Il Blog di Livia Turco

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Lampedusa. Condividere e fare

30 Dicembre, 2012 (12:07) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

“Per rompere il silenzio nei confronti di quelle morti dobbiamo esserci, condividere il dramma ed il lutto con tutti i cittadini di Lampedusa. Non solo mandare un telegramma come ci chiede provocatoriamente la sindaca. Costruiamo la “catena degli amici di Lampedusa” che promuova una relazione costante con le istituzioni, le associazioni, i cittadini”. Così Livia Turco su l’Unità di oggi.

La sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini, ha proposto a noi tutti, nel suo articolo di giovedì su questo giornale, una denuncia impietosa sulla situazione della sua isola che è ormai diventata “un fardello di dolore” per le tante persone che arrivano con i barconi dalle zone di guerra e di disperazione e vengono inghiottite dalle onde del mare.

“Quanto deve essere grande il cimitero della nostra isola ” si chiede accorata la sindaca. La sua è una dura denuncia sul silenzio che è calato sulla morte in mare dei migranti, sulla nostra assuefazione e sulle politiche sbagliate nei confronti dell’immigrazione attuate prima di tutto dall’Europa. Una denuncia chi mi squote, che voglio e dobbiamo raccogliere. Vorrei dire a Giusi Nicolini che di fronte a quel susseguirsi di morti c’è anche il silenzio di chi si sente impotente e non vuole lavarsi la coscienza con frasi di circostanza e sente che è più dignitoso il silenzio.

Ma il silenzio è sempre silenzio. Dunque bisogna trovare le parole giuste e compiere atti dignitosi e coerenti con il rispetto della dignità umana. Perché quei morti non sono solo di Lampedusa, sono di noi tutti. Sono convinta che il gesto più dignitoso sia quello della “condivisione”. Condividere: essere con, dare una mano, guardare le cose con gli occhi degli altri. La condivisione è una pratica di vita ma anche un modo di essere cittadino ed è un alimento prezioso dell’etica pubblica. Per rompere il silenzio nei confronti di quelle morti dobbiamo esserci, condividere il dramma ed il lutto con tutti i cittadini di Lampedusa. Non solo mandare un telegramma come ci chiede provocatoriamente la sindaca. Costruiamo la “catena degli amici di Lampedusa” che promuova una relazione costante con le istituzioni, le associazioni, i cittadini.

Una catena di persone che condividano i problemi dell’isola, siano presenti nei momenti dell’emergenza, partecipino alla accoglienza, condividano fatiche e dolori. Condividano il bel progetto proposto in questi giorni di costruire un luogo pubblico della memoria  delle persone inghiottite dalle onde del mare. Ma, insieme all’accoglienza ed al rispetto concreto della dignità umana ci vuole la politica. E’ necessaria una svolta politica nel governo dell’immigrazione e dell’asilo. A partire dall’Europa. Il punto essenziale è una nuova politica europea ed italiana verso il Mediterraneo ed il nord Africa che non si limiti al contrasto della immigrazione clandestina ma promuova parternariati tra pari, parternariati di dignità che puntìno a promuove lo sviluppo in loco, a combattere la povertà, a definire modalità nuove dell’ingresso regolare come l’immigrazione circolare, la mobilità all’interno dei paesi dell’Unione europea, il sostegno ai migranti che vogliono tornare nel loro paese per trasferire in esso l’esperienza maturata in Europa. Solo così,tra l’altro, si sostengono i contraddittori processi di democratizzazione avviati. Una occasione importante sarà il dibattito che si svolgerà in sede Europea sul bilancio UE per gli anni 2014-2020 che dovrà decidere sulle risorse da destinare ai vicini del Sud. Inoltre, sempre l’Europa deve concludere il progetto relativo alle regole comuni sull’asilo e l’Italia dovrà finalmente dotarsi di una legge organica sul diritto d’asilo.

