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Month: Giugno, 2013

Politiche sociali. Basta con i tagli. Governo intervenga

10 Giugno, 2013 (18:28) | Interviste | Da: Redazione

Intervista a Livia Turco di Quotidiano Sanità del 10 giugno 2013

La dura politica di tagli che negli ultimi anni ha visto il depauperamento del Fondo per le Politiche sociali e degli altri fondi dedicati al Welfare non lascia inerme l’ex ministro della Solidarietà sociale (dal 1996 al 2001) e della Salute dal 2006 al 2008), Livia Turco, promotrice della legge quadro di riforma dei servizi sociali, la 328 del 2000, che in quest’intervista chiede al Governo di dare subito una risposta al disagio crescente incrementando il fondo per le politiche sociali di almeno 500 milioni di euro. E poi si rivolge al centrosinistra: “Deve rimettere al centro della sua agenda il tema delle politiche sociali”. Duro attacco al centrodestra. “I tagli operati negli ultimi anni non dipendono dalla crisi ma da una deriva ideologica perpetuata da dieci anni a questa parte”.

Come valuta questa continua erosione ai fondi dedicati al Welfare?
I numeri purtroppo rappresentano una realtà e nella passata legislatura ci siamo battuti per contrastarla fortemente. Mentre il Governo di centrodestra diceva che andava tutto bene intanto tagliava ad uno ad uno ogni Fondo dedicato al Welfare.

Ma la ragione dei tagli non è dovuta alla crisi?
In questo caso non è così, i tagli al welfare fanno parte di una deriva ideologica messa in atto dal duo Tremonti-Sacconi e prima di loro anche da Maroni quando era ministro del welfare. Oltre a dimenticare tutto l’impianto della legge 328/2000 hanno inculcato l’idea che le politiche sociali fossero sprechi e assistenzialismo, contrapponendo in questo modo diritti e carità, politiche pubbliche e dono, gratuità del volontariato. Un errore imperdonabile, figlio di un’ideologia politica, che oggi ci fa decretare la scomparsa delle politiche sociali nel nostro Paese.

Al centro sinistra si sente di dover rimproverare qualcosa?
Purtroppo la sinistra non è riuscita a contrastare efficacemente questa deriva culturale. Ci si è battuti in Parlamento ma è evidente che l’idea delle politiche sociali si è allontanata dal centro dell’agenda della sinistra. Ed è per questo che anche a sinistra c’è bisogno di riportare in auge e al centro dell’agenda politica il welfare. Occorre darsi una svegliata. Bene ha fatto il premier Letta a focalizzare l’attenzione sul tema del lavoro. Ma questo non basta. Serve una nuova idea del welfare come quella che si era aperta nella stagione tra il ’96 e il 2001, anni dove si è investito tanto su chi in quel momento non aveva voce e non riceveva risposte rispetto ai suoi bisogni. Basti pensare come in quegli anni è stato costituito il Fondo per le Politiche sociali e nella durissima Legge Finanziaria che servì a farci entrare nell’euro riuscimmo a stanziare 800 milioni per la legge 289 sull’infanzia e per il reddito minimo d’inserimento.

Ma da quale idea di welfare occorre ripartire?
Innanzitutto si deve partire da quattro pilastri irrinunciabili: scuola, sanità, sociale e reti integrate. Solo costruendo un sistema che comunica e che condivide problematiche e scelte si possono indirizzare efficacemente le risorse e soddisfare il disagio di chi è più fragile. E poi bisogna coinvolgere sempre più di i cittadini e le loro competenze. Puntare sulle innovazioni e sulla sussidiarietà. E smetterla assolutamente di guardare al sociale come mero spreco assistenziale. Dobbiamo tornare a parlare di diritti sociali. Quando si parla di servizi sociali si parla di persone, dei loro talenti, della loro dignità, della loro sofferenza. Della possibilità di uscire dal tunnel della sofferenza, della marginalità e della fragilità.

Come vede lo sviluppo del welfare integrativo?
Non ho nessun pregiudizio sul tema o sulle nuove strade. In un quadro in cui le politiche sociali rappresentano un volano di sviluppo è importante coinvolgere anche il privato su questi temi. Penso per esempio anche alla costruzione di veri e propri patti territoriali e di fondi cofinanziati.

Auspica per il futuro che si riesca ad invertire la rotta?
Più che un auspicio questo deve diventare un impegno del Governo così come si sta lavorando su Imu e Iva. Per questo è fondamentale per il 2014 ridare ossigeno al Fondo per le Politiche sociali almeno con 500 milioni di euro. Ma ripeto bisogna intervenire subito perché oggi l’unico welfare in Italia è quello delle famiglie che però sono allo stremo. Il rischio dell’immobilismo è lasciare una moltitudine di persone ancora più sole con le loro fragilità. Bisogna farsi carico delle persone per le quali non basta il lavoro e il reddito ma hanno bisogno di quella risorsa peculiare che è la presa in carico, la relazione umana, l’attivazione di strategie per l’inserimento lavorativo, quello scolastico che possano ridare fiducia alle persone, a risvegliare la propria volontà e le proprie capacità sopite. Non è più accettabile che questo grido di dolore resti inascoltato, sia soffocato dalle altre tante emergenze. Occorre muoversi subito a partire dal fatto che per l’anno prossimo vanno trovati i fondi.

