Il Blog di Livia Turco

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Month: Ottobre, 2016

Un nuovo Umanesimo per la sinistra

14 Ottobre, 2016 (09:09) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

In un interessante articolo Emanuele Macaluso pone con la sua consueta lucidità una questione cruciale che dovrebbe essere  al  centro dell’agenda politica di tutti i partiti del Socialismo Europeo: la necessità di una conoscenza puntuale dei cambiamenti che hanno investito le nostre società.

 Una conoscenza, è la mia opinione,  che si avvalga non solo degli  studi e delle competenze  degli  intellettuali  ma anche della conoscenza diretta dei luoghi e  delle persone. Si avvalga dunque di una buona politica, quella che è in relazione con le persone, le ascolta, dialoga con  esse, si prende cura dei loro problemi, costruisce comunità e relazioni umane. 

Questa politica oggi non c’è.  Non c’è neppure nel PD. Il  distacco tra  politica e vita quotidiana comporta una perdita di autorevolezza della politica , la rende poco efficace ed efficiente. Nel momento in cui si discute in tutto il paese della riforme delle nostre  istituzioni per  renderle più efficienti,  per consentire che i tempi della politica siano in relazione con i tempi della vita delle persone , è doveroso porre sul tappeto il tema dei nostri  legami sociali , la necessità di una nuova politica popolare ,in cui “prendersi cura dell’altro”  diventi  ingrediente della cittadinanza  ed anche dell’agire politico.

Questo comporta  una modalità di esercitare l’azione di governo in cui ci sia rapidità e decisione ma anche capacità di relazione e di condivisione. Una responsabilità,  una pratica  non solo affidata  a   chi sta nelle istituzioni ma che  sia condivisa ed esercitata  da tante persone,  coinvolte  da soggetti  collettivi,  prima di tutto dai partiti politici. Ricordandoci l’articolo 3 comma 2 della nostra Costituzione  e l’articolo 49 sul ruolo dei partiti politici. Se la politica non costruisce  una  relazione con le persone anche le più belle ed importanti riforme non saranno efficaci.

Non conosceremo i  cambiamenti della società. Non potremo innovare le politiche della sinistra e ridare senso e vigore ai suoi valori. Insomma il tema  non è solo l’efficienza delle istituzioni ma ricostruire il senso della rappresentanza ed il suo esercizio efficace ed autorevole.  Efficienza e rappresentatività  sono le due facce della stessa medaglia.

E’ un gioiello la nuova legge sul” DOPODINOI “ votata dal Parlamento e voluta dal Governo, è  un piccolo tesoretto la nuova legge contro la povertà con la misura del  Reddito di Inclusione Sociale. Ma se non ci sarà una politica diffusa, popolare che prende in carico le persone disabili, che  va a” scovare” le persone in condizioni di povertà  e le incoraggia ad avere fiducia nelle istituzioni accettando di utilizzare un reddito ma soprattutto di misurarsi con un percorso di integrazione sociale  quelle leggi resteranno monche, non  saranno pienamente efficaci.

La politica legata alla vita quotidiana delle persone, consente di costruire la convivenza tra italiani ed immigrati. Perché mescolandosi con le persone, la buona politica, le aiuta  a superare le distanze, a guardarsi in faccia, a compiere  la fatica di conoscersi e riconoscersi, a scoprire di avere come cittadini di una comunità  obiettivi  comuni e comuni interessi.

Questa  scoperta  incentiva le persone  a lavorare insieme a cooperare tra di loro. Ricostruire un legame tra politica, istituzioni, vita delle persone toglie acqua al populismo perché  esso si alimenta anche del senso di solitudine, del bisogno di costruire una comunità calorosa ed accogliente in cui vivere. Questa  nuova politica popolare deve essere dotata di una visione della società. Per me  è  la“ società umana”,  è un Nuovo Umanesimo.

Credo che questo sia l’ideale di una moderna Sinistra. Realizzare questo ideale è molto impegnativo. Perché  le diseguaglianze hanno impoverito la qualità della  vita  delle persone e non solo ridotto il reddito ed allungato le distanze tra strati sociali. ” Nell’esperienza quotidiana la sperequazione economica si traduce in distanza sociale: l’èlite si colloca ad una distanza incommensurabile dalla massa, le aspettative ed i problemi di un camionista e quelli di un banchiere non hanno alcun terreno comune”(Richad Sennet). Le diseguaglianze   frantumano  quella  grande competenza che è la collaborazione tra le persone. Creano  solitudini  e separazioni.  

