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Un ddl per far emergere il lavoro irregolare

23 Novembre, 2010 (16:01) | Documenti | Da: Livia Turco

Livia Turco ha appena depositato una proposta di legge finalizzata all’ “Emersione dei lavoratori irregolari impiegati in settori economici con un’alta incidenza di lavoro in nero e un’alta domanda di manodopera di cittadini extracomunitari”.

Ecco il testo:

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI PROPOSTA DI LEGGE

d’iniziativa dei deputati

Turco Livia

“Emersione dei lavoratori irregolari impiegati in settori economici con un’alta incidenza di lavoro in nero e un’alta domanda di manodopera di cittadini extracomunitari”.

Onorevoli Colleghi!
La proposta di legge in oggetto, nasce da varie esigenze e risponde a diversi bisogni esistenti nel paese. Innanzitutto, l’esperienza positiva dell’emersione di colf e badanti inaugurata lo scorso anno ci ha permesso di far emergere centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori già da tempo impegnate nell’indispensabile funzione di assistenza alle famiglie e alle persone portatrici di handicap. Allo stesso tempo tale procedura ha impedito a tante famiglie le gravi ripercussioni che vi sarebbero state se fossero state invece applicate in mancanza del provvedimento di emersione, le sanzioni civili, amministrative e penali previste dalle norme sull’immigrazione irregolare e l’impiego della stessa come manodopera. Purtroppo, però, il provvedimento avendo riguardato unicamente il settore delle colf e delle badanti non ha dato la possibilità di beneficiare delle stesse previsioni di norma a tantissime imprese italiane e a tanti lavoratori extracomunitari impiegati in diversi settori anche molto importanti dell’impresa Italia. Dunque, la prima considerazione nel presentare ed illustrare la presente proposta è quella che sarebbe davvero importante fare tesoro del provvedimento del 2009 e provare ad estendere tali benefici anche ad altri settori produttivi. In particolare, con la presente, si vuole rispondere alla duplice esigenza di contrastare il lavoro nero presente in maniera copiosa in particolare in alcuni settori dell’economia italiana quali agricoltura, edilizia, terziario etc, e dall’altra di venire incontro alla domanda di molte imprese in particolare appartenenti ad alcuni settori produttivi, di avere alle proprie dipendenze una manodopera di cittadini extracomunitari. L’idea di adottare il criterio di far scegliere al Ministero del Lavoro di concerto con quello dell’Interno i settori produttivi maggiormente interessati a un processo di emersione risponde all’esigenza di evitare provvedimenti inutili o di sanatorie generalizzate (peraltro vietate dalle nome europee) ed al contrario di rispondere anche ai dettami del Patto Europeo sull’Immigrazione dell’ottobre del 2008 che prevede in proposito il divieto di legiferare con provvedimenti di sanatorie generalizzate ed al contrario di poter invece prevedere norme che, di caso in caso, esaminino la possibilità di emersione della manodopera straniera irregolare. Del resto, paesi come la Francia, hanno una norma in tal senso, una norma molto simile che addirittura a livello quasi permanente prevede la possibilità di regolarizzare i lavoratori impegnati in particolari settori produttivi per i quali è prioritaria l’offerta e la domanda (e dunque l’incontro delle stesse)  di cittadini appartenenti a paesi non comunitari ma presenti già sul territorio d’oltralpe.
La procedura di emersione prevista nella presente proposta è presa in prestito per la quasi totalità da quella già citata ed approvata da questo Parlamento con la legge 102 del 2009 che convertiva con modificazioni il Decreto Legge 78 dello stesso anno. Due sono gli aspetti importanti. La prima che tale norma è stata approvata con una larga maggioranza e con un importante consenso nel paese e secondo che a più di un anno dalla sua approvazione si vedano i primi benefici sociali sia per le famiglie italiane sia per le lavoratrici e lavoratori non italiani.

Art. 1
1. Le disposizioni del presente articolo si applicano ai datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea, ovvero ai datori di lavoro extracomunitari in possesso del titolo di soggiorno previsto dall’art. 9 del T.U. di cui al D. Lgs.vo 286/1998 e successive modificazioni, che alla data pari a 3 mesi antecedenti l’entrata in vigore della presente legge occupavano irregolarmente alle proprie dipendenze, da almeno 3 mesi, lavoratori italiani o cittadini di uno stato membro dell’Unione Europea, ovvero lavoratori extracomunitari, comunque presenti sul territorio nazionale, e continuano ad occuparli alla data di presentazione della dichiarazione prevista al comma 2, adibendoli ad attività la cui mansione sia riconducibile ad una sfera applicativa dei Contratti collettivi Nazionali del Lavoro opportunamente valutati e selezionati da apposito Decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell’Interno, da approvarsi entro 60 giorni dall’ entrata in vigore della presente legge. Tale Decreto, nell’individuare i CCNL, dovrà tener conto dei particolari settori in cui vi sia un’alta incidenza di manodopera irregolare nonché di quei settori ove la domanda di manodopera di lavoratori extracomunitaria sia particolarmente richiesta dalle imprese e, comunque, con particolare attenzione ai settori economici di cui all’edilizia, agricoltura, terziario, pubblici esercizi e assistenza familiare. 

2. I datori di lavoro di cui al comma 1  possono dichiarare la sussistenza del rapporto di lavoro
dalla data di entrata in vigore del Decreto Ministeriale di cui al comma 1 e per tre mesi successivi:
a) all’INPS per il lavoratore italiano o per il cittadino di uno stato membro dell’Unione Europea, mediante apposito modulo;
b) allo sportello unico per l’Immigrazione di cui all’art. 22 del T.U. di cui al D. Lgs.vo 286/1998, e successive modificazioni, per il lavoratore extracomunitario, mediante l’apposita dichiarazione di cui al successivo comma 4.
3. La dichiarazione di emersione di cui al comma 2 è presentata previo un pagamento di un contributo forfetario di 500 euro per ciascun lavoratore. Il contributo non è deducibile ai fini dell’imposta sul reddito.

4. La dichiarazione di cui al comma 2, lettera b) è presentata, con modalità informatiche, nel termine di cui al medesimo comma e contiene, a pena di inammissibilità:
a) i dati identificativi del datore di lavoro, compresi i dati relativi al titolo di soggiorno nel caso di datore di lavoro extracomunitario;
b) l’indicazione delle generalità e della nazionalità del lavoratore extracomunitario occupato al quale si riferisce la dichiarazione e l’indicazione degli estremi del passaporto o di un altro documento equipollente valido per l’ingresso nel territorio dello stato (ivi compreso per chi è stato già titolare di richiesta di protezione internazionale, del numero identificativo previsto dal titolo di soggiorno pregresso od in mancanza dall’attestazione rilasciata dalle Questure);
c) l’indicazione della tipologia e delle modalità d’impiego;
d) l’attestazione, per la richiesta di assunzione di un lavoratore di cui alla lettera b) del comma 1, del possesso di un reddito imponibile, risultante dalla dichiarazione dei redditi, non inferiore al limite stabilito dal decreto ministeriale di cui al comma 1;
e) l’attestazione dell’occupazione del lavoratore per il periodo previsto dal comma 1;
f) la dichiarazione che la retribuzione convenuta non è inferiore a quella prevista dal vigente CCNL di riferimento e che, in caso di lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare l’orario lavorativo non è inferiore a quello stabilito dall’art. 30bis comma 3 lettera c) del regolamento di cui al D.P.R. 394/1999 e sue modificazioni e integrazioni; diversamente, per i casi previsti dagli altri CCNL applicabili a seguito del decreto di cui al comma 1, l’orario di lavoro non dovrà essere inferiore ad un part-time del 50%;
g) la proposta di contratto di soggiorno prevista dall’art. 5 bis del T.U. di cui al D. Lgs.vo 286/1998 e sue modificazioni;
h) gli estremi della ricevuta di pagamento del contributo  forfetario di cui al comma 3.

