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Decreto Balduzzi. L’intervento di Livia Turco in Aula

15 Ottobre, 2012 (10:30) | Documenti | Da: Redazione

La relazione in Aula di Livia Turco come relatrice al decreto sanità.

Il provvedimento in esame «Conversione in legge del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute» costituisce uno strumento importante e lungimirante, ma anche urgente, per promuovere l’ammodernamento del sistema sanitario, la qualità e la sicurezza delle cure.
In questo provvedimento la salute dei cittadini è, finalmente, considerata parte integrante dello sviluppo del Paese sia nel senso che, migliorare la salute dei cittadini significa promuovere i valori costituzionalmente tutelati della dignità della persona e del suo benessere psicofisico sia nella consapevolezza che il benessere della persona costituisce un capitale umano prezioso per garantire sviluppo e crescita del Paese.
D’altra parte «la filiera della salute» è un comparto fondamentale della struttura produttiva e della ricerca scientifica del nostro Paese. Obiettivo del decreto-legge messo a punto dal Governo e dal Ministro Balduzzi è proprio quello di accrescere la competitività di questo comparto sia migliorando la qualità dell’assistenza e delle cure sia accrescendo i livelli di efficienza nel funzionamento del sistema.
Abbiamo imparato, nel corso degli anni, quanto sia prezioso il circolo virtuoso tra l’equità, l’efficienza, l’appropriatezza.
Il rilancio e l’aggiornamento alla luce dei problemi attuali del circolo virtuoso tra equità, efficienza, appropriatezza costituisce infatti il filo conduttore che unisce i sedici articoli del presente decreto-legge. A ciò dobbiamo aggiungere, in ogni momento, l’attenzione forte ai cittadini, alle loro percezioni del sistema sanitario, alle loro competenze per far crescere il sentimento di fiducia verso il sistema sanitario pubblico, universalistico e solidale.
È questo, peraltro, il cuore di un buon Governo della sanità: rendere il cittadino protagonista e responsabile verso la cura della sua persona e verso il sistema sanitario.
La sanità funziona se il cittadino vede rispettati i suoi diritti ma anche se percepisce i suoi doveri. Il dovere di non ammalarsi, il dovere di rispettare ed avere cura del Servizio Sanitario Nazionale per contribuire a renderlo universalistico e solidale deve accompagnarsi alle rivendicazioni dei diritti. Altro aspetto cruciale del buon Governo della sanità è la partecipazione attiva dei professionisti, attraverso il metodo della trasparenza, del coinvolgimento, della valutazione dei risultati ottenuti in termini di salute della popolazione, della promozione delle capacità e della selezione sulla base del merito.
Per queste ragioni è cruciale l’articolo 4 di questo decreto-legge che raccoglie, peraltro, un lungo ed importante lavoro, svolto nel corso della legislatura nell’ambito della Commissione Affari Sociali.
Il testo che approda in Aula, è il decreto del Governo che però ha avuto la saggezza di ascoltare i suggerimenti del dibattito parlamentare e del lavoro dei componenti della Commissione Affari Sociali che attraverso lo strumento delle audizioni ha coinvolto ed ascoltato le istituzioni, a partire dalle Regioni, le professioni, le forze economiche e sociali impegnate nel settore.
L’ammodernamento del sistema sanitario ed il miglioramento delle qualità e della sicurezza delle cure non può che partire da una presa in carico dei nuovi bisogni di salute. Cronicità, lunga convivenza con la malattia, nuovi disturbi e patologie connesse agli stili di vita, al disagio assistenziale, l’accentuarsi delle diseguaglianze nella salute in relazione agli effetti che i «determinanti» della salute (lavoro, reddito, istruzione, legami familiari e personali, differenza di genere) hanno sulla vita delle persone: questi sono gli aspetti cruciali dal punto di vita epidemiologico e dello stato della salute della nostra popolazione. Ad essi si riferiscono gli articoli del decreto-legge in esame. A partire dall’articolo 1 che propone la costruzione, finalmente, del secondo pilastro della sanità, l’assistenza territoriale che è e deve sempre più essere la medicina vicina ai cittadini.
L’articolo 1 pone in essere un cambiamento dell’organizzazione sanitaria già avviato in molte regioni, già tentate nei precedenti provvedimenti legislativi. Mi si consenta di citare l’articolo 5 del disegno di legge collegato alla finanziaria 2008 «Interventi per la qualità e la sicurezza del Sistema Sanitario Nazionale».
L’articolo 1 del decreto-legge completa il cambiamento avviato e lo traduce in un sistema coerente. È stato importante il confronto serrato che si è svolto con le Regioni e con i sindacati medici, in particolare la FIMG, che hanno dato un contributo importante di idee e proposte.
L’articolo 1 reca il «riordino dell’assistenza territoriale e della mobilità del personale delle aziende sanitarie». Il sistema dell’assistenza territoriale delineato nell’articolo 1 demanda alle Regioni, sulla base di chiari principi, il compito di organizzare il sistema delle cure primarie.
I principi sono: l’integrazione tra servizi sociali e sanitari compresi quelli ospedalieri; il tema multi professionale per realizzare il dialogo ed il lavoro comune tra diverse professionalità al fine di garantire la continuità assistenziale e la presa in carico del paziente nella sua globalità, avendo come oggetto e come fine la persona e non il corpo malato.
L’integrazione di servizi e la collaborazione tra professionali è cruciale per migliorare la qualità dell’assistenza per prendere in carico quei nuovi bisogni di salute come le cronicità, la lunga convivenza con la malattia, la formazione di stili di vita salutari.
A ciò servono le aggregazioni funzionali territoriali (AFT) che prevedono forme organizzative monoprofessionali che hanno il compito di condividere in forme strutturate, obiettivi e percorsi assistenziali, strumenti di valutazione della qualità assistenziale, linee guida e le forme organizzative multi professionali denominate Unità complesse di cure primarie (UCCP) che erogano, in coerenza con la programmazione regionale, prestazioni assistenziali tramite il coordinamento e l’integrazione dei medici, delle altre professioni convenzionate con il sistema sanitario, gli infermieri, della professionalità ostetriche tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e del sociale a rilevanza sanitaria.
In particolare le Regioni disciplinano le unità complesse di cure primarie, privilegiando la costituzione di reti di poliambulatori territoriali dotati di strumenti di base, aperti al pubblico per tutto l’arco della giornata, nonché nei giorni prefestivi e festivi con idonea turnazione, che operano in coordinamento ed in collegamento telematico con la struttura ospedaliera. Quando sarà realizzato tutto ciò la Sanità italiana avrà un altro volto e sarà davvero più amica dei cittadini.
È dunque fondamentale il coinvolgimento dei professionisti, la loro valorizzazione, a partire dai medici di famiglia e dal personale convenzionato, così come proposto nei commi 2 e 3 dell’articolo.
Il comma 2 prevede che le unità complesse di cure primarie e le aggregazioni funzionali territoriali eroghino l’assistenza primaria attraverso il personale convenzionato.
Il comma 3 individua il personale convenzionato nei medici di medicina generale, nei pediatri di libera scelta e negli specialisti ambulatoriali. Quest’ultima è una novità importante ed inderogabile per realizzare l’obiettivo della continuità assistenziale. Per i medici di medicina generale è istituito il ruolo unico, disciplinato dalla convenzione nazionale. Si tratta di una misura importante che pone fine alla frammentazione delle categorie e figure di medici di medicina generale e ne qualifica la professionalità.
Cruciale è il comma 4 che va a novellare l’articolo 8 del decreto legislativo 502 del 1992 «disciplina dei rapporti per l’erogazione delle prestazioni assistenziali» relativamente al rapporto tra Servizio Sanitario Nazionale ed i medici di medicina generale.
Le innovazioni introdotte nell’articolo 8 del decreto legislativo 502, da questo comma 4, sono di grande rilievo e vanno nella direzione di rendere più stringente il rapporto tra Servizio Sanitario Nazionale e medicina generale, logica conseguenza della scelta di costruire il sistema delle cure primarie di cui i medici di famiglia, i pediatri, gli apprendisti ambulatoriali sono il perno.