Alimentano il rancore. Realizzare un Nuovo Umanesimo è molto impegnativo perché significa fare ciò  che fino ad ora la cultura di sinistra non ha fatto: guardare in faccia la società tecnologica e tecnica in cui viviamo, conoscere in profondità  i cambiamenti che essa ha introdotto nella vita della persone, migliorandola tante volta ma anche cambiando il senso di fondamentali esperienze umane . Si pensi  a come sono  cambiati il senso e le modalità della maternità e della paternità. Ad esempio con la diffusione della pratica dell’utero in affitto.

Costruire un Nuovo Umanesimo significa avere il coraggio di parlare della necessità di operare una mutazione antropologica . Assumere come riferimento la persona umana nella sua dimensione relazionale, l’uomo e la donna aperti all’altro che riconoscono la propria interdipendenza con l’altro.

Nulla di astratto ma la realizzazione del dettato Costituzionale là dove all’articolo 2 afferma : “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Si tratta di una vera e propria rivoluzione antropologica in un epoca in cui, i processi economici, il capitalismo della finanziarizzazione dell’economia ha prodotto  l’io solipsistico, l’uomo consumatore e  dipendente dal desiderio, in cui la libertà è  intesa come libertà del desiderio.

Temi grandi ma anche urgenti che dobbiamo conoscere, discutere in una discussione pubblica. Che sarà tanto più coinvolgente, bella e d efficacie in quanto  potrà avvalersi del sapere  e della competenza di una politica che ha intessuto un legame profondo con la vita delle persone.

Un Nuovo Umanesimo ha bisogno   di  cultura  e  di una politica che fa scoprire  ogni giorno alle persone il  gusto della collaborazione, la bellezza dello stare insieme, la curiosità  del conoscersi e riconoscersi, il dovere di prendersi cura dell’altro. Costruire questa politica e  proporsi  l’ideale di un Nuovo Umanesimo, di un Umanesimo Integrale è, secondo me, una sfida, una necessità, una vitale speranza. 

 Livia Turco

L’Unità, 13 ottobre 2016

No del Consiglio d’Europa alla maternità surrogata

12 Ottobre, 2016 (19:49) | Dichiarazioni | Da: Livia Turco

“Sono felice che il Consiglio d’Europa abbia bocciato la regolamentazione della maternità surrogata o ‘utero in affitto’, pratica che considero abominevole”.

È quanto dichiara all’Ansa Livia Turco, già ministro per la Sanità. “Una pratica che - secondo Turco - lede la dignità della donna e riduce la relazione madre-figlio, che si costruisce durante la gravidanza, a puro fatto biologico”. “In nome di una non meglio specificata idea di libertà - aggiunge - con la maternità surrogata si legittima una bieca forma di sfruttamento delle donne più povere”.

“Mi auguro dunque - conclude Livia Turco - che la bocciatura del Consiglio d’Europa incentivi il dibattito perché cresca il rifiuto culturale di questa pratica”.

San Camillo. Turco: “Troppi ritardi sulle cure palliative”

6 Ottobre, 2016 (12:10) | Dichiarazioni | Da: Redazione

“Il pronto soccorso per un malato terminale è il luogo più improprio. Non volevo credere che nessuno avesse informato la famiglia sulle possibilità della presa in carico nel fine vita”. Livia Turco, ex ministro della Salute, si dice “indignata” dalla vicenda di Marcello Cairoli, malato terminale di tumore, deceduto in una sala del Pronto Soccorso al San Camillo di Roma. 
 
“I familiari - spiega ad Askanews - avrebbero dovuto essere orientati dal medico di famiglia e dall’oncologo: sapere di aver la possibilità di rivolgersi a una struttura per le cure palliative. E di poter attivare l’assistenza domiciliare. Non volevo credere che un malato terminale fosse al Pronto Soccorso. Chissà quanti ce ne saranno, e questo purtroppo, pur avendo noi una legge avanzatissima, la 38 del 2010, una delle più avanzate d’Europa, e che per quanto riguarda i malati terminali prevede non soltanto il potenziamento degli Hospice, ma anche le cure domiciliari”.
 
