Il Blog di Livia Turco

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Month: Aprile, 2020

Sì all’obbligatorietà del servizio civile

18 Aprile, 2020 (16:23) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Caro direttore, ripensare e rilanciare il Servizio Civile Universale è l’interessante proposta che un folto gruppo di personalità il 7 aprile scorso ha illustrato su questo giornale in dialogo con lei, trovando anche un riscontro positivo nelle parole del ministro competente e del presidente del Consiglio. La pandemia ha dimostrato la necessità di grandi competenze per il bene comune. Di qui la proposta di rilanciare e ripensare il Servizio Civile come una forza nazionale giovanile con la missione di aiutare le fasce deboli della popolazione a fianco della Protezione Civile e di altre organizzazioni. Una forza dotata di una adeguata formazione. E costruita pensando anche alla fragilità del pianeta. In futuro altre emergenze economiche, ambientali e sanitarie saranno inevitabili. Condivido il punto di fondo: la società che dobbiamo curare e reinventare ha bisogno di molte competenze che promuovano il bene comune.

Il dramma dei nostri vecchi che muoiono nelle case di riposo, le grandi lacune della medicina territoriale nonostante l’Organizzazione mondiale della Sanità l’abbia indicata e definita in modo ben preciso nella Conferenza di Alma Ata nel 1978, come ‘benessere della persona e della comunità’, dimostrano che ci vuole un cambio di paradigma e insieme alle risorse pubbliche sia necessario costruire una ‘comunità competente’ e attiva per promuovere quel fondamentale bene comune che è la salute.

Se questa ‘comunità competente’ è una componente fondamentale del welfare che dobbiamo ricostruire, cioè se la questione è la mobilitazione e la promozione delle competenze dei cittadini per la promozione dei beni comuni, allora bisogna essere consapevoli che non basta attribuire al meraviglioso volontariato, alla capacità di dedizione dei cittadini, alle organizzazioni del Terzo settore il compito di sollecitare in tale direzione. Bisogna mettere in discussione, scardinare, anche attraverso un dibattito pubblico, la scansione del tempo che caratterizza la nostra società e la considerazione pubblica riconosciuta ai vari lavori e alle forme di impegno sociale. Oggi abbiamo una scansione del tempo che considera la cura delle persone un tempo privato, il lavoro retribuito il tempo pubblico che fonda diritti e cittadinanza ed alimenta la nostra democrazia, il tempo della gratuità e del dono come tempo onorato e anche riconosciuto nella Costituzione nella sua funzione di sussidiarietà rispetto al pubblico e in talune leggi e politiche (La legge 328/2000 sulle politiche sociali con la pratica della co-progettazione e le recente riforma del Terzo Settore), ma confinato in un cono d’ombra affidato al buon cuore dei cittadini.

Se, dunque, il tema cruciale oggi è promuovere la ‘comunità competente’ per la realizzazione dei beni comuni, il tempo della cura delle persone, il prendersi cura delle persone deve essere riconosciuto anche come tempo pubblico, ingrediente della democrazia e motore della cittadinanza.

È compito della Repubblica, in osservanza all’articolo 2 della Costituzione, promuovere la rilevanza pubblica del tempo della cura. Sollecitare le persone a prendersi cura degli altri. Aiutare con politiche pubbliche chi aiuta. Viviamo in un mondo interconnesso e l’esperienza della pandemia ci ha fatto e ci fa vivere la consapevolezza del legame che ci unisce l’uno e l’una agli altri e alle altre sul piano globale.

Bisogna cogliere questa esperienza di vita e aiutare le persone a elaborare questa scoperta della interconnessione in modo positivo, come bisogno, attitudine, competenza a costruire comunità e legami sociali. Non è scontato che l’esperienza della interdipendenza che viviamo in questo dramma si traduca in attitudine e competenza a costruire legami sociali e a prendersi cura delle persone.

