Il Blog di Livia Turco

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Perché il Pd “ricostruisca” la sua comunità

27 Maggio, 2013 (13:32) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da l’Unità del 27 maggio 2013

Il  Partito Democratico se vuole ripartire, se  vuole interloquire  con la sofferenza che hanno nel cuore tanti elettori che silenziosamente ci stanno voltando le spalle deve darsi una scossa morale, recuperare una dimensione etica della politica, ricostruire una comunità.
Deve riscoprire e far rivivere la fraternità. Altrimenti gli aggiornamenti delle analisi,gli studi,le proposte concrete, le iniziative saranno inefficaci perché non troveranno la testa ed il cuore su cui camminare e  non trasmetteranno quell’elemento essenziale che li rende credibili:il sentimento,la passione di chi ci crede e mette a disposizione se stesso per realizzarle. Ma, questo mettersi  a  disposizione presuppone che  si sia parte di una comunità,che ci sia una fraternità con altre donne e uomini con cui quelle idee si portano avanti e si condividono. Diventano parte di un progetto e di una battaglia politica condivisa.

Le vicende che hanno portato alle dimissioni di Pierluigi Bersani segnano la rottura della comunità del PD.
Personalmente la vivo  cosi’. Sento che non siamo più una comunità.
Quando  in un  passaggio cruciale per l’Italia  , un grande partito come noi siamo ,che ha contribuito a salvare l’Italia dal baratro della crisi finanziaria battendosi  ostinatamente   per la giustizia sociale, si trova per la prima volta di fronte alla responsabilità di concorrere per il governo del Paese,   vede   parte di suoi eletti  tradire nel segreto dell’urna le regole  discusse in modo collettivo  senza che nessuno,tranne rari casi, pubblicamente motivi le ragioni del dissenso, sacrificando cosi’ due Padri del nostro partito e del nostro Paese,allora non siamo solo di fronte al fallimento della politica ma alla rottura di una comunità. E non è sufficiente la discussione sugli errori di linea o di gestione,qui c’è un elemento che attiene alla moralità dei comportamenti politici,al rapporto tra etica e politica.

E’ utile ritornare sul discorso che Pierluigi Bersani ha svolto nella riunione della direzione quando confermò le sue dimissioni”noi vogliamo costruire un soggetto politico o vogliamo allestire uno spazio politico”?
Non è questione di pluralismo. Anzi,benedetto è il pluralismo quando comporta idee che si confrontano ed hanno la curiosità di ascoltarsi reciprocamente,di competere  per poi arrivare ad una sintesi.  Se la politica è bene comune ,se il partito è una comunità a servizio del Paese  allora non basta esprimere le proprie differenze,bisogna fare la fatica della sintesi .Quando   ci siamo riusciti  siamo stati utili al Paese,credibili,autorevoli e sono state belle le relazioni umane tra di noi.

Per recuperare credibilità la politica ha bisogno non solo di proposte efficaci ma di persone che ci credono. Proposte senz’anima non comunicano nulla. Bisogna saper trasmettere l’empatia,il trasporto emotivo,che non si inventa .O c’è o non c’è. C’è se dentro brucia la passione politica,se c’è la determinazione e la generosità a battersi ed a spendersi per gli altri..
Dobbiamo liberarci ,noi dirigenti, dalla” patologia dell’io” in cui siamo caduti, recuperare il senso della fraternità, smetterla d i viverci come tribù che si guardano in cagnesco. La nostra gente soffre molto di tutto questo.

Ciò di cui parlo non è questione di sentimenti o di buone maniere ma è l’anima della politica,ciò che la rende efficace. In questo tempo di crisi economica ma anche morale e culturale per battere le diseguaglianze,per creare giustizia sociale non bastano le risorse economiche. Bisogna mettere in campo le relazioni umane,stare accanto alle persone,condividere i loro problemi,creare legami comunitari. Non si costruisce inclusione sociale senza relazioni umane,non si costruisce la democrazia senza la partecipazione attiva degli ultimi e dei penultimi. C’è una parola che appartiene al vocabolario della Chiesa e del volontariato  e che credo oggi dovrebbe costituire  una  parola ed una  pratica eccellente della politica:”condividere”.
Condividere significa mettersi nei panni degli altri,di chi sta peggio,poter dire a chi ti sta di fronte”io ci sono, Io capisco,io mi prendo cura”.