Pertanto le attività disciplinate dalla convenzione sono individuate tra quelle previste dai livelli essenziali di assistenza - articolo 4 comma a). La nuova organizzazione dell’assistenza territoriale rientra nei compiti delle convenzioni e dunque diventa cogente per le figure mediche convenzionali, comma 4 B-bis. Importante è anche l’innovazione contenuta al comma 4 lettera h) là dove si prevede che l’accesso al ruolo unico per le funzioni di medico di medicina generale del Servizio Sanitario Nazionale avviene attraverso una graduatoria unica per titoli, predisposta annualmente a livello regionale. Analoga situazione vale per i pediatri e gli specialisti ambulatoriali (per questi ultimi la graduatoria è provinciale).
La riformulazione dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 502 secondo i contenuti prima indicati consente di promuovere una valorizzazione delle figure mediche della medicina generale e della pediatria rendendo strategica tale professionalità nell’ambito della nuova assistenza territoriale.
Questo è l’amore e la responsabilità per i medici di famiglia, i pediatri, che loro stessi hanno auspicato, dimostrando lungimiranza per una professione che cresce quando è al servizio di un miglioramento complessivo dell’oggetto assistenziale e dunque contribuisce a realizzare un miglioramento nella qualità e nella sicurezza delle cure rivolte ai cittadini. In questo caso, le professionalità dei medici di medicina generale, la loro disponibilità ad innovare l’esercizio della professione attraverso l’associazionismo e il team multi professionale è dirimente per adeguare il nostro sistema sanitario all’impellente bisogno di salute che è la cronicità e la lunga convivenza con la malattia, coglierlo da parte loro e decidere di praticare queste innovazioni è il modo migliore per onorare se stessi e far accrescere il prestigio delle loro professioni.
L’articolo 2 («Esercizio delle attività libero professionale intramuraria») si fa carico delle criticità emerse nell’applicazione della legge n. 120 del 2007 che governa in modo organico la materia e con l’intento di delineare il passaggio a regime dell’attività libero professionale intramuraria, ne indice le tappe applicative: ricognizione straordinaria degli spazi; infrastruttura di rete per il collegamento telematico; mezzi di pagamento che ne aggancino la tracciabilità; convenzione annuale per il collegamento in rete tra studi privati ed aziende sanitarie; rideterminazione delle tariffe.
L’articolo 3: (responsabilità professionale dell’esercente le professioni sanitarie) affronta un tema cruciale al fine di promuovere la relazione di fiducia tra il medico ed il paziente che è il cuore della buona sanità. Evitare il contenzioso medico legale superare la medicina difensiva è possibile se il medico svolge la sua opera in un ambiente sicuro che gli consente di prevenire gli errori e se sa che è perseguito penalmente quando c’è il dolo e non per colpa lieve, quando c’è un sistema di assicurazione che lo tutela. In particolare, è importante il comma 1, riformulato secondo i pareri della Commissione giustizia e dei suggerimenti pervenuti nelle audizioni. «L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento delle proprie attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del Codice Civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo».
È importante altresì la formazione di un Fondo per garantire idonea copertura assicurative agli esercenti le professioni sanitarie di fronte a determinate e ben definite categorie di rischio professionale - articolo 2 lettera a). Per creare una relazione di fiducia oltre alla tutela del medico vi deve essere quella del paziente così come indice il nuovo comma c bis) del comma 2, articolo 1.
Per prevenire il rischio clinico e per promuovere la sicurezza delle cure è necessario estendere la costituzione in ogni struttura ospedaliera della Unità di Risk management con l’obiettivo in particolare indicato nel comma 1, lettera a).
Non mi soffermo sull’articolo 4 già illustrato dall’onorevole Barani. Sottolineo l’importanza dell’articolo 4-bis che, al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza, consente l’assunzione di personale, con misure volte a superare le condizioni di precarietà.
L’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza è il contenuto dell’articolo 5. Un articolo importante perché indica una data 3 dicembre 2012 entro cui il Ministero si impegna ad emanare il decreto di aggiornamento dei medesimi indicando tra le priorità la riformulazione dell’elenco delle malattie rare e delle malattie croniche.
Si chiude così una fase di grave incertezza che ha attraversato l’intera legislatura, dopo che il Governo Berlusconi, appena insediato decise la revoca del decreto sui nuovi LEA varato dal Governo Prodi.
Il dibattito nella Commissione ha arricchito l’articolo con due proposte importanti. L’impegno del Governo a procedere entro il 31 maggio 2013 all’aggiornamento del nomenclatore tariffario sulle protesi e gli ausili. La costituzione di un fondo per finanziare i livelli essenziali di assistenza con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in danaro così come definite dall’OMS attingendo ai proventi dei giochi autorizzati dall’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato.
Parlando di livelli essenziali di assistenza il mio pensiero si sofferma su una particolare forma di dolore e sofferenza, di quella delle persone che vivono la fase terminale della vita. Questo Parlamento ha varato in materia una legge importante che deve essere applicata e rispetto alla quale il Ministro ha dimostrato sensibilità.
Per questo esprimo il rammarico profondo per il fatto che sia stato giudicato inammissibile un emendamento dei relatori che prevedeva il riconoscimento dell’esperienza maturata negli ospedali dai medici palliativisti prevedendone l’assunzione dal sistema sanitario. Mi auguro che tale emendamento venga riproposto nel corso del dibattito in Aula.
Il Capo II del decreto-legge è dedicato alla «Riduzione dei rischi sanitari connessi all’alimentazione ed alle emergenze veterinarie».
Si tratta di misure importanti perché affrontano disagi e disturbi emersi in questi ultimi anni nella nostra società, coinvolgendo in modo particolare i giovani, come l’abuso di alcool, la dipendenza da giochi, la crescita dell’obesità.
La discussione in Commissione, anche avvalendosi dei contributi emersi nel corso delle audizioni ha migliorato il sistema delle tutele. Mi riferisco alla sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti di chi vende bevande alcoliche ai minori di diciotto anni.
L’ultimo capitolo cruciale è quello relativo ai farmaci.
Il settore farmacologico è cruciale per la tutela della salute ed è essenziale l’investimento nella ricerca. Esso costituisce un pilastro fondamentale del comparto produttivo del nostro Paese. È fondamentale una politica pubblica del farmaco che investe nella ricerca e nella innovazione e sostenga questo bene prezioso.
Nei vari provvedimenti relativi alla crescita ed allo sviluppo presentati da questo Governo è utile ed auspicabile che siano previste misure di sostegno ma questo settore cruciale. Quello farmaceutico è anche il settore in cui insieme agli investimenti bisogna perseguire con scrupolo la valutazione dell’appropriatezza, il superamento di diseconomie e sprechi.
Riteniamo pertanto essenziale l’articolo 11 che prevede la revisione straordinaria del Prontuario farmaceutico e le collocazioni in fascia e dei farmaci terapeuticamente superati e quelli la cui efficacia non risulti sufficientemente dimostrata, alla luce delle evidenze rese disponibili dall’immissione in commercio consideriamo molto grave la cancellazione, avvenuta in Commissione, dei commi 3 e 4. Ci auguriamo che il confronto in Aula solleciti un ripensamento dei colleghi ed un intervento del Governo per ripristinare, con una formulazione che metta maggiormente in risalto il legame tra economicità del farmaco e tutela della salute, i commi che sono stati soppressi. Concludo manifestando ancora una volta in questa sede che una preoccupazione sfugge nel corso di tutto il dibattito parlamentare: quella delle risorse.
Questa legge se non già dotata di adeguate risorse si tradurrà in una legge manifesto. È fondamentale dunque invertire tendenza e tornare ad investire nella salute.

