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Papa Francesco e la cura del bene comune

21 Giugno, 2015 (09:21) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Laudato si mi Signore, cantava Francesco D’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava  che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, è come una grande madre  bella  che ci accoglie tra le sue braccia.

Questa sorella oggi protesta per il male che le provochiamo a causa  di un uso irresponsabile e di un abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che siamo suoi proprietari autorizzati a saccheggiarlo. Per questo tra i poveri  più abbandonati  e maltrattati  c’è  la nostra  oppressa e devastata terra. Che geme e soffre le doglie del parto. Dimenticando che noi stessi siamo terra. Il nostro corpo è costituito dagli elementi del pianeta e la sua aria e la sua acqua è quella che ci vivifica e ristora.

In questo inizio dell’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si. La cura del bene comune”, è condensata tutta la sua portata dirompente.  Che risiede, a mio avviso, nell’essere un documento che coinvolge cuore e mente è che si rivolge a tutti. Un testo plurale in cui le fonti citate non sono solo le Sacre  Scritture, i Padri della Chiesa ma documenti di episcopati di tutto il mondo, cristiani appartenenti ad altre chiese, oltre alle fonti rigorosamente scientifiche.

Un testo che si rivolge a tutti ma riproponendo in modo radicale e netto una visione della vita, dell’uomo e della donna profondamente cristiana. La teologia della Creazione che ci propone non è solo l’attenzione al grande problema della natura, ma la visione della persona umana che si basa sulla fede in Dio, sull’amore  per l’uomo è per la natura intesa come parte integrante dell’umanità dell’uomo.

La cura del bene comune chiarisce ed attualizza questa visione antropologica. La cura è l’investimento sulle relazioni umane, è prendersi cura delle persone, è l’investimento amorevole in ogni cosa che ci circonda, persona o natura. La cura è la presa in carico di chi è fragile è debole è la lotta concreta contro la povertà. Ed è la promozione e la tutela dei beni comuni, quei beni come l’ambiente, la formazione, il lavoro,  il calore delle relazioni umane che compongono la dignità delle persona e definiscono la qualità della vita. La cura  rifugge dall’uomo demiurgo, che in nome del progresso e delle continue scoperte scientifiche non accetta “il limite”, lo infrange per andare sempre più avanti.

Ma proprio lo smarrimento della coscienza del limite (non tutto quello che si può si  deve fare) è alla base dei mali profondi che soffre il pianeta.

L’Enciclica analizza la questione ecologica in tutti i suoi aspetti con grande rigore scientifico, denuncia i mali come la “globalizzazione del paradigma tecnologico”, l’intima  relazione che intercorre  tra povertà e fragilità del pianeta. Avanza  proposte nette e coraggiose come la decrescita, la sobrietà (si tratta di convincere che meno è di più). Coglie il rapporto tra disastri ambientali, povertà ed emigrazione. Propone uno sviluppo basato in ogni campo sull’approccio ecologico.

Denuncia i poteri economici forti delle loro scelte scellerate e le profonde inadeguatezza della politica. Ma, sarebbe una perdita anche per i non credenti non cogliere la visione antropologica che è alla base dell’Enciclica. L’uomo che sa “curare ” e non solo fare scoperte, che accetta “il limite ” e trova il suo limite nel bene dell’altro e della comunità.

Che scopre il valore del tempo lento, della convivialità, del dono. Che sa fermarsi per guardare a che punto del traguardo sono arrivati gli altri.

E’ bellissimo il paragrafo dedicato a S.Francesco. “In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili le preoccupazioni per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e  la pace interiore.” Amare gli altri, combattere la povertà, amare la natura, riempie il cuore di gioia, è fonte di felicità.

Livia Turco

Da il Garantista del 21 giugno 2015

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