Il Blog di Livia Turco

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Month: Luglio, 2013

Caro Sartori, ma quale “terzo mondismo dogmatico”

20 Luglio, 2013 (12:11) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

Dal Corriere della Sera del 20 luglio 2013

Non ho mai goduto della simpatia del professor Giovanni Sartori. Tuttavia credo di aver letto i suoi libri e mi ostino a discutere pacatamente. Quello che lui definisce terzomondismo dogmatico e pressoché fanatico (Corriere, 17 luglio) fu una politica tradotta nella legge 40/98 e nel decreto legislativo 286/98 che ebbe come protagonisti non solo la sottoscritta, ma personalità come Prodi e Giorgio Napolitano.

Tali leggi si basavano sul presupposto che non basta l’accoglienza, dato che non tutti possono essere accolti nel nostro Paese, ma che è possibile una immigrazione regolata e coniugare la sostenibilità sociale ed economica dell’immigrazione con il rispetto della dignità umana. Ne derivarono politiche concrete ed efficaci: 150 accordi di riammissione delle persone entrate clandestinamente, accordi bilaterali di cooperazione, quote di ingressi regolari per lavoro, diritti e doveri per gli immigrati, tra i quali il diritto di voto. Quando la Destra ha abbandonato queste politiche ricorrendo ai Cie, ai respingimenti in mare, al reato di immigrazione clandestina, sono aumentati gli sbarchi, è aumentata l’immigrazione irregolare ed è aumentata l’insicurezza sociale.

Quanto allo ius soli, convengo con il professor Sartori che le semplificazioni non aiutano. Non proponiamo infatti di dare la cittadinanza ai figli di immigrati che nascono in Italia, ma ci proponiamo una piena integrazione dei bambini e ragazzi che crescono nel nostro Paese, si sentono italiani, ma non sono riconosciuti tali dall’ordinamento in vigore. La proposta Bersani del Pd propone che sia riconosciuta alla nascita la cittadinanza ai figli di quei genitori immigrati che hanno un progetto di integrazione nel nostro Paese e vi risiedono da almeno 5 anni.

Quanto alla ministra Cecile Kyenge, che mi onoro di conoscere bene, è in possesso di una laurea preziosa per il suo lavoro: ha cresciuto due figlie che sono campionesse di integrazione ed ha insegnato a tanti immigrati ad amare il nostro Paese ed a rispettarne le regole. Ora con la sua pacatezza ed umanità sta dimostrando agli italiani che per essere bravi ministri non conta il colore della pelle e il Paese in cui si è nati.

Livia Turco

Con l’onorevole Livia Turco siamo e restiamo in disaccordo da sempre. Ma siccome di recente ho fatto una nuova proposta fondata sulla residenza permanente (trasmissibile ai figli) dell’immigrato regolarmente ammesso in Italia, confesso che speravo e contavo su un suo intervento su questo punto. Peccato. Così mi ha deluso, ma grazie lo stesso. (g. s.)

Lega fuori di testa, Calderoli se ha dignità si dimetta

14 Luglio, 2013 (10:32) | Dichiarazioni | Da: Redazione

“I leghisti stanno perdendo la testa di fronte ad un paese che con normale e dovuta civiltà apprezza il lavoro del ministro Kyenge, valutando la persona non in base al colore della pelle ma a ciò che sa fare. La Lega  e i suoi storici esponenti sono arrivati al capolinea: gli italiani hanno capito che gli slogan e le offese xenofobe,  nascondono solo tanta incapacità e  altrettanta voglia di potere. I capi del Carroccio sono oramai un grumo di rancore e di odio che soffia sulle paure degli italiani  per poter racimolare i voti con il vecchio metodo del terrore verso il “diverso”. Una vera schifezza. Si ricordino gli italiani che questi signori  con verde pochette sono gli stessi che hanno condotto il paese sull’orlo del baratro economico e che cercano di rifarsi una credibilità  con metodi e parole disgustose. Non ci devono riuscire. Calderoli da parte sua se conserva un briciolo di dignità, abbia un sussulto di orgoglio e si dimetta   e abbandoni la vita politica nazionale”.

Lampedusa. Le parole del Papa e la politica

11 Luglio, 2013 (11:50) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da l’Unità

Una buona politica dovrebbe sempre ascoltare le parole della Chiesa. Comprenderne il significato. In quanto parole che parlano dell’uomo e della sua umanità. Assumerle come lievito nel suo pensare ed agire il bene comune. All’interno di quella distinzione dei piani che sostanzia il principio di laicità.

