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Un governo “contro” la povertà

8 Aprile, 2013 (11:05) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, su l’Unità del 7 aprile 2013

Tra le inderogabili priorità che un governo di cambiamento deve affrontare vi è la definizione di una misura contro la povertà, a partire dalla povertà assoluta. Vale a dire gli oltre tre milioni di persone che non dispongono di un paniere essenziali di beni. Tra gli otto punti presentati da Bersani nel corso dell’ultima direzione vi è il reddito minimo di inserimento. Una scelta importante. Bisogna entrare nel merito per definirla in modo preciso. E’ dirimente un chiarimento teorico concettuale, di cui molto opportunamente si è discusso in vari articoli su questo giornale.

Il reddito minimo di inserimento (sperimentato con risultati positivi dal governo Prodi e poi totalmente abbandonato e dimenticato) costituisce  una misura di ultima istanza, di carattere universalistico, di durata limitata che promuove l’uscita dalla povertà attraverso il sostegno e l’inserimento attivo nel lavoro e nella società. Non è da confondere con gli ammortizzatori sociali e  con il reddito di cittadinanza. Quest’ultimo si propone come forma di salario sociale che slega la cittadinanza dalla ricerca attiva del lavoro ed io credo sia da rifiutare proprio per questo aspetto culturale prima ancora che per la difficile sostenibilità finanziaria. L’RMI (reddito minimo di inserimento) contro la povertà parte dal presupposto che il fondamento della cittadinanza e della dignità della persona risieda nel lavoro e dunque prioritario sia il sostegno nel e per il lavoro.

Tuttavia esistono situazioni di caduta nella povertà che non sono connesse solo alla mancanza di lavoro. Ricordiamo che le forme storiche della povertà nel nostro paese, che pre-esistono alla crisi attuale, sono quelle che colpiscono gli anziani soli che vivono nelle aree urbane, le famiglie numerose nel sud, le donne sole con figli a carico,il livello elevato di povertà minorile,tra i più alti d’Europa. Forme di povertà che rinviano alle carenze del nostro Welfare, in particolare  riferite alla rete dei servizi sociali, alle politiche famigliari e per la non autosufficienza. Inoltre nella povertà assoluta si riflettono situazioni di marginalità sociali e di fragilità che non sono solo riconducibili alla mancanza di lavoro. Ho riscontrato nel dibattito aperto sul tema del disagio sociale un approccio troppo lavoristico, che risolve troppo facilmente tali problemi con l’accesso al lavoro e gli ammortizzatori sociali.

Questo approccio rischia di non vedere le tante cause e le diverse facce del disagio sociale, ad esempio quelle connesse alla fragilità della persona e all’impoverimento delle relazioni umane. Penso ai ragazzi soli che abbandonano la scuola, alla disabilità, ai disturbi psichici che si vanno diffondendo, alle varie forme di dipendenza. Bisogna ricordare che nel nostro ordinamento è già previsto il reddito minimo di inserimento. Mi riferisco agli artt. 22,23,28 della legge quadro 328/2000 per un sistema integrato di prestazioni e servizi sociali. Mi riferisco  all’art.117 comma m della riforma costituzionale che ha attribuito allo Stato il compito di promuovere i diritti civili e sociali ed al decreto legislativo sul federalismo fiscale che prevede la definizione dei livelli essenziali di assistenza sociali e non solo sanitari. Mi riferisco alla riforma della social card attuata dalla sottosegretaria Cecilia Guerra.

Per dare attuazione al reddito minimo di inserimento si può partire dalla definizione dei livelli essenziali di assistenza contro la povertà assoluta prevedendo tre strumenti: a) il punto unico di accesso nell’ambito della rete dei servizi sociali che fa capo al comune il quale è soggetto responsabile della presa in carico della persona; b) il potenziamento della rete integrata dei servizi sociali; c)l’ integrazione al reddito per il sostegno dell’autonomia economica attraverso l’attivazione di un programma nazionale denominato reddito minimo di inserimento che fa capo all’INPS.
Il punto unico di accesso prende in carico la persona che si rivolge ad esso e definisce un progetto personalizzato,  orienta la persona nell’uso dei servizi e valuta i requisiti della medesima per accedere alla integrazione al reddito, formula la domanda e la trasmette all’INPS che ne è il soggetto erogatore. Il reddito di inserimento è concesso solo se la persona, oltre ad averne i requisiti, accetta un percorso di inserimento lavorativo e di integrazione sociale. Per evitare di cadere nella trappola dell’assistenzialismo e perché per uscire dalla povertà sono importanti le opportunità di cui la persona dispone in termini di reddito e di lavoro ma è altrettanto importante attivare e valorizzare le capacità delle persone ed arricchire le loro competenze e le loro motivazioni.

Per questo è essenziale che ci sia la rete integrata dei servizi in cui si realizzi un gioco di squadra tra servizi sociali,sanitari,per l’inserimento lavorativo e per la formazione .E’ essenziale che il soggetto pubblico,il comune,solleciti tutti gli attori economici del proprio territorio  a promuovere l’inclusione sociale considerandola ingrediente per lo sviluppo, attraverso iniziative di vario tipo come il welfare aziendale,il cofinanziamento di un fondo comunale e/o regionale per  la promozione sociale all’interno di patti locali per lo sviluppo sociale. Facendo vivere concretamente l’idea che le politiche sociali sono politiche di sviluppo. Basti pensa a quale volano occupazionale possono costituire i servizi sociali. Che,se ben gestiti,con risorse limitate, sono capaci di sprigionare le  capacità e le energie dalle persone più fragili. Possono essere di accompagnamento ai normali e quotidiani compiti di cura delle persone e delle famiglie prevenendo i disagi e promuovendo il benessere.  Sono troppo sottovalutati questi servizi sociali..Eppure sono “oro” nella vita di tante persone e di tante famiglie. Sono “oro” che non luccica. Bisogna farlo luccicare. Bisogna sprigionare la loro luce. Nell’interesse delle persone e di tutta la comunità. Per creare equità ma anche sviluppo.

Dunque, partire dalla lotta alle povertà estreme significa non solo compiere una scelta di giustizia ma ricercare strade nuove nelle politiche di welfare e di sviluppo.

Livia Turco

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