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Month: Marzo, 2011

Forum immigrazione. Turco: “Chi nasce in Italia è italiano”

25 Marzo, 2011 (16:31) | Dichiarazioni | Da: Livia Turco

L’intervento di Livia Turco alla Prima Conferenza nazionale sull’immigrazione promossa dal PD che si è aperta oggi a Roma. I Lavori si concluderanno domani. 

“Abbiamo cominciato il nostro lavoro sui temi dell’immigrazione e lo abbiamo articolato e sviluppato nel Paese partendo dai giovani, quelli “che hanno una marcia in più” come mi è capitato di dire spesso conoscendo i tanti Khalid  e Cecile che vivono nel nostro Paese, vale a dire i giovani e le ragazze della Seconda Generazione.
Siamo partiti da loro perché vogliamo costruire un’Italia giovane che sappia coinvolgere i suoi cittadini in un sentimento di rinascita, capace di guardare al futuro.
Siamo partiti da loro perché vogliamo farci contagiare dalla loro particolare energia, spirito imprenditivo, tenacia, capacità di fare dei sacrifici e progettare il futuro.
Sospesi a metà tra due mondi, radicati di qua e di là, legati ai simboli dei loro genitori, ma ancor più amanti dei nostri simboli e delle nostre terre, questi giovani anticipano la sfida con cui tutti dovremo misurarci: navigare in mare aperto ma avere porti sicuri cui attraccare la barca della nostra identità.

Nel 1992 quanto il legislatore approvò la nuova legge sulla cittadinanza, la più ostile in tutta Europa nei confronti dei giovani stranieri, loro, i minori stranieri in Italia, iscritti all’anagrafe, erano 5.000, oggi sono 870.000. 
I 150 dell’Unità d’Italia, se vogliono essere capaci di costruire il futuro devono anche partire dal cambiamento contenuto in questa cifra. Insieme con il  ricordo di un’altra. Nel 1861, al primo censimento dell’Italia unita, erano 200.000 gli italiani all’estero. 100.000 nelle due Americhe, 80.000 in Francia, 20.000 in Germania e Svizzera. Venivano dal Piemonte, dalla Liguria, dal Veneto e dal Sud. Tra il 1876 e il 1973 l’emigrazione coinvolse a vario titolo, tra partiti, rientrati, rimasti qualcosa come 26.000.000 di individui. La lingua italiana si è diffusa sin dall’inizio in tutto il mondo e l’idea dell’Italia e di italianità è cresciuta sin dall’inizio dell’Unità d’Italia fuori dal nostro territorio. 
I nostri emigrati hanno costruito un’Italia transazionale perché l’hanno diffusa nel mondo ed hanno portato il mondo a casa nostra.
In questi ultimi mesi i nostri Khalid e le nostre Cecile si sono mescolati con altri Khalid ed altre Cecile, che vivono solo un po’ più lontano, ma che sono colti, amano la musica, usano le nuove tecnologie e sono affamati di giustizia sociale, di lavoro e di diritti. Questi giovani della Tunisia, dell’Egitto, in poco tempo hanno abbattuto regimi autoritari e corrotti ed hanno messo in moto straordinari processi democratici. Ci hanno obbligato ad alzare lo sguardo oltre la siepe ributtandoci nella nostra dimensione reale che è quella di essere parte del Mediterraneo. Europei del Mediterraneo. 
Dobbiamo sostenere i processi democratici che si sono aperti e la difficile transizione nella consapevolezza che la cacciata dei dittatori non costituisce di per sé l’avvento della democrazia. 
Dobbiamo costruire un nuovo modo di essere Europa a partire dai valori e dai principi europei che sia capace di coinvolgere i nuovi processi democratici del Mediterraneo. 
La drammatica vicenda che coinvolge la Libia ci conferma che lo schema con cui l’Europa si è rapportata al Mediterraneo guardando solo ai vantaggi che poteva trarne – petrolio, controllo della’immigrazione clandestina, lotta al terrorismo – a costo di sostenere regimi autoritari senza pensare ai problemi dello sviluppo di quei paesi, si è rivelato cinico, miope ed oggi non più realistico. 
Bisogna governare i nuovi processi con un nuovo paradigma basato su una visione comune dei problemi, sul dialogo e sulla cooperazione paritaria e su una visione integrata dello sviluppo e della crescita economica e sociale tra Europa e Mediterraneo.
La frontiera mediterranea è frontiera comune dell’Unione ed è frontiera aperta attraverso cui devono ricominciare a scorrere intensi rapporti politici e diplomatici ben oltre il corto raggio delle esigenze operative di controllo e di contrasto dell’immigrazione clandestina.
L’Europa deve costruire un nuovo partenariato con i paesi della sponda Sud del Mediterraneo che tenga insieme processi di democratizzazione, governo dell’immigrazione, politiche di sviluppo.