Una politica che non sa condividere,che non sa praticare i luoghi della società a partire da quelli del disagio e della sofferenza è una politica inutile  perchè inefficace. Me ne rendo conto quando sono nei luoghi in cui
ho scelto di ritornare a svolgere attività di volontariato,tra i poveri e gli immigrati dell’ospedale S.Gallicano  di Roma o nelle associazioni che si occupano di disabilità grave. Da  qui  sento il silenzio assordante della politica,non solo perché si ostina considerare marginali le politiche sociali ma perché non è animata  da  persone che vanno incontro agli altri.

Alcuni giorni fa su questo giornale Michele Ciliberto scrivendo del rapporto che si è interrotto tra sovranità e rappresentanza  ci mette in guardia da un sentimento profondo che pervade il nostro paese che è quello del “risentimento” come rivalsa,rivolta,rovesciamento e rifiuto dei valori civili e politici ordinari,a partire da quelli della democrazia rappresentativa. Per contrastare questo”risentimento” , io credo,c’è bisogno di una politica capace di decidere,di risolvere i problemi  e  che  riscopra la bellezza di essere umana e prossima. Il congresso del PD sarà di vera rifondazione non solo se  realizzerà  un confronto approfondito sulle idee, non solo se metterà in campo il progetto  di  un nuovo modello di sviluppo e di democrazia ma se farà una discussione animata dalla curiosità verso le persone in carne ed ossa,per diventare un partito che vive nel territorio,che conosce e pratica i luoghi della vita quotidiana,che tesse relazioni umane. Insomma, se costruisce se stesso come una comunità accogliente.

Livia Turco

Siamo orgogliosi di Cécile e dei nuovi italiani

30 Aprile, 2013 (13:24) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Livia Turco, su L’Unità del 30 aprile 2013
Che emozione, cara Cécile, vederti al Quirinale e sentirti pronunciare “giuro di essere fedele alla Repubblica Italiana ed alla Costituzione”. Ho pensato ai tanti cittadini che vengono dal tuo continente e che lavorano nelle nostre fabbriche, a quei tanti  che subiscono lo sfruttamento del lavoro nero,a quelli che vivono nelle nostre famiglie e studiano nelle nostre università. Ho pensato ai tanti cittadini del mondo che vivono con noi da tanti anni e che ci hanno aiutato nella vita di tutti i giorni a diventare un paese migliore. Ho pensato a noi cittadini vecchi Italiani. Credo che in quel momento,in tutti,sia cresciuto il sentimento di appartenenza alla nostra Nazione ed in tutti sia stato più forte il senso del legame che ci unisce,quello della  dignità umana.

La tua nomina a Ministro dell’Integrazione fa onore al Presidente del Consiglio che ti ha scelta, Enrico Letta,ed evidenzia la forza della tua storia e della tua personalità. E’ il coronamento di tante battaglie condotte dai migranti e dai cittadini italiani che hanno saputo combattere le paure ed i pregiudizi per costruire l’Italia della convivenza. Consentimi di ricordare l’emozione quando  nel Consiglio  dei Ministri del Governo Prodi approvammo la prima legge quadro sull’immigrazione che prevedeva diritti e doveri e tra questi anche il diritto di voto amministrativo,norma che fu poi brutalmente cancellata dal cento-desta nel corso del dibattito parlamentare. Sono stati belli questi anni più recenti in cui abbiamo vissuto l’esperienza del Forum immigrazione del Pd,dove ci siamo scambiati esperienze,pensieri ed elaborato proposte importanti che credo siano un utile contributo all’azione che il governo ora deve compiere. In particolare la battaglia per il riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia.

