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Rosarno: bonificare i bacini della schiavitù

11 Gennaio, 2010 (18:21) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

Di seguito l’articolo di Livia Turco sui fatti di Rosarno, pubblicato oggi su L’Unità

Uomini in fuga

da L’Unità dell’11 gennaio 2010

Di fronte alle immagini degli uomini che lasciano Rosarno con le loro poche cose, che confessano di non avere i soldi per il treno e di non conoscere la lingua italiana, che vanno a Livorno, Napoli o Bari, la domanda è:  che ne sarà di loro e cosa faranno? Molti sono regolari ed altri richiedenti asilo. Altri sono irregolari seppure in Italia da molti anni. Sono vittime di quel male antico che negli ultimi tempi si è rafforzato che è lo sfruttamento del lavoro, uno sfruttamento tanto più spietato quando può avvalersi di una forza lavoro vulnerabile come gli immigrati, persone che fuggono dalla fame e dalla guerra, disponibili a qualunque lavoro, prive di permesso di soggiorno. Tenute con ostinazione prive del permesso di soggiorno perché questa è la condizione per esercitare la schiavitù. Bonificare i bacini della schiavitù è la priorità assoluta per promuovere la vera legalità e dunque una convivenza serena basata sulla dignità di tutti. Bisogna liberare gli schiavi dai caporali ma bisogna anche combattere la guerra contro il lavoro nero e sommerso, l’unico in cui si scatena la guerra tra poveri, perché lo sfruttamento degli immigrati abbassa le tutele dei lavoratori italiani e li rende concorrenti nella ricerca di un posto di lavoro. Il Governo dovrebbe adottare subito un provvedimento mirato di regolarizzazione del lavoro agricolo, analogo a quello assunto per il lavoro domestico e contemporaneamente applicare la direttiva europea che prevede una severa sanzione nei confronti dei datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (direttiva del 18 giugno 2009). Dovrebbe inoltre promuovere il permesso di soggiorno per protezione sociale – art 18 della Turco-Napolitano recepito dalla Bossi-Fini – agli immigrati che collaborano alle indagini,per disarticolare le organizzazioni criminali. Questa proposta parte da una lettura attenta dei dati della realtà. Gli immigrati sono parte essenziale della nostra agricoltura. Le loro braccia, la loro disponibilità a sopportare il caldo più afoso e il freddo più pungente, le loro abilità, le loro giornate senza tempo passate nelle stalle padane (dove ci sono i pachistani, gli indiani, gli albanesi, i macedoni, i marocchini e i tunisini…… non i padani….. con buona pace di Bossi e Maroni), il pascolo sulle montagne, sono l’altra faccia dell’agricoltura moderna la quale si fermerebbe se non ci fossero loro. Perché nessun italiano, anche se disoccupato, è disponibile a questo tipo di lavoro e di vita. Gli immigrati sono indispensabili alle aziende agricole. Non solo al Sud ma anche al Centro-Nord le quali utilizzano il lavoro legale per le vie regolari. Ma subiscono in modo particolare la farraginosità della normativa sull’ingresso per lavoro. Si sono così sedimentate nel tempo, in alcune parti d’Italia, sacche di irregolarità che deve essere assorbita. L’irregolarità è alimentata anche dalla legge Bossi-Fini e dalla politica del Governo che ha chiuso le vie legali dell’immigrazione e ha cancellato il Fondo Nazionale per le politiche di integrazione. Ministro Maroni, la smetta con la retorica sulla clandestinità e sul buonismo della sinistra! Prenda atto che la vera fabbrica della clandestinità è la chiusura dei rubinetti per l’immigrazione regolare. Riconosca che è antistorico ed irresponsabile che i comuni e le regioni siano lasciati soli a governare le politiche dell’integrazione. Prosciugare i bacini della schiavitù e del lavoro irregolare; promuovere l’ingresso regolare per lavoro; combattere il degrado urbano e sociale che si concentra in alcune realtà del nostro Paese; promuovere, finalmente, un piano nazionale per l’integrazione: sono questi i provvedimenti che il Governo dovrebbe adottare subito per promuovere una svolta della politica dell’immigrazione all’insegna della vera legalità. Una svolta  che metta al centro l’immigrato persona, capitale umano e sociale e le politiche di integrazione quale politiche di sviluppo e sicurezza. Con una premessa che è la priorità assoluta, quella su cui si misura il senso di responsabilità e la capacità di promuovere il bene comune da parte di una classe dirigente: non si usi più l’immigrazione a fini elettorali. Si smetta di agitare degli spauracchi che non corrispondono alla realtà come quella degli immigrati che rubano il lavoro agli italiani o dei bambini stranieri che rallentano la crescita culturale dei nostri figli. Si smetta di raccontare una Italia che non c’è e si racconti invece l’Italia nuova che sta crescendo nel profondo dei territori, dei comuni, delle aziende, delle scuole e delle famiglie. Che è l’Italia della convivenza.
L’Italia che c’era a Rosarno ma che è stata abbandonata. L’Italia che c’è nella coraggiosa Calabria, generosa ed accogliente nonostante la crisi economica e la criminalità, come dimostrano i Comuni di Riace, Caulonia, Stignano, come dimostrano le loro scuole, i loro ambulatori medici, i loro volontari. L’Italia della convivenza che ha saputo sconfiggere la paura e superare i conflitti come a Padova, a Torino, a Mestre, e lo ha potuto fare perché le Istituzioni c’erano, hanno fatto la loro parte, si sono messe in mezzo ai conflitti,  hanno fatto dialogare le parti presentando un progetto di rinascita della propria città. Hanno insegnato ai cittadini che oggi essere liberi significa conoscere e riconoscere l’altro.
Noi ci metteremo accanto a questa Italia della convivenza, per ascoltarla, per conoscerla e farla conoscere perché essa, con la forza dell’esempio , dia fiducia e speranza, accenda la curiosità e l’orgoglio in tutti gli Italiani, per costruire insieme italiani e nuovi italiani,  il futuro del nostro paese.
Livia Turco

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