Il Blog di Livia Turco

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Month: Agosto, 2013

La vita nei Cie. Una priorità per il Governo Letta

23 Agosto, 2013 (14:01) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da L’Unità del 23 agosto 2013

Il Governo deve intervenire subito sui Centri di identificazione ed esplulsione degli immigrati (CIE), considerando questo problema una priorità della sua agenda. Deve farlo mettendo da parte le posizioni politiche del passato e guardando ai fatti, alla cruda realtà che si squaderna di fronte agli occhi di chi entra in quei luoghi e di chi li conosce bene. Ci sono tre aspetti che rendono grave e per certi versi esplosiva la situazione:

1) Le persone che si trovano nei centri. Si tratta di condizioni umane diverse che rendono difficile la convivenza. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di persone che non dovrebbero trovarsi in quei luoghi che dovrebbero servire solo alla identificazione di chi, clandestino, nega in modo ripetuto l`accertamento delle sue generalità. Invece, grazie alle norme sulle espulsioni della Bossi-Fini e della Berlusconi-Maroni, capitano lì immigrati che da tempo sono in Italia ma che si trovano in una condizione di irregolarità perché hanno perso il lavoro e non lo hanno più trovato e dunque, sempre secondo la Bossi-Fini, non possono rinnovare il permesso di soggiorno. Poi ci sono persone che non sono mai riuscite a regolarizzarsi e altre che, appena approdate nel nostro Paese, non conoscono le regole: si sono affidate agli schiavisti che lucrano sul loro sogno di scappare dalla povertà e dalla guerra e non capiscono perché, anziché la libertà, si trovano confinati in prigioni.
C`è poi il caso dei condannati per reati commessi che, dopo aver scontato la pena in carcere, scoprono di dovere subire le sanzioni accessorie dell`espulsione. Sono nei Cie perché devono essere identificati… Paradossale che chi è stato in carcere debba essere nuovamente identificato e ciò debba avvenire in una struttura diversa dal carcere. I ministri dell`Interno e della Giustizia possono intervenire subito, per via amministrativa, stabilendo che il carcerato - che deve poi essere espulso - venga identificata durante la permanenza in carcere. Realizzando così una riduzione dei costi umani ed economici.

2) La norma che prevede un trattenimento fmo a 18 mesi per coloro che sono entrati in modo irregolare nei Paesi ospitanti ha reso questi luoghi delle vere carceri, senza le regole e i diritti previsti nelle carceri. Questa norma deve essere cancellata subito.

3) La condizione di vita nei Cie, imposta dalla politica adottata della riduzione dei costi sul cibo, l`assistenza sanitaria, la mancanza di figure professionali che potrebbero alleviare il dolore e aiutare la gestione della vita quotidiana. Su questi punti il governo Letta deve intervenire subito, d`intesa con i parlamentari ma anche con quelle associazioni come Lasciateci entrare che svolgono un ruolo prezioso. Per noi del Pd la prospettiva è quella del superamento dei Cie e l`abrogazione della Bossi-Fini. Troppe volte si dimentica il rapporto che intercorre tra i Cie e la normativa sulle espulsioni.
La normativa in vigore prevede il reato di immigrazione clandestina e l`espulsione coatta con immediato accompagnamento alla frontiera con la forza pubblica quale normale sistema di espulsione che si applica a qualunque perso- na priva del permesso di soggiorno e la detenzione carceraria per chi dopo essere stato espulso entra in modo irregolare nel nostro Paese. La legge del centrosinistra, la 40/98, prevedeva invece la sanzione amministrativa con l`intimazione a lasciare il territorio attraverso la concessione del foglio di via, l`accompagnamento coatto alla frontiera era previsto solo nei casi di persone che potevano rappresentare un pericolo per la sicurezza del nostro Paese ed era disposto dal prefetto o dal questore. Dunque, nella legge del centrosinistra chi era irregolare non veniva espulso o rinchiuso nei centri di permanenza temporanea ma subiva una sanzione amministrativa e veniva intimato a lasciare il territorio o a regolarizzarsi.
Il trattenimento nei Centri di Permanenza era previsto solo nei casi di persone che negavano in modo ostinato l`accertamento delle loro generalità ed il trattenimento durava trenta giorni procrastinabile a 60. Ecco perché è molto grave, e diffamatorio ed inaccettabile sul piano del diritto e dei fatti, che si stabilisca una sorta di linea di continuità tra la legge 40/98 e gli attuali Cie come viene proposto da taluni ambienti. L`Italia è diventata un Paese di immigrazione, in cui la popolazione immigrata è stabile e integrata. Per questo è arrivato il tempo di deporre l`ascia delle ideologie, delle contrapposizioni di principio per adottare il criterio della valutazione dell`efficacia delle politiche. Sarà un bel giorno quello in cui tutte le forze le forze politiche e sociali, insieme, scriveranno una nuova legge quadro sull`immigrazione.