Abbiamo costruito un forza collettiva ed un bel gioco di squadra. Sostenuti dal l’impegno e dalla vicinanza del mosto segretario Pierluigi Bersani che ringrazio dal profondo del cuore. In questi mesi il tema dell’immigrazione e’scomparso dall’agenda politica. Bisogna riportarlo al centro. La cittadinanza,le discriminazioni sul lavoro,la disoccupazione,i giovani e le ragazze che restano indietro nel percorso formativo,l’inaccettabile condizione dei Cie, il sostegno ai comuni per le politiche di integrazione,la promozione della lingua e cultura italiana,il servizio civile per i giovani. Se ci fosse stato il governo Bersani queste sarebbero state delle priorità. Devono esserlo
anche nel governo Letta. Sarà più difficile perché sono temi che hanno profondamente diviso le forze politiche che ora governano insieme.

Ma questa è la grande opportunità”del governo Letta:costruire finalmente una politica bipartisan sull’immigrazione,cercando mediazioni e convergenze fino ad ora inedite. Il fuoco di sbarramento aperto nei tuoi confronti, per ciò che rappresenti, dalla Lega Nord, non deve intimidire e va contrastato in nome della ragionevolezza, del principio di realtà evidenziando  l’inconsistenza dei  loro ormai logori pregiudizi ideologici. Hai un compito difficile, cara Cécile, ma la tua esperienza ed umanità’ ti doteranno della forza del dialogo,della convergenza oltreché della concretezza. Ma avrai bisogno anche di noi ,del forum Pd,dell’iniziativa politica sul territorio e con tutti i soggetti sociali. Noi continueremo in questo impegno. Infine, consentiti una considerazione personale che riguarda la politica ed il Pd. Già due anni fa avevo scelto di passare il testimone ai giovani scegliendo di non ricandidarmi in Parlamento. Mi sono impegnata con determinazione per la elezione tua e di Khalid Chaouki.

Sono fiera di  questa  scelta e di questo risultato. Sono fiera di aver passato il testimone a te ed a Khalid e sono grata a te ed a Khalid per aver dimostrato riconoscimento e gratitudine. Questa è la svolta generazionale di cui ha bisogno il Paese. Madri e padri che lasciano spazio ai figli/e. Giovani che cercano la loro strada e la percorrono in autonomia ma sanno imparare da chi c ‘e’stato prima.

Livia Turco

Un governo “contro” la povertà

8 Aprile, 2013 (11:05) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, su l’Unità del 7 aprile 2013

Tra le inderogabili priorità che un governo di cambiamento deve affrontare vi è la definizione di una misura contro la povertà, a partire dalla povertà assoluta. Vale a dire gli oltre tre milioni di persone che non dispongono di un paniere essenziali di beni. Tra gli otto punti presentati da Bersani nel corso dell’ultima direzione vi è il reddito minimo di inserimento. Una scelta importante. Bisogna entrare nel merito per definirla in modo preciso. E’ dirimente un chiarimento teorico concettuale, di cui molto opportunamente si è discusso in vari articoli su questo giornale.

Il reddito minimo di inserimento (sperimentato con risultati positivi dal governo Prodi e poi totalmente abbandonato e dimenticato) costituisce  una misura di ultima istanza, di carattere universalistico, di durata limitata che promuove l’uscita dalla povertà attraverso il sostegno e l’inserimento attivo nel lavoro e nella società. Non è da confondere con gli ammortizzatori sociali e  con il reddito di cittadinanza. Quest’ultimo si propone come forma di salario sociale che slega la cittadinanza dalla ricerca attiva del lavoro ed io credo sia da rifiutare proprio per questo aspetto culturale prima ancora che per la difficile sostenibilità finanziaria. L’RMI (reddito minimo di inserimento) contro la povertà parte dal presupposto che il fondamento della cittadinanza e della dignità della persona risieda nel lavoro e dunque prioritario sia il sostegno nel e per il lavoro.

Tuttavia esistono situazioni di caduta nella povertà che non sono connesse solo alla mancanza di lavoro. Ricordiamo che le forme storiche della povertà nel nostro paese, che pre-esistono alla crisi attuale, sono quelle che colpiscono gli anziani soli che vivono nelle aree urbane, le famiglie numerose nel sud, le donne sole con figli a carico,il livello elevato di povertà minorile,tra i più alti d’Europa. Forme di povertà che rinviano alle carenze del nostro Welfare, in particolare  riferite alla rete dei servizi sociali, alle politiche famigliari e per la non autosufficienza. Inoltre nella povertà assoluta si riflettono situazioni di marginalità sociali e di fragilità che non sono solo riconducibili alla mancanza di lavoro. Ho riscontrato nel dibattito aperto sul tema del disagio sociale un approccio troppo lavoristico, che risolve troppo facilmente tali problemi con l’accesso al lavoro e gli ammortizzatori sociali.

