Il Blog di Livia Turco

www.liviaturco.it



Categoria: Interviste

Pd di lotta e di governo come il mio Pci

18 Dicembre, 2022 (10:52) | Interviste | Da: Redazione

Intervista a Livia Turco su il Riformista di Umberto De Giovannangeli — 17 Dicembre 2022

“Se il dibattito congressuale e la fase costituente del ‘nuovo Pd’ si ridurranno al posizionamento dei maggiorenti dem su questo o quel candidato alla segreteria, il Partito democratico rischia il suicidio politico”. Così Gianni Cuperlo in una intervista a questo giornale. Lei come la vede?

Condivido la preoccupazione di Gianni Cuperlo. Ho fortemente creduto e credo in una fase Costituente per animare una discussione ed una ricerca libera, schietta, che abbia protagonisti gli iscritti/e ed i tanti soggetti che sono impegnati a fare del bene alla nostra società. Questo avrebbe significato che i potenziali candidati fossero gli animatori e le animatrici di questa fase senza mettere in gioco subito la loro candidatura che inevitabilmente porta a ciò che stiamo vivendo: le persone più che il confronto sui contenuti, il posizionamento sui candidati rispetto alla pratica dell’ascolto e la costruzione di legami sociali. Ma, sono fiduciosa. Vedo compagni e compagne che nonostante la disillusione e le amarezze vogliono reagire, far rinascere la sinistra, combattere contro le politiche di questa destra che ha manifestato il suo volto di sempre. La commissione che ha il compito di stendere una bozza del Manifesto dei valori del nuovo PD, per come la sto sperimentando, è un luogo di confronto schietto ed approfondito. Tale Manifesto deve esprimere in modo chiaro le scelte che il mondo profondamente cambiato ci pone difronte.

Due dei tre candidati, al momento, alla segreteria nelle primarie del 19 febbraio 2023 sono donne: Paola Micheli ed Elly Schlein. La discontinuità è femminile?

Sono molto contenta delle candidature di Elly Schlein e di Paola De Micheli. Le ringrazio per la loro determinazione ed il loro coraggio. Dimostrano, con profili diversi, che le donne di sinistra non sono lo strapuntino degli uomini. A loro chiedo di rendere evidente la diversità della leadership femminile di sinistra, diversa dalla destra perché animata dall’ambizione di cambiare la politica, a partire dalla grave crisi della nostra democrazia rappresentativa, dimostrata tra l’altro, dall’elevato numero di persone che non va più a votare. Le donne possono diventare “l’onda d’urto” per tradurre in cambiamento sociale, politico e culturale l’intero articolo 3 della nostra Costituzione, cui tanto contribuirono le Madri Costituenti. Articolo che stabilisce un forte nesso tra l’eguaglianza di fatto, il superamento delle discriminazioni, la giustizia sociale e la costruzione di una democrazia inclusiva. Che promuove le capacità di tutte le persone, a partire da quelle fragili e ferite, per renderle protagoniste del loro riscatto sociale. Che consideri le politiche per il superamento delle discriminazioni di genere come una priorità nell’agenda del nostro paese. Per questo è importante valorizzare le leadership femminili diffuse nei territori ed in tanti luoghi sociali sollecitando la creazione di un NOI delle donne, plurale ed intergenerazionale.

Una delle parole più gettonate nel dibattito a sinistra è “identità”. Ma se non la sostanzia, resta una parola “appesa”, vuota, priva di senso politico. Provi lei a declinarla.

L’identità della sinistra che rinasce deve essere incentrata sulla costruzione di un Nuovo Umanesimo, animato dal principio della cura della vita. Che, partendo dalla lezione della pandemia del Covid-19, in cui ci siamo scoperti soggetti fragili, interdipendenti, globali, abbiamo visto messo in discussione quel pilastro del neoliberismo cui è stata subalterna la sinistra: l’ipertrofia dell’IO. Un Nuovo Umanesimo che sia scandito in modo netto dai seguenti valori e dalle seguenti politiche: l’eguaglianza della dignità delle persone; la comunità; la pace globale; uno sviluppo basato sulla dignità dei lavori, sulla dignità del lavoro di cura, sul forte investimento nei Beni Comuni-ambiente, salute, istruzione-, sulla considerazione del Welfare quale fattore di sviluppo e di crescita; la solidarietà tra le generazioni, capace di far vivere storia e memoria e di dare fiducia ai giovani; relazioni paritarie tra donne e uomini che ne valorizzi la loro differenza di genere e riconosca finalmente l’autorevolezza femminile; la società della convivenza e la cittadinanza plurale in cui si mescolano popoli, culture, religioni ed in cui alle persone immigrate vengano riconosciuti tutti i diritti sociali e politici, compreso il diritto di voto; la democrazia inclusiva che si prende cura delle persone e valorizza le loro competenze attraverso l’impegno dei soggetti sociali e di partiti politici popolari così come indicato dall’articolo 49 della nostra Costituzione. Animati da una politica “sobria”, onesta, pulita, competente, capace di guardare negli occhi le persone perché credibile. Una politica accessibile a tutti, che offra a tutti/e la possibilità si diventare classe dirigente del paese.