Livia Turco

Se non si finanzia il sociale,”no” al ddl stabilità

1 Novembre, 2012 (10:53) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da l’Unità del 1 novembre 2012

Non voterò la legge di stabilità all’esame alla Camera se il governo non dimostrerà con atti concreti di voler invertire tendenza sulle politiche sociali. Se non deciderà di superare la vergogna di un miserrimo e indegno stanziamento di 220 milioni di euro per l’insieme delle politiche sociali.
Se non correggerà le misure ciniche e perverse introdotte nella legge di stabilità come l’aumento dell’Iva per le cooperative sociali, la tassazione delle pensioni degli invalidi di guerra che abbiano un reddito superiore a 15 mila euro. Non è più sopportabile la trascuratezza, la sottovalutazione politica e culturale che questo governo riserva al welfare ed in particolare alle politiche sociali. Non dimentico il merito grande di aver fermato la delega fiscale e assistenziale del Ministro Tremonti che avrebbe cancellato addirittura l’indennità di accompagnamento come diritto soggettivo. Abbiamo anche apprezzato la riformulazione che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fatto della Social Card e l’impostazione innovativa nell’utilizzo dei Fondi Europei destinandone una parte agli interventi sociali considerati finalmente come parte dello sviluppo del Paese.

Ma, di fronte alla gravità della crisi e proprio in nome dell’equità dello sviluppo che questo governo si è proposto di perseguire ci saremmo attesi e ci attendiamo una maggiore attenzione alle condizioni di vita delle persone più fragili.
Ci saremmo attesi e ci attendiamo un rifinanziamento del Fondo delle politiche sociali, un progetto per la non autosufficienza e misure più incisive contro la povertà. È esattamente questo il tema centrale che abbiamo posto nei nostri emendamenti votati all’unanimità nella Commissione Affari Sociali della Camera. Il taglio vergognoso alle politiche sociali non è responsabilità di questo governo. Il taglio da 2 miliardi e 800 milioni nel 2008 (governo Prodi) agli attuali 220 milioni, meno 90%, è cominciato sin dall’inizio della legislatura ed è interamente imputabile al duo Sacconi-Tremonti. Che peraltro lo hanno sempre rivendicato sostenendo con disprezzo che i “fondini sociali” non servono a nulla, che i servizi sociali sono contenitori freddi, che ciò che conta è la gratuità ed il dono.

Dunque, il massacro che è stato attuato a partire dal 2008 nei confronti delle politiche sociali non centra nulla con la crisi economica e con i problemi di sostenibilità finanziaria. Anche perché non è francamente comparabile il peso del fondo sociale che nei suoi anni migliori ha raggiunto i 3 miliardi di euro rispetto agli altri comparti della spesa pubblica, come sanità, scuola, previdenza e politiche del lavoro. Il massacro delle politiche sociali è stato compiuto dal  centro destra in nome di una certa cultura della gratuità e del dono che contrappone  questi valori alla responsabilità delle istituzioni pubbliche nel promuovere in modo attivo la solidarietà. Contraddicendo l’art. 3 della Costituzione. Tradendo l’insegnamento che ci hanno dato nel corso di tanti anni coloro che promuovono ogni giorno dono e gratuità – il nostro meraviglioso volontariato e no profit – che ha sempre sfidato la politica a fare la sua parte, ad essere coerente nel creare le condizioni affinché gratuità e dono possano essere efficaci. Questo può avvenire quando ci sono istituzioni attente, presenti, che ascoltano, condividono, progettano insieme e stanziano risorse.

Ricapitoliamo la storia di questa legislatura.
Il duo Tremonti-Sacconi ha esordito con la cancellazione del Fondo per le politiche di  integrazione degli immigrati, ha proseguito con i tagli al Fondo sociale, a quello per la famiglia ed il servizio civile, per le pari opportunità. Poi è stata la volta delle leggi Brunetta, che in nome della lotta ai falsi invalidi hanno cercato di modificare la legge 104 relativa ai congedi e ai permessi per le persone disabili, poi l’attacco alla legge 68 sull’inserimento lavorativo, poi ancora la riduzione del numero degli insegnanti di sostegno. Fino alla famigerata delega fiscale ed assistenziale che con un’accorta azione di alleanze e attraverso il prolungamento dei tempi del dibattito parlamentare siamo riusciti a fermare. E, come ho detto, va dato atto al governo Monti di aver fatto cadere la parte relativa al riordino dell’assistenza che avrebbe cancellato ogni diritto esigibile per le persone disabili. Rivendico la coerenza con cui noi del PD abbiamo, tante volte in solitudine, contrastato questi tagli ed avanzato proposte innovative per le persone  non autosufficienti, per le famiglie e l’infanzia, per combattere le povertà. E in particolare richiamo il testo di legge unificato “Dopo di noi” che affronta un’emergenza sociale che si sta consumando nella solitudine delle famiglie. La solitudine di quei meravigliosi genitori di ragazzi disabili gravi che grazie alle loro battaglie ed il loro amore, sono riusciti a migliorare la qualità dei loro figli ed allungare il loro tempo di vita.