Ci vogliono esempi, buone pratiche, ci vuole il sollecito del volontariato e delle Ong. Ma ci vuole anche un esempio e un sollecito da parte delle istituzioni pubbliche. Per questo ritengo che questo sia il momento giusto per discutere di un rilancio e di una riforma del Servizio Civile Universale là dove per universale anche io – come lei, direttore – intendo obbligatorio. Chiedere ai giovani cittadini e cittadine di dedicare un tempo della loro vita alla cura delle persone. Un Servizio Civile Nazionale coprogettato e cogestito dallo Stato e dalle istituzioni pubbliche con le realtà del volontariato e del Terzo settore in un contesto europeo. Sottolineo: coprogettato e cogestito su un piano di parità. Avrebbe il vantaggio di formare i giovani alla promozione dei beni comuni, ad acquisire competenze ed a formarsi un abito mentale che saranno loro utili per tutta la vita. Favorirebbe la solidarietà tra le generazioni che è un bene prezioso. Aiuterebbe finalmente a superare la distinzione tra i sessi nella cura delle persone nel momento in cui il tempo della cura diventa un tempo pubblico e condiviso nel suo valore universale.

Il Servizio Civile Universale e obbligatorio sarebbe una grande politica che aiuta la promozione delle competenze dei giovani nei beni comuni, a costruire concretamente la comunità e il welfare universalistico e comunitario. Darebbe un volto nuovo alla democrazia e avrebbe un grande valore simbolico. Si può tornare a discuterne?

Livia Turco

Lettera ad Avvenire (17 aprile 2020)

Per una società materna

18 Aprile, 2020 (16:22) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

E’ una scoperta che stupisce gli uomini per la sua intensità umana . Il  tempo della cura modifica l’identità maschile perché consente agli uomini di esplorare una nuova dimensione della vita, rompe gli archetipi del patriarcato che persistono  nel fondo del loro animo. Li rende padri più autorevoli e capaci di svolgere una funzione educativa più   efficace perché stanno  accanto ai figli,  sono con loro  a condividere    gli aspetti quotidiani della vita che mette a contatto con tutti i bisogni, i sentimenti ,i conflitti. Curare il corpo, procurare il cibo, capire il pianto ed il sorriso, inventarsi il gioco o partecipare ad esso, cercare di guardare le cose con gli occhi del bambino per capirlo meglio, cessano di essere dei dettagli cui si guarda distrattamente, diventano incombenze impegnative in cui devi essere attento ,disponibile, imparare a fare le cose per bene dunque acquisire competenze .L’esperienza della cura arricchisce e modifica l’identità maschile e contribuisce a rendere il tempo della cura un tempo sociale e non solo un tempo femminile.

Solo se donne e uomini vivono intensamente ed alla pari il tempo della cura sarà possibile arricchire le relazioni umane e praticare  quella “mescolanza” dei tempi di vita che  costituisce  l’ambizione di ciascuna persona . Perché   mescolare  i tempi della vita significa poterne  esplorare  tutte le sue dimensioni.Il tempo della paternità promuove una nuova identità maschile e femminile dove la cura e la dimensione pubblica sono esperienze ed ingredienti di vita di entrambi i sessi. Finalmente la cura delle persone, il lavoro e la polis, la dimensione pubblica, cessano di essere tra loro in conflitto.

In questo modo sarà possibile rompere in modo definitivo gli stereotipi di genere che sono alla base di tante forme di violenza degli uomini sulle donne.

Bisogna promuovere  la cultura del dono e della gratuità ed il valore della generazione,riscoprire il  valore della   funzione educativa   anche per scrivere una nuova grammatica dei  sentimenti: tra donne e uomini, tra genitori e figli; tra giovani ed anziani.

Bisognerebbe avere il coraggio di pensare e di parlare di una “società  materna e di una politica materna”,  che faccia vivere nella società e nella politica come  ingrediente prezioso  la cura della persona, la presa in carico dell’altro, la capacità’ di tessere   i legami che ci uniscono  alle persone, di promuovere l’autonomia, i talenti ,le abilità di chi è fragile.

Stiamo diventando una società sterile anche perché le relazioni umane si impoveriscono , perdono forza e calore.