Enrico Letta sogna un nuovo Pd “pugnace”. Ma dopo oltre un decennio in cui l’assillo è stato la governabilità a tutti i costi, ne sarà capace? Del Pci si diceva “partito di lotta e di governo”…

Credo che il nuovo PD debba mantenere l’ambizione di governare il Paese. La partecipazione ai governi che si sono succeduti in questo decennio è in gran parte da ascriversi al periodo drammatico che abbiamo vissuto e che ha richiesto l’esercizio della responsabilità. Il problema è come si è stati al governo, quali le scelte compiute, quale rapporto tra l’azione di governo e la società. Purtroppo è prevalsa anche al nostro interno la politica come esercizio del potere, come carriera individuale perdendo il senso del partito come comunità. Credo che la sinistra potrà rinascere solo se saprà costruire una moderna politica popolare, un partito autonomo, di popolo. Si, un partito “di lotta e di governo”.

Il ritorno dell’ulivista Livia Turco

9 Dicembre, 2022 (10:52) | Interviste | Da: Redazione

Intervista a Livia Turco su L’Identità di Edoardo Sirignano - 9 dicembre 2022

 Il 25 settembre muore il campo progressista?

C’è un popolo che lo ha nell’anima ed è alla ricerca di un’efficace formazione politica che lo rappresenti. La sinistra non sono i gruppi dirigenti, ma i circoli e chi sabato prossimo sarà in piazza. Stiamo parlando di chi, nonostante disillusioni, sofferenze, ha ancora voglia di combattere. Ora, però, questa gente deve avere un’identità.

Qualcuno dice che l’interlocutore naturale è il M5S. È d’accordo?

Ciò che mi sta a cuore adesso non è Conte o Calenda. Entrambi fanno opposizione al Pd e non alla destra. Devono decidere chi è il loro nemico: chi combatte il reddito di inserimento o le persone con cui hanno governato. Il tema è ricostruire la sinistra, compresi legami sociali e territoriali. Detto ciò, è normale, che guardando i contenuti, mi ritrovo con chi difende il reddito di cittadinanza.

È stata tra chi ha promosso l’Ulivo. Cosa è rimasto di quella storia?

È stata una grande stagione di partecipazione one, che nulla ha a che a che vedere con le attuali correnti. È stato tradito un sogno.

Bertinotti dice che bisogna sciogliere il Pd. È d’accordo?

Non riesco a considerarlo autorevole. Non dimenticherò mai la caduta del governo Prodi per un voto. La storia sarebbe stata diversa se non ci fosse stato. Non riesco a ritenere degne di nota le valutazioni di chi ha commesso un errore.

Dopo cosa è successo?

Il Pd è nato male, sulla base di una fusione a freddo tra gruppi dirigenti. I dem sono altro, parola di militante. Stiamo parlando di persone che credono a un progetto e che, pur venendo da storie politiche differenti, sono presenti sui territori. Da qui bisogna ripartire. Altra aspetto da tenere in considerazione, poi, la generazione che non proviene né dai Ds, né dalla Margherita.


Cosa ne pensa della candidatura della Schlein?

La sosterrò. In una sinistra maschilista occore un colpo di reni. Quanto ha detto sabato, sono cose di sinistra. Non mi sembra la tipa che vada a trattare con le correnti. Sono invenzioni giornalistiche. Le illazioni su Franceschini sono la dimostrazione di un Paese malato. La moglie ha una sua storia. Una donna ha il diritto di avere un’autonomia, anche se è moglie di?

Quali sono gli errori commessi da chi è stato al vertice del Nazareno?