Come abbiamo scritto nel documento approvato all’Assemblea Nazionale di Varese “Impariamo a vivere insieme” una nuova politica Europea sull’immigrazione richiede una politica comune degli ingressi ed una gestione integrata delle frontiere; un sistema comune di asilo con una nuova solidarietà obbligatoria, che porti attraverso la revisione di Dublino 2, a definire nuovi meccanismi di solidarietà tra i paesi membri in caso di afflusso massiccio di persone permettendo la redistribuzione dei richiedenti asilo (su base volontaria) tra i paesi membri per l’esame delle domande e la valutazione dei singoli casi; una politica di diritti di inclusione e di cittadinanza.
I tumulti del Mediterraneo spazzano via la retorica e l’impianto politico del centro-destra sull’immigrazione come sé il problema fosse stato e fosse quello di erigere scudi protettivi nei confronti dei processi di globalizzazione. Né i muri, né i fili spinati, né i dittatori, possono governare i flussi migratori! Siamo di fronte al fallimento totale e clamoroso della politica del governo sull’immigrazione, quella  che ha alimentato la paura, che ha affidato a Gheddafi il ruolo di gendarme per il controllo delle nostre coste non applicando lo stesso accordo Italia-Libia che al punto 6 parla di rispetto di diritti umani fondamentali; che ha azzerato le politiche di cooperazione allo sviluppo; che ha bloccato l’ingresso regolare per lavoro salvo poi ricorrere al clik-day; che lascia soli i comuni a gestire le politiche di integrazione; che parla di Europa ma non applica le direttive europee come nel caso della norma relativa al rimpatrio assistito e quelle relative al contrasto dello sfruttamento del lavoro irregolare.
L’Italia ha conosciuto molte emergenze umanitarie ed ha sempre saputo affrontarle con decoro ed umanità, garantendo la sicurezza degli italiani e l’assistenza ai profughi. Non era mai successo di vedere immagini di abbandono e trascuratezza come quelle di questi giorni a Lampedusa! Una inefficienza non casuale ma frutto di una visione politica e di un’azione di governo basata sul mix: creazione di allarme sociale e lamento sulle inadempienze dell’Europa.
Di fronte alla ennesima emergenza, diciamo quello che avrebbe dovuto essere fatto e si deve fare: rinegoziare l’accordo bilaterale con la Tunisia; reperire le strutture di accoglienza con l’impegno delle Regioni e dei Comuni su tutto il territorio nazionale; promuovere il rimpatrio assistito; potenziare l’aiuto umanitario in Tunisia e in Libia; utilizzare gli strumenti e le risorse europee che esistono e di cui si può pretendere l’applicazione quando si è autorevoli nella propria azione di governo. Voglio ricordare che il programma finanziario che l’Unione Europea per gli anni 2007/2013 ha previsto un capitolo “Solidarietà e gestione flussi migratori” nell’ambito del quale sono stati finanziati un fondo per i rifugiati e un fondo per le frontiere esterne. Relativamente sia il primo che il secondo fondo è prevista la possibilità che vengano stanziati dei finanziamenti urgenti agli Stati membri a fronte di particolari situazioni di emergenza.
Bisogna però andare oltre l’emergenza e dotare il nostro Paese di un sistema strutturato di accoglienza, così come era già previsto nella legge 40 del 1996 che sia articolato su tre livelli: 
1)Centri di accoglienza per le emergenze umanitarie;
2)Strutture per i richiedenti asilo;
3)Centri di identificazione degli immigrati clandestini.
Stipula di accordi bilaterali (il 90% di quelli esistenti furono siglati dal governo di centro-sinistra), politiche di co-sviluppo anche attraverso la valorizzazione della identità transazionale delle persone immigrate: è questa la nuova frontiera del governo dell’immigrazione che è tanto più efficace e credibile quanto più l’Italia costruisce se stessa come paese della convivenza civile. Se nel dopoguerra l’interesse nazionale dell’Italia fu quello di costruire l’unità politica dell’Europa oggi l’interesse nazionale dell’’Italia è essere artefice dell’unità politica del Mediterraneo.
Credo sia interessante riprendere un’idea circolata negli anni scorsi relativa alla costruzione di un Consiglio Euro-Arabo, sul modello del Consiglio Europeo di Strasburgo che fu propedeutico alla costruzione dell’Unione per fornire un quadro istituzionale alla progettazione politica su immigrazione, ambiente, cultura, diritti umani.
Oggi dobbiamo costruire una nuova idea di nazione e riformare il nostro Stato realizzando finalmente la democrazia della nostra Costituzione.

Come ci ha ricordato il Presidente Giorgio Napolitano nel suo bellissimo discorso pronunciato alla Camera il 17 marzo scorso, nell’Italia unita c’è anche la diversità, la pluralità, la solidarietà. 
Per costruire un’Italia forte e autorevole dobbiamo guardare alle forze in campo, alle energie che possiamo mobilitare e ai talenti da valorizzare. 
I 5.000.000 di immigrati e di immigrate che vivono con noi sono parte di noi, sono una popolazione e non solo lavoratori. Sono donne, uomini, giovani che ci aiutano a vivere meglio. C’è un’Italia profonda, che ha cominciato a costruire la mescolanza e la convivenza tra i diversi. Questa Italia resta tuttora nascosta e sconosciuta.  
La politica può essere efficace se si nutre di una puntuale analisi sociale, conosce i processi ed i cambiamenti che si sono sedimentati nei territori, dà loro volto e voce. Li fa irrompere nella scena pubblica e nel dibattito pubblico. 
Noi vogliamo conoscere, raccontare e sostenere questa Italia della convivenza.
Abbiamo cominciato raccogliendo delle buone pratiche che trovate in allegato nella cartellina e che vogliamo proporvi come esempio e traccia per lanciarvi da qui l’idea di scrivere insieme, dai territori e dell’esperienza quotidiana il romanzo dell’Italia della convivenza. Non si tratta di buonismo ma di una operazione verità, doverosa verso noi stessi, verso l’obiettivo di un’Italia più forte. Scriviamo insieme il racconto dell’Italia vera per mandare in frantumi l’ideologia leghista dell’immigrato invasore ed usurpatore e per sconfiggere la paura e l’indifferenza suscitando il sentimento della curiosità e dell’apertura. Facciamo leva sulla forza dei buoni esempi, sulla forza di quelli che ce l’hanno fatta, per dire che, mescolati si vive meglio.
È importante che si sia costruita su iniziativa del comune di Torino e di Reggio Emilia la Rete europea delle città della convivenza. Il nostro romanzo vuole essere scritto con le città dell’Unione Europea, con l’esperienza dei nostri emigrati.
Vogliamo altresì sviluppare le potenzialità contenute nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea che, con il trattato di Lisbona entrato in vigore il 1° dicembre 2009, assume forza giuridicamente vincolante.