Continua invece ad accadere che le parole del Papa sono esaltate quando sono condivise o liquidate come interferenti quando non lo sono. Come ha fatto l’on. Cicchitto in merito alle parole di Papa Francesco a Lampedusa. Questo atteggiamento strumentale verso le parole della Chiesa toglie libertà ed autorevolezza alla politica. Tanto più quando si trova difronte ad un messaggio dirompente come quello proposto da Papa Francesco a Lampedusa.

Un messaggio che va oltre la questione dell’immigrazione perché ci obbliga a ritrovare il senso, il sentimento della nostra appartenenza al genere umano. Voglio citare il passaggio cruciale di tale discorso “La cultura del benessere che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri. Ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta alla indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione della indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro che non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende “innominati” responsabili senza nome e senza volto”.

Queste riflessioni ci interpellano come donne e come uomini nella nostra umanità profonda, sul senso della nostra vita. Ma sono riflessioni che riguardano anche la politica non solo per quanto attiene il governo dell’immigrazione ma su quale tipo di società vogliamo costruire, quali cittadini e cittadine vogliamo essere. Ci dice che senza una rivoluzione antropologica che faccia  riscoprire in questo nostro tempo, dopo la bonaccia e le distorsioni dello sviluppo capitalistico e del consumismo, che ha declinato la nostra umanità “sull’io proprietario” sul mito del successo, dell’apparire, della competizione, il senso del riconoscimento dell’altro, la relazione con l’altro, il legame comunitario, senza questa rivoluzione antropologica non si esce dalla crisi attuale e non si costruisce una convivenza umana più serena ed equa.

Non ci sarà più giustizia, più benessere, piu democrazia se non cambia la dimensione umana della nostra vita individuale e collettiva. Se dall’io proprietario ed acquisitivo non si passa all’io relazionale che sa prendere in carico l’altro. Non è solo questione di etica e di felicità individuale. La relazione con l’altro, la capacità di fare gioco di squadra, di costruire comunità è un ingrediente essenziale per la rinascita della democrazia e per rimettere in moto lo sviluppo. Dobbiamo riconoscere con lealtà che la trascuratezza dell’altro, noi donne e uomini dell’Europa, l’abbiamo vissuta in particolare nei confronti dei migranti. Si è come spento in noi lo sforzo di immaginare e capire cosa vuol dire scappare dalla fame e dalla guerra, di capire quell’anelito potente alla libertà ed alla dignità, alla ricerca di una vita migliore.

Eppure la nostra società emocratica e del benessere è stata costruita proprio facendo leva sulla potenza di quell’anelito alla libertà ed alla dignità. Dunque dovremmo capire che nel movimento migratorio non c’è caos e disordine ma la forza della speranza per costruire un mondo migliore che è stata nel corso della storia il motore del cambiamento. Certo,l’immigrazione è un fenomeno duro e complesso che va governato con sapienza. Ma un conto è dire ad un uomo ad una donna “non c’e'posto per te” alzando i fili spinati e praticando i respingimenti in mare. Altra cosa è dire a quello stesso uomo a quella stessa donna “non sono in grado di accoglierti perché ci sono tanti problemi anche qui per questo dobbiamo costruire insieme una società più giusta ed umana”. Ed attivare una politica europea di co-sviluppo, di ingressi regolari per lavoro, di valorizzazione delle competenze e del capitale umano di tutte le persone. Native e migranti.

Livia Turco

Kyenge, pasionaria dello ius soli

7 Luglio, 2013 (12:20) | Interviste | Da: Redazione

Intervista di Andrea Malaguti a Livia Turco su La Stampa del 7 maggio 2012
«Io?», insiste. «No, è stato Letta. È lui che ha scelto Cecile». Ma quelle parole - «hai scelto tu, lo sanno tutti» - evidentemente le piacciono. Ci gode Livia Turco. E lo confessa con un po’ di imbarazzo che questa storia la gratifica. Ma in fondo va bene così. Di fatto è una certezza che se non ci fosse stato l’ex ministro cuneese - una donna capace di fare un passo indietro, di rinunciare alla poltrona in cambio dello spazio per due dei suoi pupilli cresciuti in Italia e nati da un’atra parte del mondo - oggi Cecile Kyenge Kashetu, quarantanovenne congolese non sarebbe seduta sui banchi del governo. Donna. E nera. La prima. «È una persona dolce e determinata, che sa che cosa significa lavorare in gruppo. Sono fiera di lei. Così come sono fiera di Khalid Chaouki».

