Biotestamento: le ragioni e le proposte del PD
Di seguito il testo della relazione di Livia Turco, svolta il 10 novembre scorso davanti al direttivo PD, sulla legge per il testamento biologico che riassume il lavoro fatto fino qui e le proposte dei Democratici. La legge va in commissione giovedì prossimo per le votazioni sugli emendamenti.
Il lavoro dei parlamentari PD nella Commissione Affari sociali, nell’avvio del suo lavoro, ha assunto come punto di riferimento i 15 punti della Commissione Sereni che erano stati il frutto dell’approfondito e ampio dibattito svoltosi nei gruppi di Camera e Senato, nonché sugli emendamenti presentati al Senato.
Ringrazio i colleghi e le colleghe della Commissione Affari sociali per aver consentito un confronto schietto, chiaro, approfondito e aver contribuito con i loro interventi nel dibattito generale svoltosi in Commissione a dare un profilo alto alla discussione. Ringrazio altresì gli altri colleghi e colleghe che, sempre in sede di discussione generale, hanno arricchito il contributo del Gruppo del PD.
Noi abbiamo sollecitato la maggioranza e il relatore Di Virgilio a costruire alla Camera un “nuovo inizio” della discussione e a costruire una legge “condivisa”. Dopo cenni di apertura e di disponibilità al dialogo manifestati dal relatore la maggioranza, trascorsi tre mesi di dibattito e audizioni, ha scelto, di adottare come testo base, il testo Calabrò. Per questo, con voto contrario unanime, abbiamo sottolineato la gravità di aver scelto di proseguire sulla via dello scontro.
Sono stati annunciati dal relatore emendamenti al testo Calabrò, ma, è del tutto imprevedibile, la situazione che si potrà determinare, visto che, il dibattito generale ha visto una sostanziale compattezza attorno al testo del Senato. (tranne l’intervento dell’on. Della Vedova).
Voglio qui ribadire le ragioni della nostra contrarietà al testo Calabrò.
Esso contiene una visione antropologica pessimistica dell’uomo, una mancanza di fiducia nella persona e nella società perché rappresenta il problema umano e sociale rilevante a cui far fronte in una diffusa domanda di eutanasia. Sappiamo che non è così. Le persone e la società esprimono oggi una domanda di “presa in carico”, di vicinanza, di lotta alla solitudine e al dolore. Insomma, una domanda di eguale rispetto della vita umana, della sua dignità e della sua qualità.
Quella legge, inoltre, contiene una prevaricazione della norma sulla coscienza delle persone e sulla scienza e competenza medica. Una prevaricazione che nega il principio della “pietas” oltre che il dettato costituzionale dell’autonomia e della responsabilità del medico.
Si basa su presupposti che non sono confermati dalla medicina, come nel caso dell’idratazione e nutrizione.
Esalta il ruolo del medico ma non ascolta ciò che i medici dicono.
Mortifica la volontà del paziente definendo le Dichiarazioni anticipate di trattamento come puramente orientative.
Abbiamo lavorato in questi mesi per elaborare gli emendamenti al testo Calabrò. Lo abbiamo fatto in modo condiviso attraverso una discussione trasparente e leale che ci ha consentito di costruire sintesi condivise.
La domanda che ci siamo posti e da cui partire è: “Cosa è successo nel Paese dopo l’approvazione del testo Calabrò ?” Perché dobbiamo costruire una legge che sia dalla parte delle persone e del Paese.
Dopo l’approvazione del testo Calabrò, si è determinata una vera e propria rivolta dei Medici, si è levata la loro pressante richiesta di rimuovere lo scandalo contenuto nella proposta di legge approvata al Senato e, non sempre così presente, nel dibattito politico. Mi riferisco all’articolo 3 in cui la proibizione della sospensione della nutrizione ed idratazione riguarda “un eventuale futura perdita della capacità di intendere e di volere” e dunque, tutti gli stati di incoscienza, imponendo di fatto, per legge, l’accanimento terapeutico
Quali sono gli stati di incoscienza?
