di Livia Turco, da l’Unità del 1 novembre 2012
Non voterò la legge di stabilità all’esame alla Camera se il governo non dimostrerà con atti concreti di voler invertire tendenza sulle politiche sociali. Se non deciderà di superare la vergogna di un miserrimo e indegno stanziamento di 220 milioni di euro per l’insieme delle politiche sociali.
Se non correggerà le misure ciniche e perverse introdotte nella legge di stabilità come l’aumento dell’Iva per le cooperative sociali, la tassazione delle pensioni degli invalidi di guerra che abbiano un reddito superiore a 15 mila euro. Non è più sopportabile la trascuratezza, la sottovalutazione politica e culturale che questo governo riserva al welfare ed in particolare alle politiche sociali. Non dimentico il merito grande di aver fermato la delega fiscale e assistenziale del Ministro Tremonti che avrebbe cancellato addirittura l’indennità di accompagnamento come diritto soggettivo. Abbiamo anche apprezzato la riformulazione che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fatto della Social Card e l’impostazione innovativa nell’utilizzo dei Fondi Europei destinandone una parte agli interventi sociali considerati finalmente come parte dello sviluppo del Paese.
Ma, di fronte alla gravità della crisi e proprio in nome dell’equità dello sviluppo che questo governo si è proposto di perseguire ci saremmo attesi e ci attendiamo una maggiore attenzione alle condizioni di vita delle persone più fragili.
Ci saremmo attesi e ci attendiamo un rifinanziamento del Fondo delle politiche sociali, un progetto per la non autosufficienza e misure più incisive contro la povertà. È esattamente questo il tema centrale che abbiamo posto nei nostri emendamenti votati all’unanimità nella Commissione Affari Sociali della Camera. Il taglio vergognoso alle politiche sociali non è responsabilità di questo governo. Il taglio da 2 miliardi e 800 milioni nel 2008 (governo Prodi) agli attuali 220 milioni, meno 90%, è cominciato sin dall’inizio della legislatura ed è interamente imputabile al duo Sacconi-Tremonti. Che peraltro lo hanno sempre rivendicato sostenendo con disprezzo che i “fondini sociali” non servono a nulla, che i servizi sociali sono contenitori freddi, che ciò che conta è la gratuità ed il dono.
Dunque, il massacro che è stato attuato a partire dal 2008 nei confronti delle politiche sociali non centra nulla con la crisi economica e con i problemi di sostenibilità finanziaria. Anche perché non è francamente comparabile il peso del fondo sociale che nei suoi anni migliori ha raggiunto i 3 miliardi di euro rispetto agli altri comparti della spesa pubblica, come sanità, scuola, previdenza e politiche del lavoro. Il massacro delle politiche sociali è stato compiuto dal centro destra in nome di una certa cultura della gratuità e del dono che contrappone questi valori alla responsabilità delle istituzioni pubbliche nel promuovere in modo attivo la solidarietà. Contraddicendo l’art. 3 della Costituzione. Tradendo l’insegnamento che ci hanno dato nel corso di tanti anni coloro che promuovono ogni giorno dono e gratuità – il nostro meraviglioso volontariato e no profit – che ha sempre sfidato la politica a fare la sua parte, ad essere coerente nel creare le condizioni affinché gratuità e dono possano essere efficaci. Questo può avvenire quando ci sono istituzioni attente, presenti, che ascoltano, condividono, progettano insieme e stanziano risorse.
Ricapitoliamo la storia di questa legislatura.
Il duo Tremonti-Sacconi ha esordito con la cancellazione del Fondo per le politiche di integrazione degli immigrati, ha proseguito con i tagli al Fondo sociale, a quello per la famiglia ed il servizio civile, per le pari opportunità. Poi è stata la volta delle leggi Brunetta, che in nome della lotta ai falsi invalidi hanno cercato di modificare la legge 104 relativa ai congedi e ai permessi per le persone disabili, poi l’attacco alla legge 68 sull’inserimento lavorativo, poi ancora la riduzione del numero degli insegnanti di sostegno. Fino alla famigerata delega fiscale ed assistenziale che con un’accorta azione di alleanze e attraverso il prolungamento dei tempi del dibattito parlamentare siamo riusciti a fermare. E, come ho detto, va dato atto al governo Monti di aver fatto cadere la parte relativa al riordino dell’assistenza che avrebbe cancellato ogni diritto esigibile per le persone disabili. Rivendico la coerenza con cui noi del PD abbiamo, tante volte in solitudine, contrastato questi tagli ed avanzato proposte innovative per le persone non autosufficienti, per le famiglie e l’infanzia, per combattere le povertà. E in particolare richiamo il testo di legge unificato “Dopo di noi” che affronta un’emergenza sociale che si sta consumando nella solitudine delle famiglie. La solitudine di quei meravigliosi genitori di ragazzi disabili gravi che grazie alle loro battaglie ed il loro amore, sono riusciti a migliorare la qualità dei loro figli ed allungare il loro tempo di vita.
Ora, questi genitori vivono il dramma “che ne sarà di loro, dopo di noi, quando noi non ci saremo più” come scrive in modo mirabile il papà del bambino autistico raccontata nel bel libro “Se ti abbraccio non avere paura”. Questi genitori chiedono di non essere lasciati soli, che le istituzioni li aiutino a promuovere la presa in carico dei loro ragazzi, sostenendo ciò che fanno con le loro forze, con il loro associazionismo, con la pratica del mutuo aiuto. A sostenere i servizi che si sono inventati come le famiglie comunità, il dopo di noi, che accolgono genitori e figli quando i genitori invecchiamo. Questa legge a sostegno del dopo di noi è stata approvata all’unanimità dalla Commissione Affari Sociali ed ora giace da mesi in Commissione Bilancio. In un contesto così difficile e negativo le famiglie, le associazioni, gli operatori sociali hanno reagito si sono uniti, hanno costruito una rete un cartello. Hanno elaborato proposte portando in piazza in tante occasioni migliaia di persone come è avvenuto anche ieri. Fondo sociale, programma per la non autosufficienza, misure contro la povertà, inserimento delle persone disabili: sono proposte che un Paese civile non può che fare sue. A partire da una consapevolezza: i servizi e le prestazioni sociali non sono assistenza ma volano per lo sviluppo. Creano lavoro e benessere sociale. Creano giustizia sociale. Gli strumenti e le leggi ci sono. Bisogna applicarle. Le abbiamo costruite insieme durante una grande e bella stagione delle politiche sociali, ma non bastano. Bisogna guardare avanti, bisogna innovare. La crisi economica oggi ha bisogno di un welfare forte. Bisogna passare dai piani di zona previsti dalla legge 328 ai patti territoriali per lo sviluppo sociale, coinvolgendo nella promozione della solidarietà tutti gli attori economici e sociali, prevedendo anche, a mio avviso, fondi regionali pubblici cofinanziati con risorse private. Bisogna sostenere e potenziare il welfare aziendale e le forme di mutualità integrativa. Bisogna costruire una nuova stagione di partecipazione democratica facendo leva sulle competenze dei cittadini e rivalutando nel suo significato reale la parola sussidiarietà che è fare insieme e non delegare alle famiglie il costo della cura e della solidarietà. I servizi sociali sono un oro che non luccica, bisogna tirare fuori queste miniere d’oro, farle luccicare perché se ne comprenda il valore umano, sociale ed anche economico. Per questo bisogna cambiare strada rispetto a quella percorsa in questi ultimi anni, bisogna fermare il massacro e costruire una nuova primavera delle politiche sociali.
Livia Turco