5. La dichiarazione di emersione determina la rinuncia alla richiesta di nulla osta al lavoro subordinato per le attività di cui al comma 1, presentata ai sensi dei D.P.C.M. 30/10/2007 e 03/12/2008, pubblicati, rispettivamente, nella G.U. n. 279 del 2007 e n. 288 del 10/12/2008, concernenti la programmazione transitoria dei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari non stagionali nel territorio dello stato nonché di quelle presentate ai sensi del DPCM 20 marzo 2009 e DPCM 1 aprile 2010.

6. La dichiarazione di cui al comma 2 lettera b) in riferimento ai soli casi di lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare ed assistenza a soggetti affetti da patologie o handicap che ne limitano l’autosufficienza, è limitata per ciascun nucleo familiare, ad un’unità per il primo caso e a due unità per il secondo. Per tutti gli altri casi in cui si applicano gli altri CCNL determinati dal Decreto Ministeriale di cui al comma 1 le limitazioni saranno stabilite, dal decreto stesso, a seconda dei settori di attività economica e dei CCNL applicabili. La data di dichiarazione del medesimo comma è quella indicata nella ricevuta di acquisizione al sistema informatico del Ministero dell’Interno.

7. Lo sportello unico per l’immigrazione verificata l’ammissibilità della dichiarazione e acquisito il parere della Questura sull’insussistenza di motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno, convoca le parti per la stipula del contratto di soggiorno e per la presentazione della richiesta del permesso stesso per lavoro subordinato previa esibizione dell’avvenuto pagamento del contributo di cui al comma 3. Il datore di lavoro che ha dichiarato una o due unità per  l’attività di assistenza ai sensi del comma 6 deve presentare allo sportello unico per l’immigrazione, a pena d’inammissibilità della dichiarazione di emersione, una certificazione, rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il SSN, che attesti la limitazione dell’autosufficienza del soggetto per il quale viene richiesta l’assistenza al momento in cui è sorto il rapporto di lavoro ai sensi del comma 1. Nel caso di dichiarazione di due unità per le attività di assistenza ai sensi del comma 6, la certificazione deve altresì attestare la necessità di avvalersi di due unità. La sussistenza di meri errori materiali non costituisce di per sé causa di inammissibilità della dichiarazione di cui al comma 2. La mancata presentazione delle parti senza giustificato motivo comporta l’archiviazione del procedimento. Entro 24 ore dalla data della stipula del contratto di soggiorno, il datore di lavoro deve effettuare la comunicazione obbligatoria di assunzione all’INPS. Restano ferme le disposizioni relative agli oneri a carico del richiedente il permesso di soggiorno.

8. Dalla data di entrata in vigore del Decreto di cui al comma 1 i datori di lavoro ed i lavoratori che aderiscono alla domanda di emersione di cui al comma 2 non sono punibili per le violazioni delle seguenti norme penali ed amministrative:
a) relative all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale, con esclusione di quelle di cui all’art. 12 del T.U. di cui al D. Lgs.vo 286/1998 e successive modificazioni;
b) relative all’impiego di lavoratori, anche se rivestano carattere finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale.

9. Nei casi in cui non venga presentata la dichiarazione di cui al comma 2 ovvero si provveda all’archiviazione del procedimento o al rigetto della dichiarazione, la sospensione di cui al comma 8 cessa rispettivamente, alla data di scadenza del termine per la presentazione ovvero alla data di archiviazione del procedimento o di rigetto della dichiarazione medesima.

10. Nelle more della definizione del procedimento di cui al presente articolo, lo straniero non può essere espulso, tranne che nei casi previsti dal comma 13.

11. La sottoscrizione del contratto di soggiorno, congiuntamente alla comunicazione obbligatoria di assunzione all’INPS di cui al comma 7, e il rilascio del permesso di soggiorno comportano,m rispettivamente, per il datore di lavoro e il lavoratore l’estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi alle violazioni di cui al comma 8.

12. Il contratto di soggiorno stipulato sulla base di una dichiarazione di emersione contenente dati non rispondenti al vero è nullo ai sensi dell’art. 1344 del C.C. In tal caso, il permesso di soggiorno eventualmente rilasciato è revocato ai sensi dell’art. 5, comma 5, del T.U. di cui al D.Lgs.vo 286/1998 e successive modificazioni.

13. Non possono essere ammessi alla procedura di emersione prevista dal presente articolo i lavoratori extracomunitari:
a) nei confronti dei quali sia stato emesso un provvedimento di espulsione ai sensi dell’art. 13 comma 1 e 2 lettera c) del T.U. di cui al D.Lgs.vo 286/1998 e dell’art. 3 del D.L. 144/2005 convertito con modificazioni, dalla L. 155 del 2005 e successive modificazioni;
b) che risultino segnalati anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore per l’Italia, ai fini della non ammissione nel territorio dello stato;
c) che risultino condannati con sentenza irrevocabile compresa quella pronunciata anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del C.P.P. per uno dei reati previsti dagli art. 380 e 381 del medesimo codice.

14. Con decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Interno e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze sono determinate le modalità di destinazione del contributo forfetario di cui al comma 3, sia per far fronte all’organizzazione e allo svolgimento dei compiti di cui al presente articolo, sia in relazione alla posizione contributiva previdenziale ed assistenziale del lavoratore interessato. Il ministro del Lavoro, della salute e delle politiche sociali, con proprio decreto determina, altresì, le modalità di corresponsione delle somme e degli interessi dovuti per i contributi previdenziali e assistenziali concernenti i periodi antecedenti ai 3 mesi di cui al comma 1.

15. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque presenta false dichiarazioni o attestazioni, ovvero concorre alla presentazione di false dichiarazioni o attestazioni, nell’ambito della procedura di emersione prevista dalla presente legge, è punito ai sensi dell’art. 76 del T.U. di cui al D.P.R. 445/2000. Se il fatto è commesso attraverso la contraffazione o l’alterazione di documenti oppure con l’utilizzazione di uno di tali documenti, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un Pubblico ufficiale.

16. Al fine di valutare i requisiti dei permanenza dello straniero extracomunitario per motivi di lavoro sul territorio nazionale, l’INPS comunica al Ministero dell’Interno le informazioni relative alla cessazione dei versamenti contributivi dei lavoratori extracomunitari ai fini dell’art. 37 del regolamento di cui al D.P.R. 394/1999 e successive modificazioni.