Stati vegetativi: 1800/2000 persone.
Malati terminali 250 mila di cui 160 mila oncologici e 90 mila con altre patologie .
Malati in terapia intensiva: 150.000 di cui 80.000 incapaci; malattie degenerative come Alzaimer.
Secondo l’articolo 3 del testo approvato al Senato a tutti questi malati, in tutte queste situazioni dovrebbe essere impedita la sospensione dell’idratazione e della nutrizione. Per avere cognizione della portata di questo articolo cito la presa di posizione della Società delle cure palliative, i medici che curano i malati terminali.
“Proprio per questo noi, operatori di cure palliative, che ogni giorno ci troviamo di fronte alle situazioni di confine tra la vita e la morte, con l’obiettivo di accompagnare fino al termine della loro esistenza le persone colpite da una malattia cronica in fase terminale e, la “missione” di non farle soffrire, sentiamo il dovere di mettere in luce che, se dovesse essere approvata una legge che esplicitamente ed indiscriminatamente impone l’idratazione e l’alimentazione per tutti i pazienti, ci troveremmo di fronte a tale obbligo anche per coloro che vivono una fase di inevitabile e prossima terminalità, per le quali non si tratta di non iniziare o sospendere una terapia ma di accompagnarle a una fine dignitosa con tutte le conoscenze e gli strumenti che la medicina oggi ci offre” …… “Per non andare contro questa possibile legge cosa dovremmo fare allora? Dovremmo mettere in atto un trattamento clinicamente inappropriato aumentando la probabilità di un peggioramento di quei sintomi, di quelle sofferenze, che noi stessi siamo chiamati a curare? Questo disegno di legge, è evidente, ci imporrebbe, in ambito palliativo, di attuare delle pratiche contrarie al bene dei pazienti”.
La prima scelta che credo dobbiamo assumerci è quella di non demandare agli emendamenti dell’UDC e di Fini è, proporre noi, un emendamento di riduzione del danno che rimuova lo scandalo della Calabrò e che affermi la possibilità di sospendere la nutrizione artificiale, quando la persona è nella fase terminale della sua vita e quando queste forme di sostegno vitale mutano la loro funzione e non sono più in grado di alleviare le sofferenze del paziente configurandosi come interventi futili e sproporzionati. La valutazione di quando si determinano tali circostanze è demandata al medico curante secondo scienza e coscienza, coinvolgendo i familiari, attraverso una completa informazione, chiamati a tutelare, in una compiuta alleanza terapeutica, il miglior interesse della persona incapace.
Dopo l’approvazione del testo al Senato si è aperto nel Paese un dibattito importante che noi dobbiamo ascoltare e che si è concentrato sulla necessità di adottare un “diritto mite”, una norma che sia giusta perché capace di sollecitare l’assunzione di responsabilità da parte della persona, della famiglia e dei professionisti e, contemporaneamente dia rilievo alla relazione di fiducia tra paziente, medico e famiglia. Segnalo in modo particolare l’importanza del Convegno dei medici promosso dalle Federazioni degli Ordini e delle società scientifiche che costituisce un punto di svolta nell’assunzione di responsabilità pubblica dei medici. Da quel convegno sono scaturite indicazioni importanti sul piano medico-clinico e su quello etico-culturale. Consentitemi di portare nella nostra discussione alcune annotazioni tecniche essenziali per compiere valutazioni politiche corrette e scelte legislative appropriate.
Bisogna parlare di nutrizione artificiale che comprende anche l’idratazione, e non di alimentazione. Nutrizione artificiale e alimentazione non sono la stessa cosa, non sono sinonimi. La nutrizione artificiale è una forma di sostegno vitale assicurata da competenze medico – sanitarie secondo la deontologia medica e le evidenze basate sulle prove di efficacia. Nutrizione non è alimentazione perché ciò a cui ci si riferisce è l’utilizzo di nutrienti e non di alimenti che vengono preparati con procedure farmaceutiche e vengono somministrati per via artificiale, parenterale o enterale, cioè senza ricorrere al normale processo di deglutizione. La nutrizione artificiale per essere praticata richiede il consenso informato del paziente, la collaborazione del farmacista, il regolare controllo e monitoraggio del medico specialista. Tale definizione esclude quei pazienti che pur in stato vegetativo conservano anche per molti anni il riflesso della deglutizione e ciò rende, seppur laboriosa, la nutrizione per via normale.
