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Testamento biologico: sì al diritto “mite”

2 Ottobre, 2009 (16:08) | Post | Da: Livia Turco

Credo anch’io come Angelo Panebianco (vedi Corriere della Sera del 30 settembre scorso) che la strada da percorrere per una buona legge sulle dichiarazioni anticipate di volontà sia quella di una legge “il più possibile liberale, che lasci alle persone spazi di autonomia dallo Stato e che scommetta sulla responsabilità degli informati e competenti sul caso singolo”. Citando l’importante documento degli Ordini dei medici e delle Società scientifiche votato in un  convegno a Terni nello scorso aprile, la strada è quella del “diritto mite”, per costruire un bilanciamento di valori tra rispetto della volontà del paziente e la sua presa in carico costante ed amorevole per rispettarne fino all’ultimo la dignità umana, e dunque la vita. Ciò può essere ricercato e costruito solo all’interno di una relazione di cura medico-paziente che sia relazione di fiducia e nella comunità di affetti che circonda la persona malata. È questa, io credo, la zona grigia di cui parla Panebianco. Ed è proprio questa relazione e questa comunità di affetti, una sorta di diritto affettivo, che la legge deve riconoscere, sostenere e valorizzare. Anche perché solo all’interno di questa relazione di fiducia e di amorevolezza la volontà della persona può formarsi, esprimersi ed essere ascoltata. La volontà non è una decisione solipsistica governata dalla signoria della mente ma un progetto di vita. Le dichiarazioni anticipate di volontà non sono un succedaneo del consenso informato, non devono dire ora un sì o un no per un determinato trattamento. Esprimono un progetto di vita e di coerenza, indicano una scelta. Non a caso la Convenzione di Oviedo nell’art. 9 dice che bisogna “tenere in considerazione i desideri espressi dal paziente”. Per questo credo che anche sull’argomento controverso della nutrizione e idratazione la legge deve riconoscere, sostenere e rispettare la relazione di fiducia tra medico e paziente che non può che basarsi sulla esplicitazione e il riconoscimento della volontà del paziente medesimo. La forza e la intensità della relazione di cura  e della comunità di affetti è la sola che può consentire di attualizzare la volontà e la scelta al letto del paziente. Può arrivare anche a disattendere quanto il paziente ha indicato nella Dat se il medico e i familiari ravvisano una  motivata prospettiva di beneficio terapeutico da scrivere nella cartella clinica e fino a quando essa sia ragionevolmente attesa. Sono convinta che questo possa essere un interessante punto di incontro.

Livia Turco

larticolo di panebianco

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