Per questo ha fatto bene la ministra Kyenge a parlare di un tavolo di lavoro comune per cominciare ad affrontare il tema. Sarebbe un grande servizio al Paese se il governo Letta facesse un gesto per la dignità del più deboli, di quelle persone che noi non vediamo e talvolta non vogliamo vedere, cominciando a cambiare questi luoghi disumani che sono i Cie.

Immigrazione e cambiamento delle società europee

14 Agosto, 2013 (12:33) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da L’Unità del 14 agosto 2013

In questi giorni in cui si susseguono gli sbarchi sulle nostre coste di persone che fuggono dalla povertà e dalla guerra, Governo e forze politiche hanno giustamente posto la necessità che l’Italia non sia lasciata sola nel gestire l’emergenza e che ci sia una politica Europea sull’immigrazione. Essa è talmente necessaria e cruciale che è doveroso non solo invocarla ma entrare nel merito in modo concreto. Con una premessa: l’Europa non può essere invocata per esonerare in qualche modo il nostro paese dal dovere di accoglienza. C’è innanzitutto una questione di approccio.

Quello dell’immigrazione non è una questione specifica da trattare in un ottica e con politiche specifiche. Essa è un ingrediente ed è motore del cambiamento delle società europee. Dunque va collocata all’interno della politica estera e della politica economica e sociale europea. Nella consapevolezza che non è facile definire una politica comune perché diverse sono le configurazioni sociali, culturali e gli interessi dei singoli paesi europei, tra quelli del nord Europa e quelli che si affacciano sul Mediterraneo. Una politica comune e non solo intergovernativa deve partire dalla consapevolezza che proprio la crisi economica e sociale comporta delle innovazioni nella gestione del mercato del lavoro e del Welfare in cui l’elemento immigrazione può svolgere un ruolo importante. Per esempio la mobilità delle persone sarà un requisito indispensabile per un mercato del lavoro efficiente.

Ed allora ecco un primo indirizzo di una politica comune europea: facilitare la mobilità all’interno dei paese dell’Unione europea degli immigrati lungo residenti a partire dalla concessione dei visti per consentire loro di spostarsi dal paese di residenza per cambiare o trovare un nuovo lavoro. Ciò significa anche garantire la portabilità dei diritti per non penalizzare chi ha la disponibilità a muoversi ed a rischiare. Se e ‘ vero che la competenza relativa alle quote di ingresso per lavoro è in capo agli stati nazionali, anche in relazione alla crisi economica ed alle innovazioni da costruire, sarebbe utile definire un quadro europeo dei fabbisogni di professionalità e competenze per gestirli con flessibilità “ed il principio di mobilità prima indicato. È  urgente, inoltre, che l’Unione Europea solleciti gli Stati e promuova essa stessa in prima persona politiche di parternariato con i Paese del Mediterraneo e con l’Africa per la cooperazione ,il co -sviluppo, utilizzando anche le competenze degli immigrati che sono da molto tempo nei nostri paesi ma sono ben legati ai loro luoghi di origine.