I diritti sanciti dalla Carta devono essere rispettati e promossi dall’Unione Europea e dagli Stati membri.
La Carta attraverso i suoi cinque titoli: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, prevede un corpo di diritti che afferma in modo compiuto la dignità della persona e disegna un modello sociale inclusivo, definendo il quadro fondamentale di valori necessario per costruire il sogno europeo dell’unità nella diversità. 
Molti diritti sanciti nella Carta sono diritti della persona e non solo dei cittadini europei.
Si tratta di una novità importante anche sul piano costituzionale come hanno riconosciuto autorevoli costituzionalisti perché fonda l’identità dell’Unione Europea su un nucleo di diritti fondamentali inviolabili comuni a tutti gli esseri umani.
Si può partire dalla Carta dei Diritti fondamentali per espandere il concetto di cittadinanza europea e far evolvere i diritti di cittadinanza andando oltre  il legame di appartenenza allo Stato-Nazione. Per scrivere i diritti dei non cittadini.
Dalla Carta dei Diritti dell’Unione Europea potrebbe scaturire una Carta Europea dei diritti dei migranti che attribuisca in modo esplicito ai migranti quelli che la Carta riconosce come diritti della persona. Si potrebbe inoltre riprendere la battaglia per estendere ai migranti lungo-residenti la “cittadinanza di residenza” e consentire loro forme adeguate di partecipazione politica a livello locale in tutta l’Unione Europea.
È questa una pagina nuova che proponiamo di costruire insieme a tutto l’associazionismo e chiediamo un particolare impegno al Gruppo PD del Parlamento Europeo ed anche alla Fondazione Feps presieduta da Massimo D’Alema.
Recentemente il leader inglese Cameron ha riaperto il dibattito sulla crisi o addirittura il fallimento del multiculturalismo. È vero, il multiculturalismo si dimostra incapace di dirimere i conflitti e di costruire convivenza quando si limita a praticare il principio della tolleranza e il rispetto della pluralità come il semplice stare l’uno accanto all’altro.  Quando rinuncia a  fare la fatica di conoscersi, riconoscersi, costruire una relazione reciproca, condividere, anche arricchendoli, i valore e le regole del Paese ospitante. Per costruire l’Unità bisogna conoscersi e riconoscersi, condividere le scelte, sedersi allo stesso tavolo, guardarsi in faccia, contribuire a realizzare mete comuni e progetti condivisi.
Il multiculturalismo può esistere solo se si rafforza l’unità nazionale, sul piano sociale ed economico, ma anche sul piano dei valori condivisi, che fondano l’appartenenza alla cittadinanza ed alla identità collettiva. Solo se si rafforza il senso di appartenenza all’identità collettiva diventa possibile riconoscere le differenze culturali. Solo rafforzando le politiche di uguaglianza diventa possibile accettare le differenze. Occorre essere uguali e differenti.
La strada maestra è quella della cittadinanza e della partecipazione politica che è l’altra questione che vogliamo rilanciare con forza e con idee nuove in questa Conferenza.
Guardiamo da vicino l’Italia della convivenza. Cosa ci insegna, quali parole chiave ci propone, quale idea di società indica. La via italiana alla convivenza nasce nelle comunità locali alla fine degli anni ’70 quando iniziarono i primi flussi migratori. Si forma attorno ai Comuni, che fanno un gioco di squadra con il volontariato, l’associazionismo, i sindacati, gli imprenditori, le scuole. Ciò che ha favorito la via italiana alla convivenza è stato il felice incontro di alcune peculiarità dell’Italia e di alcune peculiarità dell’immigrazione: la diffusione dell’immigrazione su tutto il territorio, nei piccoli centri anche quelli disabitati; la diffusione secondo le esigenze del nostro mercato del lavoro; la presenza delle donne nelle nostre famiglie che hanno abbattuto stereotipi e che hanno costruito legami; la presenza di una democrazia diffusa dei sindacati, le associazioni, i comuni, le parrocchie che hanno coinvolto gli immigrati e sin dall’inizio hanno accorciato le distanze tra italiani ed immigrati; la scuola che ha formato i nostri ragazzi ma anche le famiglie italiane e straniere facendole incontrare e diventare capaci di parlarsi tra di loro. 
La via italiana alla convivenza ha valorizzato il lavoro, i diritti sociali, ha puntato sul superamento delle discriminazioni, ha parlato di diritti-doveri. Di rispetto delle regole e di riconoscimento delle differenze. Ha favorito la mescolanza attraverso i gesti della vita quotidiana, nelle fabbriche attraverso il rapporto di fiducia con il datore di lavoro e l’amicizia con i lavoratori, nelle scuole, nei quartieri, nelle famiglie. 
Quando sono esplosi i conflitti ha saputo superarli perché l’Ente locale si è messo di mezzo, cercando di capire le ragioni degli uni e degli altri, promuovendo un gioco di squadra ed individuando obiettivi comuni. Che in genere è coinciso con la lotta al degrado urbano e sociale. E con la rinascita del proprio quartiere e città.
Fin dall’inizio la via italiana alla convivenza ha puntato sulla partecipazione politica, attraverso le consulte per gli stranieri ed i consiglieri aggiunti. Nel 1996 ha incontrato la politica che con la legge 40/1996 l’ha sostenuta e valorizzata attraverso indirizzi e risorse. Legge poi del tutto abbandonata e stravolta dalle nuove normative del centro-destra. Certo, non tutto è risolto. Ci sono state e rimangono le criticità: la situazione di degrado urbano, il permanere di un grave problema abitativo ed il divario Nord Sud. 
La via italiana alla convivenza civile è sociale, comunitaria, della mescolanza e dell’integrazione politica.
Ci dice che la nuova unità d’Italia è l’unità nella diversità. 
Oggi la questione del rapporto tra immigrati ed italiani non è solo più quella dei diritti e dei doveri ma di quale Italia costruire insieme, di un nuovo progetto Italia da condividere e da costruire insieme. Per questo parliamo di una alleanza tra italiani ed immigrati per un’Italia migliore. Un’alleanza per lo sviluppo umano, per la dignità del lavoro, per il welfare delle sicurezze per tutti, per il diritto allo studio e la scuola interculturale per tutti, per una democrazia forte ed inclusiva. Ci battiamo prima di tutto per il lavoro, un lavoro riconosciuto e decente in tutte le sue forme a partire da quello operaio e manuale, contro il lavoro precario, il lavoro nero e sfruttato sia degli italiani che degli immigrati, come indicato nelle proposte di legge che abbiamo presentato e nelle iniziative parlamentari che abbiamo promosso. C’è un nodo da sciogliere: definire nuove modalità di ingresso. Tema cruciale per una politica riformista. A ciò abbiamo dedicato un apposito documento che verrà discusso nella sessione di oggi pomeriggio e che fa compiere un passo in avanti alla riflessione avviata all’Assemblea programmatica di Varese. 
Vogliamo costruire un welfare che non alimenti la guerra tra poveri, che eviti la contrapposizione tra italiani ed immigrati e promuova la sicurezza per tutti. Un welfare inclusivo che combatta le povertà e le diseguaglianze a partire dalla messa in atto, finalmente, di un reddito di solidarietà attiva per prevenire la caduta nella povertà e per aiutare a risollevarsi chi in essa si trova. Abbiamo bisogno di una scuola di tutti e per tutti, che non lasci indietro nessuno, che non abbia paura delle differenze, che formi i cittadini del terzo millennio e dunque sia una scuola interculturale per tutti.