Benvenuti nel nuovo mondo, dove i dirigenti del Pd, il partito più sgangherato della galassia, per scegliere il ministro dell’Integrazione hanno bizzarramente usato un criterio di qualità, portando al ballottaggio uno scrittore, politico e giornalista di Brazzaville, Jean Leonard Touadi, e una mamma medico di Modena, nata a Kambove e italiana per matrimonio. «Ha vinto Cecile solo perché è donna e nera. E da un punto di vista dell’immagine in questo momento funziona di più», spiega cinico un dirigente democratico fumando nel cortile di Montecitorio. È vero? Forse.

Di certo Enrico Letta si accorse di Cecile, quando la vide a Torino a un incontro del Forum Nazionale per l’Immigrazione. Lui, lei, la Turco. La dottoressa era una donna dai modi morbidi e dai concetti chiari, con un’ossessione chiamata «ius soli», diritto di cittadinanza per chi nasce in questa terra. Una bestemmia? Un’ovvietà. Se hai emesso il tuo primo vagito negli Stati Uniti. Da noi no. In ogni caso lei ci credeva. Al punto da firmare - appena eletta - una proposta di legge assieme a Bersani, re senza terra che aveva deciso di consegnarle un seggio sicuro inserendola nel proprio listino di irrinunciabili.

Donna curiosa, Cecile. Diversa da tutte. Un diesel. Una che va dritto allo scopo. Forse perché con un padre poligamo e 37 fratelli ha capito in fretta che era inutile sprecare parole. «Ha la pazienza per arrivare a dama. È moderna. Preparata. E di sicuro non gioca a fare il panda». Scusi? Il deputato modenese Davide Baruffi si illumina. «Io la conosco dal 2006. Lei viene dai Ds, poi è passata nel Pd. Conosce e lavora per il partito. Non bara. Non strumentalizza. Combatte una battaglia in cui crede. E sa quello che dice. Per questo Letta ha puntato su di lei». E lei, portavoce della rete Primo Marzo (l’associazione che nel 2010 organizzò lo sciopero degli immigrati) non ha tremato davanti al compito.
Alla prima occasione pubblica ha dichiarato: «Io non sono di colore. Io sono nera». Applausi. Boati. E una valanga di inevitabili improperi internettistici. «Questo è il governo del bonga bonga», disse schiumando tutta la sua volgarità l’europarlamentare leghista Borghezio.

E alla seconda (facendo mille precisazioni sui propri ruoli e competenze e su quelli del ministro dell’Interno Angelino Alfano): «Lavorerò per l’introduzione dello ius soli e per l’abolizione del reato di immigrazione clandestina». E anche qui boati, applausi e improperi. Di una sgradevolezza dolorosa. Accompagnati da rampogne infastidite e fastidiose di Renato Schifani, Maurizio Gasparri e Bobo Maroni. E da commenti nebbiosamente velenosi come quello della parlamentare Pdl Elvira Savino. «Dopo il ddl sullo ius soli, il ministro intende presentarne uno anche sulla poligamia praticata dalla sua famiglia in Congo?». Ottusità da bar di periferia. «O anche opinioni da mettere in conto, d’altra parte Gasparri non sarebbe lui se non usasse certi toni. E io non mi starei a spaventare. Non lo farà neppure Cecile. Il suo non è un compito facile. Ma il Paese è pronto ad andare avanti. Lei dovrà essere brava a coinvolgere gli altri componenti del governo», chiosa la Turco.

Brava? Una fuoriclasse. Perché per non sentirsi come una farfalla finita in un bicchiere, il più facile degli spot del governo del cambiamento annunciato, dovrà convincere un Parlamento intero che il multiculturalismo non è uno scioglilingua da salotto, ma vita di gente vera. Un salto mortale triplo. Carpiato. E rovesciato.

Kyenge: sull’immigrazione legge pronta dopo l’estate

7 Luglio, 2013 (10:52) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Rachele Gonnelli (L’Unità del 7 luglio 2013)

Può darsi che il Santo Graal debba essere una tazza di ceramica povera trattata con noncuranza dai cavalieri dall’elmo lucente come nella saga di Indiana Jones. Così può essere che il catoblepismo - e con esso il modello di partito nuovo, in grado di essere contemporaneamente palestra di nuove idee, scuola-quadri e coordinamento di politiche nazionali - o anche il motore interno che fa funzionare il Pd come partito di massa malgré lui, cioè nonostante le frantumazioni correntizie e la litigiosità del suo vertice, si trovi in ciò che va sotto il nome di Forum immigrazione, articolazione viva del Pd.