Ora, questi genitori vivono il dramma “che ne sarà di loro, dopo di noi, quando noi non ci saremo più” come scrive in modo mirabile il papà del bambino autistico raccontata nel bel libro “Se ti abbraccio non avere paura”. Questi genitori chiedono di non essere lasciati soli, che le istituzioni li aiutino a promuovere la presa in carico dei loro ragazzi, sostenendo ciò che fanno con le loro forze, con il loro associazionismo, con la pratica del mutuo aiuto. A sostenere i servizi che si sono inventati come le famiglie comunità, il dopo di noi, che accolgono genitori e figli quando i genitori invecchiamo. Questa legge a sostegno del dopo di noi è stata approvata all’unanimità dalla Commissione Affari Sociali ed ora giace da mesi in Commissione Bilancio. In un contesto così difficile e negativo le famiglie, le associazioni, gli operatori sociali hanno reagito si sono uniti, hanno costruito una rete un cartello. Hanno elaborato proposte portando in piazza in tante occasioni migliaia di persone come è avvenuto anche ieri. Fondo sociale, programma per la non autosufficienza, misure contro la povertà, inserimento delle persone disabili: sono proposte che un Paese civile non può che fare sue. A partire da una consapevolezza: i servizi e le prestazioni sociali non sono assistenza ma volano per lo sviluppo. Creano lavoro e benessere sociale. Creano giustizia sociale. Gli strumenti e le leggi ci sono. Bisogna applicarle. Le abbiamo costruite insieme durante una grande e bella stagione delle politiche sociali, ma non bastano. Bisogna guardare avanti, bisogna innovare. La crisi economica oggi ha bisogno di un welfare forte. Bisogna passare dai piani di zona previsti dalla legge 328 ai patti territoriali per lo sviluppo sociale, coinvolgendo nella promozione della solidarietà tutti gli attori economici e sociali, prevedendo anche, a mio avviso, fondi regionali pubblici cofinanziati con risorse private. Bisogna sostenere e potenziare il welfare aziendale e le forme di mutualità integrativa. Bisogna costruire una nuova stagione di partecipazione democratica facendo leva sulle competenze dei cittadini e rivalutando nel suo significato reale la parola sussidiarietà che è fare insieme e non delegare alle famiglie il costo della cura e della solidarietà. I servizi sociali sono un oro che non luccica, bisogna tirare fuori queste miniere d’oro, farle luccicare perché se ne comprenda il valore umano, sociale ed anche economico. Per questo bisogna cambiare strada rispetto a quella percorsa in questi ultimi anni, bisogna fermare il massacro e costruire una nuova primavera delle politiche sociali.
 

Livia Turco

Premio Melograno 2012. Dedicato alle donne

19 Ottobre, 2012 (11:27) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da l’Unità del 19 ottobre 2012

Debutta oggi alla Biennale di Venezia la “Rete Donne del Mondo” ed il Premio Melograno per la civile convivenza.
L’iniziativa è promossa dalla Fondazione Nilde Iotti e dal Comune di Venezia ed ha l’ambizione di costruire una rete tra associazioni di donne italiane e donne immigranti, per realizzare scambio, comunicazione, reciproco riconoscimento. Donne italiane e immigrate, italiane e nuove italiane, da molti anni ormai abbiamo imparato a vivere insieme riconoscendo che abbiamo bisogno le une delle altre. Per ciascuna ciò che è stato ed è in gioco è la libertà, la possibilità di costruire una vita nuova per creare con maggiore consapevolezza i legami familiari e crescere i nostri figli.
Insieme abbiamo costruito un pezzo della nostra emancipazione. È importante riconoscere questa interdipendenza, questo legame che ci unisce le une alle altre.

