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Cittadinanza. Non è una questione di élite

23 Settembre, 2017 (09:40) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Tra gli argomenti  contro la riforma che consente” agli italiani di fatto” giovani figli di immigrati  di esserlo riconosciuti anche per legge  mi ha colpito la tesi del Sen. Sacconi secondo cui questo tema come quello del fine vita starebbe a cuore alle élite  e non al popolo.

Non c’è dubbio che molte persone nel nostro paese fanno fatica nella vita quotidiana e sono assillati dai problemi concreti del reddito e del lavoro e vivono  con ansia la presenza di immigrati e si sentono  assaliti dalla paura.  Ma se  chi fa politica conosce bene il popolo ed è in relazione con le persone  non può non aver incontrato da qualche parte  quel  “ popolo della convivenza”  che è diffuso, radicato nei territori.

Sono lavoratori e lavoratrici, insegnanti, imprenditori, medici , persone anziane   che attraverso i gesti della vita quotidiana nel lavoro, nella scuola, nei quartieri, negli ospedali, nelle famiglie  hanno imparato a conoscere gli immigrati, a fidarsi di loro, hanno costruito relazioni positive.

Hanno imparato a vivere questi giovani” italiani di fatto” come loro figli, parte delle loro famiglie. E’ un grave danno per il bene comune che questo “ popolo della convivenza” non sia conosciuto, raccontato e valorizzato dalla politica, dai media e dalle èlite del nostro paese. Far conoscere e valorizzare questo popolo  aiuterebbe molto a combattere la paura.

E’ questo popolo che anni fa, esattamente nel  2010 quando   le associazioni, i sindacati  molti Comuni  ed il Forum del PD sull’immigrazione lanciarono la Campagna  “ L’Italia sono anch’io” raccogliendo migliaia di firme su una proposta di legge di iniziativa popolare incontrammo in ogni parte del paese.

Questo popolo     difronte all’immagine dei  ragazzi e ragazze  figli di immigrati aveva riflettuto in modo nuovo sull’immigrazione. Proprio questi ragazzi “ Italiani di Fatto “ avevano aiutato la gente normale, il popolo ed anche le élite a liberarsi dallo stereotipo  attraverso cui guardiamo solitamente  l’immigrato : come usurpatore o come vittima. Quasi mai come cittadino. Fu importante la battaglia legislativa che conducemmo in Parlamento in un contesto molto aspro ma fu importantissima la battaglia culturale che si svolse nel paese.

Ricordo che allora i sondaggi vedevano con favore sia la riforma della cittadinanza che il diritto di voto agli immigrarti. Ed i tempi non erano facili. Vi erano sia gli sbarchi che gli imprenditori della paura. Il contesto di questi anni è sicuramente più duro e complesso.

Ma credo vada riconosciuto con molta franchezza che su questo tema non c’è stata battaglia culturale nel paese e questo ha pesato molto. Ricordo inoltre che la riforma della cittadinanza costituiva una priorità nel programma che il PD propose alle elezioni nel 2013, era scritta in modo chiarissimo,  era stata indicata dall’allora segretario Bersani come un provvedimento dei primi cento giorni di Governo.

Non amo le polemiche ma se arriviamo così affannati a fine legislatura , dopo due anni (13 ottobre2015) di approvazione del testo  alla Camera,  vuol  dire che esso non è stato una priorità per il PD e neanche per le  altre forze di sinistra. Bisogna  porre questo tema come base di  nuovo centrosinistra e di un nuovo Ulivo.

Voglio ricordare che la prima riforma della legge sulla cittadinanza fu discussa in un convegno promosso dal Governo dell’Ulivo, Ministero della Solidarietà Sociale nel febbraio del  1999 e ne scaturì una legge  depositata dalla sottoscritta nel 2001. Il primo Ulivo fu sul tema lungimirante ma non coraggioso.

Questa volta bisogna avere lungimiranza e determinazione. Perché la  cittadinanza ai figli degli immigrati che risiedono da tempo nel nostro Paese , lo amano, lo rispettano, ne conoscono le regole e la cultura è la metafora  della società che dobbiamo costruire: la società della Convivenza capace di realizzare il motto dell’Unione Europea dell’unità nella diversità.

Una società basata sull’eguaglianza di dignità e di rispetto di ciascuna persona,  in cui la cittadinanza non si basa  sul legame di sangue   ma sulla condivisione di valori e regole, sulla capacità delle persone di costruire relazioni umane, di conoscersi e riconoscersi, di partecipare alla vita pubblica per la costruzione del bene comune. La cittadinanza  come “ amicizia civica “ e “ comunità di destino”.

Livia Turco

da Huffington Post

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