17. In funzione degli effetti derivanti dall’attuazione del presente articolo, il livello del finanziamento dell’SSN a cui concorre ordinariamente lo stato è incrementato di 228,25 milioni di euro per l’esercizio finanziario relativo all’anno di entrata in vigore del Decreto di cui al comma 1 e di 456,5 milioni di euro a decorrere dall’anno successivo. Con decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economie e delle finanze, sentita la Conferenza Permanente per i rapporti tra lo stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, i predetti importi sono ripartiti tra le regioni in relazione alla presenza dei lavoratori extracomunitari emersi ai sensi della presente legge.

18. Agli oneri netti, derivanti dal presente articolo, pari a 336,87 milioni di euro per l’anno relativo all’esercizio finanziario di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, a 673,75 milioni di euro per l’anno successivo, a 875,87 milioni di euro per l’anno ancora successivo e a 774,81 milioni a decorrere dall’anno successivo ancora, si provvede, quanto a 137,5 milioni di euro per l’anno  relativo all’esercizio finanziario di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, a valere sulle maggiori entrate assegnate al bilancio dello stato dal decreto di cui al comma 14 e, quanto a 199,37 milioni di euro per l’anno relativo all’esercizio finanziario di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, a 673,75 milioni per l’anno successivo, a 875,87 milioni di euro per l’anno successivo ancora e per i seguenti periodi, mediante corrispondente riduzione  dei trasferimenti statali all’INPS a titolo di anticipazioni di bilancio per la copertura del fabbisogno finanziario complessivo dell’ente, per effetto delle maggiori entrate contributive derivanti dalle disposizioni di cui alla presente legge.
   

Biotestamento: la relazione di Turco al direttivo del PD

8 Giugno, 2010 (13:01) | Documenti | Da: Livia Turco

In occasione della ripresa del dibattito sul biotestamento può essere utile rileggere questa mia relazione svolta al direttivo del Pd nel novembre scorso.
Il lavoro dei parlamentari PD nella Commissione Affari sociali, nell’avvio del suo lavoro, ha assunto come punto di riferimento i 15 punti della Commissione Sereni che erano stati il frutto dell’approfondito e ampio dibattito svoltosi nei gruppi di Camera e Senato, nonché sugli emendamenti presentati al Senato.
Ringrazio i colleghi e le colleghe della Commissione Affari sociali per aver consentito un confronto schietto, chiaro, approfondito e aver contribuito con i loro interventi nel dibattito generale svoltosi in Commissione a dare un profilo alto alla discussione. Ringrazio altresì gli altri colleghi e colleghe che, sempre in sede di discussione generale, hanno arricchito il contributo del Gruppo del PD.

Noi abbiamo sollecitato la maggioranza e il relatore Di Virgilio a costruire alla Camera un “nuovo inizio” della discussione e a costruire una legge “condivisa”. Dopo cenni di apertura e di disponibilità al dialogo manifestati dal relatore la maggioranza, trascorsi tre mesi di dibattito e audizioni, ha scelto, di adottare come testo base, il testo Calabrò. Per questo, con voto contrario unanime, abbiamo sottolineato la gravità di aver scelto di proseguire sulla via dello scontro.
Sono stati annunciati dal relatore emendamenti al testo Calabrò, ma, è del tutto imprevedibile, la situazione che si potrà determinare, visto che, il dibattito generale ha visto una sostanziale compattezza attorno al testo del Senato. (tranne l’intervento dell’on. Della Vedova).
Voglio qui ribadire le ragioni della nostra contrarietà al testo Calabrò.
Esso contiene una visione antropologica pessimistica dell’uomo, una mancanza di fiducia nella persona e nella società perché rappresenta il problema umano e sociale rilevante a cui far fronte in una diffusa domanda di eutanasia. Sappiamo che non è così. Le persone e la società esprimono oggi una domanda di “presa in carico”, di vicinanza, di lotta alla solitudine e al dolore. Insomma, una domanda di eguale rispetto della vita umana, della sua dignità e della sua qualità.

Quella legge, inoltre, contiene una prevaricazione della norma sulla coscienza delle persone e sulla scienza e competenza medica. Una prevaricazione che nega il principio della “pietas” oltre che il dettato costituzionale dell’autonomia e della responsabilità del medico.
Si basa su presupposti che non sono confermati dalla medicina, come nel caso dell’idratazione e nutrizione.
Esalta il ruolo del medico ma non ascolta ciò che i medici dicono.
Mortifica la volontà del paziente definendo le Dichiarazioni anticipate di trattamento come puramente orientative.

Abbiamo lavorato in questi mesi per elaborare gli emendamenti al testo Calabrò. Lo abbiamo fatto in modo condiviso attraverso una discussione trasparente e leale che ci ha consentito di costruire sintesi condivise.
La domanda che ci siamo posti e da cui partire è: “Cosa è successo nel Paese dopo l’approvazione del testo Calabrò ?” Perché dobbiamo costruire una legge che sia dalla parte delle persone e del Paese.

Dopo l’approvazione del testo Calabrò, si è determinata una vera e propria rivolta dei Medici, si è levata la loro pressante richiesta di rimuovere lo scandalo contenuto nella proposta di legge approvata al Senato e, non sempre così presente, nel dibattito politico. Mi riferisco all’articolo 3 in cui la proibizione della sospensione della nutrizione ed idratazione riguarda “un eventuale futura perdita della capacità di intendere e di volere” e dunque, tutti gli stati di incoscienza, imponendo di fatto, per legge, l’accanimento terapeutico
Quali sono gli stati di incoscienza?
Stati vegetativi: 1800/2000 persone.
Malati terminali 250 mila di cui 160 mila oncologici e 90 mila con altre patologie .
Malati in terapia intensiva: 150.000 di cui 80.000 incapaci; malattie degenerative come Alzaimer.
Secondo l’articolo 3 del testo approvato al Senato a tutti questi malati, in tutte queste situazioni dovrebbe essere impedita la sospensione dell’idratazione e della nutrizione. Per avere cognizione della portata di questo articolo cito la presa di posizione della Società delle cure palliative, i medici che curano i malati terminali.
“Proprio per questo noi, operatori di cure palliative, che ogni giorno ci troviamo di fronte alle situazioni di confine tra la vita e la morte, con l’obiettivo di accompagnare fino al termine della loro esistenza le persone colpite da una malattia cronica in fase terminale e, la “missione” di non farle soffrire, sentiamo il dovere di mettere in luce che, se dovesse essere approvata una legge che esplicitamente ed indiscriminatamente impone l’idratazione e l’alimentazione per tutti i pazienti, ci troveremmo di fronte a tale obbligo anche per coloro che vivono una fase di inevitabile e prossima terminalità, per le quali non si tratta di non iniziare o sospendere una terapia ma di accompagnarle a una fine dignitosa con tutte le conoscenze e gli strumenti che la medicina oggi ci offre” …… “Per non andare contro questa possibile legge cosa dovremmo fare allora? Dovremmo mettere in atto un trattamento clinicamente inappropriato aumentando la probabilità di un peggioramento di quei sintomi, di quelle sofferenze, che noi stessi siamo chiamati a curare? Questo disegno di legge, è evidente, ci imporrebbe, in ambito palliativo, di attuare delle pratiche contrarie al bene dei pazienti”.