Costruire un’alleanza politica, condividere un progetto significa essere riconosciuti come cittadini, e poter aver le sedi in cui esprimersi e contare. Il tema della democrazia e della partecipazione politica è dunque oggi la questione cruciale, è il passaggio politico istituzionale necessario per creare coesione sociale e politica. 
Partecipare vuol dire essere riconosciuto ma anche assumersi delle responsabilità, esercitare un dovere nei confronti della propria comunità.
Abbiamo bisogno di una democrazia che consenta a chi nasce e cresce in Italia di dirsi italiano e che consenta a chi vive con noi, lavora e paga le tasse di partecipare attivamente alla vita politica. Una democrazia per essere forte deve saper prevenire lacerazioni e conflitti. La democrazia italiana deve cogliere il conflitto potenziale contenuto nel fatto che un elevato numero di giovani che nasce e cresce nel nostro Pese e si sente italiano è privo di identità, e al compimento del 18° anno se non trova un lavoro o se non frequenta con assiduità gli studi universitari diventa clandestino e rischia l’espulsione.
Ha solo un anno di tempo per rivolgere la domanda di cittadinanza e per poterlo fare deve aver vissuto ininterrottamente per 18 anni nel nostro Paese.
Consentire a chi nasce in Italia di essere riconosciuto cittadino italiano e a chi arriva in Italia di essere italiano dopo aver compiuto un ciclo di studi è una necessità e un dovere della nostra democrazia. È una grande priorità per il PD. Per questo diciamo in modo chiaro e forte: non consentiamo che la legge sulla cittadinanza sia considerata un cosmetico per abbellire il viso, secondo le circostanze e le convenienze; che sia usata per giochi politici; non consentiamo che sparisca dall’agenda politica!!!
Siamo impegnati in una campagna affinché tutti gli italiani si riconoscano nella parola d’ordine: chi nasce e cresce in Italia è italiano.
Promuoveremo una manifestazione davanti al Parlamento e chiederemo un incontro a tutti i gruppi parlamentari ed al Presidente della Camera per sapere che fine ha fatto la legge sulla Cittadinanza.