L’etica della cura, che si sprigiona in modo particolare nell’esperienza della maternità ma che appartiene al materno che vive in ciascuna donna può immettere nella società e nella relazione con gli altri  energia  fiducia, calore umano, ottimismo.

E’ il rovesciamento della mistica della maternità, è l’idea che la relazione e la cura degli altri-dei bambini, dei vecchi- non sono responsabilità e destino privato e che non c’è specificità femminile nel pensare gli asili nido o nel richiedere i congedi parentali.

La cura delle persone deve diventare un grande obiettivo politico ,un orizzonte di vita, un modo di essere delle relazioni pubbliche, un tratto della democrazia. Che recupera in tal modo la sua  funzione propria che è la promozione dei beni comuni  e la partecipazione attiva delle persone. Rendendo  così’  concreta la sua capacità inclusiva e  realizzare l’ideale democratico dell’uguaglianza non solo di opportunità ma di partecipazione alla vita sociale e pubblica.

Non si tratta solo di rivendicare dei diritti, ma dobbiamo, donne e uomini ,essere capaci di costruire un progetto di cittadinanza sul riconoscimento dei legami reciproci e sulla capacità di prendersene cura. Bisogna avere l’ambizione di costruire una Società Umana.

Ed allora bisogna prendere di petto un’altra questione e porla al centro del dibattito pubblico: i processi di mercificazione dei corpi stanno diventando così invasivi e producono forti diseguaglianze tra donne che non possono essere tollerate in nome di una generica libertà personale. Mi riferisco alla pratica” dell’utero  in affitto” che vede donne ricche ricorrere alle donne povere delle parti povere del nostro continente per comprare il loro grembo materno ed avere un figlio/a. Come se il grembo materno fosse un oggetto qualunque .E, dimenticando tanti anni di esperienza e di elaborazione femminile e non solo che hanno nitidamente individuato nella relazione madre figlio/a che si forma nel grembo materno l’inizio della formazione di una persona e di una relazione che non può essere interrotta o snaturata. Perché il grembo materno non è solo un grembo fisico ma anche un grembo psichico in cui nasce e si forma la personalità del bambino attraverso la relazione con la madre.

Stiamo dimenticando queste elaborazioni e queste acquisizioni culturali e valoriali  in nome di un relativismo etico che trovo sconcertante. II tutto avviene senza un dibattito pubblico nella sinistra . Almeno si discuta dove stiamo andando e dove vogliamo andare.

Livia Turco

Le giovani compagne

18 Aprile, 2020 (16:19) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Era il maggio del 1974. In piazza San Carlo a Torino si teneva la chiusura della campagna elettale del referendum sulla legge sul divorzio con il comizio di Nilde Iotti. Segretario del PCI torinese era Iginio Ariemma, un comunista speciale, dirigente politico ed intellettuale che ci ha lasciato pochi mesi fa dopo una dura malattia consegnandoci un suo ultimo bellissimo libro “ Perché sono stato Comunista”. E’ stata quella la prima occasione in cui ho ascoltato e visto ,seppur da lontano, Nilde Iotti.

Avevo 19 anni, da un anno vivevo a Torino, Borgo San Paolo, dopo aver lascato il mio paese Morozzo in provincia di Cuneo in cui la parola comunista o era sconosciuta o era un infamia. Ero stata conquistata dalla proposta del Compromesso Storico di Enrico Berlinguer e dal suo carisma. La molla era la giustizia sociale che avevo imparato dallo splendido esempio di vita di mio padre operaio e dalla lettura dei Vangeli nella parrocchia del mio paese. Quella campagna elettorale fu la scoperta della militanza politica e della passione politica. Segretario della Federazione Giovanile Comunista era Piero Fassino. Indimenticabile quel casa per casa, mercati, scuole, fabbriche, parchi la domenica, anche le chiese ed i comizi in tutte le strade del Borgo con un megafono  che a volte aveva una voce gracchiante ! Piero ci invogliava, ci faceva trottare!