L’ex ministro della Salute individua più facce del problema: nessuno ha indirizzato la famiglia, nessuno l’ha informata sui suoi diritti “una cosa sconcertante”. Ma anche il fatto che “i temi della fase terminale della vita, del dolore, della dignità del fine vita e più in generale delle terapie anti dolore, non abbiano adeguata considerazione nella cultura medica e nella cultura politica e amministrativa. C’è un arretramento - denuncia Turco all’Askanews -: non è spiegabile, che ad anni dal varo di una delle leggi più avanzate d’Europa, queste norme non siano conosciute e siano così poco applicate. Medici, infermieri, farmacisti: tutte le strutture sanitarie devono essere preparate, devono informare, devono orientare”.
 
E il fatto che “a volte le strutture dedicate siano carenti nel nostro paese” non rappresenta una scusante: “c’è caduta di interesse su questo tema. Serve una forte azione di formazione, di sensibilizzazione. Bisogna fare in modo che questo tema torni ad essere vissuto come importante. Stiamo parlando della dignità del fine vita dopo tanta retorica e scontri sul testamento biologico poi abbiamo un malato terminale che muore nel Pronto soccorso?”. E, osserva: “non è una questione di risorse: questo è un diritto. E’ un livello essenziale di assistenza”.
 
E poi è una questione di umanità, avverte l’ex ministro della Salute: “serve calore umano da parte dei medici e da parte di tutti. Perché non solo un malato terminale non va inviato al Pronto Soccorso, ma una volta lì chi gestisce la struttura non può non attivarsi per trovare un’altra soluzione. Stiamo parlando di persone non di numeri. Umanità. Questo serve. Non posso credere che gli operatori del San Camillo non abbiano sentito questa responsabilità: alzare il telefono e indirizzare il paziente in un Hospice di Roma. Non ci posso credere! Non puoi lasciarlo morire in barella in pronto soccorso”.

Per una politica nuova e al femminile

5 Ottobre, 2016 (17:30) | Interviste | Da: Redazione

Ci sono donne che operano nell’interesse della collettività, ma occorre più dialogo e incontro. Alcune riflessioni di Livia Turco, alla luce della sua esperienza. Intervista su Noi Donne di Tiziana Bartolini

 

Livia Turco è stata a lungo parlamentare e anche ministra. Oggi è presidente della Fondazione Nilde Iotti che, tra i suoi obiettivi, ha quello di promuovere e valorizzare la partecipazione delle donne alla vita politica.

 

In tanti anni di impegno hai sostenuto l’affermazione delle donne nei luoghi del potere, non solo politico. Forse è arrivato il momento di valutare il loro operato? 
Quando conclusi l’esperienza di governo mi dissi: spero di avere ancora del potere, anzi averne di più perché per me ha significato avere strumenti per risolvere i problemi. La gratificazione che si ha dalla possibilità di incidere, di cambiare è la grande ricchezza che ne ho ricavato. Per me potere è per eccellenza l’esercizio della politica come servizio e, ieri come oggi, il mio impegno è diffondere questi valori tra le donne; sono contenta di vederne tante ai vertici nella politica, nell’economia, nei media… purché il potere sia inteso come agire onesto e disinteressato e, naturalmente, se vuol dire essere felici e trovare la propria realizzazione nella promozione del bene comune. Non so se tutte lo intendono così.

 

Vedo tante volte praticare la politica dell’annuncio, la ricerca di visibilità; ma molto più spesso vedo nei Comuni, nelle Regioni, al governo nazionale, al Parlamento nazionale ed europeo donne che sgobbano, che si impegnano. Non ho sentito parlare di donne indagate per corruzione. Questi mi sembrano due dati importanti, sufficienti per promuoverle. Poi bisogna valutare la qualità delle politiche, il loro impatto sulla vita delle persone, il loro impegno per la vita delle donne e molte volte si resta un po’ deluse. Non mancano le buone politiche, ma credo che le tante donne nelle istituzioni debbano e possano porre con maggiore radicalità e nettezza la risorsa donna al centro dell’agenda politica. Farebbe bene a tutto al Paese: come si sa un alto tasso di occupazione femminile crea maggiore ricchezza, migliore sviluppo e combatte le povertà e le diseguaglianze.