Questo approccio rischia di non vedere le tante cause e le diverse facce del disagio sociale, ad esempio quelle connesse alla fragilità della persona e all’impoverimento delle relazioni umane. Penso ai ragazzi soli che abbandonano la scuola, alla disabilità, ai disturbi psichici che si vanno diffondendo, alle varie forme di dipendenza. Bisogna ricordare che nel nostro ordinamento è già previsto il reddito minimo di inserimento. Mi riferisco agli artt. 22,23,28 della legge quadro 328/2000 per un sistema integrato di prestazioni e servizi sociali. Mi riferisco  all’art.117 comma m della riforma costituzionale che ha attribuito allo Stato il compito di promuovere i diritti civili e sociali ed al decreto legislativo sul federalismo fiscale che prevede la definizione dei livelli essenziali di assistenza sociali e non solo sanitari. Mi riferisco alla riforma della social card attuata dalla sottosegretaria Cecilia Guerra.

Per dare attuazione al reddito minimo di inserimento si può partire dalla definizione dei livelli essenziali di assistenza contro la povertà assoluta prevedendo tre strumenti: a) il punto unico di accesso nell’ambito della rete dei servizi sociali che fa capo al comune il quale è soggetto responsabile della presa in carico della persona; b) il potenziamento della rete integrata dei servizi sociali; c)l’ integrazione al reddito per il sostegno dell’autonomia economica attraverso l’attivazione di un programma nazionale denominato reddito minimo di inserimento che fa capo all’INPS.
Il punto unico di accesso prende in carico la persona che si rivolge ad esso e definisce un progetto personalizzato,  orienta la persona nell’uso dei servizi e valuta i requisiti della medesima per accedere alla integrazione al reddito, formula la domanda e la trasmette all’INPS che ne è il soggetto erogatore. Il reddito di inserimento è concesso solo se la persona, oltre ad averne i requisiti, accetta un percorso di inserimento lavorativo e di integrazione sociale. Per evitare di cadere nella trappola dell’assistenzialismo e perché per uscire dalla povertà sono importanti le opportunità di cui la persona dispone in termini di reddito e di lavoro ma è altrettanto importante attivare e valorizzare le capacità delle persone ed arricchire le loro competenze e le loro motivazioni.

Per questo è essenziale che ci sia la rete integrata dei servizi in cui si realizzi un gioco di squadra tra servizi sociali,sanitari,per l’inserimento lavorativo e per la formazione .E’ essenziale che il soggetto pubblico,il comune,solleciti tutti gli attori economici del proprio territorio  a promuovere l’inclusione sociale considerandola ingrediente per lo sviluppo, attraverso iniziative di vario tipo come il welfare aziendale,il cofinanziamento di un fondo comunale e/o regionale per  la promozione sociale all’interno di patti locali per lo sviluppo sociale. Facendo vivere concretamente l’idea che le politiche sociali sono politiche di sviluppo. Basti pensa a quale volano occupazionale possono costituire i servizi sociali. Che,se ben gestiti,con risorse limitate, sono capaci di sprigionare le  capacità e le energie dalle persone più fragili. Possono essere di accompagnamento ai normali e quotidiani compiti di cura delle persone e delle famiglie prevenendo i disagi e promuovendo il benessere.  Sono troppo sottovalutati questi servizi sociali..Eppure sono “oro” nella vita di tante persone e di tante famiglie. Sono “oro” che non luccica. Bisogna farlo luccicare. Bisogna sprigionare la loro luce. Nell’interesse delle persone e di tutta la comunità. Per creare equità ma anche sviluppo.

Dunque, partire dalla lotta alle povertà estreme significa non solo compiere una scelta di giustizia ma ricercare strade nuove nelle politiche di welfare e di sviluppo.