Il renzismo è stato un disastro perché ha sancito la subalternità del Pd alla cultura neoliberista, al populismo. Scegliere Marchionne anziché i sindacati è l’errore. Altro problema l’ipertrofia dell’io. L’artefice di questo processo ha un nome e cognome: Matteo Renzi.

Cosa bisogna fare in questo momento?

Rispettare il percorso congressuale.

È possibile la svolta a sinistra, auspicata da molti?

Il Pd deve ritrovare la radice di sinistra. Deve liberarsi o meglio ancora decidere da che parte stare, chi vuole rappresentare. Il coraggio delle scelte è la svolta. I dem dovrebbero stare dalla parte delle diverse forme di precariato, dell’eguale dignità della vita. Le disuguaglianze, oggi, sono reddito, diritti sociali, welfare. La sinistra è tale se sostiene che lo sviluppo si basi su beni comuni: salute, scuola, lotta alla povertà.

Il partito del lavoro potrebbe essere la strada?

Occorre una scelta netta. Se c’è lavoro, c’è accesso all’istruzione, benessere. A ciò occorre affiancare altri diritti sociali, che consentono una vita dignitosa per tutti. Non basta un nome a un partito. La priorità è che, in modo visibile, ci sia un cambiamento. Non servono proposte e analisi in Parlamento, ma frequentare i luoghi della società, guardare in faccia alle persone. Il dramma del progressismo odierno è aver dimenticato un aspetto peculiare della sua storia. Sono cresciuta con il motto, imparato nella mia 44esima sezione del Pc di Borgo San Paolo, per cui bisogna sapere tutto del quartiere in cui vivi. Altrimenti sarà impossibile recuperare la credibilità persa.

Considerando la sua esperienza al ministero della Salute, sono aumentati i problemi della sanità?

Sono molto preoccupata, a partire dal tema del personale. Quando quest’ultimo non trova più conveniente stare nel pubblico, c’è una conseguenza. Se si tornerà, poi, a un 6 per cento della spesa sul Pil, non si può stare tranquilli. Mi aspettavo una mobilitazione su questo tema. La salute, come il Covid ci ha insegnato, è un diritto individuale, un bene comune.

Cosa ne pensa della destra al governo, guidata da Meloni?

Non è cambiato nulla. Le politiche della destra sono sempre le stesse. Viene alimentata l’evasione fiscale, così viene destrutturato il reddito di cittadinanza. Con il governo Prodi, nel 1996, abbiamo introdotto il reddito minimo di inserimento.

Alle madri di Scampia, dicemmo mandate i figli a scuola e vi diamo un sussidio. Stesso discorso a Reggio Calabria. Siamo un Paese che ha una memoria corta. La relazione di Chiara Saraceno, che conservo come reliquia, contiene un dibattito che oggi sarebbe stato utile. Gentiloni dopo venti anni l’ha ripristinata. Destrutturarla, come intende fare la Meloni, è un errore. Vada a parlare con gli assistenti sociali, nei centri Caritas.

“I sussidi non bastano, bisogna potenziare gli assistenti sociali”

18 Febbraio, 2022 (10:36) | Interviste, Senza categoria | Da: Livia Turco

Intervista a Livia Turco sul Secolo XIX

Inervista a Livia Turco

“Il maschilismo si combatte con la formazione”. Intervista di Catiuscia Ceccarelli

28 Gennaio, 2021 (20:36) | Interviste | Da: Redazione

Provocatorio ma efficace il titolo del meeting online promosso dalla Fondazione Nilde Iotti nell’ambito del Centenario dalla nascita della prima Presidente donna della Camera dei Deputati (1920-2020): “Il maschilismo è ovunque!”, con un parterre di relatori autorevole e illuminante e l’introduzione di Livia Turco, presidente della Fondazione e donna politica tra le più stimate in Italia.

Uomini maschilisti e uomini femministi

Dopo i saluti della presidente della Fondazione Iotti, Livia Turco, un contributo letterario ad impreziosire il tema dell’incontro, quello della giornalista Tiziana Ferrario, autrice del libro “Uomini. È ora di giocare senza falli! (Chiarelettere). Un saggio in cui l’autrice racconta con estrema cura di dati e informazioni, frutto di un eccellente lavoro di ricerca, quanto la nostra società sia ancora preda di un maschilismo forte e predominante. Un problema sociale che si può risolvere grazie a uomini di buona volontà e dotati di intelligenza che si definiscono orgogliosamente femministi.