Stato vegetativo
La condizione di stato vegetativo resta gravato da un tasso di errore diagnostico molto elevato e dall’incertezza della prognosi sulla sua evoluzione.
Non si usa più l’espressione stato vegetativo persistente ma stato vegetativo da 3 anni, 5 anni, perché non si è in grado di definire cosa è persistente.
La scienza non è in grado di assicurare che uno stato vegetativo, comunque diagnosticato, si possa considerare una condizione irreversibile.
La definizione di stato vegetativo non è, in alcun modo, definitiva ma solo probabilistica riducendosi in modo progressivo la possibilità di risveglio con il passare del tempo. Ma è in grado di certificare che, con il protrarsi negli anni, di questa condizione, la corteccia cerebrale tende a diradarsi e a sparire. L’opinione prevalente degli specialisti, sulla base dell’evidenza, è che sia altamente improbabile il risveglio e la restituzione alle funzioni cognitive quando si superi un certo numero di anni nella condizione di stato vegetativo. Tuttavia questa possibilità non può essere esclusa.
Le osservazioni hanno messo in risalto:
- Negli stati vegetativi, soprattutto dopo il trascorrere degli anni, si sviluppano patologie non riscontrabili nelle popolazioni sane;
- Subentrano complicanze;
- Quando la persona è prossima alla terminalità l’organismo diventa incapace di assimilare le sostanze fornite o si determina una intolleranza clinicamente rilevabile collegata all’alimentazione. Dunque, è problematico, sul piano clinico, ed è questo un punto condiviso in ambito medico, prevedere la tassativa esclusione della possibilità di interruzione dei trattamenti di nutrizione artificiale così come previsto dalla Calabrò anche per gli stati vegetativi. Questo è un punto condiviso nella Commissione Affari Sociali.
I medici, nel convegno di Terni, hanno affermato: “nelle specifiche condizioni oggi inquadrate come stati vegetativi, la comunità scientifica deve consolidare le evidenze relativamente agli aspetti preventivi, diagnostici e terapeutici, attraverso l’elaborazione di specifiche linee guida, la valutazione degli esiti dei trattamenti riabilitativi, di nutrizione artificiale e di altri eventuali trattamenti di supporto vitale, di prevenzione e gestione delle complicanze (infezioni, embolie, trombosi) anche al fine di costruire un apposito Registro Osservazionale”.
“In presenza di dichiarazioni certificate si ritiene opportuno che nelle particolari situazioni cliniche inquadrate come stati vegetativi, le condizioni di irreversibilità del danno neurologico vanno indagate, validate e certificate secondo le migliori evidenze scientifiche disponibili da trasferire in analitici e rigorosi protocolli diagnostici e prognostici unici a livello nazionale” Credo che queste indicazioni possano orientare i nostri emendamenti.
L’incertezza della prognosi sullo stato vegetativo spiega il duplice atteggiamento dei Medici che li vede da un lato affermare che i trattamenti di nutrizione e idratazione vanno sempre garantiti e dall’altro avvertono la necessità che subentri la valutazione del paziente sulla capacità di vivere la sua condizione di malattia e sofferenza, per metterli nella condizione di garantire una cura efficace. Di fronte all’incertezza, a ciò che è solo probabile nell’evoluzione della malattia, sia dal punto di vista etico che da quello clinico, il dovere di garantire i trattamenti deve coniugarsi con il dovere di ascoltare il peso della sofferenza per le persone malate la cui tollerabilità può essere definita solo dalla persona medesima in qualunque contesto di malattia e in qualunque tipo di patologia.
Il giudizio unanime dei medici sull’impossibilità di definire una prognosi certa circa l’evoluzione dello stato vegetativo e di definire la condizione d’irreversibilità ci obbliga ad aggiornare la nostra elaborazione.
