Il Blog di Livia Turco

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Categoria: Articoli pubblicati

Viaggio nei Cie d’Italia. La dignità è optional

14 Giugno, 2012 (14:37) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

di Livia Turco, da l’Unità del 14 giugno 2012

“Abbiamo cercato di ascoltarli tutti. E abbiamo scoperto un dato inatteso: i giovani sono pochi, sono tunisini ed egiziani venuti lo scorso anno o sbarcati recentemente. I loro volti sono i più disperati. Non conoscono la nostra lingua”…

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Salviamo i Consultori familiari

12 Giugno, 2012 (16:17) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

Troppe Asl li hanno abbandonati. Devono invece essere una priorità della politica sanitaria. Integrandoli nella rete dei servizi socio-sanitari, collegandoli alla scuola e andando incontro alla popolazione. A partire dai soggetti più vulnerabili, come le donne immigrate

di Livia Turco

I consultori familiari sono un gioiello del nostro paese, purtroppo caduto in disuso e trascurato da tante aziende sanitarie - basti pensare che nel 2007 ce n’erano in totale sul territorio nazionale 2.007, mentre nel 2009 il numero si è abbassato a 1.911- ma che, dove sono sostenuti e fatti funzionare, producono eccellenti risultati mantenendo le promesse che erano contenute al momento della loro nascita nella lungimirante legge istitutiva dei consultori medesimi, la numero 405 del 1975.

I consultori familiari sono strutture del Servizio Sanitario Nazionale che sin dalla loro costituzione si basano su un modello di salute che fa riferimento a quanto indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: “La salute è lo stato di completo benessere fisico, psicologico e sociale e non la semplice assenza di malattia o disabilità”. Si tratta quindi di un modello sociale di salute invece di un modello biomedico e, corrispondentemente, un modello di welfare fondato sulla partecipazione e sull’empowerment invece del tradizionale modello paternalistico direttivo.
In tale modello viene esaltata l’importanza della promozione della salute intesa come azione tendente a promuovere competenza e consapevolezza delle persone e delle comunità al fine di aumentare la loro capacità di controllo sul proprio stato di salute come ricordato nella Carta di Ottawa, espressa a livello internazione nel 1986.

I consultori familiari sono servizi che, dalla ricchezza di competenze multidisciplinari, mediche psico-sociali, possono svolgere al meglio le attività di promozione della salute mediante lo schema concettuale dell’offerta attiva.
Negli ultimi anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sottolineato nei suoi documenti l’importanza di servizi strutturati e organizzativi come i consultori famigliari italiani indicati come modello.

Già dal 2000 il maiuscolo Progetto obiettivo materno-infantile ha assegnato un ruolo centrale ai consultori famigliari e delineato con molto dettaglio non solo gli aspetti organizzativi ma anche gli obiettivi da raggiungere, le azioni da svolgere mediante offerta attiva ed i relativi indicatori.
Indagini dell’Istituto Superiore di Sanità, condotte nell’ultimo decennio sul percorso nascita, hanno evidenziato che questi servizi quando sono conosciuti e utilizzati sono apprezzati sia dalle donne che dalle coppie ed in particolare dai giovani. Negli ultimi anni si sono rivelati particolarmente utili per le donne immigrate tra le quali, come noto, resta elevato il tasso di abortività e per le quali è particolarmente importante l’azione di mediazione culturale. Resta un servizio cruciale per la prevenzione dell’aborto come indica l’ultima relazione del Ministero della Salute sull’applicazione della 194.

In essa si evidenzia che il ricorso al Consultorio familiare per la documentazione/certificazione rimane ancora basso (39,4%), specialmente al Sud. Ciò è dovuto al fatto che il consultorio non è stato integrato nella rete dei servizi socio-sanitari territoriali e non è stato collegato all’ospedale. Qualora ciò avviene, il rapporto diretto consultorio-ospedale riduce i tempi di attesa per le donne costrette ad abortire.
C’è da rilevare con preoccupazione un processo di svilimento e di impoverimento dei consultori familiari, particolarmente accentuato negli ultimi tempi: non si favoriscono i processo di integrazione tra servizi, si riducono gli organici, tante volte mancano figure professionali cruciali come l’ostetrica, si riducono le risorse.