Così come è importante incentivare l’immigrazione circolare e le politiche dei rimpatrii assistiti. L’altro indirizzo di una politica comune riguarda l’integrazione. Passi significativi sono stati compiuti in questi anni, almeno dal punto di vista de gli indirizzi politici e culturali. L’Unione Europea ci sollecita alla interculturalità attraverso la pratica della interazione, mette in risalto il ruolo della scuola, l’attenzione ai giovani ed alle donne, il ruolo fondamentale dell’associazionismo dei migranti. Bisogna estendere a livello europeo il riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati lungoresidenti come fattore di integrazione, di costruzione di un legame di appartenenza e dunque di diritti e doveri verso il paese in cui si è nati e si cresce. Bisogna rilanciare la cittadinanza di residenza ed il diritto i voto a livello locale come previsto da una ormai longeva Convenzione .Cruciale è la questione del diritto d’asilo.

Passi in avanti sono stati compiuti con la recente direttiva per quanto attiene la definizione di procedure comuni per la identificazione del rifugiato e di uno standard comune per l’accoglienza. Resta da risolvere la questione contenuta nel dispositivo”Dublino2″che obbliga il rifugiato a rivolgere domanda ed a permanere nel primo paese di approdo. Questo grava l’accoglienza su Paesi come l’Italia e lede i diritti delle persone che tante volte vivono il nostro paese come approdo e transito e non come meta. Così come vanno redistribuite le risorse per sostenere i paesi più esposti all’arrivo di persone in cerca di aiuto. Per una politica comune Europea bisogna che ogni paese guardi all’immigrazione in un ottica complessiva e con un idea di Europa. La Carta dei Diritti Umani Fondamentali dell’Unione è un riferimento prezioso. Parla di unità nella diversità, di un Europa Unita che riconosce e valorizza le sue differenze. Dobbiamo costruirla. Questa è una piattaforma che deve vedere il Partito Democratico determinato e combattivo. L’unità nella diversità dovrebbe essere un à tratto chiaro e netto della sua identità, una sua bandiera per la qualità della convivenza in Italia, in Europa ed in ogni parte del mondo.

Italia della Convivenza faccia scuola

8 Agosto, 2013 (16:34) | Dichiarazioni | Da: Redazione

Va raccolto l’appello del Capo dello Stato sull’importanza dell’integrazione e la tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro. E la tragedia di Marcinelle, che oggi ricordiamo con immutato dolore, ne è una testimonianza che deve servirci come monito e come stimolo a fare sempre di più e meglio in questa direzione.
Ancora oggi infatti molte vittime di incidenti sul luogo di lavoro sono immigrati perché meno tutelati e quindi più coinvolti nel lavoro nero. In questo senso l’integrazione può fare la differenza.
Va ricordato che il nostro Paese su questo tema è sulla buona strada, ma è necessario andare avanti, facendo crescere una vera e propria cultura della convivenza.

Una grande risorsa è rappresentata dalle tante esperienze positive di convivenza che ci sono in Italia, costruite da un’alleanza tra italiani, immigrati, imprenditori, associazioni, comuni, volontariato, Chiesa, famiglie, insegnanti. È fondamentale che questa Italia della convivenza faccia scuola, facendo conoscere i tanti importanti successi che ci sono e puntando su una ‘pedagogia dell’esperienza’.
Questa è una politica a costo zero che governo, enti locali e regioni potrebbero adottare insieme al sistema dei media.
Si tratta di accendere i riflettori e portare alla ribalta le buone esperienze di convivenza. Così si aiuterà il Paese a crescere, dando coraggio a ciascuno e combattendo la paura e la diffidenza.

Livia Turco

Una vita da politica. La mia

2 Agosto, 2013 (12:41) | Interviste | Da: Redazione

Intervista a Livia Turco su “La Guida” del 2 agosto 2013

“Ho fatto un passo a lato e rivendico di non aver chiesto la deroga come altri”. “Il Pd dopo il voto contrario a Marini e Prodi deve ricostruirsi sul piano dei valorti e nel modo di strae insieme”.

Laggi tutta l’intervista.