Contro le discriminazioni

A promuovere l’iniziativa anche la Consigliera di Pari Opportunità della Regione Umbria. Come donne e uomini possono camminare insieme per sconfiggere ogni forma di discriminazione, di violenza e di stereotipo di genere, un tema snocciolato insieme alla Consigliera di Parità Monica Paparelli, Livia Turco, Presidente della Fondazione Nilde Iotti, Lorena Pesaresi, Socia Fondazione Nilde Iotti ed esperta di politiche di genere, Marco Pareti, scrittore e redattore, Gianmarco Cesari, avvocato e Presidente Comitato provinciale di Perugia LIDU, Jean Luc Bertoni, editore e Stefano Ciccone dell’Associazione nazionale Maschile Plurale. La conduzione dell’evento è stata affidata a Giuseppe Castellini, Direttore del Nuovo Giornale Nazionale.

La nostra intervista a Livia Turco

A margine della diretta, una nostra intervista alla Presidente della Fondazione Nilde Iotti, Livia Turco:

Presidente Turco, come racconterebbe alle nuove generazioni la figura di Nilde Iotti?

La racconterei come una donna che ha avuto una famiglia semplice, papà ferroviere e mamma casalinga, che l’ha molto incoraggiata. A partire dal suo papà. Era un periodo difficile, quello fascista, ma la giovane Nilde è stata sollecitata a studiare. Una ragazza che ha conosciuto le difficoltà della vita: ha perso il padre all’età di 15 anni ma nella sua testa aveva sempre l’incoraggiamento del padre che le diceva “Nilde, studia Nilde che chi comanda sa”. Perché per far parte delle forze di governo bisogna sapere. In questa famiglia semplice, dove ha conosciuto anche le difficoltà economiche, Nilde non si è persa. Ha vinto una Borsa di Studio, si è impegnata nello studio laureandosi nel ’43 alla Cattolica di Milano. In piena guerra antifascista, seguendo l’esempio del padre, Nilde Iotti ha deciso di dare un contributo a questa lotta scendendo in difesa delle donne. Ha scelto da giovane la politica con il Partito Comunista. Nilde Iotti ha sempre vissuto la politica come sacrificio e impegno per gli altri, però anche grande passione. Membro importante e autorevole dell’Assemblea Costituente, spendendosi per la Costituzione. È stata la prima donna Presidente della Camera dei Deputati. Una donna che ha combattuto a difesa delle donne e che si è impegnata anche a costruire l’Europa.

Il centenario dalla nascita di Nilde Iotti è capitato in un anno orribile, il 2020, e prosegue in questo che non sembra essere meglio di quello passato. Quello di Nilde Iotti è un personaggio simbolo estremamente contemporaneo. Quanto manca secondo lei una personalità politica così forte, indipendentemente dal genere di appartenenza, nella società di oggi?

La politica, specialmente quella italiana, è molto arretrata rispetto ad altri paesi europei e all’America. Nel nostro Paese, il sistema politico e sociale presenta un maschilismo che disincentiva le donne ad affermarsi. La politica è cambiata, è diventata populista dove le poltrone sono importanti a scapito della competenza. L’esempio di Nilde Iotti ci riporta ad una politica popolare e autorevole: popolare perché lei era molto legata alle donne, alla gente e alle loro esigenze, e autorevole per la sua competenza e per la sua idea della politica come “attività per il bene comune”.

Al centro del meeting promosso dalla Fondazione Iotti dal titolo “Il maschilismo è ancora ovunque!” vi è il dibattito sulla parità tra uomo e donna. Questo obiettivo sembra essere ancora molto lontano nel nostro paese. Secondo lei, è possibile superare questo gap di genere divisionale?