Quella sera eravamo stanchi ma molto effervescenti, soprattutto noi giovani eravamo convinti che avremmo vinto perché avevamo sentito una sintonia tra il nostro modo di parlare di famiglia basata sui sentimenti, sulla pari dignità tra donne e uomini, sulla priorità che avevano temi come il lavoro, il salario, i servizi sociali, la sanità pubblica. Andai a quel comizio con una particolare curiosità perché sapevo che Nilde Iotti era una donna molto importante. Avevo letto i suoi articoli su Rinascita, su Donne e Politica riviste preziose del PCI. Anche se non potevamo votare perché il voto a diciotto anni fu una conquista successiva. Quella sera rimasi avvolta dall’eloquio semplice, autorevole, pieno di forza di quella donna bella ed elegante  che parlava di nuova famiglia basata sui sentimenti , dei problemi delle famiglie italiane, che si rivolgeva alle donne  perché fossero protagoniste di un cambiamento della loro vita, della società, che si rivolgeva alla coscienza cattolica ricordando che noi  comunisti volevamo una unità famigliare vera perché basata sulla forza degli affetti e dei sentimenti. Quella sera imparai anche che i comizi del PCI in Piazza San Carlo erano un evento speciale: prima la gara tra le sezioni su chi portava più persone, poi il piacere di incontrarsi, baci ed abbracci, poi l’ascolto in rigoroso silenzio di quella che era per noi militanti una vera lezione , il discorso del dirigente, gli scroscianti applausi  e poi il commento in piazza e successivamente nelle riunioni della sezione del discorso medesimo.

Nilde Iotti mi conquistò. La seguivo nei suoi discorsi e nei suoi scritti. Quando la vedevo alle tribune dei congressi del partito mi colpiva un particolare . In quei luoghi severi, con poche donne al palco lei, durante la discussione sempre profonda ed infervorata, tirava fuori dal suo borsello lo specchio ed il rossetto che si passava sulle labbra con grande tranquillità ed eleganza. Si, rimanevo colpita da questo gesto che mi appariva molto trasgressivo! Quando fu eletta Presidente della Camera il 20 giugno del 1979 fummo molto orgogliose e felici. Una donna, la nostra Nilde, un’altra personalità del PCI dopo Pietro Ingrao. Non erano anni facili per noi giovani comunisti. La scoperta drammatica del terrorismo rosso, il dovere di difendere lo Stato che noi volevamo anche profondamente cambiare, il sostegno al Governo Andreotti dopo il tragico assassinio di Aldo Moro. Ci volle il carisma di Berlinguer e di Massimo D’Alema per farcelo accettare ma furono soprattutto le grandi conquiste di quell’indimenticabile 1978- legge sul lavoro per i giovani, riforma Basaglia, legge 194, legge 833 sul sistema sanitario-  il frutto di battaglie sociali che venivano da lontano ma che trovarono il loro suggello nel momento del dramma, della unità parlamentare e del dialogo sociale.

Nilde , Presidente della Camera che veniva dalla Assemblea Costituente, varò in quei durissimi anni importanti riforme dei Regolamenti parlamentari per rendere più efficace l’azione del Parlamento. La incontrai personalmente parecchi anni dopo, in quel doloroso 1984 , l’anno della morte di Adriana Seroni, grande dirigente politica, di Enrico Berlinguer e  di una carissima compagna, che aveva la nostra età, Giusi del Mugnaio. Era la Festa Nazionale delle donne comuniste che organizzammo a Torino  insieme a Lalla Trupia, Grazia Labate, la Sezione Femminile nazionale e tutta la mia bella squadra torinese. Una festa bella, colorata, piena di iniziative culturali nuove. L’avevamo costruita con cura per allontanare da noi quel profondo senso di tristezza ed anche di smarrimento, perché sapevamo che le donne nella società erano forti, c’era un onda lunga del femminismo che aveva coinvolto tutte, le operaie della Fiat, le donne cattoliche, le intellettuali. Vennero in tanti: Alessandro Natta, Giorgio Napolitano. Massimo D’Alema, ovviamente Piero Fassino.