Bisogna invertire questa tendenza. Bisogna farlo a partire da situazioni di eccellenza come l’Emilia Romagna. Bisogna dunque rilanciare sul piano culturale e delle priorità della politica sanitaria il ruolo dei consultori integrandoli nella rete dei servizi socio-sanitari di base, collegandoli alla scuola, sviluppando il loro ruolo attivo rendendoli capaci di andare incontro alla popolazione a partire dai soggetti più vulnerabili come le donne immigrate. Ciò significa risorse, personale adeguato, ma, soprattutto, la rimessa al centro della salute come processo attivo che deve avere come protagonista le persone e deve riproporre la salute delle donne come parametro del benessere dell’intera popolazione.

da: www.quotidianosanita.it

“L’ora delle donne per rinnovare la politica”

30 Aprile, 2012 (14:34) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

di Livia Turco, da l’Unità del 27 aprile 2012

Siamo nel pieno di una grave crisi economica e sociale, immersi nel degrado della politica, e assistiamo a una profonda crisi di autorità maschile. Tutto ciò non consente scorciatoie. Le donne devono sentire la determinazione e l’umiltà di esserci e di misurarsi con le sfide difficili del governo del Paese. Senza questo scatto di determinazione e anche di umiltà arretreremo ulteriormente nella minorità politica, sociale e culturale. Uso la parola umiltà perché governare per promuovere il bene comune è molto difficile e richiede la capacità reale di mettersi a servizio. Di questo, de «le donne e il governo del Paese» ha discusso il convegno organizzato dalla Fondazione Nilde Iotti, con il contributo di studiose, giornaliste, donne delle associazioni e della politica.

Bisogna ridare autorevolezza alla politica, fermare il degrado. Non si governano le sfide del Paese solo con buone competenze tecniche. Bisogna rifondare la rappresentanza politica attraverso la ricostruzione dei soggetti collettivi che siano capaci di promuovere la partecipazione attiva. Bisogna risalire la china facendoci guidare dalla nostra Costituzione, in particolare gli articoli 1, 2, 3, 49, 51. La dignità della persona, i legami sociali, l’eguaglianza, la partecipazione attiva dei cittadini, la sobrietà, le pari opportunità tra donne e uomini. Bisogna modificare le regole a partire da una legge quadro sui partiti in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, la legge elettorale, i regolamenti parlamentari e il superamento del bicameralismo, la costruzione delle istituzioni europee. Bisogna avere un’agenda che contenga scelte molto nette. La buona e piena occupazione femminile, l’investimento nei beni comuni a partire da un forte incremento dei servizi alla persona e alla famiglia, la lotta alla povertà sono scelte non più rinviabili rispetto alle quali lo stesso governo Monti dovrebbe fare di più e che dovranno costituire priorità nette delle forze politiche progressiste che si candidano domani a governare il Paese.

In questi mesi abbiamo vissuto una scena pubblica dominata, su temi cruciali, dal protagonismo femminile. È un fatto importante da cui partire per fare in modo che non sia solo una parentesi dettata dall’emergenza ma l’avvio di una normalità democratica. E allora sento che dobbiamo porci una domanda: cosa porta in dote l’esperienza e il punto di vista femminile? È ancora lecita questa domanda o l’importante è esserci ed essere brave e competenti? Io credo che rispondere a questa domanda sia cruciale. L’esperienza femminile porta in dote qualcosa di prezioso per il tempo in cui viviamo. Porta un nuovo umanesimo, una nuova umanità femminile che si è sedimentata nel tempo attraverso l’esercizio della libertà. La conquista della libertà, grazie al femminismo, non significò il libero arbitrio, il libertinismo o la semplice rottura dei divieti. Significò al contrario l’elaborazione di una nuova umanità femminile. Ha significato costruire noi stesse al di fuori dello sguardo e del desiderio maschile e degli stereotipi culturali, vivendo i sentimenti e le relazioni umane con una nuova consapevolezza e responsabilità verso l’altro. Questa nuova umanità della donne è stata però ingabbiata in una rappresentazione che ha esaltato la libertà come semplice rottura dei vincoli, come pura esteriorità, come semplice esibizione del corpo. È stata accompagnata dal mito del successo individuale, della competizione, dell’arricchimento: una forma di relativismo etico che ci ha travolte e tante volte ostacolato.