Bisogna farlo. Se vogliamo che l’Italia cresca dal punto di vista della modernità, dello sviluppo e della vivibilità non si può mantenere una situazione in cui le donne studiano più degli uomini e trovano meno lavoro. Se fanno dei figli devono licenziarsi e vivere con una disparità salariale? È in gioco il futuro dell’Italia, non riguarda solo le donne. Ovunque resta ancora molto da fare, però l’Italia resta un Paese dove nonostante la lotta delle donne, non è competitivo. E nonostante abbiamo leggi molto avanzate, su tutti i temi. Ma le leggi bisogna applicarle e vanno tradotte in politiche. Ma in Italia manca la volontà di una decisione politica. Manca il concetto di visione politica, essere cioè consapevoli che la mancanza di asili nido, la disparità salariale, le poche donne che lavorano e il fatto che debbano scegliere tra maternità e professione, contraddice lo sviluppo. La legge sugli asili nido, ad esempio, risale agli Anni ’60, ma il problema è che bisogna considerare gli asili nido un investimento per il Paese e non delle incombenze di cui si occupano i Comuni. Il welfare non è fatto solo da trasferimenti monetari: questo non produce benessere. Possono risolvere un problema immediato ma non prendono in carico le esigenze delle persone. Anche su questo, la Legge Quadro sulle Politiche Sociali ce l’abbiamo, ma bisogna applicarla.

La Fondazione Nilde Iotti cosa mette in campo a sostegno della parità di genere? Quali sono le iniziative più importanti?

Noi abbiamo scelto di investire nella formazione. Abbiamo fatto delle pubblicazioni importanti come ad esempio “L’Italia delle donne” e in particolare i due volumi de “Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia” su cui puntiamo a fare attività formativa. Abbiamo fatto formazione sulle Madri Costituenti, non è possibile non conoscere le radici del nostro Paese. La nostra idea è formare la classe dirigente, ma poi ci sono temi di attualità che spesso affrontiamo. Dal tema delle donne immigrate alla questione tempi di vita e tempi di lavoro. Il Centenario è stata occasione per far conoscere Nilde Iotti a tanti giovani e puntare sulla formazione pensiamo sia un messaggio importante: dare una visione giusta e trasmettere valori. La forza di biografie come quella di Nilde Iotti è molto importante.

Catiuscia Ceccarelli


Articolo e intervista pubblicati su: Donna in Affari

Serve un welfare di prossimità che rifletta la cultura della 328

18 Dicembre, 2020 (18:21) | Interviste | Da: Redazione

Il 15 dicembre 2020 si è svolto il webinar “Più bisogni, quali risorse?”, parte del nostro percorso di ricerca verso il Quinto Rapporto sul secondo welfare, che sarà presentato nell’autunno 2021. All’incontro, insieme a Francesco Profumo (Presidente di Acri) e Tiziano Treu (Presidente del Cnel) era stata invitata anche Livia Turco (Presidente della Fondazione Nilde Iotti) che purtoppo per problemi tecnici non ha potuto portare il proprio contributo su uno dei temi centrali del nostro confronto: il welfare di prossimità.

 

Come promesso, abbiamo ricontattato la Presidente Turco - che ringraziamo per la disponibilità - chiedendole di rispondere alle domande che avremmo voluto farle nel corso dell’incontro. Ecco cosa ci ha risposto.

Nel 2000 la legge 328, di cui lei fu firmataria, disegnò un sistema dei servizi sociali molto articolato e fortemente radicato nei territori, grazie anche a un forte coinvolgimento del Terzo Settore. A 20 anni di distanza che bilancio possiamo fare di quel provvedimento?

In questi vent’anni si è sviluppato un welfare a due dimensioni: una locale e una nazionale. La 328 ha seminato molto nei territori perché ha aiutato a costruire un welfare locale; basti pensare che è stata recepita da tutte le Regioni (attraverso specifiche leggi regionali) e che i piani di zona sono un’esperienza che si è diffusa e consolidata nei territori. Purtroppo però la 328 non è stata applicata dal livello nazionale, in particolare rispetto alla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che sono un caposaldo di questo intervento normativo. Si tratta di una grave lacuna. I LEP sono fondamentali e questo lo ha dimostrato anche la pandemia che ha portato in primo piano il drammatico bisogno di una rete di servizi sociali. 


Quali sono i fattori che, a suo avviso, hanno ostacolato la definizione dei LEP?

Contrariamente a quanto si pensa comunemente, la mancata definizione dei LEP non è imputabile alla riforma che Titolo V dato che questa prevede un sistema di governance basato sui LEP. Direi piuttosto che i LEP non sono stati applicati perché, negli anni successivi alla fine della XIII legislatura, è prevalsa l’idea di un welfare basato sul dono e sulla carità. Di conseguenza, gli interventi messi in campo si sono concretizzati in trasferimenti monetari e bonus piuttosto che in servizi sociali. Una visione, questa, che non ha nulla a che vedere con la cultura della 328, ma che poi non è stata contrastata neanche dai successivi Governi di centro-sinistra. 