Una mozione per la “medicina di genere”

13 Marzo, 2012 (11:27) | Documenti | Da: Livia Turco

Prima firmataria Livia Turco, la Camera sarà chiamata a votare questa settimana una mozione che impegna il Governo a dare più attenzione alla medicina di genere.

Ecco il testo della mozione:
La Camera

Premesso che

“La salute delle donne è il paradigma dello stato di salute dell’intera popolazione”. Con questa dichiarazione l’Oms ha lanciato la sua sfida per una rivalutazione complessiva delle politiche sanitarie e sociali in tutte le aree del Pianeta;

sempre l’Oms ha stabilito che, in medicina, il concetto di equità si associa alla capacità di curare l’individuo in quanto essere specifico e appartenente a un determinato genere;

è opinione ormai acquisita che proprio la differenza di genere identifichi esigenze diverse sul fronte delle terapie, oltre a influenzare in modo sensibile l’accesso, la qualità e l’aderenza alle cure stesse;

la medicina di genere è una branca recente delle scienze biomediche che ha l’obiettivo di riconoscere e analizzare le differenze derivati dal genere di appartenenza sotto molteplici aspetti: a livello anatomico e fisiologico, dal punto di vista biologico, funzionale, psicologico, sociale e culturale e nell’ambito della risposta alle cure farmacologiche;

nel riconoscere questa diversità di esigenze, la medicina di genere considera prioritario il diritto delle donne e degli uomini a un’assistenza sanitaria e farmacologica specifica, che si basi su un diverso modo di interpretare e valutare la programmazione e la produzione normativa in ambito farmaceutico, sanitario e socio-assistenzaiale;