La prima scelta che credo dobbiamo assumerci è quella di non demandare agli emendamenti dell’UDC e di Fini è, proporre noi, un emendamento di riduzione del danno che rimuova lo scandalo della Calabrò e che affermi la possibilità di sospendere la nutrizione artificiale, quando la persona è nella fase terminale della sua vita e quando queste forme di sostegno vitale mutano la loro funzione e non sono più in grado di alleviare le sofferenze del paziente configurandosi come interventi futili e sproporzionati. La valutazione di quando si determinano tali circostanze è demandata al medico curante secondo scienza e coscienza, coinvolgendo i familiari, attraverso una completa informazione, chiamati a tutelare, in una compiuta alleanza terapeutica, il miglior interesse della persona incapace.
Dopo l’approvazione del testo al Senato si è aperto nel Paese un dibattito importante che noi dobbiamo ascoltare e che si è concentrato sulla necessità di adottare un “diritto mite”, una norma che sia giusta perché capace di sollecitare l’assunzione di responsabilità da parte della persona, della famiglia e dei professionisti e, contemporaneamente dia rilievo alla relazione di fiducia tra paziente, medico e famiglia. Segnalo in modo particolare l’importanza del Convegno dei medici promosso dalle Federazioni degli Ordini e delle società scientifiche che costituisce un punto di svolta nell’assunzione di responsabilità pubblica dei medici. Da quel convegno sono scaturite indicazioni importanti sul piano medico-clinico e su quello etico-culturale. Consentitemi di portare nella nostra discussione alcune annotazioni tecniche essenziali per compiere valutazioni politiche corrette e scelte legislative appropriate.
Bisogna parlare di nutrizione artificiale che comprende anche l’idratazione, e non di alimentazione. Nutrizione artificiale e alimentazione non sono la stessa cosa, non sono sinonimi. La nutrizione artificiale è una forma di sostegno vitale assicurata da competenze medico – sanitarie secondo la deontologia medica e le evidenze basate sulle prove di efficacia. Nutrizione non è alimentazione perché ciò a cui ci si riferisce è l’utilizzo di nutrienti e non di alimenti che vengono preparati con procedure farmaceutiche e vengono somministrati per via artificiale, parenterale o enterale, cioè senza ricorrere al normale processo di deglutizione. La nutrizione artificiale per essere praticata richiede il consenso informato del paziente, la collaborazione del farmacista, il regolare controllo e monitoraggio del medico specialista. Tale definizione esclude quei pazienti che pur in stato vegetativo conservano anche per molti anni il riflesso della deglutizione e ciò rende, seppur laboriosa, la nutrizione per via normale.

Stato vegetativo
La condizione di stato vegetativo resta gravato da un tasso di errore diagnostico molto elevato e dall’incertezza della prognosi sulla sua evoluzione.
Non si usa più l’espressione stato vegetativo persistente ma stato vegetativo da 3 anni, 5 anni, perché non si è in grado di definire cosa è persistente.
La scienza non è in grado di assicurare che uno stato vegetativo, comunque diagnosticato, si possa considerare una condizione irreversibile.
La definizione di stato vegetativo non è, in alcun modo, definitiva ma solo probabilistica riducendosi in modo progressivo la possibilità di risveglio con il passare del tempo. Ma è in grado di certificare che, con il protrarsi negli anni, di questa condizione, la corteccia cerebrale tende a diradarsi e a sparire. L’opinione prevalente degli specialisti, sulla base dell’evidenza, è che sia altamente improbabile il risveglio e la restituzione alle funzioni cognitive quando si superi un certo numero di anni nella condizione di stato vegetativo. Tuttavia questa possibilità non può essere esclusa.
Le osservazioni hanno messo in risalto:
- Negli stati vegetativi, soprattutto dopo il trascorrere degli anni, si sviluppano patologie non riscontrabili nelle popolazioni sane;
- Subentrano complicanze;
- Quando la persona è prossima alla terminalità l’organismo diventa incapace di assimilare le sostanze fornite o si determina una intolleranza clinicamente rilevabile collegata all’alimentazione. Dunque, è problematico, sul piano clinico, ed è questo un punto condiviso in ambito medico, prevedere la tassativa esclusione della possibilità di interruzione dei trattamenti di nutrizione artificiale così come previsto dalla Calabrò anche per gli stati vegetativi. Questo è un punto condiviso nella Commissione Affari Sociali.

I medici, nel convegno di Terni, hanno affermato: “nelle specifiche condizioni oggi inquadrate come stati vegetativi, la comunità scientifica deve consolidare le evidenze relativamente agli aspetti preventivi, diagnostici e terapeutici, attraverso l’elaborazione di specifiche linee guida, la valutazione degli esiti dei trattamenti riabilitativi, di nutrizione artificiale e di altri eventuali trattamenti di supporto vitale, di prevenzione e gestione delle complicanze (infezioni, embolie, trombosi) anche al fine di costruire un apposito Registro Osservazionale”.
“In presenza di dichiarazioni certificate si ritiene opportuno che nelle particolari situazioni cliniche inquadrate come stati vegetativi, le condizioni di irreversibilità del danno neurologico vanno indagate, validate e certificate secondo le migliori evidenze scientifiche disponibili da trasferire in analitici e rigorosi protocolli diagnostici e prognostici unici a livello nazionale” Credo che queste indicazioni possano orientare i nostri emendamenti.

