:15) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da l’Unità dell’11 novembre 2013

Perché è importante nell’Italia di oggi un partito che sia comunità, soggetto collettivo che promuova una politica popolare, che attivi la militanza ed in cui le persone si iscrivano? Oggi, non ieri. Non è questione di nostalgia per le proprie tradizioni. Parliamo dell`oggi, di questa nostra Italia. Guardiamola ed ascoltiamo ciò che ci dice. C`è una domanda fortissima di giustizia sociale, di dignità; ci sono situazioni di profonda solitudine e di sofferenza.

C`è una estraneità dalla politica ed un silenzio vissuti soprattutto da chi è debole, è ai margini, vive tutto il suo tempo con l`assillo del reddito che manca, del lavoro che non c`è. C`è l`Italia del coraggio e dei talenti, di chi, imprenditore, lavoratore, operatore sanitario e sociale, si rimbocca le maniche ed inventa nuove strategie, nuovi stili di vita, nuovi beni o riscopre beni trascurati come la natura e l`uso del tempo. Il problema è, allora, come far sentire la politica utile a chi soffre ed è estraneo, rendendolo protagonista del suo destino, e come valorizzare le competenze e l`ingegno di chi inventa e costruisce strade nuove.

Sono due facce della stessa medaglia. È la sfida di una democrazia che voglia mantenere fede al suo ideale egualitario, eguaglianza di dignità e di opportunità. È la sfida di una democrazia inclusiva. Quella limpidamente scritta nell`articolo 3 della nostra Costituzione, in particolare nel suo secondo comma. Se il tema fondamentale dell`Italia e dell`Europa è la lotta alle diseguaglianze, per creare sviluppo e giustizia sociale non bastano politiche economiche e sociali che abbiano chiaro questo obiettivo.

Bisogna affermare una visione della società, un `idea, un progetto che metta al centro la dignità della persona e del lavoro. La rivoluzione della dignità come ci propone Gianni Cuperlo nella sua mozione. In particolare è necessario che rinasca un protagonismo sociale, che si ricostruisca a partire dalla vita delle persone una «pratica sociale del cambiamento». Questo è l`oggetto della militanza. Che si è smarrito perché, a partire dalla fine degli anni `80 si è frantumato l`agire collettivo. Con la crisi dei grandi e tradizionali soggetti collettivi, con la crisi e l`esaurimento dei movimenti. Sono prevalsi successivamente, anche per l`avvento della società liquida e della atomizzazione del mondo del lavoro, l`isolamento, l`individualismo, la cultura del fare da sé.

Bisogna ricostruire, rendere efficace e dotare di senso l`azione sociale, la pratica sociale del cambiamento. Ricostruire attori sociali. Ascoltare quelli e quelle che agiscono, sono all`opera, anche se lo fanno in modo silenzioso. Penso alle donne ed al volontariato. È un tema questo che riguarda il Pd? Io penso di si. Se lo riguarda allora bisogna chiedersi come, ad esempio, si combatté la povertà nel proprio territorio, come si costruisce convivenza tra italiani ed immigrati nel proprio quartiere, come si dà dignità al lavoro nel proprio luogo di lavoro, come si valorizza la formazione nella propria scuola.

Bisogna mettere i rete queste esperienze, per realizzare scambi di pensieri ed esperienze e produrre nuovi pensieri, nuova cultura. Bisogna ricostruire la pratica della collaborazione come scrive R.Sennet nel suo bel libro «Insieme». Trarre vantaggio dall`essere insieme, realizzare ciò che non si riuscirebbe a fare da soli. Bisogna essere curiosi ed umili, imparare da chi ogni giorno pratica la solidarietà ed inventa nuovi linguaggi. Per fare questo non basta un partito che consulti ogni tanto i cittadini, che consenta loro di eleggere i dirigenti ed i candidati alle primarie.

C`e`bisogno di un partito che abbia l`autorevolezza e la capacità di chiedere alle persone di dedicare un po` del proprio tempo, della propria passione civile, dei propri sentimenti, delle proprie competenze per costruire il cambiamento nel proprio ambiente di vita e di lavoro. Oltre che per il Paese intero. Questo è il senso della militanza. Altrochè zavorra del passato. Essa oggi è l`espressione più genuina ed autentica della politica come bene comune e come servizio. È volontariato per gli altri e non solo manifestazione dell` «io», della propria voglia di esserci e contare. Per questo chi decide di condividere e praticare un progetto di cambiamento, di costruire una comunità e lavora per gli altri non può solo essere ascoltato dai suoi dirigenti né può essere messo sullo stesso piano di chi intende e pratica la politica solo come scelta del suo leader.

Livia Turco