Livia Turco

Quel legame tra politica, istituzioni e “vita” delle persone

15 Marzo, 2013 (17:26) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da l’Unità del 15 marzo 2013

Condivido il giudizio di Alfredo Reichlin nel suo articolo comparso su questo giornale martedì 12 quando definisce la fase che stiamo vivendo come una crisi complessiva di rappresentanza e non  solo dei vecchi partiti.
Dovuta prima di tutto  alla perdita di credibilità e autorevolezza della politica per non essere stata efficace nel  risolvere i problemi, ma anche a quei fenomeni di disgregazione sociale che “stanno creando milioni di individui soli e separati tra di loro: senza più vecchi legami e del vecchio immaginario collettivo, senza un loro campo dove stare”.
Sono squadernati di fronte a noi e ne discutiamo ogni giorno gli effetti della crisi con i fenomeni di impoverimento, di mancanza di lavoro e reddito.

Ma dobbiamo anche cogliere l’impoverimento delle relazioni umane, “l’effetto  tartaruga”, la chiusura in se stessi che la paura produce, la frantumazione delle relazioni umane, le situazioni di fragilità e solitudine.
Dobbiamo evitare nella lettura dei processi una sorta di gerarchizzazione del disagio sociale per cui contano e si vedono solo gli aspetti connessi al reddito e al lavoro e non i problemi drammatici che vivono le persone portatrici di fragilità (persone disabili, non autosufficienti, affetti da disagio mentale) che sono sempre più confinate nel recinto delle loro famiglie per via della pesante riduzione dei servizi sociali sanitari e  sono sorrette dalle cure dei soli familiari e dei volontari. Dobbiamo inoltre focalizzare il nesso che intercorre tra impoverimento economico, impoverimento delle relazioni umane e la partecipazione politica; tra diseguaglianze e democrazia per cui chi meno ha e meno sa è meno interessato alla partecipazione politica.  Bisogna dunque ricostruire dalle fondamenta la rappresentanza politica, restituirle un “senso” oltre che efficacia. Sono urgenti quelle riforme delle regole che il centro destra ci ha impedito di realizzare, è urgente la pratica della sobrietà e della trasparenza. Ma è necessario qualcosa di più, è necessario ricostruire un legame tra la politica, le istituzioni e la vita delle persone. Insomma, ci vuole efficacia nel risolvere i problemi ma anche capacità di coinvolgimento nella costruzione delle relazioni umane.

È per queste ragioni di fondo che ho condiviso la proposta politica del segretario Bersani: la responsabilità come cambiamento e la sua insistenza sugli 8 punti, sulla centralità programmatica. Che non è solo l’indicazione delle cose da fare subito per cambiare, delle possibilità e del dovere del cambiamento ma anche l’indicazione di una pratica politica che si gioca tutto sul merito dei problemi, che fonda la sua credibilità su di essa, che rompe la profonda e vera patologia del nostro sistema politico, del dibattito pubblico e mediatico, per cui il merito dei problemi resta sempre sullo sfondo è ridotto ad allusione e non è assunto come  fondamento  delle necessarie alleanze politiche. È importante insistere in questi giorni sulla responsabilità come cambiamento, sulla centralità sulle cose da fare rivolgendosi ancora più nettamente a tutte le forze politiche, comprese quelle moderate e a tutti i cittadini italiani. Per rendere chiaro che tale proposta non costituisce un espediente tattico per ricercare una maggioranza che non c’è e non è solo un discorso a Grillo e al suo elettorato ma un messaggio forte a tutti i concittadini perché concorrano a costruire il cambiamento necessario e dunque una prospettiva di governo. Per arrivare a dare un governo al Paese senza il quale il nostro Paese rischia molto.