 

Ciò che manca oggi, soprattutto dalle donne del Governo e dalle parlamentari, che sono brave e competenti e di cui sono convinta sostenitrice, è la loro capacità di rivolgersi esplicitamente alle italiane, di ascoltarle, di raccontare loro le battaglie sostenute ed i risultati ottenuti. So quanto è dura e faticosa l’esperienza di governo, ma ritagliarsi il tempo per andare tra i cittadini e le cittadine, ascoltare, discutere sarebbe un bellissimo messaggio ed un tempo speso benissimo. Sarebbe un modo concreto per avvicinare le donne alla politica. Vorrei che le brave ministre, tutte insieme, facessero un viaggio tra le italiane per ascoltare, prendere appunti, ed anche raccontare quanto è stato fatto. Mi piacerebbe che le giovani del governo e del Parlamento aprissero in modo esplicito e insieme tra loro un dialogo, si rivolgessero alle italiane, le invitassero nelle stanze dei loro uffici. Potrebbero cominciare promuovendo tutte insieme un appuntamento in ogni regione. Governare è prima di tutto competenza e azione concreta, ma se essa non si nutre della relazione umana con le persone rischia di essere inefficace.

 

Ritieni concretamente possibile mettere in atto una modalità femminile di interpretare il potere? 
Si, esiste una modalità femminile di esercitare il potere. A parte le eccezioni, in generale le donne sentono più forte il legame con le persone e con la vita quotidiana. Sono più inclini all’ascolto ed al gioco di squadra, sono più oneste e ci tengono ad essere scrupolose, studiose competenti. Questo però non può rimanere un esercizio individuale, ci deve essere una elaborazione collettiva, un progetto condiviso tra donne ed anche con gli uomini per cambiare la politica, per garantire una qualità del governo ad ogni livello della cosa pubblica e nelle aziende che abbia come obiettivo la valorizzazione delle risorse umane, la relazione anche umana ed empatica con le persone, il merito e la competenza. Questa qualità nuova della politica, del potere, del governo lo dobbiamo richiedere come cittadine e cittadini, elaborarlo in un progetto, proporlo in modo collettivo. C’è una responsabilità anche di noi cittadini/e, che dobbiamo scendere in campo, dare vita a movimenti collettivi e non essere chiusi/e nel nostro risentimento, nella nostra fatica, nella nostra delusione.

 

Ma non nascondiamoci i problemi: troppe volte le donne sono tra loro in competizione, fanno squadra meno degli uomini, sono convinte che le alleanze con gli uomini potenti siano più importanti dell’alleanza tra donne.

 

Cosa pensi della candidatura di Hillary Clinton? 

Sono convita che la elezione di Hillary Clinton alla Presidenza degli Stati Uniti sia un fatto altamente simbolico per accreditare l’autorevolezza delle donne e per dare forza e coraggio a tutte. Sarebbe la prima volta di una Presidente nella parte più importante del mondo, una donna che non ha mai nascosto la sua femminilità, il suo legame con le donne, il suo impegno per i diritti e la libertà femminile. Che unisce a questa “differenza” l’autorevolezza, la competenza, la durezza, la tempra che nell’immaginario collettivo sono ancora attribuiti prevalentemente dagli uomini. Che tali doti siano esercitate da una donna cambia la cultura degli uomini di tutto il mondo e dà forza alle donne di tutto il mondo. Auguri Hillary.

 

Cosa pensi dell’avanzare delle donne alla testa di movimenti populisti e/o di destra in Europa?

Non mi stupisce che donne siano alla testa di movimenti populisti, di movimenti che mettono al centro l’identità del territorio, esprimono le paure di trovarsi impoveriti perché arrivano gli “altri”, difendono la propria famiglia, contestano una politica lontana. Non mi stupisce perché la nostra storia di genere ci ha portate e ci porta a sentire molto strette tra di loro la dimensione del pubblico e quella della vita privata. Questo modo differente di vivere la politica ha prodotto cambiamenti positivi nella concezione stessa della politica, nel modo di intendere la rappresentanza, nella pratica sociale e politica. Ha inciso nel percorso storico del nostro paese e dell’Europa, ha un’influenza positiva sui partiti e sulla loro concezione e pratica della politica.