L’incertezza della prognosi sullo stato vegetativo spiega il duplice atteggiamento dei Medici che li vede da un lato affermare che i trattamenti di nutrizione e idratazione vanno sempre garantiti e dall’altro avvertono la necessità che subentri la valutazione del paziente sulla capacità di vivere la sua condizione di malattia e sofferenza, per metterli nella condizione di garantire una cura efficace. Di fronte all’incertezza, a ciò che è solo probabile nell’evoluzione della malattia, sia dal punto di vista etico che da quello clinico, il dovere di garantire i trattamenti deve coniugarsi con il dovere di ascoltare il peso della sofferenza per le persone malate la cui tollerabilità può essere definita solo dalla persona medesima in qualunque contesto di malattia e in qualunque tipo di patologia.
Il giudizio unanime dei medici sull’impossibilità di definire una prognosi certa circa l’evoluzione dello stato vegetativo e di definire la condizione d’irreversibilità ci obbliga ad aggiornare la nostra elaborazione.
Il punto di equilibrio, il bilanciamento di valori tra tutela della vita e scelta della persona, noi lo avevamo individuato nella formulazione per cui nutrizione e idratazione sono sempre garantite al paziente, ad eccezione del caso in cui la loro sospensione sia espressamente oggetto delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Idratazione e alimentazione possono essere sospesi nel caso in cui lo stato vegetativo sia assimilabile al fine vita così come identificato in base ai criteri clinici e strumentali stabiliti da una commissione speciale per lo studio, la definizione e la classificazione dello stato neurovegetativo. Il ministro della salute con decreto, sentito il parere del Consiglio Superiore della Sanità istituisce una commissione speciale per il compito prima indicato.
Non credo possiamo confermare questa soluzione. La sua evoluzione è resa necessaria dal fatto che l’opinione del Mondo Medico non ritiene praticabile la strada di una definizione definitiva e standardizzata dello Stato Vegetativo. Dove trovare dunque il bilanciamento di valori e come far vivere il principio di precauzione?
Ciò che dovremmo porre al centro della nostra visione e far diventare il cuore della nostra legge è proprio la relazione di fiducia tra medico, paziente, familiari, che valuta in ogni peculiare situazione e per ciascuna singola e irripetibile persona, secondo, il principio del rispetto della sua salute, della sua vita e del valore supremo della sua dignità. Per usare un’espressione del teologo Bruno Forte “il connubio tra il sacrario della coscienza e la rete di comunione è ciò che vorremmo promosso e rispettato il più possibile in una legislazione sul fine vita”.
Relazione di fiducia e non solo di cura.
La fiducia implica che oltre a curare il medico si prende cura, ascolta le competenze del paziente, non guarda solo alla sua malattia ma alla sua biografia e al suo contesto di vita, alle persone che sono accanto al paziente.
La relazione di fiducia tra paziente, medici, fiduciario, familiglia è la modalità di cura più ambiziosa e difficile ma l’unica efficace; è “ambito etico” perché in essa il fluire della vita dimostra che vita ed autodeterminazione intesa come libertà per fare ciò che è bene non sono tra loro in contrapposizione perché non c’è l’una senza l’altra.
L’autonomia e la volontà del paziente non sono un io solipsistico e un’astratta signoria della mente. L’autonomia e la scelta si esercitano nel contesto delle relazioni umane, della comunità di affetti in cui ciascuno misura la sua dipendenza dall’altro.
Nella relazione di fiducia sono su un piano di dignità, nella distinzione dei ruoli, il medico e il paziente.
L’autonomia e la responsabilità del medico è il motore dell’alleanza terapeutica e della relazione di fiducia ed essa implica e ingloba il rispetto della volontà del paziente.
L’autonomia e la responsabilità del medico, la sua funzione di garanzia e tutela della salute del paziente, all’interno delle DAT è ciò che consente di declinare le medesime dal passato al presente, dall’ipotesi al fatto, dall’ignoto alle migliori evidenze disponibili, per accompagnare ognuno nella sua storia di vita, unica ed irripetibile. Attraverso la relazione di fiducia si può forse cercare di superare la contrapposizione, tra il perseguimento del bene del paziente, oggettivamente inteso e, la sua autonomia. Nella misura in cui la malattia stessa è causa di una compressione della sfera dell’autonomia del malato, allora la medicina, nella sua finalizzazione alla cura della malattia, contribuisce a promuovere l’autonomia del paziente. La tutela dell’autonomia si presenta, in questo senso, quale fine intrinseco della pratica medica e non soltanto quale argomento da contrapporre all’invadenza della medicina moderna. L’autonomia non va ridotta alla sola eccezione negativa della “non interferenza” ma va intesa anche positivamente, sia come fonte del dovere del medico d’informare il paziente e verificare, in un vero e proprio processo di comunicazione, l’effettiva comprensione dell’informazione data; sia come capacità dello stesso medico di ascolto e di comprensione delle richieste del paziente, capacità necessaria per compiere le scelte terapeutiche più opportune e rispettose della persona nella sua interezza. Ciò significa che bisogna superare ogni concezione meramente formalistica o difensivistica del consenso informato.
D’altra parte anche l’implementazione del diritto alla rinuncia consapevole delle cure può esplicare riflessi positivi sul piano della relazione paziente-curante alimentando la fiducia. Se il paziente può confidare che la propria volontà (da accertarsi in concreto con le dovute cautele e garanzie) verrà accolta e rispettata, l’elemento fiduciario alla base dell’alleanza terapeutica ne verrà rinsaldato. Inoltre, proprio la possibilità di richiedere l’interruzione di trattamenti può favorire l’adesione del paziente all’avvio degli stessi che prevedono la dipendenza da macchinari e sono surrogatori di funzioni vitali; trattamenti che potrebbero essere a priori rifiutati proprio per il timore di una perdita definitiva della propria possibilità di autodeterminazione. Queste non sono considerazioni personali ma argomenti che ho trovato molto convincenti contenuti nel documento della Commissione Nazionale di Bioetica sul tema “Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione medico-paziente” del 28 ottobre 2008, e illustrata nella sua audizione al Senato dal Prof. Casavola.
E’ alla relazione di cura e fiducia tra paziente/medico, fiduciario e familiari, ed è nella valutazione caso per caso, della singola ed irripetibile persona che deve essere affidata la scelta, ogni scelta.
La legge, dunque, deve promuovere, sostenere e valorizzare la relazione di cura e di fiducia tra paziente, medico, fiduciario e comunità di affetti.
Ne deriva una conseguenza sui caratteri della DAT che non può essere né orientativa né vincolante ma “impegnativa”.
Ciò in coerenza con la centralità della comunicazione che si sviluppa tra i diversi componenti della relazione di cura e fiducia.
In coerenza poi con il codice di deontologia medico, con l’art. 9 della Convenzione di Oviedo, che recita “i desideri precedentemente espressi saranno tenuti in conto” con il parere del Comitato Nazionale di Bioetica del 2003.
I desideri indicano un “progetto di vita e di coerenza” in ordine ad aspetti che il soggetto ritiene essenziali. D’altra parte le dichiarazioni anticipate vanno contestualizzate sotto il profilo tecnico-professionale non allo scopo di eludere la volontà del paziente ma al fine di verificare la sussistenza o meno delle condizioni cliniche e delle valutazioni tecniche che le hanno informate”. E, per utilizzare a vantaggio della salute delle persone le nuove opportunità che la scienza e la tecnica offre.
Il valore impegnativo delle DAT è una soluzione che da un lato offre al cittadino ragionevoli garanzie di rispetto della sua volontà e dall’altro non solo non mortifica ma esalta l’autonomia professionale del medico che comunque deve essere chiamato a valutare l’attualità dei desideri del paziente ed a comportarsi di conseguenza sulla base delle sue autonome valutazioni.
Dove trovare dunque un bilanciamento di valori tra tutela della vita e scelta della persona e come far vivere il principio di precauzione rispetto alla sospensione di alimentazione ed idratazione?
- Garantire che i trattamenti di nutrizione e idratazione siano sempre assicurati al paziente assumendo come punto di riferimento ciò che è condiviso nell’ambito clinico.
- Consentire che la nutrizione e l’idratazione siano indicate nelle DAT.
- Promuovere, sostenere e valorizzare la relazione di fiducia tra medico e paziente e fiduciario che valuta con il collegio medico caso per caso la situazione della persona ed il suo stato di gravità e valuta quando i trattamenti diventano futili e sproporzionati.
La relazione di fiducia tra paziente, medici, fiduciario, familiari è la modalità di cura più ambiziosa e difficile ma l’unica efficace; è “ambito etico” perché in essa il fluire della vita dimostra che vita ed autodeterminazione intesa come libertà per fare ciò che è bene non sono tra loro in contrapposizione perché non c’è l’una senza l’altra.

Allegati
EMENDAMENTO

AC 2350
Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazione anticipata di trattamento.