Al segretario del PD Pierluigi Bersani, che tanto si è impegnato su questo tema, chiediamo che dica fin da oggi che il Governo Bersani, nel suo primo Consiglio dei Ministri, in onore dell’Unità d’Italia, approverà la norma per cui: chi nasce e cresce in Italia è italiano.
Ci rivolgiamo ai nostri sindaci. Per ringraziarli. Perché sono stati il baluardo della convivenza e gli artefici di processi innovativi. Lavorando da soli e lavorando contro corrente. Ci rivolgiamo a loro per proporre un gioco di squadra che dia volto e voce all’Italia della convivenza e per dire basta alle  ordinanze razziste della Lega Nord! Cambiamo pagina, ritmo, parole! Con spirito patriottico, ripartiamo dai nostri comuni per costruire un’Italia nuova, per dare impulso all’Italia della convivenza. Vi lanciamo una sfida e vi siamo accanto con delle proposte concrete e con l’impegno tra i cittadini. Domani illustreremo “le chiavi delle città”, alcuni impegni concreti per renderle più belle, e più aperte. Cominciamo dalla presenza in consiglio comunale e tra gli assessori di nuovi cittadini, che come insegnano le esperienze di Novellara, Quattro Castella (R.E.), Campi Bisenzio  ed altri, hanno una marcia in più; rilanciamo gli strumenti della  partecipazione politica; favoriamo l’accesso alla cittadinanza, come fa il sindaco di Reggio Emilia che ai giovani stranieri che compiono il 18° anno invia loro una lettera per sollecitarli a fare domanda di cittadinanza italiana; estendiamo l’esperienza di Torino sul servizio civile volontario per i giovani migranti; diffondiamo le opportunità per apprendere la lingua e la cultura italiana.
L’Italia della convivenza non può continuare a crescere con le sole forze degli Enti Locali, del volontariato, delle aziende, delle scuole. Ha bisogno di una buona politica nazionale. Ha bisogno di avere finalmente un tavolo attorno a cui siedono governo, regioni, comuni, associazioni per costruire un Piano Nazionale per l’integrazione dotato di strumenti di informazione, monitoraggio, formazione e risorse. Che non sia come il piano “identità, incontro” varato dal governo in cui ci sono tante idee anche condivisibile, ma quando si va al capitolo delle risorse, leggiamo “occorre realizzare un coordinamento  tra le risorse esistenti”.  Coordinamento difficile, dato che le risorse sono inesistenti. Noi proponiamo un piano ed un fondo nazionale che sia cofinanziato dal governo, dalle regioni ed anche da soggetti privati, datori di lavoro, anche dai lavoratori immigrati. Che devono però vedersi riconosciuti in un trattamento pensionistico i contributi che oggi versano all’INPS qualora decidessero di tornare nel loro paese, come avevamo previsto nella nostra legge 40, cancellato dalla Bossi-Fini e sollecitato oggi in una proposta di legge dell’on. Luigi Bucchino. Al sindaco di Padova Flavio Zanonato, che ha fatto tante cose importanti per la sua città e che per l’ANCI è il responsabile dell’immigrazione, formulo un auspicio: sarebbe bellissimo se ogni anno i comuni italiani promuovessero “Il Forum dell’Italia della convivenza” in cui esporre e raccontare i successi dell’integrazione. Darebbe coraggio forza ed orgoglio a questo nostro Paese e servirebbe molto di più di tante leggi.  

Il PD sosterrà attivamente le proposte di legge di iniziativa popolare sul diritto di voto e sulla cittadinanza avanzate da un cartello di associazioni. Dobbiamo però fare qualcosa da subito. Potremmo sperimentare forme nuove di rapporto tra l’associazionismo degli immigranti e le istituzioni a partire dal parlamento, ad esempio costruendo un Forum nazionale dei nuovi italiani  che chieda di interloquire con esso. Potremmo  iniziare dalla costruzione di un tavolo  associazioni migranti e parlamentari. Potrebbe essere il CNEL a farsi promotore ed ospite di tale sperimentazione. Proponiamo ai gruppi parlamentari ed al Presidente della Camera di istituire una sessione annuale dei nuovi italiani, in cui nell’Aula parlamentare siedano i nuovi cittadini ed i parlamentari ascoltano le loro proposte.
Il PD vuole fare la sua parte, vuole essere il partito della convivenza, vuole costruirla attivamente giorno per giorno a partire dai sui circoli, ed estendendo l’esperienza dei Forum. Vuole  costruire una nuova classe dirigente. NUOVA perché composta da giovani, donne e da nuovi italiani.
Abbiamo parlato di battaglia sociale e culturale. Non abbiamo certo dimenticato il fardello pesante della Bossi-Fini e della Berlusconi-Maroni. Quando torneremo a governare le abrogheremo. Ripartiremo  dalle leggi  dei governo dell’Ulivo  per andare avanti ed innovare.
Oggi vanno di moda gli innovatori e i rottamatori. 
Consentitemi di dire che non c’è nulla di più innovativo che imparare la fatica di vivere con chi è diverso da noi e che non c’è nulla di più urgente da rottamare dei pregiudizi e della paura. Perché offuscano la vista ed alterano il battito del cuore. L’Italia invece ha bisogno di uno sguardo attento e di un cuore generoso”. 

