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Lampedusa. Le parole del Papa e la politica

11 Luglio, 2013 (11:50) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da l’Unità

Una buona politica dovrebbe sempre ascoltare le parole della Chiesa. Comprenderne il significato. In quanto parole che parlano dell’uomo e della sua umanità. Assumerle come lievito nel suo pensare ed agire il bene comune. All’interno di quella distinzione dei piani che sostanzia il principio di laicità.

Continua invece ad accadere che le parole del Papa sono esaltate quando sono condivise o liquidate come interferenti quando non lo sono. Come ha fatto l’on. Cicchitto in merito alle parole di Papa Francesco a Lampedusa. Questo atteggiamento strumentale verso le parole della Chiesa toglie libertà ed autorevolezza alla politica. Tanto più quando si trova difronte ad un messaggio dirompente come quello proposto da Papa Francesco a Lampedusa.

Un messaggio che va oltre la questione dell’immigrazione perché ci obbliga a ritrovare il senso, il sentimento della nostra appartenenza al genere umano. Voglio citare il passaggio cruciale di tale discorso “La cultura del benessere che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri. Ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta alla indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione della indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro che non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende “innominati” responsabili senza nome e senza volto”.

Queste riflessioni ci interpellano come donne e come uomini nella nostra umanità profonda, sul senso della nostra vita. Ma sono riflessioni che riguardano anche la politica non solo per quanto attiene il governo dell’immigrazione ma su quale tipo di società vogliamo costruire, quali cittadini e cittadine vogliamo essere. Ci dice che senza una rivoluzione antropologica che faccia  riscoprire in questo nostro tempo, dopo la bonaccia e le distorsioni dello sviluppo capitalistico e del consumismo, che ha declinato la nostra umanità “sull’io proprietario” sul mito del successo, dell’apparire, della competizione, il senso del riconoscimento dell’altro, la relazione con l’altro, il legame comunitario, senza questa rivoluzione antropologica non si esce dalla crisi attuale e non si costruisce una convivenza umana più serena ed equa.

Non ci sarà più giustizia, più benessere, piu democrazia se non cambia la dimensione umana della nostra vita individuale e collettiva. Se dall’io proprietario ed acquisitivo non si passa all’io relazionale che sa prendere in carico l’altro. Non è solo questione di etica e di felicità individuale. La relazione con l’altro, la capacità di fare gioco di squadra, di costruire comunità è un ingrediente essenziale per la rinascita della democrazia e per rimettere in moto lo sviluppo. Dobbiamo riconoscere con lealtà che la trascuratezza dell’altro, noi donne e uomini dell’Europa, l’abbiamo vissuta in particolare nei confronti dei migranti. Si è come spento in noi lo sforzo di immaginare e capire cosa vuol dire scappare dalla fame e dalla guerra, di capire quell’anelito potente alla libertà ed alla dignità, alla ricerca di una vita migliore.

Eppure la nostra società emocratica e del benessere è stata costruita proprio facendo leva sulla potenza di quell’anelito alla libertà ed alla dignità. Dunque dovremmo capire che nel movimento migratorio non c’è caos e disordine ma la forza della speranza per costruire un mondo migliore che è stata nel corso della storia il motore del cambiamento. Certo,l’immigrazione è un fenomeno duro e complesso che va governato con sapienza. Ma un conto è dire ad un uomo ad una donna “non c’e'posto per te” alzando i fili spinati e praticando i respingimenti in mare. Altra cosa è dire a quello stesso uomo a quella stessa donna “non sono in grado di accoglierti perché ci sono tanti problemi anche qui per questo dobbiamo costruire insieme una società più giusta ed umana”. Ed attivare una politica europea di co-sviluppo, di ingressi regolari per lavoro, di valorizzazione delle competenze e del capitale umano di tutte le persone. Native e migranti.

Livia Turco

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