Un legame che non è stato e non è facile, non è privo di conflitti perché talvolta in questi legami si riflettono disparità e diseguaglianze tra le une e le altre. Nel corso degli anni le donne sono state le attrici seppur invisibili dell’Italia della convivenza. Nelle scuole, nelle famiglie, nelle chiese e nei luoghi di culto le donne hanno imparato quanto sia importante costruire relazioni umane, fare la fatica di conoscersi e riconoscersi, perseguire obiettivi comuni per migliorare la qualità della vita di tutti. Le donne hanno scoperto che le relazioni umane sono quelle che abbattono le barriere, superano le paure, accendono la curiosità della conoscenza reciproca.
In questi ultimi anni il clima culturale nel nostro Paese è stato impregnato di ostilità verso gli immigrati attraverso l’azione di quegli “imprenditori della paura” che hanno raccontato agli italiani un Paese che non corrisponde alla realtà, hanno creato lo stereotipo dell’immigrato usurpatore che ruba il lavoro, la casa, i servizi sociali agli italiani.
Questo ha alimentato un clima di sospetto e di paura. La crisi economica rende dura e difficile la vita quotidiana di tanti cittadini italiani che rischiano di sentire gli immigrati concorrenti nella ricerca del lavoro. Peraltro molti immigrati stanno ritornando nei loro paesi di origine.

La crisi economica rischia di accentuare le distanze tra italiani e immigrati, di alimentare le divisioni e le incomprensioni. Per questo bisogna dare forza e visibilità all’Italia della convivenza, che c’è, resiste e cresce nei nostri quartieri, nelle nostre scuole, nelle nostre chiese, nei reparti di maternità, nelle nostre fabbriche ed imprese.
Le donne possono e devono diventare le protagoniste autorevoli dell’Italia della convivenza, l’Italia europea, ponte con il Mediterraneo, con l’Africa ed aperta al mondo.
Per questo proponiamo la “Rete delle Donne del Mondo”  per conoscerci da vicino, italiane e donne del mondo che vivono in Italia; per costruire una relazione positiva tra noi; per promuovere nella scena pubblica le capacità e i talenti delle donne immigrate e sollecitarle ad essere protagoniste della vita sociale, politica e culturale.
Dobbiamo costruire un patto, una alleanza tra italiane ed immigrate per una Italia migliore per una Europa di pace, per un mondo di pace.
Dobbiamo realizzare un confronto tra le nostre culture e religioni per rendere concreti ed arricchire i  valori della nostra Costituzione e la Carta Europea dei Diritti Fondamentali.

Dobbiamo batterci insieme per alcuni obiettivi comuni: la cittadinanza per i figli degli immigrati, la scuola interculturale, la dignità del lavoro, i servizi sociali. Per suggellare questa alleanza, questo patto tra immigrate ed italiane, abbiamo scelto un simbolo, il melograno, frutto della fecondità e dell’interculturalità, che diventa il Premio Melograno per la Civile Convivenza, che sarà un appuntamento annuale e che, in questa prima edizione, viene consegnato a: Giuseppina Beppa Carasin che conduce ed anima un coro multietnico “Voci dal Mondo” nella città di Venezia, Mirela Macovei Presidente della Cooperativa Sociale “NewHope” di Caserta,  che si occupa della formazione professionale di donne che hanno subito maltrattamenti e abusi ed infine, un premio speciale a Alphonsine Yao Adjoua operatrice socio-sanitaria, che durante il terremoto in Emilia Romagna si è occupata dei disabili pur vivendo in una macchina.