Per leggere gli altri interventi della Prima Conferenza nazionale sull’immigrazione del PD vai su: http://beta.partitodemocratico.it/doc/205410/oltre-la-paura-per-litalia-della-convivenza.htm

Al via la Prima Conferenza nazionale sull’immigrazione

23 Marzo, 2011 (17:29) | Senza categoria | Da: Livia Turco

Si svolgerà il 25 e il 26 marzo a Roma la Prima Conferenza nazionale sull’immigrazione promossa dal Forum immigrazione del PD. “Oltre la paura per l’Italia della convivenza”, questo il titolo della manifestazione che sarà aperta da Livia Turco, in qualità di presidente nazionale del Forum. Venerdì l’intervento del segretario del PD Pier Luigi Bersani e sabato quello di Massimo D’Alema.

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Biotestamento. C’è bisogno di una legge umana e mite

14 Marzo, 2011 (13:20) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

In occasione dell’avvio del dibattito in Aula alla Camera sul ddl riguardante il testamento biologico il quotidiano Il Messaggero ha pubblicato questa lettera di Livia Turco.


“Caro Direttore,
approda oggi in aula (il 7 marzo per chi legge) la legge sul testamento biologico. Una legge contrassegnata dallo scontro tra le forze politiche e dalla lacerazione tra il Parlamento e il Paese. Quando il testo dal Senato arrivò in  Commissione Affari Sociali della Camera (giugno 2009) i parlamentari del PD proposero alle forze politiche della maggioranza di prendere atto della lacerazione avvenuta, di cercare di superarla costruendo un nuovo inizio. Ciò significava mettere da parte il testo Calabrò e costruire una legge condivisa. La maggioranza rispose con l’arroccamento, la contrapposizione riducendo costantemente, fino all’ultimo, il confronto parlamentare nello scontro tra il partito della vita contro il partito della morte. Il testo che arriva oggi in aula contiene norme irragionevoli,  incostituzionali e anche di difficile applicazione. Si tratta di un giudizio largamente condiviso nel mondo medico, tra gli esperti del diritto e nell’associazionismo dei malati. La ragion d’essere di una legge sul testamento biologico è quella di consentire alla persona di esprimere la sua volontà in merito alle cure ed ai trattamenti sanitari così come previsto dall’art. 32 della Costituzione anche quando la persona è incapace di intendere e volere, insieme a garantire in ogni istante la presa in carico della persona malata, per donargli amorevolezza e cura. Nel testo di legge in esame la volontà del paziente si riduce ad essere un generico orientamento che il medico può solo prendere in considerazione. Il medico stesso, cui è attribuito un grande potere ,è avvolto da un alone di sospetto sul fatto che possa provocare interventi eutanasici  tanto che si prevede il ricorso al codice penale, dimenticando che nel loro codice deontologico,i medici hanno previsto che per decidere in scienza e coscienza è essenziale ascoltare la volontà del paziente. Non è previsto  alcun miglioramento all’assistenza dei malati in stato vegetativo e nessun impegno per diffondere  come diritto le cure palliative e le terapie anti-dolore. Questo è l’aspetto più incredibile ed anche più cinico del legislatore. Il centrodestra purtroppo è molto generoso ad esaltare la vita umana con la retorica, con le chiacchiere, con l’esaltazione dei principi , ma è avarissimo nel prevedere misure concrete. Il nostro paese non è pervaso da una domanda di eutanasia che deve essere contenuta e domata. L’Italia ,invece, lo sappiamo, chiede che ci siano cure  adeguate,che non si verifichi mai l’abbandono terapeutico,  che ci sia sempre il rispetto della persona e della sua volontà.
Perché proseguire con questa logica di scontro?  Perché continuare a non ascoltare la domanda che viene dal nostro paese?  Non sarebbe più ragionevole fermarsi? Tornare in commissione e provare a costruire in uno spirito di reciproco ascolto una legge condivisa? C’è bisogno di una legge umana, mite, che sia animata dal sentimento della pietas. Che sia rispettosa della singola, irripetibile persona. Che promuova e valorizzi la relazione di fiducia tra medico, paziente e familiari. Che ascolti la volontà del paziente all’interno della relazione di cura con il medico ed i familiari. Una legge che non imponga ma che rispetti la persona. Una legge che non lasci solo nessuno di fronte alla morte, che combatta la solitudine, che garantisca a ciascuna persona le cure necessarie ma anche la presenza amorevole”.

Livia Turco    
    

Biotestamento. No al testo dello scontro e della lacerazione

14 Marzo, 2011 (13:17) | Documenti | Da: Livia Turco

Ecco l’intervento di Livia Turco in Aula alla Camera (7 marzo) in apertura della discussione sul ddl riguardante il testamento biologico.