è stato ormai dimostrato da molteplici studi che le differenze di genere, nella fisiologia umana  e nei  fattori sociali-culturali, ad esempio è più facile che una donna riconosca e chieda aiuto per un disturbo psicologico rispetto ad un uomo, in  caso d’insorgenza di malattia si riflettono significativamente sulla genesi, la prognosi e la compliance degli individui,

sono molteplici le differenze di “genere” nell’ambito delle patologie come ad esempio in quelle cardiovascolari dove è stato dimostrato che il 38% delle donne colpite da infarto muore nel giro di un anno contro il 25% degli uomini così come per l’ictus dove i 12 mesi successivi sono più a rischio per le donne (i decessi ne colpiscono il 25% contro il 22% degli uomini); in quelle polmonari o in quelle neurodegenerative, dove il Parkinson colpisce da 1,4 a 2 volte più gli uomini delle donne o l’Alzheimer che colpisce una donna su 6 rispetto agli uomini il cui rapporto è di 1 a 10; ed ancora in quelli dell’apparato digerente o nelle patologie psichiatriche, dove la depressone colpisce le donne due volte più degli uomini e nelle sindromi dolorose quali l’emicrania, la cefalea muscolo tensiva, l’artrite reumatoide molto più frequenti nella donna che nell’uomo al contrario di altre sindromi come la cefalea a grappolo che sono più diffuse nel sesso maschile;

le donne sono le principali consumatrici di farmaci, ne prendono mediamente circa il 40% in più rispetto agli uomini, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 15 e i 54 anni. Eppure una buona parte delle molecole, come ad esempio alcuni psicofarmaci, non è stata sperimentata sulla popolazione femminile nonostante che tra uomini e donne esistono diverse differenze che influenzano il metabolismo dei farmaci. Le donne, poi, pesano in media il 30% meno degli uomini e poiché il dosaggio dei farmaci non sempre viene calcolato in relazione al peso, può succedere che le donne assumano una maggiore quantità di principio attivo rispetto agli uomini. Anche nei meccanismi d’azione dei farmaci la ricerca ha individuato delle differenze tra uomini e donne, a seconda delle diverse patologie. Nella depressione, per esempio, le donne sembrano rispondere meglio agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), mentre gli uomini trarrebbero maggiori benefici dagli antidepressivi triciclici (TCA)31.
la differenza di genere influenza anche la risposta alle vaccinazioni, secondo una metanalisi condotta sugli studi scientifici esistenti relativi a una serie di vaccini da quello antinfluenzale a quelli per malattie come varicella, morbillo, febbre gialla.Sulle donne i vaccini funzionano meglio, dal momento che sembrano garantire una migliore risposta immunitaria dopo la somministrazione, tanto da suggerire la possibilità di usare dosi minori di vaccino nel sesso femminile;

già nel 2008 il progetto “La medicina di genere come obiettivo strategico per la salute pubblica:  l’appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna” presso l’Istituto superiore di Sanità nacque dall’esigenza di individuare la necessità di dedicare risorse per conoscere in maniera più specifica le differenze tra uomo e donna per offrire anche alle donne una medicina basata sull’evidenza al fine aderire alle raccomandazioni della OMS, dell’ONU, e della UE;

la medicina di genere è il modo per rendere universalistico il diritto alla salute e, le numerose e significative differenze anatomiche, fisiologiche tra uomo e donna si riflettono nell’insorgenza, nello sviluppo e, nella storia naturale, sulla prognosi, sugli esiti e sui percorsi terapeutici  delle singole patologie, per cui vi è l’assoluta necessità di conoscere le differenze;

nonostante i progressi in campo medico compiuti in questi ultimi anni, c’è ancora una scarsa conoscenza dell’influenza del genere sulla salute;

Impegna il governo

ad inserire fra gli obiettivi strategici del prossimo piano sanitario nazionale la promozione ed il sostegno della medicina di genere;

a sviluppare la ricerca e la medicina di genere al fine di promuovere l’appropriatezza terapeutica e la personalizzazione delle terapie;

ad individuare tutte le risorse finanziarie ed economiche necessarie affinchè il progetto “La medicina di genere come obiettivo strategico per la salute pubblica:  l’appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna” possa essere rifinanziato con risorse adeguate;

ad instaurare una commissione nazionale che individui le priorità nell’ambito delle ricerca di genere ed individui le metodologie più appropriate per la ricerca di genere;

a lanciare e finanziare un piano di ricerca clinica e preclinica d’intesa che veda coinvolti i Ministeri della Salute e della Pubblica Istruzione ed Università e le Regioni;

offrire incentivi fiscali alle industrie che producono ricerca con disegni e protocolli genere mirati;

ad prevedere la possibilità d’inserire la materia della medicina di genere nei corsi di formazione del personale medico ed infermieristico affinchè vi sia una piena e completa presa di coscienza della tematica in oggetto.

Turco L.; Miotto; Lenzi; Argentin; Bossa; Bucchino; Burtone; D’Incecco; Grassi;  Murer; Pedoto; Sarubbi; Sbrollini

Turco/Bressa: “Che fine hanno fatto i tunisini di Lampedusa?”

13 Gennaio, 2012 (14:12) | Documenti | Da: Livia Turco

Interrogazione parlamentare al Ministro dell’Interno

Per sapere; premesso che:

da mesi si sono completamente perse le tracce di un numero rilevante di cittadini tunisini, sbarcati a Lampedusa dopo le rivolte popolari del febbraio del 2011;

si parla di oltre 500 persone, partite dalle coste nordafricane: molti di loro, probabilmente, sono morti durante la traversata, forse nel naufragio del 14 marzo, ma sono, però, sicuramente numerosi  quelli ancora  vivi;

alcuni sono stati  intravisti dai familiari nei servizi girati in questi mesi a Lampedusa; 
ad esempio, Faouzi Hadeji, fruttivendolo a Genova e fratello di Lamjed, partito il 29 marzo, sempre da Sfax, ha riconosciuto suo fratello in un servizio televisivo ha dichiarato alla stampa “Sto diventando pazzo perché ho visto mio fratello in video, a Lampedusa, ma sono nove mesi che non lo sento. Prima di imbarcarsi, mi aveva promesso che mi avrebbe raggiunto a Genova, ma non è mai arrivato. Vorrei sapere dove si trova”;
Rebecca Kraiem, rifugiata in Italia da 23 anni e dirigente dell’associazione tunisina “Giuseppe Verdi”, è alla ricerca dei suoi connazionali dallo scorso marzo, gira l’Italia in lungo e in largo, dal Consolato di Palermo all’Ambasciata di Roma fino ad alcuni centri di identificazione e di espulsione, ma purtroppo non ha ottenuto, ad ora, risultati significativi;