 

Lo ha fatto quando la politica è stata popolare, prossima, vicina alle persone. Il cambiamento che ha vissuto la politica nell’ultimo decennio in tutti i paesi Europei, in particolare il cambiamento del modo di intendere le istituzioni sovranazionali sentite come lontane e burocratiche, la personalizzazione e la perdita della dimensione comunitaria e popolare dei soggetti tradizionali della politica, la corruzione hanno colpito in particolare le donne. Votano meno degli uomini, sono più distaccate, avvertono un senso di estraneità ed in particole quella differenza che le fa essere molto legate alle persone della propria comunità, molto protese, tanto più nel freddo della crisi economica, alla protezione dei propri cari. Sono più attratte dal messaggio della paura, della difesa del proprio territorio e della propria identità, cercano anche in questa occasione relazioni umane, comunità, legami sociali veri.

 

Per questo sono convinta che per sconfiggere i populismi occorra attivare politiche che combattano le disuguaglianze, che diano sicurezza dimostrando che la carta vincente è la solidarietà. Ma serve anche mettere in campo, accanto ad istituzioni nazionali ed europee rinnovate, prossime, più efficienti, una qualità ed una pratica della politica che prenda in carico le persone, le renda protagoniste. Insomma, la sfida che ci proviene dai populismi sono nuove politiche di sviluppo, nuove istituzioni nazionali e sovranazionali ma anche l’invenzione di una nuova politica popolare che sia accogliente, umana, che attivi le competenze di tutte le persone.

 

A cura di Tiziana Bartolini

Giornata migranti:Livia Turco: “Celebra valore dignità”

3 Ottobre, 2016 (15:15) | Dichiarazioni | Da: Redazione

“Il 3 ottobre come giornata dei migranti ribadisce il valore della dignità umana come valore universale: mi auguro che questo valore conquisti il cuore e la mente di tutti gli italiani e di tutti gli europei e diventi il valore guida delle politiche di governo dell’immigrazione. Solo così potremo costruire un futuro di umanita’ e di speranza”. Lo dichiara all’ANSA Livia Turco, firmataria, insieme a Giorgio Napolitano, della prima legge quadro sull’immigrazione approvata nel 1998, provvedimento che si poneva l’obiettivo di superare la fase emergenziale. 

La prima ad aver favorito l’immigrazione regolare e scoraggiato quella clandestina. La legge Turco-Napolitano è stata poi modificata dalla Bossi-Fini. “E’ importante che il Senato dedichi domani una Giornata di riflessione ai migranti morti in mare - aggiunge l’ex ministro per la Solidarietà Sociale - Sarà l’occasione per rivivere alcuni momenti e alcune immagini che sono rimaste negli occhi e nel cuore di tutti noi: quella dei morti nel Canale d’Otranto quando avevamo appena approvato la nuova legge sull’ immigrazione; le enormi camere ardenti più volte allestite a Lampedusa per onorare i migranti morti in mare; il piccolo cimitero dell’isola che non era più in grado di accogliere le salme. Lo strazio delle madri che avevano visto morire i loro bambini”.

“Questi ricordi - dice ancora Livia Turco - rimandano il pensiero alla generosità dei lampedusani e degli abitanti dei tanti comuni del nostro mezzogiorno dove approdano le navi di migranti”. “Dunque voglio ringraziare il presidente Grasso per aver organizzato un momento bello ed autorevole come sarà domani l’iniziativa al Senato”. aggiunge l’ex ministro per la Solidarietà sociale. “Per Livia Turco “bene ha fatto il legislatore ad approvare la legge che ha istituito la giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, a tre anni del naufragio al largo di Lampedusa, nel quale persero la vita 368 migranti. Ricordare i migranti morti in mare ci sollecita a costruire una politica dell’immigrazione che riconosca la dignità delle persone migranti, dotate di diritti e doveri. Come avevamo fatto con la legge del 1998 promossa dai Governi dell’Ulivo”, conclude Livia Turco.