Livia Turco

Le nuove generazioni del Pd

15 Settembre, 2012 (09:48) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da L’Unità del 15 settembre 2012

I giovani dirigenti del PD chiedono alla generazione più vecchia e autorevole di farsi da parte, di rinunciare a candidature e cariche di Governo. È normale che sia così, ciò che conta sono le argomentazioni e lo stile con cui si sostiene tale  tesi.
Ho avuto la fortuna di vivere, in ogni passaggio, la mia lunga militanza politica e di tanti anni in Parlamento (che lascerò) come grande passione. Sono stata una figlia privilegiata, scelta, tanto da trovarmi a trent’anni illustre sconosciuta (ma con una  gavetta tosta e dopo avere superato esami severi nella mia Torino) nella mitica segreteria nazionale del PCI. Ho potuto beneficiare della fiducia di madri e padri autorevoli, come Nilde Iotti, Giglia Tedesco, Alessandro Natta e so cosa vuol dire avere dei padri e delle madri che non smetteresti mai di ascoltare e che ti dicono “vai è il tuo tempo”.

Conservo dentro di me la forza che mi sprigionava lo sguardo complice di Nilde e di Giglia quando intrapresi le battaglie nel PCI come la Carta delle Donne, I Tempi delle Donne, la Rappresentanza di Genere, per sentire ora la bellezza di voler trasmettere analoga forza alle più giovani. È ciò che cercai di dire nel mio intervento nella prima Conferenza Nazionale delle Donne del PD quando parlai di passaggio di testimone e dell’importanza di costruire finalmente nella scena pubblica una genealogia femminile che unisca le madri e le figlie. È possibile costruire questa solidarietà tra generazioni nel PD? Non credo che il problema sia stanare quelli che sono inchiodati al potere o combattere presunti patti di sindacato. La questione è il senso, il progetto con cui una generazione si candida a governare, il compito e la funzione che vuole svolgere nella società italiana.

La scuola da cui provengo, ci insegnò che si conta nel partito se si conta nella società. Credo che questo insegnamento resti attuale. Per la nostra generazione, quella degli anni ’70 la FGCI di D’Alema e Veltroni (che vedeva sull’altro versante a condurre la stessa battaglia, Rosy Bindi, Marco Follini ed altri) che si trovò a combattere tra la crisi della democrazia e la violenza terroristica, il compito fu rifiutare ogni forma di violenza, combattere in modo limpido l’idea di una violenza legittima e rivoluzionaria ed al contempo impegnarsi per un cambiamento radicale della democrazia che ne ampliasse la partecipazione, la rappresentatività e la capacità di decisione. Aver vinto il terrorismo ed essere riusciti a costruire una democrazia dell’alternanza attraverso l’esperienza dei governi dell’Ulivo e della prima volta della sinistra al governo del Paese, in tempi di continua emergenza e di crisi profonda della democrazia, credo resti il merito fondamentale di quella generazione, di chi l’ha diretta, e della classe dirigente che lì si è formata.

