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Con Veltroni sì, ma a sinistra

2 Ottobre, 2007 (12:03) | Interviste | Da: cesare fassari

Livia Turco invita gli scettici a ricredersi

di Paolo Franchi

Intervista pubblicata su Il Riformista del 2/10/2007

Sul Partito democratico, assicura, ha avuto i suoi tormenti. Ma, quando si è convinta, si è convinta. «Mi piace la mescolanza tra forze riformiste di storia e di ispirazione diversa, questo superamento della logica del “noi” e del “loro”», sostiene Livia Turco. Che nega di aver provato qualche turbamento ad Assisi, un mese fa, di fronte al collega Beppe Fioroni che faceva appello all’orgoglio dei popolari: «Anzi, ero assolutamente a mio agio, la loro tradizione era vicina alla mia già in tempi lontani, e non solo perché ero cattolica e comunista». Bene il Pd, dunque. E avanti tutta verso le primarie. Inizialmente era convinta, il ministro della Salute, di affrontarle come candidata nella lista numero uno, il listone istituzionale. Non è andata così: sarà nella lista numero tre, “A sinistra per Veltroni”. Solo perché la hanno sospinta lì i casi della politica? «Ma nemmeno per idea. In questa avventura ci credo. E quando credo in qualcosa ci metto la faccia».
Bene. Ma perché “a sinistra per Veltroni”? Dice Livia Turco: «Prima di tutto per parlare a quella parte davvero non piccola della nostra gente, militanti ed elettori, che rispetto al processo di costruzione del nuovo partito, almeno per come le cose sono andate sin qui, si sente estranea». Uomini e donne della sinistra, insiste, ma anche cattolici «che vivono questa vicenda come uno snaturamento e una perdita della loro stessa storia, che non hanno alcuna voglia di andare appresso a Beppe Grillo, ma provano distacco e indifferenza verso questa politica». Sull’esistenza e sull’estensione di questo mondo non ci sono dubbi. Sulla necessità, per il Pd, di tenere aperto il confronto, nemmeno. Meno chiaro è se sia possibile, e come, guadagnarlo alla causa democrat. «Primo messaggio: il Pd non è indifferente ai loro problemi e alle loro domande. Secondo: il Pd avrà la questione sociale, le condizioni materiali di esistenza di milioni di persone, in cima alla sua agenda. Terzo: il Pd intende affrontare, riattualizzandolo, calandolo in una realtà complessa e per tanti aspetti inedita come l’attuale, un tema ineludibile per una moderna forza della sinistra come l’eguaglianza. Si parla molto di tolleranza zero. Bene, ma bisogna aggiungere: tolleranza zero anche verso tutte le forme di povertà, rifiuto di considerarle come qualcosa di ineluttabile». Un rigurgito di massimalismo? «Il massimalismo non c’entra niente. “Superare le disuguaglianze più dure, combattere le povertà” lo diceva un cattolico come Ermanno Gorrieri».

Ma c’è traccia di tutto questo, nel Pd che sta nascendo? «Ci deve essere. Il motivo principale per cui sto “a sinistra con Veltroni” è perché troverei del tutto innaturale che nel Pd la parola sinistra non venisse nemmeno nominata. Non sto parlando di una nostalgia, di un rimpianto. Sto parlando dell’identità e della funzione nazionale del nuovo partito. Io al Pd ci credo. Ma per me ha un senso se invera la parte migliore della tradizione da cui vengo e di altre tradizioni: Enrico Berlinguer, ma anche, e non contraddittoriamente, Aldo Moro. Sono per costruire una casa nuova, per mescolare storie e percorsi diversi, quindi spero che la vita del Partito democratico non si baserà sulle correnti. Ma sono pure convinta che al suo interno dovrà esserci spazio per culture politiche diverse. Dunque, per quello che riguarda me, e non credo proprio soltanto me, anche per la cultura politica della sinistra. Di una sinistra plurale, in cui ci sono tante storie di movimenti e di partiti. Compresa, non dimentichiamolo, la tradizione socialista. Sbagliano, secondo me, quei socialisti che, invece di contare in un partito grande, a vocazione maggioritaria, lavorano a costruire un partito piccolo, minoritario. Ma con loro bisogna confrontarsi, discutere. Anche se adesso non verranno con noi, sono e resteranno interlocutori importanti». Le forze della sinistra riformista. in Europa, sono nel Pse. E il Pd? «Il Pse è già il mio partito, dipendesse da me e da noi ds non avrei proprio problemi. Ma rispetto chi, almeno per ora, non si riconosce in questo approdo, e dice che non vuole morire socialista: c’è una dimensione simbolica del problema che non bisogna sottovalutare». Dunque? «Dunque, è giusto chiedere ai nostri amici italiani che hanno tanti legittimi dubbi di guardare senza paraocchi ideologici al socialismo europeo contemporaneo, che non è né la Prima né la Seconda né tanto meno, ovviamente, la Terza Internazionale. E al Pse di andare con passo più spedito oltre i vecchi confini, per divenire la casa comune dei socialisti e dei democratici europei».

 

 

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