Art 3
(Contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trattamento)

Al comma 5 dopo l’ultimo periodo aggiungere il seguente:

“E’ possibile sospendere la nutrizione artificiale, quando la persona è nella fase terminale della vita o quando queste forme di sostegno vitale si configurano come futili e sproporzionate rispetto ai loro fini di procurare sollievo dalle sofferenze nel rispetto della dignità della persona. Tali valutazioni competono al medico curante secondo scienza e coscienza, coinvolgendo i familiari, attraverso una completa informazione, chiamati a tutelare, in una compiuta alleanza terapeutica, il miglior interesse della persona incapace.

Turco L. - Binetti

EMENDAMENTO

AC 2350
Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazione anticipata di trattamento.

Art 3
(Contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trattamento)

Sostituire i commi 5 e 6 con i seguenti:

5) Nelle condizioni e per i soggetti che si caratterizzano per una perdita della capacità di intendere e volere, la nutrizione artificiale, qualora indicata, è una forma di sostegno vitale finalizzata ad alleviare le sofferenze nel rispetto della dignità della persona, che viene assicurata da competenze mediche e sanitarie, conformemente alle migliori evidenze scientifiche disponibili  ed ai principi di deontologia professionali. La nutrizione artificiale, quale atto dovuto, deve sempre essere disponibile e accessibile, senza oneri, alle persone che ne necessitano, ovunque risiedono, in famiglia o nelle comunità di assistenza.

5 bis) La nutrizione artificiale può costituire oggetto di espressione della volontà della persona nelle dichiarazioni anticipate di trattamento; ai sensi dell’art. 32 della Costituzione e dell’art. 9 della Convenzione di Oviedo tale dichiarazione deve essere considerata impegnativa per il medico, il fiduciario ed i familiari nelle decisioni che devono essere assunte.

5 ter) In accordo con il fiduciario ed i familiari , le dichiarazioni anticipate di trattamento possono essere disattese dal medico curante, in tutto o in parte,  qualora sussistano motivate e documentabili possibilità , non prevedibili all’atto della dichiarazione, di poter diversamente  conseguire ulteriori benefici per la persona assistita; questi vanno   sempre commisurati , nel tempo e negli obiettivi,  agli orientamenti  precedentemente espressi e al rispetto della  dignità della persona. Tali procedure vanno puntualmente esplicitate e riportate  nella documentazione  clinica.
In caso di disaccordo tra il fiduciario, il medico curante e i familiari, sui tempi e le modalità di attuazione della dichiarazione anticipata di trattamento che preveda per il paziente la sospensione  della nutrizione artificiale, la valutazione in ordine al beneficio terapeutico di cui al capoverso precedente, è demandato al collegio medico, che include il medico curante, designato dalla direzione sanitaria e dalla struttura che ha in carico il paziente. Ove il dichiarante versi in condizioni di stato vegetativo, la nutrizione artificiale deve sempre essere assicurata, salvo il caso in cui risulti inidonea a conseguire le finalità previste, si dimostri futile e sproporzionata e quando la persona entra nella fase terminale della vita. Tali valutazioni competono  al medico curante secondo scienza e coscienza, in accordo con il fiduciario se nominato e i familiari, chiamati ad tutelare, in una compiuta alleanza terapeutica, il migliore interesse della persona attualmente incapace, tenendo conto  delle sue dichiarazioni anticipate di trattamento

5 quater) In caso di mancato rinnovo della dichiarazione anticipata di volontà e della successiva perdita della capacità di intendere e volere, il medico curante, d’intesa con i familiari, tiene conto della volontà espressa dal soggetto, fermi restando i principi ed i divieti stabiliti dalla presente legge.

5 quinquies) In assenza delle DAT, nei casi d’incapacità d’intendere e volere o in presenza di minori d’età, le decisioni in merito alle modalità di somministrazione della nutrizione artificiale, da commisurarsi alle aspettative di sopravvivenza, alle condizioni del paziente ed alla necessità di evitare forme di accanimento terapeutico, vengono assunte dal medico curante, cui spetta la decisione finale, in collaborazione con i familiari

5 sexies) Le disposizioni di cui al comma 5 quinquies si applicano anche nei casi delle persone che si trovino negli stati indicati nel comma medesimo al momento dell’entrata in vigore della presente legge. In questi casi si tiene anche conto delle volontà da loro espresse in qualsiasi forma nelle precedenti fasi della vita.

Turco L.

Una legge contro la povertà

28 Gennaio, 2010 (18:36) | Documenti | Da: Livia Turco

Insieme ad altri parlamentari ho presentato una proposta di legge per affrontare con misure concrete il fenomeno crescente dell’impoverimento della popolazione. Questa proposta di legge contiene infatti gli indirizzi, gli strumenti e le risorse per vero e proprio Piano nazionale contro le povertà.

Si tratta di una novità importante, di cui il nostro Paese ha un’urgente necessità, con misure specifiche come il “reddito di solidarietà attiva” che costituisce un intervento monetario di tipo universalistico, promosso dallo Stato, nell’ambito del Programma nazionale e finalizzato al sostegno dell’autonomia economica delle persone.

Sarà mio impegno far sì che questa proposta di legge sia posta all’attenzione del Parlamento e del Paese a dimostrazione che se c’è la volontà,  questo Paese si può cambiare.

Clicca qui sotto per scaricare o leggere il testo completo della proposta di legge

Una legge contro la povertà. Il testo del ddl

Immigrati: una mozione del Pd dopo Rosarno

28 Gennaio, 2010 (16:25) | Documenti | Da: Livia Turco

Livia Turco ha presentato una mozione alla Camera per impegnare il Governo ad una vera politica di integrazione e per attuare azioni efficaci contro lo sfruttamento degli immigrati, “perchè - ha sottolineato Livia Turco - ci vuole un vero e proprio Piano nazionale per le politiche di integrazione e di civile convivenza”.