Il punto di equilibrio, il bilanciamento di valori tra tutela della vita e scelta della persona, noi lo avevamo individuato nella formulazione per cui nutrizione e idratazione sono sempre garantite al paziente, ad eccezione del caso in cui la loro sospensione sia espressamente oggetto delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Idratazione e alimentazione possono essere sospesi nel caso in cui lo stato vegetativo sia assimilabile al fine vita così come identificato in base ai criteri clinici e strumentali stabiliti da una commissione speciale per lo studio, la definizione e la classificazione dello stato neurovegetativo. Il ministro della salute con decreto, sentito il parere del Consiglio Superiore della Sanità istituisce una commissione speciale per il compito prima indicato.
Non credo possiamo confermare questa soluzione. La sua evoluzione è resa necessaria dal fatto che l’opinione del Mondo Medico non ritiene praticabile la strada di una definizione definitiva e standardizzata dello Stato Vegetativo. Dove trovare dunque il bilanciamento di valori e come far vivere il principio di precauzione?
Ciò che dovremmo porre al centro della nostra visione e far diventare il cuore della nostra legge è proprio la relazione di fiducia tra medico, paziente, familiari, che valuta in ogni peculiare situazione e per ciascuna singola e irripetibile persona, secondo, il principio del rispetto della sua salute, della sua vita e del valore supremo della sua dignità. Per usare un’espressione del teologo Bruno Forte “il connubio tra il sacrario della coscienza e la rete di comunione è ciò che vorremmo promosso e rispettato il più possibile in una legislazione sul fine vita”.
Relazione di fiducia e non solo di cura.
La fiducia implica che oltre a curare il medico si prende cura, ascolta le competenze del paziente, non guarda solo alla sua malattia ma alla sua biografia e al suo contesto di vita, alle persone che sono accanto al paziente.
La relazione di fiducia tra paziente, medici, fiduciario, familiglia è la modalità di cura più ambiziosa e difficile ma l’unica efficace; è “ambito etico” perché in essa il fluire della vita dimostra che vita ed autodeterminazione intesa come libertà per fare ciò che è bene non sono tra loro in contrapposizione perché non c’è l’una senza l’altra.
L’autonomia e la volontà del paziente non sono un io solipsistico e un’astratta signoria della mente. L’autonomia e la scelta si esercitano nel contesto delle relazioni umane, della comunità di affetti in cui ciascuno misura la sua dipendenza dall’altro.
Nella relazione di fiducia sono su un piano di dignità, nella distinzione dei ruoli, il medico e il paziente.
L’autonomia e la responsabilità del medico è il motore dell’alleanza terapeutica e della relazione di fiducia ed essa implica e ingloba il rispetto della volontà del paziente.
L’autonomia e la responsabilità del medico, la sua funzione di garanzia e tutela della salute del paziente, all’interno delle DAT è ciò che consente di declinare le medesime dal passato al presente, dall’ipotesi al fatto, dall’ignoto alle migliori evidenze disponibili, per accompagnare ognuno nella sua storia di vita, unica ed irripetibile. Attraverso la relazione di fiducia si può forse cercare di superare la contrapposizione, tra il perseguimento del bene del paziente, oggettivamente inteso e, la sua autonomia. Nella misura in cui la malattia stessa è causa di una compressione della sfera dell’autonomia del malato, allora la medicina, nella sua finalizzazione alla cura della malattia, contribuisce a promuovere l’autonomia del paziente. La tutela dell’autonomia si presenta, in questo senso, quale fine intrinseco della pratica medica e non soltanto quale argomento da contrapporre all’invadenza della medicina moderna. L’autonomia non va ridotta alla sola eccezione negativa della “non interferenza” ma va intesa anche positivamente, sia come fonte del dovere del medico d’informare il paziente e verificare, in un vero e proprio processo di comunicazione, l’effettiva comprensione dell’informazione data; sia come capacità dello stesso medico di ascolto e di comprensione delle richieste del paziente, capacità necessaria per compiere le scelte terapeutiche più opportune e rispettose della persona nella sua interezza. Ciò significa che bisogna superare ogni concezione meramente formalistica o difensivistica del consenso informato.
