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Immigrati. L’esempio di Torino

18 Luglio, 2017 (09:02) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

Tante volte la società è più avanti della politica. Mentre nella politica  impazzisce un becero e preoccupante dibattito sull’immigrazione tutto incentrato sulla rincorsa di un vecchio slogan della LegaNord, a Torino,  cento  imprenditori hanno scritto al Prefetto , al Sindaco, al Governatore della Regione  una lettera in cui si legge ”Metteteci nelle condizioni di assumere i migranti. Sono ragazzi che hanno imparato un mestiere e sono una risorsa importate per la nostra economia”. I migranti in questione sono rifugiati che hanno rivolto domanda d’asilo e mentre attendevano il responso della competente commissione si sono trovati un lavoro.

Difronte al diniego dello status di rifugiato (riconosciuto se sussistono casi di persecuzione, tortura e guerra, fino ad ora non sono stati valutati la situazione di integrazione lavorativa  raggiunta), questi ragazzi sarebbero finiti nel limbo della clandestinità ed i datori di lavoro avrebbero perso giovani che avevano apprezzato per il loro lavoro e su cui avevano investito. Di qui la richiesta alle autorità pubbliche di trovare le vie legali che consenta a questi giovani di continuare il loro lavoro. La soluzione individuata è il permesso di protezione umanitaria che fu inserito nella legge 40/98 poi diventata decreto Legislativo 2867/88.

I datori di lavoro piemontesi  hanno avanzato la stessa richiesta che molti loro colleghi tedeschi avevano rivolto ad Angela Merkel nel 2016. Il quel caso di fronte all’arrivo di migliaia di siriani, la Cancelliera aveva convocato lei stessa tutti i datori di lavoro proponendo un patto per l’integrazione lavorativa dei rifugiati che deve iniziare da subito, mentre i rifugiati sono  nei centri di accoglienza. Da subito in Germania    i rifugiati sono impegnati a imparare la lingua del paese ospitante e a dichiararsi disponibili per attività lavorative.In cambio le imprese hanno chiesto che i tirocinanti non siano  espulsi nel mezzo della loro istruzione e che possano  essere assunti  dopo il conseguimento del diploma al fine di raccogliere i risultati dell’investimento  realizzato per la loro formazione “

Promuovere e pretendere” .”Finanziare ed esigere”. La legge sull’integrazione del 2016 ha riconosciuto uno status giuridico sicuro ai richiedenti asilo che hanno intrapreso una formazione professionale per i tre anni del loro percorso formativo indipendentemente dall’esito della loro domanda. Se i datori di lavoro volessero assumerli dopo il conseguimento del diploma essi ottengono altri due anni di permesso giuridico, altrimenti hanno sei mesi  di tempo per trovare un altro datore di lavoro nel loro settore. Sono poi stati escogitati diversi modi per incoraggiare la convivenza tra tedeschi ed immigrati anche dalla società civile , come affidamenti in famiglia, presenza di tutori, tirocini nelle imprese, appartamenti condivisi.

Sarebbe importante che l’iniziativa di Torino non rimanesse un caso  isolato ma ci fosse una iniziativa del Governo verso tutto il mondo delle imprese per stipulare un programma di integrazione che parta dall’apprendimento della lingua all’inserimento lavorativo. Che costituisca  parte integrante del programma dell’accoglienza diffusa negli 8000 Comuni italiani.

Il merito della buona pratica di Torino è l’iniziativa in sé ma anche la questione politica e culturale  che pone e che invece è totalmente assente dal dibattito pubblico del nostro paese: quali politiche di integrazione? Come stiamo insieme italiani e migranti? Quale società della convivenza? Spiace sentire su questo un assordante silenzio anche da parte del governo , del PD e della sinistra.

L’integrazione è invece questione cruciale sia per gestire in modo efficace l’accoglienza dei rifugiati  sia verso i 5 milioni di migranti nuovi  italiani . Tanto più a fronte della crisi dei modelli consolidati nei paesi europei. In realtà nei territori si è sedimentata una via italiana all’integrazione . Ma sono esperienze isolate, non valorizzate, non raccontate all’interno di un progetto “ Europa ed Italia della Convivenza”. L’unico caso in cui si vararono politiche pubbliche per l’integrazione con relativo Fondo Nazionale fu con la legge 40/98 poi cancellato dal centrodestra. L’Italia ha la possibilità ed il dovere di prevenire i conflitti delle seconde  generazioni che sono esplosi in Francia, Belgio, Olanda  dove alla promessa di uguaglianza  ed inserimento i giovani avevano vissuto l’esperienza delle discriminazioni e della solitudine. Colpiscono le biografie di tanti giovani coinvolti dall’ISIS. Esse rinviano in tanti casi al fallimento dei processi di integrazione. Approvare la legge di riforma della  cittadinanza è  un dovere inderogabile, anche perché ha alle spalle tanti anni di battaglie parlamentari e sociali. Ma richiederà ancora  di più un impegno sulle politiche di integrazione. Quali sono i percorsi scolastici di questi giovani? quanti sono gli abbandoni e le criticità? Quali i sostegni che possono avere dalle loro famiglie?

Quali opportunità di socializzazione? Quanti dei loro genitori hanno imparato bene l’italiano e conoscono le regole ed i valori del nostro paese.? Quali sono le loro opportunità di inserimento lavorativo? Quali forme di partecipazione civica li coinvolgono? Queste domande valgono per i figli dei migranti  e per i figli  degli italiani, perché i problemi sono interconnessi e ci portano nella condizione giovanile nel nostro paese.

Sull’immigrazione non si scherza. Bisogna avere una barra limpida e dritta di valori e di pratiche di governo. Sarebbe doveroso accompagnare la fatica che si sta facendo per l’accoglienza, per gli accordi bilaterali, la lotta agli scafisti, gli impegni in Africa-interventi necessari e condivisibili- con la promozione insieme con i con i Comuni di  una Conferenza sulle politiche di integrazione per scrivere un Programma condiviso con i territori ed i tanti soggetti e le tante competenze di cui è ricca la società.  Sarebbe molto utile per definire il profilo dell’Italia e dell’Europa nuova che dobbiamo costruire. Sarebbe un messaggio di fiducia che potrebbe mettere a tacere i tanti  “ imprenditori della paura” che molto danno hanno arrecato all’Italia, per esempio non facendola attrezzare di un adeguato sistema di accoglienza dei rifugiati, facendo sprecare risorse economiche ed umane ( Come l’accoglienza improvvisata negli alberghi..)  .Se questi imprenditori della paura avessero avuto meno ascolto quando urlavano “ Sono tutti clandestini, aiutiamoli a casa loro” ora non ci troveremmo così impreparati difronte alla ennesima emergenza. Che non iniziano ora ma,  dalla vicenda dei Balcani, della Somalia, dell’Albania  hanno messo a prova il nostro paese nel corso di tanti anni. Per un governo efficace dell’immigrazione , che renda conveniente l’ingresso regolare per lavoro, promuova accordi bilaterali, sia sostenibile sul piano economico e sociale, promuova diritti ed esiga doveri,  bisogna dotare il nostro paese di una nuova  legge organica sull’immigrazione.

Bisogna abrogare la Bossi-Fini. Mi aspetto che questo venga indicato come impegno prioritario dei primi cento giorni da parte  di tutte le forze del centrosinistra. Nel frattempo è giusto sostenere la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dai Radicali e da tante  associazioni impegnate sui temi dell’immigrazione.

Livia Turco

Huffington Post 

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