Tale relativismo etico è stato parte integrante del berlusconismo. La rivolta della dignità delle donne contro l’uso degradato del corpo femminile e contro lo scambio sesso-denaro-potere che ha umiliato le nostre istituzioni e ha azzerato l’autonomia politica delle donne è ciò che ha segnato la fine di Berlusconi e del berlusconismo. La dignità femminile deve ora completare il suo cammino e candidarsi a governare il Paese. Facendo diventare senso civico diffuso e forza politica il suo umanesimo. La forza e l’originalità di tale umanesimo consiste nella capacità di “ricomposizione” delle diverse sfere della vita: il corpo e la mente; l’interesse e l’emozione, la cura dell’altro e l’investimento nella relazione umana e sociale. Tutto questo consente di mettere in campo un’arte del governare di cui le parole chiave sono: responsabilità, legami sociali, capacità di comprendere i problemi altrui, fare squadra, costruire alleanze, esercitare il potere come abilità nel fare e migliorare la vita dei cittadini. Queste abilità dovrebbero diventare il tratto distintivo delle donne che si candidano a governare. Dovrebbero costituire il cuore di un progetto condiviso di riforma della politica. Queste abilità peraltro sono quelle vincenti per promuovere innovazione e crescita in ogni settore produttivo e della ricerca scientifica. Per questo possiamo dire che le donne sono le più attrezzate di fronte alla crisi per costruire l’innovazione e il futuro. È dunque un dato obiettivo e non un’enfasi retorica affermare che questo è il tempo delle donne. Bisogna esserne consapevoli e tradurre le potenzialità in progetto politico. Dunque ci vuole la politica. A partire dalla capacità delle donne di costruire tra loro una forte alleanza. Ciò presuppone la capacità di riconoscere le disparità esistenti tra donne, di darsi valore, di sostenere l’autorevolezza dell’altra, di regolare i conflitti tra noi. Ciò che finora è accaduto raramente, confinandoci in una sostanziale minorità.

L`Italia ha dimenticato i poveri

11 Aprile, 2012 (15:22) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

Livia Turco, da l’Unità dell’11 aprile 2012

Al vertice europeo sull`indigenza era assente solo il nostro Paese: segno che il governo Monti non ritiene questo tema drammatico come prioritario. Un grande errore, soprattutto in chiave politica

Crescono le persone in condizioni di povertà. La povertà assoluta in Italia (le persone che non hanno un paniere di beni essenziali) coinvolge 3 milioni e 120mila persone.
La Commissione Europea nella sua comunicazione dal titolo «Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva» propone all`Unione Europea di ridurre di 20 milioni il numero di persone minacciate di povertà. La risoluzione del Parlamento Europeo del 15 novembre 2011 «Piattaforma Europea contro le povertà e l`esclusione sociale» sollecita gli Stati a dotarsi di un piano nazionale contro la povertà e di un reddito minimo per l`inserimento. Colpisce la totale assenza nel nostro Paese, non solo di inziative, ma anche di dibattito su questo tema. Credo che ciò sia frutto più che d`indifferenza, della convinzione che la povertà e l`impoverimento siano connessi alla crisi economica generale e che dunque per superarli sìa necessario (e sufficiente) agire sulle cause strutturali della crisi medesima attraverso politiche di crescita e puntando sulla piena e buona occupazione. Questa tesi è sicuramente fondata però è parziale e rischia di eludere il problema della messa in campo di politiche efficaci di prevenzione e contrasto della povertà.
Una povertà che non è recente e solo connessa alla crisi attuale, ma è connotata dalla presenza di forme storiche di impoverimento formate- si negli anni `90, che persistono e si sono sedimentate e che sono dovuti a fattori tra loro diversi. Mi riferisco alla povertà minorile, a quella delle famiglie numerose del Sud, agli anziani soli nelle grandi aree urbane e alle povertà connesse alla marginalità sociale. Ad esse si sono aggiunte le forme nuove di impoverimento che colpiscono soprattutto i giovani. Credo pertanto sia necessario attivare una strategia articolata in tre stadi.