mentre in Italia la vicenda non ha ottenuto la giusta risonanza, in Tunisia se ne parla molto: il 29 dicembre scorso, il giornale “Assabah” ha pubblicato un articolo che riporta i nomi di cento cittadini di cui non si ha più notizia, riportando una ricostruzione, a dire il vero assai vaga, della presunta dinamica che avrebbe portato gli scomparsi, dopo aver toccato il suolo italiano, a essere respinti e, infine, “messi a morte” nel tratto di mare tra l’Italia e l’Africa;

tale articolo, pur privo di riscontri oggettivi, ha avuto un effetto devastante sui familiari che continuano ad attendere invano informazioni capaci di smentire una versione così tragica del destino dei loro cari;

il problema centrale di questa vicenda è proprio l’assoluta assenza di informazioni, imputabile sia alle istituzioni italiane che, in misura sicuramente superiore, a quelle tunisine;

in Tunisia, dopo le rivolte dei mesi scorsi, l’assetto politico è mutato e si è insediata l’Assemblea Costituente, ma,  all’interno delle ambasciate e dei consolati, non si è realizzato un corrispondente cambiamento ed è rimasta pressoché inalterata a tutti i livelli la composizione del personale, costituito da sostenitori del precedente regime;

in un primo momento il Governo Italiano ha concesso una protezione temporanea ai tunisini sbarcati in Italia entro il 5 aprile 2011, rinnovandola dopo sei mesi, ma coloro che sono arrivati dopo quella data sono ora soggetti validi per il rimpatrio, poiché la Tunisia non è più considerata un paese a rischio per i diritti umani;

questo quadro potrebbe indurre a ritenere valida c l’ipotesi che i tunisini “spariti” siano trattenuti in alcuni Cie in Italia ma, dal momento che potrebbero aver fornito generalità fittizie (per paura di essere identificati come tunisini e quindi rimpatriati), rintracciarli è diventata un’impresa davvero ardua;
in Tunisia  i familiari dei migranti scomparsi hanno tenuto varie manifestazioni per sollecitare azioni concrete di ricerca al governo tunisino e a quello italiano;
al fine di sensibilizzare governi e opinione pubblica, il 14 gennaio sono in programma due manifestazioni, una sotto l’ambasciata tunisina di Roma, l’altra sotto il consolato di Milano.
Se il Ministro non ritenga opportuno di dover attivare tutti gli strumenti a sua disposizione utili a fare luce su questa vicenda, e se non ritenga, inoltre, necessario prendere in considerazione la possibilità di applicare a questi cittadini tunisini quanto prima tutte le misure di protezione temporanea previste nel capo III del d.lgs. 286 del 1998.

On. Livia Turco
On. Bressa

Le donne, l’anello forte della civile convivenza

24 Giugno, 2011 (14:11) | Documenti | Da: Livia Turco

“Le donne sono le leader di quella “via italiana alla convivenza” sedimentata nei nostri territori, nelle nostre città, nei nostri piccoli paesi, nei nostri reparti di maternità, nelle nostre chiese. Una via italiana costruita dal basso, dal gioco di squadra di amministratori locali, associazioni, sindacati, imprenditori, insegnanti, famiglie. Una via italiana che ha trovato la sua forza nella lotta contro le discriminazioni, nell’accettazione dell’altro, nella fatica di superare le distanze per imparare a conoscersi ed a riconoscersi”.

Sono solo alcuni passaggi di un contributo di Livia Turco al dibattitto sull’integrazione e la migrazione che vi proponiamo in allegato.

Leggi l’articolo integrale

Biotestamento. No al testo dello scontro e della lacerazione

14 Marzo, 2011 (13:17) | Documenti | Da: Livia Turco

Ecco l’intervento di Livia Turco in Aula alla Camera (7 marzo) in apertura della discussione sul ddl riguardante il testamento biologico.