C’è bisogno di una riscossa civica e mi piace pensare che ne siano protagonisti in primo luogo i giovani e le donne. Praticando la sobrietà della politica ma anche facendo la fatica della “condivisione” dei problemi delle persone, facendo vivere la bellezza di quel “io mi prendo cura”.
Non contano solo la rapidità dei messaggi, la trasparenza, la democrazia della rete. C’è bisogno di quella attitudine più impegnativa che è la costruzione delle relazioni umane, dei legami comunitari. Che è poi la sostanza di una politica popolare. Essa comporta la fatica di “frequentare i luoghi” della vita quotidiana e non solo animare le piazze. Andare a scavare dove sono il disagio e la sofferenza che quasi sempre si nascondono, nelle famiglie, ai bordi delle strade nelle piazze più buie, negli scantinati del lavoro nero, nelle vicinanze delle scuole, nei quartieri degradati. Anche perché nei luoghi del disagio c’è la costruzione di strategie per uscirne come mi hanno insegnato nel corso di tanti anni i miei amici “militanti del sociale”. Nei “luoghi” ci sono i problemi ma ci sono anche le strategie per risolverle e per costruire una buona politica. D’altra parte, lo sappiamo bene, alleanze politiche e politica popolare sono le due facce della buona politica.

L’immigrazione e i primi “100” giorni di Bersani

19 Gennaio, 2013 (13:41) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Di Livia Turco, da l’Unità del 19 gennaio 2013

È difficile parlare di immigrazione in tempi di crisi economica e sociale. È difficile farlo in campagna elettorale. Perché è uno di quei temi su cui difficilmente scatta l’applauso. Eppure è sul governo dell’immigrazione, sul progetto di convivenza tra italiani e immigrati che si decide quale sviluppo economico si intende promuovere, se basato sulla valorizzazione del capitale umano oppure sulla sua umiliazione attraverso la competizione  sul basso costo del lavoro; se saremo un paese euromediterraneo e se sapremo  aiutare  gli italiani a diventare cittadini europei e del mondo.

Colpisce l’assenza di questo tema nei programmi elettorali degli altri partiti. Lo si comprende nel centro destra: il fallimento delle loro politiche in termini di compressione dei diritti umani fondamentali e creazione di inefficienze è sotto gli occhi di tutti. Basti  ricordare i richiami delle autorità internazionali rispetto alla condizione cui le persone sono  tenute nei CIE o la mancata integrazione dei rifugiati, lo sfruttamento del lavoro, l’ampia fascia di immigrazione irregolare.
C’è da aspettarsi che il rinato Berlusconi rispolveri nel suo discorso populista il no agli immigrati perché ci portano via il lavoro e la casa. Dovrà però fare molta attenzione perché anche le favole più accattivanti possono essere smentite dalla realtà. Molti  sono gli immigrati che hanno perso il lavoro, che tornano nel loro paese e quelli che sono qui e vivono con noi sono dotati di un corredo di diritti - dal salario all’accesso al welfare - che li vede ultimi nella scala sociale. Inoltre il governo Monti ha dovuto emanare un decreto flussi per la necessità di lavoratori in determinate professioni e perché anche dentro la crisi permangono quei lavori che gli italiani non vogliono fare.

Il PD ha compiuto in questi anni bui della politica del centro destra una scelta netta e coraggiosa: combattere le politiche disumane ed inefficaci del centro destra guardando all’Italia reale, ai suoi territori, alle sue persone. Abbiamo scelto di puntare sull’Italia della convivenza che c’è, che si sta sedimentando nelle nostre aziende, nelle nostre scuole, nei quartieri delle nostre città, nei piccoli borghi, nei paesi. Abbiamo messo in risalto e sostenuto la peculiare via italiana alla convivenza, costruita con il ruolo attivo dei comuni, delle regioni, delle associazioni, delle imprese, delle scuole.
Abbiamo scelto di investire sui giovani, su quelli che hanno una marcia in più, sui figli di immigrati che sono italiani di fatto ma non per legge.  I nuovi italiani meravigliosamente rappresentati dai nostri candidati al Parlamento, di cui siamo molto orgogliosi: Cécile Kyenge Kashetu, Khalid Chaouki, Nona Evghenie, Fernando Biague. Bene fa Bersani a ripetere in modo costante che la prima riforma del suo governo sarà la norma che consente a chi nasce e cresce in Italia, figlio di immigrati che risiedono nel nostro paese almeno da 5 anni di essere italiani. Nella consapevolezza che è in gioco non solo il cambiamento di una norma assurda e punitiva ma il riconoscimento di una risorsa, di una energia vitale per il paese.
Nei primi 100 giorni il governo Bersani, dovrà compiere delle scelte nette sull’immigrazione per segnare una chiarissima discontinuità rispetto ai disastri del centro destra. Pensiamo ad una azione in due tempi. Ci sono norme che vanno abrogate subito, come il reato di immigrazione clandestina, la tassa sul permesso di soggiorno, il superamento dei CIE per ricondurre l’istituto del trattenimento al limitato e temporaneo scopo dell’identificazione dello straniero. Contemporaneamente bisogna definire una nuova legge quadro sull’immigrazione e sul diritto d’asilo alternative alla Bossi Fini e alla Maroni Berlusconi che abbia il suo fulcro nel rendere conveniente e praticabile l’ingresso regolare a partire dal lavoro.