Cosa caratterizza questa “cultura della 328”? 

In primo luogo, l’idea della 328 era quella di dar vita a un terzo pilastro del welfare. Accanto al pilastro sanitario e pensionistico si voleva dare corpo a un sistema integrato di servizi in grado di rispondere ai bisogni sociali tenendo conto di tutte le stagioni della vita; dall’infanzia fino all’età anziana. La costruzione di questo sistema era - ed è tuttora - compito del Pubblico, che potrebbe fare la sua parte fino in fondo mettendo in campo risorse e definendo i LEP. Su questo, come detto, è stato fatto troppo poco perché oggi abbiamo un sistema di servizi che è debole. 

In secondo luogo, la 328 puntava anche sulla valorizzazione del Terzo Settore. Nel quadro di questo intervento normativo, infatti, il Terzo Settore è riconosciuto come soggetto attivo della progettazione sociale, coinvolgibile nella programmazione degli interventi e con un ruolo specifico all’interno dei piani di zona. Oggi siamo ben lontani da  questa idea. In molti contesti il Terzo Settore non è considerato come una realtà che può lavorare insieme al Pubblico, ma piuttosto come una componente che supplisce le carenze in una “logica a ribasso”, che mira solo al contenimento dei costi.

A vent’anni di distanza mi sembra che la “cultura della 328” si sia affermata nei territori e fra gli operatori, ma purtroppo non nella politica. Quello che vedo è uno scarto fra un mondo sociale che ha fatto propri i valori della 328 e un mondo politico che invece ancora fatica a riconoscere il ruolo e il valore dei servizi sociali.

Pensa che la pandemia possa incentivare lo sviluppo definitivo di un modello di welfare che rifletta la “cultura della 328”? 

Certamente me lo auguro e direi che la situazione attuale pone la necessità di andare in questa direzione. La pandemia ci chiede di realizzare un vero welfare di prossimità, un welfare che valorizzi le competenze degli attori e le reti che essi possono costituire. E ci chiede di realizzare nuovi percorsi di cittadinanza attiva e di rendere quindi i destinatari degli interventi protagonisti del loro benessere. In sostanza, credo che la pandemia abbia dimostrato che il welfare di prossimità deve essere il modello per il welfare del futuro. 

Dove crede sia importante agire per realizzare concretamente un welfare di questo tipo?

In questa fase, sarebbe utile partire dal welfare locale che c’è; che ha resistito e che ha saputo rinnovarsi seppur nelle sue difformità. A livello territoriale, il Pubblico dovrebbe agire come “sollecitatore di responsabilità” verso tutti gli attori economico-sociali. E in questo senso credo che sia fondamentale l’integrazione e il raccordo fra i tre sistemi di welfare oggi presenti: pubblico, aziendale e filantropico.  

Inoltre, a distanza di vent’anni, non mi limiterei più ai Piani di zona ma immaginerei la realizzazione di “Patti territoriali per il benessere sociale”, che mettano attorno a un tavolo non solo il sociale, il sanitario, il lavorativo - quindi tutti i pezzi del welfare pubblico - e permettano di costruire relazioni stabili con il welfare aziendale e con quello filantropico. Dal mio punto di vista, ovviamente, queste altre forme di welfare non possano e non debbono sostituirsi al welfare pubblico, ma perché questo rischio sia evitato occorre coordinamento.

In altre parole, oggi abbiamo un welfare pubblico dei servizi sociali che è misero e che va assolutamente potenziato. Perché questo accada, a mio avviso, la politica deve cogliere l’occasione per investire ingenti risorse nelle politiche sociali e definire, finalmente i LEP. Ma questo non basta. È necessario infatti che il Pubblico instauri un dialogo con le altre forme di welfare che ci sono sui territori, sviluppando una condivisione sinergica degli obiettivi e definendo accordi con il welfare aziendale e filantropico. Se non fa questo il welfare pubblico rimane miope.

Intervista di Chiara Agostini su SecondoWelfare.it 

Nilde Iotti oggi ci direbbe di continuare a lottare per i nostri ideali

4 Dicembre, 2020 (16:57) | Interviste | Da: Redazione

Sempre in prima linea. Dalla resistenza e dall’attivismo per chi era in difficoltà, fino agli scranni del Parlamento. Madre costituente della Repubblica, parlamentare italiana ed europea, prima donna Presidente della Camera dei Deputati, una straordinaria donna italiana il cui ricordo deve essere coltivato sempre e non solo nel giorno della ricorrenza della sua morte, avvenuta ormai 21 anni fa.