“Onorevoli colleghi,
è motivo di grande amarezza, di preoccupazione, il fatto che il testo di legge sul testamento biologico che approda oggi in aula, dopo due anni dalla sua approvazione al Senato resti il testo della lacerazione tra il Parlamento e il Paese e della contrapposizione tra le forze politiche. Voi, onorevoli colleghi della commissione affari sociali, Lei onorevole Di Virgilio, non potete non rammentare la chiara posizione assunta dal PD fin dall’inizio. Vi esortammo a mettere da parte il testo dello scontro e della lacerazione, a costruire un nuovo inizio, ad elaborare un testo condiviso che tenesse conto dell’importante dibattito pubblico che ha coinvolto il nostro Paese. Dai medici, dai giuristi, dalle associazione dei malati sono state avanzate riflessioni e proposte molto importanti che il legislatore aveva, ed ha il dovere di ascoltare. Un dibattito pubblico che ci ha confermato quanto sia immotivato quel pessimismo antropologico che pervade  il vostro testo di legge, perché il nostro Paese non è attraversato da una deriva eutanasia da ostacolare, contenere e domare con la forza della legge, ma al contrario è un Paese di donne e uomini che chiedono certezze e qualità delle cure, presa in carico di ciascuna persona, lotta alla solitudine e all’abbandono terapeutico, rispetto della volontà del paziente.   Il legislatore deve raccogliere questa domanda. Questo è il tema che vi abbiamo posto nei mesi scorsi e che vi proponiamo ancora oggi. Fermiamoci, fermatevi! Non approvate un testo anticostituzionale, irragionevole, di difficile applicazione. Vi abbiamo detto nei mesi scorsi, vi ribadiamo oggi: costruiamo insieme una legge condivisa. Una legge umana, mite, che sia animata dal sentimento della pietas. Che sia rispettosa della singola, irripetibile persona. Che promuova e valorizzi la relazione di fiducia tra medico, paziente e familiari. Che ascolti la volontà del paziente all’interno della relazione di cura con il medico ed i familiari. Una legge che non imponga ma che rispetti la persona. Che non lasci nessuno solo di fronte alla morte. Che combatta la solitudine, che garantisca ciascuna persona le cure necessarie ma anche la presenza amorevole.
Una legge che rispetti gli artt. 13 e 32 della Costituzione e l’art. 9 della Convenzione di Oviedo. In particolare, l’art. 32 della Costituzione, come ci ricorda la Sentenza n. 282 del 2002 della Corte Costituzionale sollecita il legislatore a realizzare un bilanciamento tra due diritti fondamentali. Il diritto alla salute (1° comma art. 32), il diritto alla autodeterminazione ed alla libertà di scelte terapeutiche(2° comma art. 32).
La questione che noi abbiamo posto e che consideriamo  fondamentale per una buona legge sul fine vita è il rispetto della volontà del paziente all’interno della relazione di fiducia tra medico paziente e familiari. Per usare una espressione del teologo Bruno Forte  “il connubio tra il sacrario della coscienza e la rete di comunione è ciò che vorremmo promosso e rispettato il più possibile in una legislazione sul fine vita”.
Relazione di fiducia e non solo di cura. La fiducia implica che oltre a curare il medico si prende cura, ascolta la competenza del paziente, non guarda solo la sua malattia ma alla sua biografia e al suo contesto di vita, alle persone che sono accanto al paziente. La relazione di fiducia tra paziente,medico, fiduciario, familiari è la modalità di cura più ambiziosa e difficile ma l’unica efficace; è “ambito etico” perché in essa il fluire della vita dimostra che vita e autodeterminazione intesa come libertà per fare ciò che è bene non sono tra loro in contrapposizione perché non c’è l’una senza l’altra. L’autonomia e la volontà del paziente non sono un io solipsistico  e una astratta signoria della mente. L’autonomia e la scelta si esercitano nel contesto delle relazioni umane, della comunità di affetti in cui ciascuno misura la sua dipendenza dall’altro. Nella relazione di fiducia sono su un piano di dignità, nella distinzione dei ruoli il medico e il paziente “pari libertà e dignità di diritti e doveri, pur nel rispetto dei diversi ruoli. L’autonomia decisionale del cittadino è l’elemento fondamentale dell’alleanza terapeutica al pari dell’autonomia e della responsabilità del medico nell’esercizio delle sue funzioni di garanzia” (dal documento della FNOMCEO approvato a Terni il nel Convegno dedicato ai temi del fine vita).  L’autonomia e la responsabilità del medico è il motore dell’alleanza terapeutica e della relazione di fiducia ed essa implica, ingloba il rispetto della volontà del paziente. “l’autonomia e la responsabilità del medico, la sua funzione di garanzia a tutela della salute del paziente all’interno delle DAT è ciò che consente di declinarle dal passato al presente, dall’ipotesi al fatto, dall’ignoto alle migliori evidenze disponibili, per accompagnare ognuno nella sua storia di vita, unica ed irripetibile”.( Giovanni Maria Flik già presidente emerito della Corte Costituzionale). Attraverso la cifra della fiducia si può  superare la contrapposizione tra il perseguimento del bene del paziente, oggettivamente inteso e la sua autonomia.
 Dobbiamo chiederci: quali sono gli ingredienti della libertà, della dignità, della scelta quando una persona è tormentata dal dolore e dalla sofferenza, quando sente di aver perso la sua forza oppure quando è caduta nel sonno della incoscienza? Cosa significa autodeterminazione e scelta quando ciò che tiene in vita è la presenza dell’altro accanto a te? In queste circostanze si è in vita se ti accompagna lo sguardo dell’altro, se senti la sua mano se sai che anche se non parli la tua parola è ascoltata e conta perché l’altro ti conosce nella profondità dell’animo. La libertà è poter dire: io sono con te che mi ascolti, che mi rispetti, che ti prendi cura di me. La libertà è una relazione amorevole e di reciproca fiducia. Io sono, io voglio, io decido diventa io sono con te perché solo con te, con voi io posso dire scelgo, decido. Sempre, nella nostra vita ma soprattutto quando si è travolti dalla sofferenza o si vive nell’incoscienza il bisogno dell’altro diventa parte integrante della propria libertà e la dipendenza dall’altro diventa parte di sè e della propria autonomia. La legge mite deve promuovere e valorizzare questa relazione amorevole di cura. Che non è solo una esperienza umana ma anche una forma del pensiero capace di tenere insieme e di rendere concreti i valori dell’autonomia della persona e della difesa della vita.  