Le proposte sono: programmazione dei flussi di ingresso che siano più efficaci e snelli; forme di incontro tra domanda ed offerta di lavoro come l’ingresso per ricerca di lavoro e lo sponsor; trasferimento ai comuni della competenza del rinnovo del permesso di soggiorno;  potenziamento della formazione in loco; capacità di attrarre talenti; facilitazione degli ingressi agli studenti e ai docenti stranieri nelle nostre università; possibilità per i lavoratori immigrati che tornano nel loro paese prima dell’età pensionistica di accreditare i contributi lavorativi acquisiti; promozione delle politiche di coosviluppo e dell’immigrazione circolare; miglioramento della qualità dell’amministrazione dedicata alla gestione dell’immigrazione regolare per renderla più efficiente. Per prevenire e contrastare l’immigrazione clandestina bisogna prevedere la concessione di regolarizzazioni ad personam, puntare sul rimpatrio volontario, definire un sistema di espulsioni che sia compatibile con i valori della nostra Costituzione.
Il terzo pilastro delle nostre proposte riguarda le politiche dei diritti e dei doveri, per costruire una civile convivenza: diritto all’unità familiare anche per i rifugiati e richiedenti asilo; riconoscimento del diritto di voto amministrativo; attuazione del diritto costituzionale alla libertà religiosa; programma di lingua e cultura italiana; servizio civile per i giovani immigrati; forte investimento nell’educazioni interculturale rivolta a tutti anche per prevenire e contrastare il fenomeno in atto di abbandono scolastico e segregazione formativa dei giovani immigrati; fondo nazionale per le politiche dell’immigrazione cofinanziato anche dalle imprese e da soggetti privati.

Tutte queste proposte hanno un senso ed acquistano efficacia se sono collocate in un contesto europeo. Non  è più il tempo di chiedere  all’Europa di aiutare l’Italia ma è l’Italia che deve diventare protagonista nella costruzione di una politica europea e del diritto d’asilo, che sia adeguata alle novità emerse nel Mediterraneo, in Africa e che risponda in modo efficace alla crisi economica e sociale.
Unità nella diversità, queste sono l’Italia e l’Europa che vogliamo costruire.

Livia Turco

E’ donna il 40% dei candidati del PD

10 Gennaio, 2013 (11:56) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da l’Unità del 10 gennaio 2013

Finalmente la rivoluzione più lunga, quella delle donne, entra in parlamento attraverso la scelta molto netta compiuta dal PD di avere gruppi parlamentari formati dal 40 % di donne.  Siamo di fronte ad una novità profonda della vita politica italiana, frutto di una lunga battaglia delle donne, come ha scritto nei giorni scorsi Roberta Agostini su questo giornale.
Io ricordo l’emozione intensa con cui insieme ad un gruppo di donne giovani – 30% gruppo PCI – nel 1987 entrai in parlamento sull’onda di una forte battaglia politica e di un progetto che lanciammo come donne del PCI con la Carta delle donne che iniziava così “dalle donne la forza delle donne” una battaglia bella, appassionata, tenace con la quale volevamo “ingombrare le istituzioni della politica con la nostra vita quotidiana”.