Ecco il testo della mozione che sarà discussa prossimamente dalla Camera.
La Camera,
premesso che:
i fatti di Rosarno hanno evidenziato l’esistenza nel nostro paese di sacche di sfruttamento del lavoro e di situazioni di pesante degrado umano e sociale che non possono in alcun modo essere tollerate;
tali situazioni sono connesse, da un lato, alla presenza di una feroce criminalità che controlla il territorio e, dall’altra, alla diffusione del lavoro nero che interessa prevalentemente le regioni meridionali, ma che coinvolge l’insieme del nostro paese;
lo sfruttamento del lavoro nero colpisce in modo particolare le persone più vulnerabili e fragili , tra queste gli immigrati privi del permesso di soggiorno. Essi sono tenuti in condizioni di irregolarità dai loro sfruttatori per procrastinare ed accentuare la vulnerabilità e la debolezza sociale e far apparire senza alternative la condizione di sfruttamento;
il lavoro nero è l’area in cui maggiore è la competizione tra gli immigrati ed i lavoratori italiani perché lo sfruttamento degli uni abbassa le tutele degli altri e questo è tanto più vero nel settore agricolo, dove un lavoratore su dieci è straniero  e dove, al sud, solo un terzo sono regolari con situazioni di sfruttamento gestite da un caporalato molto spesso sotto il controllo della criminalità organizzata (i lavoratori extracomunitari nel settore agricolo sono circa 75 mila, contando i 64 mila contratti a tempo determinato e gli 11 mila stagionali. Altri 15 mila lavoratori sono a tempo indeterminato. In tutto 90 mila braccianti immigrati, che però superano i 150/200 mila se si considerano anche i lavoratori stranieri neo comunitari come i rumeni o i polacchi);
il governo vanta la riduzione degli sbarchi via mare, ma tace sui settecentomila immigrati irregolari presenti in Italia che sono conseguenza della legge Bossi-Fini e delle politiche governative di chiusura degli ingressi regolari per lavoro. I lunghi e farraginosi meccanismi dell’ingresso per lavoro (mediante la cosiddetta chiamata nominativa o numerica di uno straniero sconosciuto residente all’estero); la brevità della durata dei permessi di soggiorno, la macchinosità e i tempi lunghi del loro rinnovo sono tutti fattori che rendono alta la probabilità che un lavoratore regolare diventi irregolare suo malgrado. Il Governo inoltre ha previsto un solo decreto flussi per lavoro stagionale, non ha presentato il documento triennale sulle politiche migratorie previsto dall’art 3 del decreto legislativo 286/98 ed ha cancellato il fondo per le politiche di integrazione. A ciò si aggiunga il rallentamento della lotta all’evasione, all’economia sommersa e al lavoro nero. Più ampia è l’economia sommersa, più alta è la domanda di lavoro irregolare maggiore è la domanda di irregolari stranieri;
la direttiva UE sulla sanzioni contro i datori di lavoro e lo sfruttamento del lavoro irregolare non è stata recepita nell’ultima legge comunitaria nonostante le reiterate richieste in tal senso da parte del gruppo PD sia in Commissione che in Aula. E nonostante la stessa direttiva UE “Rimpatri” (2008/115 EC), di per sé già molto restrittiva, è stata recepita in Italia unicamente per la parte relativa alla possibilità di allungare i tempi di permanenza nei CIE, mentre è stata del tutto disattesa – e non recepita – tutta la parte restante, basata sull’idea dei rimpatri volontari, che potrebbe costituire una nuova base per collegare – finalmente – politiche dell’immigrazione e politiche della cooperazione allo sviluppo;

le condizioni sociali e di vita delle persone sono parte integrante della legalità e della sicurezza, pertanto l’integrazione e l’inclusione sociale delle persone immigrate sono un dovere di ciascuna comunità da realizzare attraverso una collaborazione costante tra i diversi livelli istituzionali ed il dialogo sociale;

la realtà dell’immigrazione del nostro paese è un fatto positivo, strutturale e duraturo e se correttamente gestita può corrispondere alle necessità della nostra economia, delle nostre famiglie, del nostro welfare. Se le porte fossero chiuse all’immigrazione, la popolazione giovane in età attiva, tra i 20 e i 40 anni, scenderebbe, tra il 2010 e il 2030, da 15,4 a 11,3 milioni: una diminuzione di oltre 4 milioni, 200.000 unità in meno per ogni anno;
nei nostri territori sta sempre più crescendo un’Italia della civile convivenza. Ne sono protagonisti gli Enti locali, le associazioni di volontariato, la Chiesa, i sindacati, gli imprenditori e le forze economiche e sociali, gli insegnanti, le famiglie. Questa Italia della civile convivenza deve essere conosciuta, valorizzata e sostenuta nel suo impegno dalle istituzioni. L’esempio dei successi dell’integrazione può combattere la paura e creare legami positivi tra italiani e immigrati;
l’integrazione è dunque un’interazione tra persone di culture diverse che hanno l’obbligo di rispettare i valori e le regole del paese ospitante ma, hanno anche il dovere di arricchirli attraverso la conoscenza reciproca e lo scambio umano e culturale. Nel Patto Europeo per l’immigrazione, la Commissione invita gli stati membri a “porre in essere una politica d’integrazione armoniosa, favorendo la partecipazione dell’immigrato alla sfera civica, al mondo del lavoro, all’istruzione, al dialogo interculturale cercando di eliminare ogni diversità di trattamento che risulti discriminatorio per il cittadino terzo”;
al 1 gennaio 2008 i residenti stranieri nati in Italia, la cosiddetta “seconda generazione” sono circa 457.000, e i minori stranieri in Italia rappresentano circa il 22% degli stranieri residenti;

sono loro a mostrarci la possibile soluzione per una civile convivenza tra le molteplici culture; sono loro a mostrare una convergenza di abitudini, di costumi con i coetanei italiani, una voglia di integrazione con gli italiani  e un’apertura mentale che si scontra con la chiusura della nostra società, della nostra legislazione e, se vogliamo una vera integrazione, non possiamo certo trattarli come figli di un diritto minore;

il Patto Europeo per l’immigrazione del giugno 2008, sottoscritto anche dal Governo italiano propone una gestione dell’immigrazione incentrata attorno agli obiettivi della prosperità, della sicurezza e della solidarietà. ”Le migrazioni internazionali possono rappresentare un’opportunità, costituendo un fattore di scambio culturale, umano, sociale ed economico. Il potenziale dell’immigrazione può essere considerato maggiormente positivo soltanto con un’integrazione riuscita nelle società dei paesi ospitanti:”