Primo: un forte investimento sulle politiche per la crescita, la buona e piena occupazione, le politiche per la scuole, la salute e le politiche sociali. «La lotta alla povertà in ogni politica» deve essere la parola d`ordine di ogni intervento economico e sociale, valutando concretamente l`impatto che tali politiche hanno nella riduzione della povertà attraverso adeguati strumenti di monito, raggio.

Secondo: nell`ambito delle politiche del lavoro che si stanno attualmente discutendo, bisogna prevedere una misura di ultima istanza, di tipo universalistico, per evitare la caduta nella povertà. Esso per altro è già previsto dall`articolo 23 della Legge Quadro 328/2000 «Per una rete integrata dei servizi e delle prestazioni sociali».
Una società basata sul lavoro, un welfare basato sulla mobilità, sulla ricerca attiva del lavoro, sullo spirito imprenditivo, sul rischio devono prevedere fasi e momenti di caduta in cui l`individuo da solo non riesce ad avere un reddito. cIn questo caso bisogna prevenire la caduta nella povertà o promuovere l`uscita da essa attraverso un reddito temporanea di solidarietà attiva, che si accompagni a misure attive di ricerca del lavoro e di formazione. Non è condivisibile l`impostazione secondo cui, da un lato, c`è la riforma del mercato del lavoro, dall`altra l`assistenza che si occupa di lotta alla povertà. È proprio per combattere l`assistenzialismo, per costruire un welfare attivo, per affermare la dignità del lavoro nella vita di tutti, bisogna che il lavoro comprenda le persone più fragili e vulnerabili e che si prenda atto che oggi l`esposizione al rischio della povertà coinvolge anche chi fino ad ora ne era immune.

Terzo: definire i livelli essenziali di assistenza contro la povertà assoluta attraverso la previsione di un punto unico di accesso nell`ambito dei servizi sociali che fanno capo al Comune. Esso prende in carico la persona, elabora un progetto personalizzato, la orienta nell`uso dei servizi e valuta i requisiti per il suo accesso all`integrazione al reddito.

Di fronte a questa emergenza sociale che diventa sempre più acuta, è ora che il governo apra un tavolo con Regioni e Comuni e stanzi da subito un minimo di risorse nel fondo delle politiche sociali, che è stato massacrato dal governo Berlusconi. Questa iniziativa urgente, serve ad evitare che i sindaci siano costretti a chiudere servizi essenziali. Sarebbe finalmente un segnale concreto di lotta alla povertà.