“ Nella misura in cui la malattia stessa è causa di una compressione della sfera dell’autonomia del malato, allora la medicina, nella sua finalizzazione alla cura della malattia, contribuisce a promuovere l’autonomia del paziente. La tutela dell’autonomia si presenta, in questo senso quale fine intrinseco della pratica medica e non soltanto quale argomento da contrapporre all’invadenza della medicina moderna. L’autonomia non va ridotta alla sola accezione negativa della “non interferenza” ma va intesa anche positivamente, sia come fonte del dovere del medico di informare il paziente e verificare in un vero e proprio processo di comunicazione, l’effettiva comprensione dell’informazione data; sia come capacità dello stesso medico di ascolto e di comprensione della richiesta del paziente, capacità necessaria per individuare le scelte terapeutiche più opportune e rispettose della persona nella sua interezza. Ciò significa che bisogna superare ogni concezione meramente formalistica o difensivistica del consenso informato. D’altra parte anche l’implementazione del diritto alla rinuncia consapevole delle cure può esplicare riflessi positivi sul piano della relazione paziente-curante alimentando la reciproca fiducia. Se il paziente può confidare che la propria volontà (da accertarsi in concreto con le dovute cautele e garanzie) verrà accolta e rispettata l’elemento fiduciario alla base dell’alleanza terapeutica ne verrà rinsaldato. Inoltre, proprio la possibilità di richiedere l’interruzione può favorire l’adesione del paziente all’avvio di trattamenti che prevedano la dipendenza da macchinari surrogatori di funzioni vitali; trattamenti che potrebbero essere a priori rifiutati proprio per il timore di una perdita definitiva della propria possibilità di autodeterminazione”. (dal documento della commissione nazionale di bioetica sul tema “Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione medico-paziente del 28/10/2008 ed illustrata nella sua audizione al Senato dal prof. Casavola).
 E’ alla relazione di fiducia tra paziente medico fiduciario e familiari ed è alla valutazione caso per caso della singola e irripetibile persona che deve essere affidata la scelta. La legge dunque deve promuovere, sostenere, valorizzare la relazione di fiducia tra paziente, medico, fiduciario e la comunità di affetti. Prevedendo che la parola definitiva sia della persona interessata che la può esprimere attraverso il suo fiduciario. Questa relazione di fiducia deve essere attivata ed ascoltata tanto più quando si deve usare il massimo di precauzione come nei confronti della sospensione della nutrizione artificiale. Che, in quanto trattamento sanitario deve essere prevista nelle DAT.
Nel vostro testo di legge la volontà del paziente si riduce ad essere un generico orientamento (art. 3 comma 1) ed esso ha valore puramente indicativo per il medico, il quale è unicamente tenuto a prenderla in considerazione (art. 7 comma 1) in tal modo le DAT si configurano come uno strumento inutile e contraddittorio. Il medico stesso, cui è attribuito un grande potere, è in realtà avvolto da un alone di sospetto sul fatto che possa provocare interventi eutanasici tanto che vengono citati gli artt. 575,579 e 580 del codice penale (art.1 comma c) e al fiduciario viene attribuito il compito di vigilare perché al paziente vengano date le cure migliori (art.6 comma 3). 
Non è previsto alcun miglioramento all’assistenza dei malati in stato vegetativo e nessun impegno per diffondere come diritto le cure palliative e le terapie antidolore. Queste ultime sono riconosciute solo ai malati terminali. Per i soggetti minori, interdetti, inabilitati o altrimenti incapaci, la legge non prevede l’alleviamento della sofferenza ma solo la salvaguardia della salute del paziente (art. 2 comma 8). Questo è l’aspetto più cinico e incredibile della vostra legge! Voi, esponenti del centrodestra, purtroppo siete molto generosi ad esaltare la vita umana con la retorica, con le chiacchiere, con l’esaltazione dei principi ma siete avarissimi nel prevedere misure concrete!
Abbiamo ancora una volta assistito alla farsa di una norma svuotata di significato dalle determinazioni della commissione bilancio che ha imposto anche questa volta la formula di rito “senza maggiori oneri per lo Stato” all’articolo 5, da noi tenacemente voluto, relativo all’assistenza ai soggetti in stato vegetativo. Irragionevole ed anche incostituzionale è la formulazione dell’art. 3 comma 5 e comma 6 che prevede la proibizione in ogni caso della sospensione della nutrizione artificiale, riconosciuta unanimemente dalla scienza medica come trattamento sanitario.  Anche in relazione agli stati vegetativi persistenti, un limite di questo tipo può costituire violazione dell’art. 32 della Costituzione, il quale prevede non solo che nessun trattamento sanitario può essere reso obbligatorio se non per disposizione di legge, ma anche che la legge in nessun caso può “violare i limiti imposti dal rispetto della persona”.
Sono queste le ragioni onorevoli colleghi della ferma contrarietà a questa legge. Fermatevi. Fermiamoci.  Costruiamo un nuovo inizio. Costruiamo un nuovo testo,che sia efficace e condiviso. Facciamolo per il rispetto delle persone e per il bene del Paese”.    

Livia Turco