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Se non ora quando. “Care colleghe del centro destra…”

14 Febbraio, 2011 (15:14) | Lettere aperte | Da: Livia Turco

Care colleghe del centrodestra,

ho firmato l’appello “se non ora quando “ per la difesa della dignità femminile di fronte alle vicende che coinvolgono il Presidente del Consiglio e sarò il 13 in piazza a manifestare. Mi rivolgo a voi direttamente per stima. Mi rivolgo ad alcune in particolare - Stefania Prestigiacomo, Isabella Rauti, Alessandra Mussolini, Giustina Destro, Adriana Poli Bortone, Lella Golfo - per aver condiviso, su fronti opposti, comuni battaglie per i diritti delle donne. Oggi ci separa un conflitto radicale. Tante volte dal conflitto può scaturire un nuovo dialogo, se c’è rispetto reciproco e chiarezza. E’ questo il senso del mio rivolgermi a voi.  Vorrei dirvi perché mi sento lesa della mia dignità di donna dal Presidente del Consiglio. Per due fatti che non appartengono alle indagini in corso ma alla dimensione pubblica e simbolica:
1 Berlusconi ha promosso in consiglio regionale una donna non in nome della sua competenza o del suo consenso elettorale ma della sua privata relazione sessuale.
2 Berlusconi ha avuto ripetute relazioni sessuali a pagamento con giovani donne.
Stiamo parlando non di un uomo qualunque ma del Presidente del Consiglio. I suoi gesti incidono nella dimensione simbolica e pubblica, contribuiscono a costruire la cultura e il senso civico di una nazione. Questi due fatti colpiscono il cuore del rapporto donne, politica e democrazia. Ricorrono i 150 anni dell’unità d’Italia. Se ripercorriamo le tappe della costruzione della cittadinanza sociale civile e politica delle donne ci rendiamo conto che il suo talismano risiede nell’esercizio dell’autonomia di pensiero e di azione attraverso l’alleanza e il reciproco riconoscimento tra donne. Nessuna delle conquiste, a partire dal diritto di voto, sarebbe stato possibile se alcune donne non avessero attivato la forza e l’acume del loro pensiero e non avessero promosso la partecipazione di tante. Se è vero che questa da sola non sarebbe bastata, che ci vollero alleanze politiche, tuttavia senza la messa in campo di un pensiero autonomo e di un esercizio dell’autonomia femminile ed anche del conflitto con gli uomini le donne non sarebbero diventate cittadine.

Introdurre da parte della massima autorità politica tra gli oggetti dello scambio sessuale in una relazione privata le istituzioni pubbliche significa “privatizzare” un bene pubblico (altro che invasione nella sfera privata del premier!), degradarlo a qualunque oggetto di scambio, e colpire l’autonomia delle donne. Oltre che colpire i valori della nostra Costituzione e della Carta Europea dei diritti umani fondamentali. Questo gesto è altamente simbolico e getta un’ombra su tutte. Tutte siamo sospette di essere in Parlamento per via di una relazione con qualche uomo anziché per la nostra forza, per i nostri meriti e le nostre competenze. Sospetto alimentato da una legge

elettorale per cui designati e non eletti. E, sulle designate, ricade pesante il sospetto di essere le protette del capo e non donne autorevoli e autonome. Possiamo discutere di questo? Possiamo porci insieme la domanda: come essere autonome ed autorevoli, valutate per ciò che sappiamo fare per le nostre competenze? Dobbiamo limitarci a conquistare più spazio nelle istituzioni oppure avere l’ambizione di cambiare le regole del gioco? Non pensate che noi donne avremmo tutto da guadagnare se nella politica le logiche della fedeltà, della cooptazione, fossero sostituite da quelle della valutazione delle capacità, del merito, del rapporto con il territorio e con le persone?
L’altra questione che voglio sottoporre alla vostra attenzione è quella della libertà sessuale.  Anch’essa è stata una grande conquista delle donne che ha cambiato profondamente le relazioni umane e sociali del nostro paese. Non c’è dubbio che le giovani donne che decidono di vivere relazioni sessuali in cambio di compenso e promozione esercitano la loro libertà e vanno rispettate. E’ altrettanto evidente che da questa affermazione dovrebbero derivare delle conseguenze come ad esempio considerare normale la regolamentazione della prostituzione. Inoltre, come conseguenza, in nome della libertà vanno rispettate tutte le scelte, compresa quella di avere un figlio con le nuove tecniche a disposizione, avere un figlio da sole, vivere l’omosessualità.  Se il principio è la libertà non possiamo poi parlare di egoismo femminile.
Personalmente non credo ad una libertà senza valori. La conquista della libertà sessuale, grazie al femminismo, non significò il libero arbitrio, il libertinismo o la semplice rottura di divieti. Significò al contrario l’esperienza e l’elaborazione di una nuova femminilità, di una nuova umanità femminile. Fu innanzitutto uno straordinario viaggio interiore, un forte sviluppo della propria interiorità. Ha significato costruire se stesse al di fuori dello sguardo e del desiderio maschile, rompere gli stereotipi culturali che incarceravano la nostra femminilità.

Ha significato ricercare dentro se stesse le ragioni delle proprie scelte, vivere i sentimenti e le relazioni umane con una nuova consapevolezza e responsabilità. La nostra umanità di donne scaturita dalla libertà sessuale ha avuto ed ha il timbro della maggiore consapevolezza, della più forte autenticità ed intensità dei sentimenti e di una più consapevole responsabilità verso l’altro.
Questa nuova umanità delle donne è stata però ingabbiata in una rappresentazione che ha esaltato la libertà come rottura dei vincoli come pura esteriorità, come semplice esibizione del corpo. E’ stata accompagnata dal mito del successo individuale, della competizione, dell’arricchimento. E’ questo il relativismo etico che ci ha travolte ed ha nascosto e tante volte ostacolato la nostra nuova umanità. Tale relativismo etico ha molte origini, ed è stato diffuso anche dal martellante messaggio a partire dalle tv del Presidente del Consiglio.

Come rappresentare l’umanità vera delle donne e la loro nuova femminilità che vive ogni giorno nei luoghi di lavoro e nelle case è un problema reale che possiamo porci insieme? Questa nuova umanità delle donne non dovrebbe essere anche ascoltata dalla politica e da essa sollecitata a costruire un nuovo senso civico e di valori condivisi di questa nostra nazione? Personalmente sono convinta che nella vita delle donne italiane sia depositato un giacimento di risorse morali che dovrebbe essere riconosciuto dalle classi dirigenti del nostro paese e che le donne dovrebbero essere chiamate non solo al governo della cosa pubblica ma, prima ancora, alla costruzione di un clima culturale di rispetto dell’altro, di pacatezza, di mitezza, di valorizzazione dei beni comuni di cui il nostro paese ha bisogno per tornare a crescere e per dare un futuro ai giovani.

Livia Turco

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