Così mi chiedo, con profondo sconcerto, come si può definire l’esperienza dei governi dell’Ulivo, subalterna al neo liberismo? Quei governi non solo risanarono i conti pubblici e ci portarono nell’euro, non solo seppero costruire una lungimirante politica estera ma si contraddistinsero per una saldatura tra rigore e giustizia sociale.
Costruire una politica economica e sociale che aveva nella redistribuzione, nell’equità e nella giustizia sociale un tratto molto forte. Che si tradusse in provvedimenti anche emblematici come la lotta alla povertà (l’unico strumento nella storia repubblicana era il reddito minimo di inserimento che risale al 1997) le politiche per l’infanzia (l’unico stanziamento di risorse rilevante nella storia della Repubblica è la legge 285 decisa nella finanziaria che ci portò nell’euro) e forti investimenti nella sanità pubblica, nella scuola pubblica e nelle politiche sociali, nelle politiche culturali.
Insieme alla lotta all’evasione fiscale e alle liberalizzazioni. Per essere precisa voglio ricordare anche il “Protocollo su previdenza, lavoro e competitività per l’equità e la crescita sostenibile” votato nel 2007 da 5 milioni di lavoratori che prevedeva tra l’altro la 14° mensilità per le pensioni fino ai 700 € e il blocco dell’indicizzazione di quelle più alte e misure contro la precarietà a favore dei giovani e delle donne.  Ricordo ancora l’ultima finanziaria del governo Prodi, 2007, approvata senza voto di fiducia che prevedeva un intervento per gli incapienti, la cancellazione dell’ICI sulla prima casa per i ceti più popolari,  il fondo per la non autosufficienza e gli asili nido e ben 8 miliardi in più per la sanità pubblica. Come sarebbe stata diversa la storia politica ma anche economica e sociale del nostro Paese se fosse proseguito il governo Prodi, proprio dopo l’approvazione di una legge finanziaria contenente politiche così significative per la redistribuzione e lo sviluppo. Si sarebbe potuta fare quella riforma del welfare che giustamente viene auspicata. Per non parlare di quel tema rilevante su cui si vincono e si perdono le elezioni, come il governo dell’immigrazione.
Chiedo: la legge 40 del 1996, quella che prevedeva anche il voto amministrativo agli immigrati, fu subalterna al neo liberismo? O non fu piuttosto profondamente riformista e lasciata sola nella società,  priva di quella battaglia ideale e culturale che solo un soggetto politico riformista poteva compiere. Proprio il tema dell’immigrazione mi porta a focalizzare quello che fu il vero limite dell’esperienza dei governi dell’Ulivo. Il loro deficit non fu nelle politiche di governo ma nella soggettività politica dell’Ulivo e della coalizione che lo sosteneva. Il limite fu “il riformismo dall’alto, il riformismo senza popolo”. Il limite fu il soggetto politico riformatore.

Per questo è stato importante scegliere il PD proprio il PD questo nostro bel partito come dice Pierluigi Bersani è l’eredità più preziosa che la nostra generazione consegna ai giovani. A mio modo di vedere il compito (arduo) dei più giovani è quello di ricostruire le fondamenta civiche e morali del nostro Paese, e combattere le diseguaglianze e le povertà, di ritessere un sentimento di fiducia questo richiede buone e nuove politiche, ma non solo. Richiede un nuovo partito popolare. Perché povertà e diseguaglianze si sconfiggono con il calore delle relazioni umane, con la capacità di prendere in carico chi ti sta accanto, di guardarlo negli occhi e dirgli “io ci sono, io capisco ciò che stai vivendo, tu devi essere protagonista”. Compito dei più giovani è fare i ministri, ma anche governare con la forza di un partito popolare che faccia incontrare l’azione di governo con la vita delle persone e torni a renderli davvero protagonisti.

Livia Turco

Riscoprire una politica popolare

14 Luglio, 2012 (11:31) | Articoli pubblicati | Da: admin

di Livia Turco, da L’Unità del 14 luglio 2012

La sfida cui sono di fronte il Pd e il centrosinistra non è quella di superare la distinzione tra la sinistra radicale e quella riformista, ma costruire un nuovo pensiero riformatore. Non solo perché non si capirebbero le ragioni del Pd (hanno ragione Rosy Bindi ed Emanuele Macaluso), ma perché tutti i grandi temi che ci stanno di fronte lavoro, welfare, diritti, democrazia richiedono nuove ricette e anche nuove parole. A partire dalla consapevolezza che oggi la giustizia sociale deve essere la stella polare non solo della sinistra, ma di tutte le forze che vogliono far tornare a crescere il nostro Paese e l’Europa, ridare forza e linfa alla democrazia.

C’è una questione cruciale che è stata ed è ragione fondativa della sinistra su cui dobbiamo cimentarci tutti: cosa significa e come si costruisce una politica popolare oggi? Penso che una nuova classe dirigente debba essere misurata, valutata e promossa nella capacità che ha di rispondere a tale sfida. Fa bene dunque il nostro segretario Pierluigi Bersani ad insistere sulla politica che guarda negli occhi le persone e, dunque, costruisce un legame diretto perché penso che qui vi sia la radice di una politica popolare, alternativa al populismo, capace di costruire una democrazia efficace.