E venne lei Nilde, allora Presidente della Camera, venne per ricordare la figura di Adriana Seroni. Fu prima di tutto un incontro umano bello. Voleva farci sentire la sua vicinanza, ci ascoltava con curiosità , ci incoraggiò ad essere forti e determinate nelle nostre battaglie. Mi resta nel cuore quel sentimento di vicinanza e di incoraggiamento. Smisi di vederla come la dirigente autorevole ma fredda e lontana. Quando fui chiamata da Lalla Trupia a far parte della Sezione Femminile Nazionale del PCI e poi quando divenni responsabile nazionale delle donne comuniste la cercavo sempre per confrontarmi con lei perché avevo colto che lei investiva su di  noi, su quelle che lei chiamava le “giovani compagne”.

Nella discussione politica interna non sempre mi ritrovavo con le sue posizioni. Io sono sempre stata convintamente vicina alle posizioni di Enrico Berlinguer anche nella sua ultima fase quando parlava di Alternativa Democratica, di centralità della questione morale e quella sua proposta, quel suo investire sui movimenti, sui nuovi soggetti politici come le donne, l’ambientalismo, il pacifismo non erano  condivisi da tutto il partito, anzi erano motivo di discussione. Anche Nilde non era molto d’accordo. Quando Achille Occhetto propose la Svolta della Bolognina nel 1989 per il superamento del PCI , mi furono di aiuto per districarmi nei miei contradditori pensieri e sentimenti l’intervento di  Nilde ed anche di Giglia Tedesco svolti nel Comitato Centrale a favore di quella svolta con argomenti che parlavano della necessità di un nuovo pensiero e di essere coerentemente parte della famiglia del socialismo europeo.

Con le “giovani compagne” tante, che non posso nominare tutte, decidemmo un’ azione di forte innovazione del partito , della sua cultura politica, partendo dalla convinzione che ci fosse una forza sociale, culturale delle donne che doveva diventare forza politica, e per questo doveva esprimersi con una forte autonomia ed un forte gioco di squadra. Quella che chiamavamo la trasversalità femminile: insieme donne dei partiti, il femminismo, i sindacati, le associazioni. ” Dalle donne la forza delle donne” era la parola d’ordine della Carta delle Donne Comuniste nata in particolare dal dialogo con il femminismo della differenza sessuale. Eravamo nel 1986. Nilde mi sostenne nella riunione della  autorevolissima Direzione del PCI dove le donne erano 4. Ci sostenne in tutte le nostre battaglie : contro la violenza sessuale, per il riequilibrio della rappresentanza,  quando nel 1987 raggiungemmo il 30% di donne elette alla Camera.

Da Presidente della Camera ruppe il protocollo e volle essere la prima firmataria della proposta di legge d’iniziativa popolare che avevamo elaborato noi donne comuniste “ Le donne cambiano i tempi” che prevedeva congedi parentali, riduzione dell’orario di lavoro, riorganizzazione dei tempi delle città. Partecipò alla manifestazione di lancio della proposta di legge che tenemmo in piazza del Pantheon a Roma il 9 aprile 1990 facendo un discorso che dimostrava ancora una volta quanto fosse vicina e condividesse la vita quotidiana delle donne ed avesse capito  la sfida culturale  e di trasformazione sociale che quella proposta conteneva. Diventata poi legge nel 2000(Legge 53 dell’8 marzo del 2000)con i Governi dell’Ulivo.  Nel corso degli anni ho portato nel cuore come un dono prezioso lo sguardo materno e complice che Nilde Iotti mi ha trasmesso durante passaggi politici cruciali dandomi sostegno e coraggio. Quando ero Ministra della Solidarietà Sociale dei governi dell’Ulivo, appena entravo nell’Aula di Montecitorio avevo bisogno di incontrare  quello sguardo e lo trovavo ancora più intenso e luminoso degli anni precedenti, seppure stanchi e sofferenti, perché nei suoi occhi brillava l’orgoglio della prima volta della sua sinistra  al Governo del paese. Quanta energia mi trasmetteva lo sguardo di Nilde.

Livia Turco