“Onorevoli colleghi,
è motivo di grande amarezza, di preoccupazione, il fatto che il testo di legge sul testamento biologico che approda oggi in aula, dopo due anni dalla sua approvazione al Senato resti il testo della lacerazione tra il Parlamento e il Paese e della contrapposizione tra le forze politiche. Voi, onorevoli colleghi della commissione affari sociali, Lei onorevole Di Virgilio, non potete non rammentare la chiara posizione assunta dal PD fin dall’inizio. Vi esortammo a mettere da parte il testo dello scontro e della lacerazione, a costruire un nuovo inizio, ad elaborare un testo condiviso che tenesse conto dell’importante dibattito pubblico che ha coinvolto il nostro Paese. Dai medici, dai giuristi, dalle associazione dei malati sono state avanzate riflessioni e proposte molto importanti che il legislatore aveva, ed ha il dovere di ascoltare. Un dibattito pubblico che ci ha confermato quanto sia immotivato quel pessimismo antropologico che pervade  il vostro testo di legge, perché il nostro Paese non è attraversato da una deriva eutanasia da ostacolare, contenere e domare con la forza della legge, ma al contrario è un Paese di donne e uomini che chiedono certezze e qualità delle cure, presa in carico di ciascuna persona, lotta alla solitudine e all’abbandono terapeutico, rispetto della volontà del paziente.   Il legislatore deve raccogliere questa domanda. Questo è il tema che vi abbiamo posto nei mesi scorsi e che vi proponiamo ancora oggi. Fermiamoci, fermatevi! Non approvate un testo anticostituzionale, irragionevole, di difficile applicazione. Vi abbiamo detto nei mesi scorsi, vi ribadiamo oggi: costruiamo insieme una legge condivisa. Una legge umana, mite, che sia animata dal sentimento della pietas. Che sia rispettosa della singola, irripetibile persona. Che promuova e valorizzi la relazione di fiducia tra medico, paziente e familiari. Che ascolti la volontà del paziente all’interno della relazione di cura con il medico ed i familiari. Una legge che non imponga ma che rispetti la persona. Che non lasci nessuno solo di fronte alla morte. Che combatta la solitudine, che garantisca ciascuna persona le cure necessarie ma anche la presenza amorevole.
Una legge che rispetti gli artt. 13 e 32 della Costituzione e l’art. 9 della Convenzione di Oviedo. In particolare, l’art. 32 della Costituzione, come ci ricorda la Sentenza n. 282 del 2002 della Corte Costituzionale sollecita il legislatore a realizzare un bilanciamento tra due diritti fondamentali. Il diritto alla salute (1° comma art. 32), il diritto alla autodeterminazione ed alla libertà di scelte terapeutiche(2° comma art. 32).
La questione che noi abbiamo posto e che consideriamo  fondamentale per una buona legge sul fine vita è il rispetto della volontà del paziente all’interno della relazione di fiducia tra medico paziente e familiari. Per usare una espressione del teologo Bruno Forte  “il connubio tra il sacrario della coscienza e la rete di comunione è ciò che vorremmo promosso e rispettato il più possibile in una legislazione sul fine vita”.
Relazione di fiducia e non solo di cura. La fiducia implica che oltre a curare il medico si prende cura, ascolta la competenza del paziente, non guarda solo la sua malattia ma alla sua biografia e al suo contesto di vita, alle persone che sono accanto al paziente. La relazione di fiducia tra paziente,medico, fiduciario, familiari è la modalità di cura più ambiziosa e difficile ma l’unica efficace; è “ambito etico” perché in essa il fluire della vita dimostra che vita e autodeterminazione intesa come libertà per fare ciò che è bene non sono tra loro in contrapposizione perché non c’è l’una senza l’altra. L’autonomia e la volontà del paziente non sono un io solipsistico  e una astratta signoria della mente. L’autonomia e la scelta si esercitano nel contesto delle relazioni umane, della comunità di affetti in cui ciascuno misura la sua dipendenza dall’altro. Nella relazione di fiducia sono su un piano di dignità, nella distinzione dei ruoli il medico e il paziente “pari libertà e dignità di diritti e doveri, pur nel rispetto dei diversi ruoli. L’autonomia decisionale del cittadino è l’elemento fondamentale dell’alleanza terapeutica al pari dell’autonomia e della responsabilità del medico nell’esercizio delle sue funzioni di garanzia” (dal documento della FNOMCEO approvato a Terni il nel Convegno dedicato ai temi del fine vita).  L’autonomia e la responsabilità del medico è il motore dell’alleanza terapeutica e della relazione di fiducia ed essa implica, ingloba il rispetto della volontà del paziente. “l’autonomia e la responsabilità del medico, la sua funzione di garanzia a tutela della salute del paziente all’interno delle DAT è ciò che consente di declinarle dal passato al presente, dall’ipotesi al fatto, dall’ignoto alle migliori evidenze disponibili, per accompagnare ognuno nella sua storia di vita, unica ed irripetibile”.( Giovanni Maria Flik già presidente emerito della Corte Costituzionale). Attraverso la cifra della fiducia si può  superare la contrapposizione tra il perseguimento del bene del paziente, oggettivamente inteso e la sua autonomia.
 Dobbiamo chiederci: quali sono gli ingredienti della libertà, della dignità, della scelta quando una persona è tormentata dal dolore e dalla sofferenza, quando sente di aver perso la sua forza oppure quando è caduta nel sonno della incoscienza? Cosa significa autodeterminazione e scelta quando ciò che tiene in vita è la presenza dell’altro accanto a te? In queste circostanze si è in vita se ti accompagna lo sguardo dell’altro, se senti la sua mano se sai che anche se non parli la tua parola è ascoltata e conta perché l’altro ti conosce nella profondità dell’animo. La libertà è poter dire: io sono con te che mi ascolti, che mi rispetti, che ti prendi cura di me. La libertà è una relazione amorevole e di reciproca fiducia. Io sono, io voglio, io decido diventa io sono con te perché solo con te, con voi io posso dire scelgo, decido. Sempre, nella nostra vita ma soprattutto quando si è travolti dalla sofferenza o si vive nell’incoscienza il bisogno dell’altro diventa parte integrante della propria libertà e la dipendenza dall’altro diventa parte di sè e della propria autonomia. La legge mite deve promuovere e valorizzare questa relazione amorevole di cura. Che non è solo una esperienza umana ma anche una forma del pensiero capace di tenere insieme e di rendere concreti i valori dell’autonomia della persona e della difesa della vita.  