Due sono le direttrici dell’innovazione. 1) La dimensione sovranazionale della politica che comporta nuovi assetti istituzionali, ma anche una dimensione di cittadinanza che superi la sua identificazione con la nazionalità e che definisca i diritti e i doveri in relazione alla dignità della persona e non solo del cittadino. 2) Una democrazia inclusiva che promuova l’ideale dell’eguaglianza non solo garantendo pari opportunità di accesso ma anche promuovendo le capacità della persona, e dunque un suo ruolo attivo nella società.

Le radici di una moderna politica popolare, di cui artefici fondamentali dovrebbero essere i partiti politici, sono iscritte nell’articolo 3 della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto, la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Questo rapporto tra giustizia sociale, lotta alle diseguaglianze e partecipazione attiva dei cittadini è un tratto moderno della nostra  Costituzione che va riscoperto e rimesso a tema. Perché ci pone la questione dell’efficacia delle politica di welfare al fine di promuovere crescita e inclusione, ma anche di come le istituzioni e la politica promuovono la partecipazione attiva dei cittadini alla vita pubblica.

Che è al contempo ingrediente e misuratore della giustizia sociale. Fare in modo che le classi subalterne diventino classe dirigente. Questo era il tema di ieri. Lo è tanto più oggi. Lo è anche nell’era di internet e delle nuove forme di comunicazione, che sono uno straordinario strumento di promozione e di opportunità. Ma internet da sola non basta: ci vuole quella politica che costruisca relazioni umane e legami sociali. Che consenta alle persone di stare insieme, di avere opportunità formative, di discutere, di costruire punti di vista condivisi, di occuparsi insieme dei problemi della propria comunità. Altrimenti non si combatte la diseguaglianza e non si crea giustizia sociale.

Guardiamole in faccia le diseguaglianze che attanagliano il nostro Paese: l’impoverimento culturale, fragilità delle relazioni umane, isolamento sociale sono fenomeni che si accompagnano al lavoro precario, al reddito inadeguato, ai servizi inefficaci ed insufficienti. La diseguaglianza soffoca «le capacità» delle persone a partire da quella dei bambini e dei ragazzi. La politica deve farsi carico di questi diversi volti della diseguaglianza ed essere consapevole che la combatte non solo con misure adeguate di crescita di sviluppo, di welfare, ma anche con una azione quotidiana che coinvolga le persone, condivida i loro problemi, consenta loro di elaborarli in proposte ed in partecipazione consapevole.

Dunque, c’è bisogno di una politica che faccia uscire dal guscio, che promuova legami sociali, che costruisca nella vita quotidiana il senso e il valore della socialità e dunque della partecipazione attiva. Sarebbe utile e bello costruire un decalogo su come si costruisce una politica popolare sul territorio e fare una raccolta delle buone pratiche. Provo a dire cosa scriverei nel decalogo. Innanzitutto promuovere una conoscenza puntuale del territorio e dei suoi luoghi di lavoro. Farsi carico dei problemi e cercare di risolverli: la scuola, l’ospedale, il servizio sociale, il degrado urbano. Essere in contatto con le tante esperienze associative, dare loro sostegno, imparare da loro su come si interviene per risolvere i problemi, per esempio quando ci sono situazioni di povertà. Promuovere la formazione, a cominciare dai corsi di lingua italiana per gli immigrati e contemporaneamente chiedendo loro di raccontarci del loro Paese, come hanno fatto a Saviano (Napoli) o nella periferia sud di Roma, ad Anagnina. Costruire battaglie e vertenze per promuovere i diritti.

Creare occasione di formazione politica per il giovani e coinvolgere le persone anziane a trasmettere ai giovani il loro sapere e la loro competenza. Ecco, credo che questa sia la politica sulla base della quale si seleziona oggi una classe dirigente.

Sui diritti, brava Rosy

21 Giugno, 2012 (11:10) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

“Il documento elaborato dal “Comitato diritti” presieduto da Rosy Bindi contiene un’elaborazione preziosa ed innovativa. Ciò che mi convince è innanzitutto l’impostazione del tema dei diritti connessa ad una visione antropologica della persona…”

Leggi l’articolo di Livia Turco su l’Unità del 21 giugno 2012