8 marzo: Italiane e straniere, un fiore per i diritti

12 Marzo, 2012 (15:29) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

di Livia Turco da L’Unità del 9 marzo 2012

“Quanto sarei felice di poter dire in un luogo solenne che amo l’Italia”. E’da questa affermazione che tante volte ho ascoltato dalle amiche “nuove italiane” che è nata l’idea di compiere un gesto simbolico di cittadinanza, di onore per l’Italia, di alleanza fra italiane e di immigrate. Ieri, 8 marzo, giornata di festa e di lotta delle donne, siamo andate a deporre una corona di mimosa e di alloro sull’Altare della Patria, davanti al Sacello del Milite Ignoto, simbolo della nostra Repubblica. Quaranta donne autorevoli, per ciò che fanno nella loro vita, per ciò che hanno dato al loro paese d’origine, per ciò che fanno in Italia e che insieme rappresentavano tutti i continenti del mondo, hanno accettato l’invito della Fondazione Nilde Iotti ed insieme con le volontarie della fondazione medesima, sono salite sui gradini dell’altare della Patria per deporre una corona di mimosa ed alloro. Hanno accompagnato questo gesto con pensiero e riflessioni che potrete leggere sul sito della Fondazione medesima (www.fondazionenildeiotti.it). E’ stata una grande emozione sentire la gioia delle nostre amiche perché accolte ed amate nel luogo più sacro delle nostre istituzioni . Il colore della mimosa che campeggiava davanti al Milite Ignoto era più luminoso perché era davvero il fiore di tutte e l’Altare della Patria è diventato più umano perché luogo dell’incontro e dell’amicizia tra storie e culture diverse. Quello di ieri non è stato un solo gesto simbolico ma l’inizio di un percorso e di un cammino di scambio e di riconoscimento tra italiane ed immigrate. Non basta più soltanto aiutarci a gestire la reciproca emancipazione all’interno delle nostre vite, non possiamo più essere solo le tessitrici invisibili della convivenza. Italiane e “nuove italiane” devono irrompere sulla scena pubblica e diventare le costruttrici autorevoli della nostra convivenza civile. Abbiamo una risorsa in più per fare questo che è l’alfabeto dei sentimenti. E’ un alfabeto universale che si fa capire da tutti attraverso i gesti della vita quotidiana ed è proprio nella quotidianità della vita che le donne costruiscono la mescolanza delle culture e delle civiltà. Le donne solo leader di una filiera della convivenza basti pensare alle badanti, alle insegnanti, alla cura dei figli, alla capacità di costruire momenti di festa nei quartieri e nelle loro comunità attraverso le tante associazioni femminili. Quest’azione quotidiana per la convivenza deve uscire dall’invisibilità deve diventare forza politica e simbolica. Dobbiamo costruire un patto, un’alleanza, tra italiane e “nuove italiane” per un’Italia migliore. Un’alleanza attorno ad obiettivi concreti e condivisi: la dignità del lavoro, un welfare che garantisca la sicurezza a tutte le persone, una scuola inclusiva ed interculturale che non lasci indietro nessuno; una democrazia più forte che dia la possibilità per i figli di immigrati che nascono in Italia di essere riconosciuti come cittadini italiani e preveda il diritto di voto a livello locale per gli immigrati da cinque anni residenti nel nostro Paese; promuova il diritto alla libertà religiosa così come previsto dall’articolo 19 della nostra Costituzione; un patto, un’alleanza tra italiane e “nuove italiane” per costruire un’Italia più umana, per promuovere la cittadinanza europea e proseguire la battaglia per i diritti umani sul piano mondiale.

Livia Turco

Dopo i fatti del Policlinico: “Così muore la sanità pubblica”

22 Febbraio, 2012 (13:20) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

Pubblichiamo l’articolo apparso oggi sul quotidiano Europa:

L’inaudita vicenda della donna abbandonata nel pronto soccorso del policlinico Umberto I di Roma è un campanello d’allarme molto preoccupante sullo stato della sanità nel Lazio e, più in generale, sull’arretramento che può provocare, nel nostro paese, la politica dei tagli lineari.
Il sistema sanitario dell’Italia è eccellente e a Roma, come nel Lazio, ci sono buoni servizi. Ho sempre contrastato la retorica della malasanità perché il nostro sistema sanitario è una grande infrastruttura del nostro paese e un prezioso bene comune. Un bene comune di cui avere cura, da monitorare giorno per giorno per verificarne i risultati, individuarne le inefficienze, combatterne gli sprechi, costruirne le innovazioni.
Questa cura quotidiana ha bisogno di un gioco di squadra tra operatori, professionisti, amministratori e cittadini alimentato dal sentimento della fiducia e dall’amore per il bene “salute”. La sanità italiana è stata eccellente quando c’è stata una politica che ha considerato la salute come un investimento e non come un costo. Riflettiamo su questo dato: a fronte di un carico in termini di spesa pubblica del 7,2% del Pil, la sanità rappresenta il 12,8% dello stesso Pil in termini di ricchezza prodotta.
L’abbandono della sanità romana e laziale è frutto della concezione della sanità come costo e dalla incapacità riformatrice che rinuncia all’intervento mirato e si affida ai tagli lineari. Questi ultimi sono sbagliati in generale ma sono micidiali quando sono applicati alla sanità: riducono tutto a numero e a costo; fanno sparire la persona con i suoi diritti; cancellano la professionalità dei medici, uniformano e mettono sul stesso piano l’eccellenza e l’inefficienza.
Nel 2006 Il governo Prodi aveva promosso il Patto per la salute con le regioni, aumentando le risorse per i livelli essenziali di assistenza, per gli investimenti, per l’ammodernamento delle tecnologie ed aveva avviato i piani di rientro per superare i disavanzi sanitari. Un governo che aveva cercato un equilibrio tra la salute e la sostenibilità finanziaria, promovendo una grande riforma che era quella della medicina territoriale: fare le case della salute, l’assistenza domiciliare, la medicina di famiglia prima della chiusura degli ospedali e al posto degli ospedali.
Il governo Berlusconi ha interrotto drasticamente questa politica e ha portato la sanità al ministero dell’economia. Sono i fatti che parlano. Il ministero della salute prima abrogato e poi risuscitato non ha nessuna competenza di tipo economico ed i piani di rientro sono affidati al ministero dell’economia che valuta, di fatto, solo gli aspetti contabili e non la qualità dei servizi. Il governo Berlusconi ha inoltre revocato il decreto relativo ai livelli essenziali di assistenza voluti dal governo dell’Ulivo che puntavano sul potenziamento delle medicine territoriali e ha avviato una serie di tagli che sono culminati nella manovra Tremonti dell’agosto 2011.
Una manovra che prevede 8 miliardi di tagli alla sanità da qui al 2014. Il pronto soccorso, il servizio più vicino al cittadino è diventato l’emblema concreto della salute ridotta a puro costo. Esso dovrebbe essere un servizio di passaggio in cui si visitano le persone in condizione di urgenza, per poi ricoverarle o indirizzarle in altre strutture di lungodegenza. Sono diventate, invece, luogo di parcheggio perché mancano i posti letto negli ospedali, mancano le strutture per la lungodegenza e sono gestiti da un personale sempre più ridotto costretto a turni pesanti e tante volte demotivato.
Conseguenza del blocco del turn over che si protrae da molti anni e che prevede che i medici che vanno in pensione non siano sostituiti. Giusto ridurre i posti letto e chiudere i piccoli ospedali ma bisogna prima costruire la medicina del territorio, le case della salute, fare un patto con i medici di famiglia per garantire l’H24: gli studi dei medici di famiglia dovrebbero rimanere aperti tutta la giornata e per tutti i giorni della settimana. Questa è la grande riforma rimasta incompiuta, scritta nei documenti ma mai realizzata tranne che nelle solite regioni virtuose.
In dieci anni i posti letto negli ospedali si sono ridotti di 45mila unità pari al 15%; nel pubblico il taglio è stato tre volte superiore rispetto al privato. Bisogna fermare questa eutanasia della sanità pubblica prima che sia troppo tardi. Bisogna tornare a considerare gli investimenti costruendo finalmente una sanità che si basa su due pilastri: rete ospedaliera e medicina territoriale. Bisogna ridare fiducia agli operatori e ai professionisti del mondo sanitario.

Livia Turco