Nel condurre quella battaglia sentivamo però  che andavamo contro corrente nella società, anche rispetto al sentimento delle donne. Era difficile allora dire ad una  donna: vota donna. Ora,  proprio qui è avvenuta la rottura simbolica e culturale, le donne vogliono esserci ed hanno imparato a fidarsi delle loro simili.  Sono stati importanti le battaglie legislative, la prima nel 1991 in occasione della riforma della legge elettorale sui sindaci, quando introducemmo il principio che le liste dovevano avere almeno un terzo di donne.  Ne scaturì un dibattito molto aspro tra le donne, divise tra chi riteneva le norme antidiscriminatorie norme “Panda” e chi come Nilde Iotti, dall’alto della sua autorevolezza di Presidente della Camera intervenne dicendo  “Le norme antidiscriminatorie non sono norme di tutela ma di garanzia democratica”. Com’è noto, quella norma fu giudicata anticostituzionale sulla base dell’articolo 51 della Costituzione. Ne scaturì il forte impegno delle donne di tutti i gruppi politici delle associazioni e dei movimenti fino ad arrivare alla modifica dell’articolo 51 che prevede ora in modo esplicito la promozione attiva  delle pari opportunità nella politica. Sul piano legislativo questo percorso ha visto una tappa importante nella legge approvata in questa legislatura che prevede la doppia preferenza nei consigli comunali e che dovrà concludersi nella prossima legislatura con la riforma della legge elettorale.

Il PD ha raccolto questa sfida. Credo ne debbano essere orgogliose non solo le donne e gli uomini del PD ma tutte le cittadine italiane.  A partire dalle associazioni  dei movimenti, che nel periodo più recente hanno generosamente e tenacemente incalzato i partiti. Questa battaglia riguarda la democrazia e sarà monca se non coinvolgerà tutti  i partiti. Per  questo ogni forza politica deve sentirsi sfidata dalle scelte compiute dal PD. Bisogna dire e dimostrare che chi non investe sulle donne paga un prezzo elettorale. Sta alle candidate e a noi tutti far arrivare alle donne italiane il messaggio “c’è chi ha investito su di te, vuole cambiare con te, vuole costruire con te un’Italia migliore e dunque conviene raccogliere questa opportunità e questa sfida”. Nella consapevolezza che le donne italiane, sono quelle che pagano più duramente il prezzo della crisi ma sono anche quelle che stanno reagendo alla crisi economica mettendo in atto strategie nuove, stanno creando innovazioni nel lavoro, nelle aziende, nel welfare. Sono le animatrici di quel profondo moto di riscossa civica contro il degrado della politica. Quindi conteranno molto i fatti. Le donne ci mettono ideali e passioni, ma esigono molto concretezza. Il PD deve essere all’altezza, buona e piena occupazione femminile, conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, servizi sociali, lotta alle violenze, cittadinanza per i figli degli immigrati: devono essere gli atti dei primi 100 giorni del governo Bersani.

C’è una questione di fondo che credo dobbiamo avere lucidamente presente. L’irruzione in parlamento di donne di tutte le età, molte giovani, ciascuna con una propria esperienza di vita, un bagaglio di competenze maturate nei luoghi più disparati del paese, portano pezzi di vita, pensieri, esperienze fino ad ora troppo esclusi. Questa “irruzione” di donne è l’irruzione della vita quotidiana nella politica. È l’irruzione dei beni comuni al posto degli interessi di casta, di categorie, dei privilegi. È  una prima risposta al pesante degrado della politica che abbiamo sofferto in questi ultimi anni e contiene anche le potenzialità di un cambiamento profondo delle istituzioni. Perché quelle donne sono portatrici prima di tutto di un forte legame con la vita reale delle persone. Il legame con la vita reale e la partecipazione attiva dei cittadini sono oggi gli ingredienti che ridanno senso e vigore alla rappresentanza politica.
Ecco ciò che chiedo alle donne che si misureranno nella campagna elettorale e che saranno nostre rappresentanti: fate vivere ogni giorno il  legame che vi unisce alla gente perché solo esso darà vigore e forza alle leggi e riforme che farete ma, soprattutto, darà autorevolezza e senso alle istituzioni della politica.

Livia Turco