(Ansa)

I nostri primi 100 giorni a Roma

3 Ottobre, 2016 (12:46) | Dichiarazioni | Da: Redazione

Nei primi cento giorni avremmo realizzato quanto scritto nel programma Giachetti e discusso con i cittadini in campagna elettorale:

1) Piano contro la povertà, per prendere in carico ed inserire attivamente nel mercato del lavoro le persone che vivono in condizioni di povertà assoluta.

Avremmo utilizzato la misura assunta dal Governo nazionale sul reddito di inclusione sociale, quelle previste nella nuova legge regionale di recepimento della L. 328/2000 ed attivato le risorse dei fondi europei.

Avremmo puntato sul reddito di inclusione sociale per essere efficace tale misura ha bisogno che si agisca in due direzioni: 

1) andare “a scovare”, andare incontro alle persone in condizioni di povertà. Non basta genericamente informare ma bisogna attivare un “sociale d’iniziativa”.

2)Prendere in carico la persona e prevedere un percorso di integrazione sociale e lavorativa.

Per questo bisogna  rilanciare e rimotivare la rete integrata dei servizi in cui i servizi sociali, sanitari, uffici del lavoro, scuole, lavorino insieme.

Ci vogliono operatori sociali preparati, motivati e riconosciuti nel loro lavoro.

Ci vuole anche un impegno del mondo economico oltrechè del terzo settore per attivare i progetti di inserimento lavorativo delle fasce più deboli.

Avremmo pertanto costituito:

un Tavolo con la Regione per l’utilizzo dei fondi  regionali, nazionali ed europei;

il coordinamento dei presidenti delle municipalità;

un Tavolo per la lotta contro la povertà a livello cittadino ed in ogni municipalità,comprendente tutti gli attori sociali, dal  terzo settore al volontariato alle forze economiche.

2) Rilancio  della rete integrata dei servizi sociali con particolare attenzione alle fragilità, alle famiglie, all’infanzia,

avremmo impostato con il metodo della coprogettazione il sistema di accreditamento delle cooperative sociali per garantire un servizio ottimale su tutto il territorio metropolitano;

avremmo attivato l’albo delle badanti per consentire ai cittadini di individuare persone  con garanzie di competenza e serietà e dando  al contempo dignità al lavoro di cura e alle stesse lavoratrici.

3) Avremmo con tutte le nostre forze impedito la chiusura dei Centri antiviolenza.

Non solo, avremmo valorizzato la competenza dei centri anti violenza costruendo una rete per la prevenzione della violenza stessa e della tutela delle vittime che coinvolga i servizi sociali, le scuole, gli ospedali, i tribunali, la prefettura, il privato sociale.

Avremmo puntato in particolare sulla cultura e la formazione coinvolgendo le associazioni giovanili

4) Immigrazione

Avremmo cancellato lo scandalo di Via Cupa trovando una struttura permanente per l’accoglienza dei transitanti e dei richiedenti asilo,  d’intesa con la Regione e il Ministero degli Interni.

Avremmo aderito al Programma SPRARR per un’accoglienza diffusa nella città dei richiedenti asilo, puntando al loro coinvolgimento in attività socialmente utili.

Avremmo cercato di inserire i minori non accompagnati promuovendo sul territorio diverse forme di accoglienza e sostegno , ed in particolare l’affidamento familiare.

Avremmo detto che l’immigrazione non è solo emergenza.

A Roma vivono migliaia di nuovi italiani, che sono integrati nella nostra città e sono insostituibili. Non possono restare invisibili.

Avremmo attivato a livello cittadino ed in ogni municipalità i Tavoli della convivenza, per rendere i cittadini migranti protagonisti della vita della città alla pari dei cittadini romani.

Il Sindaco, avrebbe inviato a tutti i ragazzi figli di migranti, nati in Italia, che compiono 18 anni, una lettera personale, per informarli del loro diritto a chiedere la cittadinanza italiana perché da italiani “di fatto” lo diventino anche per legge.

Avremmo avviato la costruzione del Forum della convivenza, per raccogliere, illustrare e narrare le buone pratiche di convivenza diffuse nelle municipalità, per valorizzare i successi, diffonderli e farli diventare tessuto comune di convivenza e costruire in tal modo Roma città aperta, sicura, accogliente e multiculturale.


Livia Turco