Politiche sociali. Il grido di dolore contro i tagli

8 Giugno, 2013 (12:58) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

di Livia Turco, da l’Unità dell’8 giugno 2013

Il Governo deve raccogliere subito il grido di dolore che proviene dagli operatori sociali, dalle famiglie, dal volontariato, dai sindaci che non ce la fanno più a reggere il massacro che nel quinquennio scorso è stato compiuto nei confronti delle politiche sociali vedendosi costretti a tagliare i servizi essenziali. Il Governo deve dare subito una risposta: incrementare il fondo per le politiche sociali. Deve considerare tale intervento una “priorità morale”. Sono stati gli stessi Ministri Giovannini e Guerra nel corso della illustrazione del loro programma di Governo alla Commissione Affari Sociali ad affermare con tono allarmato che per il 2014 le regioni sono “a secco” e le poche risorse strappate sul 2013 non sono ancora nelle disponibilità del Ministero della Politiche Sociali e delle regioni.

La Sottosegreteria Cecilia Guerra ha affermato “manca un’attenzione specifica alla peculiarità delle politiche sociali del nostro Paese”. Vorrei riuscire a trasmettere al Presidente Enrico Letta, di cui conosco la sensibilità umana, lo strazio che incontro andando in giro tra comunità, servizi, operatori. A Genova, come qualche giorno fa a Foggia con la straordinaria Comunità di Emmaus, a Verona dove si incontrano le associazioni della famiglie con persone disabili gravi, o all’ospedale San Gallicano di Roma dove la fila di chi chiede assistenza gratuita si allunga ogni giorno di più. Lo strazio di dover chiudere i servizi essenziali che vuol dire non poter aiutare chi ha bisogno, non poter sostenere e a volte interrompere il percorso di uscita dalla fragilità , dalla marginalità di chi invece potrebbe uscirne, potrebbe farcela. Lo strazio di non potersi prendere cura in modo adeguato dei bambini e degli anziani, degli adolescenti che fanno fatica. Quando si parla di servizi sociali si parla di persone, dei loro talenti, della loro dignità, della loro sofferenza. Della possibilità di uscire dal tunnel della sofferenza, della marginalità e della fragilità.

Non è più accettabile che questo grido di dolore resti inascoltato, sia soffocato dalle altre tante emergenze. È importante e doveroso, come ha fatto il Presidente Letta, ascoltare in modo serio e determinato il disagio di chi perde il lavoro e dei giovani che non l’hanno mai avuto ma insieme bisogna farsi carico delle persone per le quali non basta il lavoro e il reddito ma hanno bisogno di quella risorsa peculiare che è la presa in carico, la relazione umana, l’attivazione di strategie per l’inserimento lavorativo, quello scolastico che possano ridare fiducia alle persone, a risvegliare la propria volontà e le proprie capacità sopite. C’è uno scarto grande, preoccupante, tra il ruolo che i servizi sociali svolgono nel miglioramento e nella crescita della vita delle persone, in tutte le fasi del ciclo della vita, ed il valore sociale, il riconoscimento che è loro attribuito dal senso comune, dai media e dalla politica. Le politiche sociali sono “oro” nella vita delle persone fragili, ma è un oro che non luccica. Bisogna farlo luccicare. Bisogna risalire la china e invertire la tendenza culturale che per colpa del centro destra e in particolare del duo Tremonti-Sacconi ha contrapposto diritti e carità, politiche pubbliche e dono, gratuità del volontariato.

Bisogna contrastare questa impostazione, mettere al centro la dignità della persona che è cittadinanza, diritti, relazioni umane. La dignità della persona si nutre di diritti e della cura dell’altro, idee e valori che sono scritti nella legge quadro del 2000 che deve essere applicata. Stanziando risorse nel Fondo per le Politiche Sociali, facendo finalmente i livelli essenziali di assistenza sociale, portando avanti con determinazione la lotta alla povertà con il Reddito Minimo di Inserimento di cui è in corso una importante sperimentazione. Bisogna cambiare l’ottica. I servizi sociali non sono assistenza. I servizi e gli interventi sociali sono ingredienti fondamentali dello sviluppo e della crescita economica. Le politiche sociali sono politiche di sviluppo.

Nel momento in cui il Governo mette in atto un programma per il lavoro deve considerare quale miniera possano rappresentare i servizi alle persone sia in termini di benessere sia in termini di creazione di posti di lavoro. Servizi che possono essere creati, inventati, gestiti in modo nuovo con la partecipazione attiva dei cittadini, con l’impegno delle aziende, dei soggetti privati. Sono importanti le iniziative di mutualità integrativa, di welfare aziendale, di cittadinanza competente che si stanno sviluppando in molte regioni così come bisogna proseguire sulla strada intrapresa dal Ministro Barca che ha destinato riscorse dei fondi strutturali alla promozione dei servizi per l’infanzia e per gli anziani considerandoli appunto parte della crescita e dello sviluppo economico. Raccogliere il grido di dolore di chi non ce la fa, dei sindaci che non vogliono chiudere i servizi essenziali significa non solo difendere l’esistente ma cimentarsi per creare un welfare nuovo in cui il ruolo del pubblico è quello di costruire la regia, di creare le condizioni affinchè ciascun soggetto economico e sociale dia il suo contributo per promuovere solidarietà ed inclusione sociale.

Il passo in avanti che le istituzioni devono compiere è quello di coinvolgere il sapere e la competenza dei diversi soggetti sociali ed economici per costruire un progetto condiviso di benessere e di inclusione sociale. Il governo raccolga questo grido di dolore per farsi promotore insieme ai Comuni al no-profit, alle famiglie, al volontariato, alla imprese di una nuova primavera delle politiche sociali. Per una Italia più giusta e più serena.

Livia Turco