“ Nella misura in cui la malattia stessa è causa di una compressione della sfera dell’autonomia del malato, allora la medicina, nella sua finalizzazione alla cura della malattia, contribuisce a promuovere l’autonomia del paziente. La tutela dell’autonomia si presenta, in questo senso quale fine intrinseco della pratica medica e non soltanto quale argomento da contrapporre all’invadenza della medicina moderna. L’autonomia non va ridotta alla sola accezione negativa della “non interferenza” ma va intesa anche positivamente, sia come fonte del dovere del medico di informare il paziente e verificare in un vero e proprio processo di comunicazione, l’effettiva comprensione dell’informazione data; sia come capacità dello stesso medico di ascolto e di comprensione della richiesta del paziente, capacità necessaria per individuare le scelte terapeutiche più opportune e rispettose della persona nella sua interezza. Ciò significa che bisogna superare ogni concezione meramente formalistica o difensivistica del consenso informato. D’altra parte anche l’implementazione del diritto alla rinuncia consapevole delle cure può esplicare riflessi positivi sul piano della relazione paziente-curante alimentando la reciproca fiducia. Se il paziente può confidare che la propria volontà (da accertarsi in concreto con le dovute cautele e garanzie) verrà accolta e rispettata l’elemento fiduciario alla base dell’alleanza terapeutica ne verrà rinsaldato. Inoltre, proprio la possibilità di richiedere l’interruzione può favorire l’adesione del paziente all’avvio di trattamenti che prevedano la dipendenza da macchinari surrogatori di funzioni vitali; trattamenti che potrebbero essere a priori rifiutati proprio per il timore di una perdita definitiva della propria possibilità di autodeterminazione”. (dal documento della commissione nazionale di bioetica sul tema “Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione medico-paziente del 28/10/2008 ed illustrata nella sua audizione al Senato dal prof. Casavola).
 E’ alla relazione di fiducia tra paziente medico fiduciario e familiari ed è alla valutazione caso per caso della singola e irripetibile persona che deve essere affidata la scelta. La legge dunque deve promuovere, sostenere, valorizzare la relazione di fiducia tra paziente, medico, fiduciario e la comunità di affetti. Prevedendo che la parola definitiva sia della persona interessata che la può esprimere attraverso il suo fiduciario. Questa relazione di fiducia deve essere attivata ed ascoltata tanto più quando si deve usare il massimo di precauzione come nei confronti della sospensione della nutrizione artificiale. Che, in quanto trattamento sanitario deve essere prevista nelle DAT.
Nel vostro testo di legge la volontà del paziente si riduce ad essere un generico orientamento (art. 3 comma 1) ed esso ha valore puramente indicativo per il medico, il quale è unicamente tenuto a prenderla in considerazione (art. 7 comma 1) in tal modo le DAT si configurano come uno strumento inutile e contraddittorio. Il medico stesso, cui è attribuito un grande potere, è in realtà avvolto da un alone di sospetto sul fatto che possa provocare interventi eutanasici tanto che vengono citati gli artt. 575,579 e 580 del codice penale (art.1 comma c) e al fiduciario viene attribuito il compito di vigilare perché al paziente vengano date le cure migliori (art.6 comma 3). 
Non è previsto alcun miglioramento all’assistenza dei malati in stato vegetativo e nessun impegno per diffondere come diritto le cure palliative e le terapie antidolore. Queste ultime sono riconosciute solo ai malati terminali. Per i soggetti minori, interdetti, inabilitati o altrimenti incapaci, la legge non prevede l’alleviamento della sofferenza ma solo la salvaguardia della salute del paziente (art. 2 comma 8). Questo è l’aspetto più cinico e incredibile della vostra legge! Voi, esponenti del centrodestra, purtroppo siete molto generosi ad esaltare la vita umana con la retorica, con le chiacchiere, con l’esaltazione dei principi ma siete avarissimi nel prevedere misure concrete!
Abbiamo ancora una volta assistito alla farsa di una norma svuotata di significato dalle determinazioni della commissione bilancio che ha imposto anche questa volta la formula di rito “senza maggiori oneri per lo Stato” all’articolo 5, da noi tenacemente voluto, relativo all’assistenza ai soggetti in stato vegetativo. Irragionevole ed anche incostituzionale è la formulazione dell’art. 3 comma 5 e comma 6 che prevede la proibizione in ogni caso della sospensione della nutrizione artificiale, riconosciuta unanimemente dalla scienza medica come trattamento sanitario.  Anche in relazione agli stati vegetativi persistenti, un limite di questo tipo può costituire violazione dell’art. 32 della Costituzione, il quale prevede non solo che nessun trattamento sanitario può essere reso obbligatorio se non per disposizione di legge, ma anche che la legge in nessun caso può “violare i limiti imposti dal rispetto della persona”.
Sono queste le ragioni onorevoli colleghi della ferma contrarietà a questa legge. Fermatevi. Fermiamoci.  Costruiamo un nuovo inizio. Costruiamo un nuovo testo,che sia efficace e condiviso. Facciamolo per il rispetto delle persone e per il bene del Paese”.    