“Ancora oggi appare incredibile il suo percorso: un’evoluzione civile e democratica che rimane un modello imprescindibile per la storia del nostro Paese, per le lotte che la videro protagonista e la caratura etica e morale che l’ha contraddistinta”. Livia Turco, già parlamentare e ministra, oggi presidente della Fondazione Nilde Iotti celebra la donna e il simbolo che oggi più che mai può rappresentare un faro in un momento complesso come quello che stiamo vivendo”.

Quale sarebbe per lei il messaggio e l’invito che Nilde Iotti avrebbe rivolto oggi al suo Paese?

“Nilde è stata una guerriera prima di tutto. Ha lottato nella sua vita per ciò in cui credeva e oggi senza giri di parole sono sicura che sarebbe arrabbiata. Ci direbbe chiaro e tondo che bisogna non solo avere degli ideali, ma che è necessario lavorare affinché siano calati nella realtà e soprattutto che non bisogna mollare”.

Arrabbiata?

“Certo. Non bisogna indorare la pillola, Nilde Iotti sarebbe assolutamente infuriata. Me la sento dire ‘Vergogna’. Vergogna perché sono passati 70 anni e tanti principi costituzionali rimangono solo sulla carta, come per esempio la parità salariale. Se lei fosse qui, sarebbe incredula nel vedere a che punto siamo, soprattutto per la questione femminile. E proprio per questo sarebbe di nuovo in prima linea per dimostrare che le leggi non bastano, ma vanno tradotte in scelte politiche. In cultura. In azione”.

Quindi la immagina sempre in prima linea? 

“Voglio ricordare quello che Nilde fece col suo primo incarico ufficiale per l’Udi: l’accoglienza di 1500 bambini di Milano da sfamare e da vestire. Nilde ci spronerebbe a guardare le cose con occhio lungo, ma allo stesso tempo ad avere molta cura delle persone. Quindi, una politica al servizio e solleciterebbe un fare concreto. In contemporanea però sarebbe coi giovani per progettare il futuro e costruire l’orizzonte di un cambiamento”.

 

Nilde Iotti è stata però anche una donna e un simbolo delle istituzioni che forse oggi non sono più di moda…

“Di una cosa sarebbe molto felice: i passi avanti fatti dall’Europa. Da donna di pace, coglierebbe questa nuova fase per costruire il sentimento del popolo europeo. Vedrebbe questa come una grande occasione. Di fronte alla pandemia – che ha dimostrato come le nostre vite sono fragili e interconnesse – non esiterebbe di nuovo a lottare per rafforzare il messaggio di comunione, equità e sviluppo, per tutti. Nessuno escluso. Credo che sarebbe d’accordo col Papa: fratellanza universale”.

Come è giusto ricordarla?

“Vorrei lanciare un invito, un appello alle scuole affinché insegnino ai nostri giovani chi era, non solo Nilde Iotti, ma tutte le 21 Madri costituenti. Anche le storie meno note sono di una ricchezza unica e ci possono lasciare non solo un’incredibile eredità da preservare, ma una rotta da continuare a percorrere. Per esempio ogni anno di nascita potrebbe essere l’occasione per una lezione dedicata a queste 21 meravigliose figure”.

Rispetto invece al momento storico di passaggio che stiamo vivendo quale svolta va sottolineata in occasione di questo centenario?

“Dico subito che Nilde sarebbe inorridita dal gergo che riduce il Parlamento in una poltrona. Lei, donna che ha dedicato la sua vita alla dignità delle istituzioni, di fronte al dilagante populismo agiterebbe il suo vangelo: la Carte costituzionale. La sua lotta sarebbe ancora per le riforme: il superamento del bicameralismo perfetto, avere un Parlamento competente e autorevole e quindi efficace ed efficiente; e poi l’idea costante di una politica popolare che possa essere colta, aperta e in cui tutti possano poter partecipare. La crescita democratica parte da questo e in questo centenario abbiamo il dovere di celebrare la sua forza e attualità, manifestazione di un’eredità che è patrimonio dell’intero Paese”.

Maddalena Carlino

Intervista pubblicata su immagina.eu