D’altra parte anche l’implementazione del diritto alla rinuncia consapevole delle cure può esplicare riflessi positivi sul piano della relazione paziente-curante alimentando la fiducia. Se il paziente può confidare che la propria volontà (da accertarsi in concreto con le dovute cautele e garanzie) verrà accolta e rispettata, l’elemento fiduciario alla base dell’alleanza terapeutica ne verrà rinsaldato. Inoltre, proprio la possibilità di richiedere l’interruzione di trattamenti può favorire l’adesione del paziente all’avvio degli stessi che prevedono la dipendenza da macchinari e sono surrogatori di funzioni vitali; trattamenti che potrebbero essere a priori rifiutati proprio per il timore di una perdita definitiva della propria possibilità di autodeterminazione. Queste non sono considerazioni personali ma argomenti che ho trovato molto convincenti contenuti nel documento della Commissione Nazionale di Bioetica sul tema “Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione medico-paziente” del 28 ottobre 2008, e illustrata nella sua audizione al Senato dal Prof. Casavola.
E’ alla relazione di cura e fiducia tra paziente/medico, fiduciario e familiari, ed è nella valutazione caso per caso, della singola ed irripetibile persona che deve essere affidata la scelta, ogni scelta.
La legge, dunque, deve promuovere, sostenere e valorizzare la relazione di cura e di fiducia tra paziente, medico, fiduciario e comunità di affetti.
Ne deriva una conseguenza sui caratteri della DAT che non può essere né orientativa né vincolante ma “impegnativa”.
Ciò in coerenza con la centralità della comunicazione che si sviluppa tra i diversi componenti della relazione di cura e fiducia.
In coerenza poi con il codice di deontologia medico, con l’art. 9 della Convenzione di Oviedo, che recita “i desideri precedentemente espressi saranno tenuti in conto” con il parere del Comitato Nazionale di Bioetica del 2003.
I desideri indicano un “progetto di vita e di coerenza” in ordine ad aspetti che il soggetto ritiene essenziali. D’altra parte le dichiarazioni anticipate vanno contestualizzate sotto il profilo tecnico-professionale non allo scopo di eludere la volontà del paziente ma al fine di verificare la sussistenza o meno delle condizioni cliniche e delle valutazioni tecniche che le hanno informate”. E, per utilizzare a vantaggio della salute delle persone le nuove opportunità che la scienza e la tecnica offre.
Il valore impegnativo delle DAT è una soluzione che da un lato offre al cittadino ragionevoli garanzie di rispetto della sua volontà e dall’altro non solo non mortifica ma esalta l’autonomia professionale del medico che comunque deve essere chiamato a valutare l’attualità dei desideri del paziente ed a comportarsi di conseguenza sulla base delle sue autonome valutazioni.
Dove trovare dunque un bilanciamento di valori tra tutela della vita e scelta della persona e come far vivere il principio di precauzione rispetto alla sospensione di alimentazione ed idratazione?
- Garantire che i trattamenti di nutrizione e idratazione siano sempre assicurati al paziente assumendo come punto di riferimento ciò che è condiviso nell’ambito clinico.
- Consentire che la nutrizione e l’idratazione siano indicate nelle DAT.
- Promuovere, sostenere e valorizzare la relazione di fiducia tra medico e paziente e fiduciario che valuta con il collegio medico caso per caso la situazione della persona ed il suo stato di gravità e valuta quando i trattamenti diventano futili e sproporzionati.
La relazione di fiducia tra paziente, medici, fiduciario, familiari è la modalità di cura più ambiziosa e difficile ma l’unica efficace; è “ambito etico” perché in essa il fluire della vita dimostra che vita ed autodeterminazione intesa come libertà per fare ciò che è bene non sono tra loro in contrapposizione perché non c’è l’una senza l’altra.
Livia Turco