Livia Turco     

Camera approva odg Turco su regolarizzazione immigrati

23 Novembre, 2010 (16:13) | Documenti | Da: Livia Turco

La Camera ha approvato un odg presentato da Livia Turco sulla regolarizzazione degli immigrati.

Ecco il testo dell’ordine del giorno approvato.

Atto Camera

Ordine del Giorno 9/3778-A/131
presentato da
LIVIA TURCO
testo di venerdì 19 novembre 2010, seduta n.398

La Camera
premesso che:
il disegno di legge di stabilità presentato dal Governo contiene delle misure la cui sostenibilità da parte delle amministrazioni pubbliche nonché l’effettiva realizzabilità dei risparmi attesi si riflette sull’inadeguatezza dei tagli indifferenziati e non selettivi che potrebbero tradursi o in un rallentamento della spesa in conto capitale o in meri slittamenti nel tempo di pagamenti o nella formazione di debiti sommersi e, certamente, nella riduzione della funzionalità della pubblica amministrazione e dei servizi ai cittadini;
si tratta, in ogni caso, di misure che avranno effetti recessivi e porteranno ad una riduzione del tasso di crescita del PIL pari a 0,5 punti percentuali nel periodo di riferimento 2010-2012;
nel prossimo biennio sull’attività economica potrebbe continuare a gravare una dinamica debole dei consumi, frenati dalla stazionarietà del reddito disponibile, la previsione di un tasso di crescita del 2 per cento nel biennio 2012-2013 appare fin troppo ottimistica;
il riequilibrio duraturo dei conti pubblici passa soprattutto per il rafforzamento del potenziale di crescita dell’economia. L’uscita dalla crisi deve essere un’opportunità per porre le basi per attuare riforme strutturali che accrescano la produttività e la competitività del nostro Paese;
pur non avendo indicato nella DFP alcun disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica, il Governo sta annunciando, negli incontri con le parti sociali e gli attori economici, la presentazione a fine anno dell’ennesimo decreto riducendo tosi al minimo il ruolo, il dibattito e la capacità di intervento del Parlamento;
il perdurare dell’assenza di una vera e concreta politica di lotta alla povertà e alle disuguaglianze, nel momento in cui, il potere d’acquisto delle famiglie, in particolare del lavoro dipendente e dei pensionati è fortemente in crisi e, nonostante che la Commissione europea abbia designato il 2010 quale Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale al fine di riaffermare e rafforzare l’iniziale impegno politico dell’UE formulato all’avvio della strategia di Lisbona per «imprimere una svolta decisiva alla lotta contro la povertà»;
il punto di riferimento in un programma di lotta alla povertà sarebbe dovuto essere l’Agenda sociale europea, i cui obiettivi erano: creazione di una strategia integrata che garantisca un’interazione positiva delle politiche economiche, sociali e dell’occupazione, promuovendo la qualità dell’occupazione, delle politiche sociali e delle relazioni industriali, consentendo infine il miglioramento del capitale umano e sociale anche attraverso migliori e innovativi sistemi di protezione sociale;
il riconoscimento del diritto fondamentale delle persone in condizioni di povertà e di esclusione sociale di vivere dignitosamente e di far parte a pieno titolo della società è elemento fondante di ogni società che si definisca avanzata così come è elemento fondante quello di promuovere una società che sostenga e sviluppi la qualità della vita, ivi compresa la qualità delle competenze e dell’occupazione, il benessere sociale, compreso quello dei bambini e la parità di opportunità per tutti e, invece la stessa social card, salutata solo un anno fa come la panacea per tutti mali della povertà, nella nuova legge di stabilità per il 2011 non trova collocazione non essendo previsto un solo centesimo di finanziamento;
a fronte di una situazione così drammatica, vi è, ancora una volta la conferma da parte del governo di tutte le decurtazioni già avvenute in particolare con il decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010 n. 122 di tutti i principali Fondi relativi alla spesa sociale, primo fra tutti, il Fondo nazionale per le politiche sociali che vede per il 2011 uno stanziamento da ripartire per le regioni pari solo a 200 milioni di euro;
i tagli hanno riguardato anche: il Fondo per l’infanzia e l’adolescenza che passa nel giro di tre anni da 44.467 a 39.964, il Fondo per le politiche della famiglia che passa dai 280.000 del 2008 agli attuali 52.466, il Fondo nazionale per il servizio civile che passa dai 303.422 per il 2008 ai 170.261 per il 2010, agli attuali 112, al totale azzeramento del Fondo per la non autosufficienza di cui all’articolo 1, comma 1264, della legge finanziaria 27 dicembre 2006, n. 296 il cui finanziamento per il 2011 non è previsto; non finanziamento del Fondo per l’inclusione degli immigrati; ed ancora il Fondo per le pari opportunità a cui vengono assegnati per il 2011 17 milioni di euro togliendoli però al Fondo per le politiche giovanili e niente viene detto per il Fondo contro la violenza alle donne, completamente dimenticato, come dimenticato è il fondo per l’inclusione sociali degli immigrati ed infine il 5 per mille ridotto di ben 300 milioni, di fatto annullato ed ancora viene predisposto un taglio lineare alle politiche sociali di ben 40 milioni di euro:
il mancato finanziamento del Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati come tutte le politiche fino ad ora adottate si inquadrano in un’ottica di immigrazione vista solo sul piano della sicurezza e non dell’integrazione;
l’immigrazione è sicuramente una delle questioni sociali più importanti attualmente in Italia, in quanto i cittadini stranieri residenti in Italia al 1o gennaio 2009 sono 3.891.295, pari al 6,5 per cento del totale dei residenti e rappresentano nonché del 7 per cento della forza lavoro del nostro paese;
la realtà dell’immigrazione del nostro paese è un fatto positivo, strutturale e duraturo se correttamente gestita perché può corrispondere alle necessità della nostra economia, delle nostre famiglie, del nostro welfare;
il patto europeo per l’immigrazione invita gli Stati membri a «porre in essere una politica d’integrazione armoniosa, favorendo la partecipazione dell’immigrato alla sfera civica, al mondo del lavoro, all’istruzione, al dialogo interculturale cercando di eliminare ogni diversità di trattamento che risulti discriminatorio per il cittadino terzo»;
il Patto Europeo per l’immigrazione del giugno 2008, è stato sottoscritto anche dal Governo italiano e propone una gestione dell’immigrazione incentrata attorno agli obiettivi della prosperità, della sicurezza e della solidarietà. «Le migrazioni internazionali possono rappresentare un’opportunità, costituendo un fattore di scambio culturale, umano, sociale ed economico. Il potenziale dell’immigrazione può essere considerato maggiormente positivo soltanto con un’integrazione riuscita nelle società dei paesi ospitanti»,

impegna il Governo:
a valutare l’opportunità
di:
a) adottare ulteriori iniziative normative volte a: estendere la regolarizzazione prevista per colf e badanti dalla legge n.102 del 2009 che convertiva con modificazioni il decreto-legge n. 78 dello stesso anno anche a quei settori dell’economia italiana in cui vi sia un’alta incidenza di manodopera irregolare nonché in quei settori ove la domanda di manodopera di lavoratori extracomunitaria sia particolarmente richiesta dalle imprese e, comunque, con particolare attenzione ai settori economici di cui all’edilizia, agricoltura, terziario, pubblici esercizi e assistenza familiare;
b) aumentare dagli attuali sei mesi ad un anno il tempo necessario per il rinnovo dei permessi di soggiorno per quei lavoratori immigrati colpiti da situazioni di crisi e per i quali i soli sei mesi entro cui trovare un’occupazione regolare dopo la perdita del posto di lavoro precedente rischiano di essere insufficienti, mettendo così a rischio una loro regolare permanenza nel nostro Paese;
convocare un tavolo istituzionale sul tema delle truffe a danno degli immigrati nonché a prevedere una normativa in tempi brevi che permetta a questi stranieri di denunciare la truffa subita senza il pericolo di essere espulsi dal territorio italiano;
attuare tutte le misure per combattere ogni forma di sfruttamento del lavoro, attraverso una rigorosa applicazione della normativa vigente, in modo particolare dell’articolo 18 del decreto legislativo 286 del 1998 che prevede un permesso di soggiorno per le persone che denunciano i propri sfruttatori prevedendo anche l’introduzione nel nostro ordinamento del reato per grave sfruttamento del lavoro, un’autonoma fattispecie incriminatrice del caporalato, aggravata quando.
9/3778-A/131 .(Testo modificato nel corso della seduta) Livia Turco, De Pasquale, Vaccaro.