La prova sta nell’affollata riunione di ieri nel salone conferenze del Nazareno alla presenza della ministra all’Integrazione Cécile Kyenge - che per altro proprio dal Forum viene - del vice ministro all’Interno Filippo Bubbico e del segretario del Pd Guglielo Epifani. Va in scena la politica che cerca di analizzare i nodi della complessità, che parte dai territori e dà soluzioni e idee, che riesce ad aggregare e a formare i giovani e anche a parlare al mondo della cultura, che dialoga con le associazioni, che riesce a fornire esempi di buone pratiche locali, come richiesto dal ministro Kyenge, e a darle indicazioni utili oltre che sostegno.

È un’esperienza nuova e già matura, che si è strutturata nel corso degli ultimi tre anni a partire dal tema che più incarna le contraddizioni della globalizzazione. Parlare di immigrazione significa infatti parlare di sanità e di scuola, di pace, di identità personale e di popolo, delle forme della partecipazione democratica, dell’emancipazione femminile declinata nelle varie culture e religioni, della battaglia contro le logiche sempre emergenziali e securitarie che creano sprechi e calpestano persone e diritti.

Il Forum è una rete di relazioni ed è vissuto come comunità. Prefigura in sé, anche plasticamente, l’idea di società che vuole portare nel Paese: ieri di qua e di là dal tavolo della presidenza, con al centro Livia Turco, volti di diverso colore e provenienza geografica. Una riunione multietnica sul futuro dell’Italia in cui le diversità, anche abissali, sono sentite da tutti come ricchezza, nel confronto, per far maturare una sintesi comune. Il Forum manda al governo Letta dieci proposte di riforma e una proposta di legge-quadro sull’immigrazione e il diritto d’asilo in dieci punti.

Tra le proposte: la cancellazione della tassa sul permesso di soggiorno, la riduzione dei tempi di permanenza nei Cie, l’allungamento dei permessi di soggiorno per chi perde il lavoro, la gestione dei rinnovi dei permessi da parte dei Comuni, il riconoscimento dei titoli di studio dei Paesi extra-Ue, la semplificazione del diritto di voto amministrativo per i migranti comunitari, l’istituzione di un albo dei mediatori interculturali, tempi certi e accorciati per le naturalizzazioni. Kyenge spiega come, a partire dal lavoro avviato dalla commissione Affari costituzionali e del neonato intergruppi parlamentare che prenderà in esame le 20 proposte di legge presentate sulla riforma della cittadinanza, vuole arrivare «dopo l’estate» all’approvazione del testo finale. Lei intende intavolare il compromesso intorno alla proposta del Forum che, sulla scia del progetto Bersani, chiede il riconoscimento della cittadinanza italiana per i nati in Italia prima dell’inizio della prima elementare.

Pieno il sostegno del segretario Epifani che, «grazie anche all’aiuto che ci viene dal nuovo pontificato» e dalla visita di Papa Francesco lunedì prossimo a Lampedusa, è convinto che sullo ius soli - e più in generale sull’ampliamento dei diritti civili - «sia possibile trovare mediazioni più avanzate» in sede parlamentare. Anche se, aggiunge, «non sarà facile» non mettere a rischio gli equilibri di quello che continua a chiamare «governo di servizio». Epifani appoggia anche la richiesta che i responsabili dei Forum Immigrazione locali entrino a far parte di diritto delle segreterie del Pd.

Molti gli interventi che hanno chiesto la chiusura dei Cie e dei Cara per come sono - «una vergogna», ha ricordato Christofer Hein - e la loro sostituzione con altri strumenti, dal potenziamento del rimpatrio volontario assistito all’implementazione dei progetti Sprar per il ripopolamento dei piccoli centri grazie a nuclei di famiglie di asilanti, progetti su cui si sono concentrati gli interventi del sindaco calabrese Giovanni Manoccio e dell’assessora aretina Stefania Maggi. Livia Turco ha dato indicazione di firmare per il referendum radicale di abolizione del reato di clandestinità. E al congresso si discuterà anche una mozione trasversale sull’immigrazione.