impegna il Governo:
ad adottare tutte le misure per combattere ogni forma di sfruttamento del lavoro attraverso una rigorosa applicazione della normativa vigente, in modo particolare l’articolo 18 del decreto legislativo 286/98 che prevede un permesso di soggiorno per le persone che denunciano i propri sfruttatori; prevedendo anche l’introduzione nel nostro ordinamento del reato per grave sfruttamento del lavoro, un’autonoma fattispecie incriminatrice del caporalato, aggravata quando interessa minori o migranti clandestini;
ad applicare la direttiva europea del 18 giugno 2009 che impegna gli stati membri dell’unione europea a sanzioni e provvedimenti nei confronti dei datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi  il cui soggiorno è irregolare;
ad attivare tutti gli strumenti per consentire una emersione del lavoro irregolare, con particolare attenzione al comparto agricolo, attivando in modo continuativo i sistema dei controlli e promuovendo una regolarizzazione per i lavoratori agricoli stranieri da anni presenti sul nostro territorio che  non abbiano commesso reati;
a prosciugare il lavoro nero e sommerso attivando canali alternativi come la regolarizzazione ad personam per coloro che contribuiscono alla individuazione di fattispecie criminose legate alla immigrazione, per coloro che compiono atti di rilevanza sociale ed umanitaria, per coloro che sono dimoranti nel nostro paese da molti anni e che abbiano dimostrato una buona integrazione;
a ridurre i tempi per il rinnovo del permesso di soggiorno, a prolungare la durata del medesimo in particolar modo in caso di perdita del lavoro ed a estendendere ai lavoratori immigrati gli ammortizzatori sociali previsti per i lavoratori italiani;
a presentare il Documento triennale sulle politiche migratorie previsto dall’art 3 del decreto legislativo 286/98 nonché a semplificare il sistema delle quote passando dal decreto annuale, elaborato dal governo con vincolo amministrativo e contenente una indicazione rigida, ad un documento poliennale elaborato da una agenzia tecnica che contenga la stima di persone immigrate ed i loro profili professionali necessarie al nostro sistema economico e sociale;
a incentivare e a semplificare l’applicazione dell’art.23 del decreto legislativo 296/98 relativamente alla formazione di personale all’estero da parte delle aziende e a introdurre lo strumento dello sponsor per la ricerca di lavoro attribuito a soggetti collettivi come i sindacati, associazioni di imprenditori e istituzioni pubbliche;
a promuovere con le Regioni, gli Enti locali, le forze economiche e sociali, il volontariato e l’associazionismo, un Piano nazionale per le politiche di integrazione e di civile convivenza tra italiani e immigrati avendo come obiettivo quello di definire una “governance” stabile, basata sul metodo della concertazione tra soggetti istituzionali e con le parti sociali, attraverso il dialogo sociale, formulando gli obiettivi di inclusione sociale, di crescita interculturale e valutandone costantemente i risultati;
ad inserire il Piano nazionale nella politica europea che definisce l’integrazione “la chiave” del successo dell’immigrazione, un processo “a doppio senso” che deve vedere protagoniste le società ospitanti ma anche gli immigrati in un percorso di adattamento reciproco fra le due società.
a promuovere nel Piano nazionale per le politiche di integrazione e di convivenza i  valori costituzionali della dignità della persona, dell’eguaglianza di rispetto, delle pari opportunità, della non discriminazione, gli obiettivi della legalità e della sicurezza, dell’investimento nella scuola per tutti, della promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, della salute e del contrasto delle malattie della povertà e delle diseguaglianze nella salute, del senso civico,della partecipazione sociale e politica; del incontro e del reciproco riconoscimento tra italiani ed immigrati;
a riconoscere nel Piano nazionale alcune azioni prioritarie: contrasto del degrado urbano, del disagio abitativo, dell’estensione della educazione e della formazione interculturale, del sostegno ai bambini e alle famiglie per l’apprendimento della lingua e della cultura italiana anche da parte degli adulti, l’accesso ai servizi sociali e sanitari, con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili, lo sviluppo dalla figura dei mediatori culturali anche attraverso l’istituzione di un albo nazionale dei mediatori culturali e delle associazioni di mediazione culturale, l’inserimento di tempi certi per il rinnovo dei permessi di soggiorno;
a inserire nel Piano nazionale criteri e direttive per risolvere il problema delle carceri, per potenziare i servizi e sostenere le associazioni e le attività impegnate nella lotta contro la tratta degli esseri umani, nonché  per il sostegno all’associazionismo degli immigrati che promuovono attività sociali e di integrazione nonché linee guida per l’estensione ai giovani stranieri del servizio civile volontario;
a prevedere il finanziamento del Piano nazionale attraverso risorse certe e sufficienti inserite un Fondo nazionale finanziato dallo stato,dalle regioni e dagli enti locali.

Immigrati: una legge per il servizio civile

22 Dicembre, 2009 (16:38) | Documenti | Da: Livia Turco

Livia Turco (presidente del Forum immigrazione e politiche sociali del Partito Democratico) ha presentato il 15 dicembre scorso una proposta di legge di 4 articoli su “Norme per la promozione della partecipazione dei giovani immigrati al servizio civile nazionale”. Nella proposta si apre la possibilità  del servizio civile, tramite progetti proposti dai comuni, ai giovani immigrati dai 18 ai 25 anni «che non possiedono la cittadinanza italiana e che sono residenti o domiciliati» in un comune. Il compenso sarebbe lo stesso previsto per il servizio civile attuale (433,80 euro) e l’esperienza costituirebbe «un credito per favorire l’acquisizione della cittadinanza italiana». Per iniziare è previsto uno stanziamento per il 2010 di 20milioni di euro.

scarica e leggi il testo

testo ddl servizio civile immigrati

Biotestamento: le ragioni e le proposte del PD

24 Novembre, 2009 (13:08) | Documenti | Da: Livia Turco

Di seguito il testo della relazione di Livia Turco, svolta il 10 novembre scorso davanti al direttivo PD, sulla legge per il testamento biologico che riassume il lavoro fatto fino qui e le proposte dei Democratici. La legge va in commissione giovedì prossimo per le votazioni sugli emendamenti.

Il lavoro dei parlamentari PD nella Commissione Affari sociali, nell’avvio del suo lavoro, ha assunto come punto di riferimento i 15 punti della Commissione Sereni che erano stati il frutto dell’approfondito e ampio dibattito svoltosi nei gruppi di Camera e Senato, nonché sugli emendamenti presentati al Senato.
Ringrazio i colleghi e le colleghe della Commissione Affari sociali per aver consentito un confronto schietto, chiaro, approfondito e aver contribuito con i loro interventi nel dibattito generale svoltosi in Commissione a dare un profilo alto alla discussione. Ringrazio altresì gli altri colleghi e colleghe che, sempre in sede di discussione generale, hanno arricchito il contributo del Gruppo del PD.

Noi abbiamo sollecitato la maggioranza e il relatore Di Virgilio a costruire alla Camera un “nuovo inizio” della discussione e a costruire una legge “condivisa”. Dopo cenni di apertura e di disponibilità al dialogo manifestati dal relatore la maggioranza, trascorsi tre mesi di dibattito e audizioni, ha scelto, di adottare come testo base, il testo Calabrò. Per questo, con voto contrario unanime, abbiamo sottolineato la gravità di aver scelto di proseguire sulla via dello scontro.
Sono stati annunciati dal relatore emendamenti al testo Calabrò, ma, è del tutto imprevedibile, la situazione che si potrà determinare, visto che, il dibattito generale ha visto una sostanziale compattezza attorno al testo del Senato. (tranne l’intervento dell’on. Della Vedova).
Voglio qui ribadire le ragioni della nostra contrarietà al testo Calabrò.
Esso contiene una visione antropologica pessimistica dell’uomo, una mancanza di fiducia nella persona e nella società perché rappresenta il problema umano e sociale rilevante a cui far fronte in una diffusa domanda di eutanasia. Sappiamo che non è così. Le persone e la società esprimono oggi una domanda di “presa in carico”, di vicinanza, di lotta alla solitudine e al dolore. Insomma, una domanda di eguale rispetto della vita umana, della sua dignità e della sua qualità.

Quella legge, inoltre, contiene una prevaricazione della norma sulla coscienza delle persone e sulla scienza e competenza medica. Una prevaricazione che nega il principio della “pietas” oltre che il dettato costituzionale dell’autonomia e della responsabilità del medico.
Si basa su presupposti che non sono confermati dalla medicina, come nel caso dell’idratazione e nutrizione.
Esalta il ruolo del medico ma non ascolta ciò che i medici dicono.
Mortifica la volontà del paziente definendo le Dichiarazioni anticipate di trattamento come puramente orientative.

Abbiamo lavorato in questi mesi per elaborare gli emendamenti al testo Calabrò. Lo abbiamo fatto in modo condiviso attraverso una discussione trasparente e leale che ci ha consentito di costruire sintesi condivise.
La domanda che ci siamo posti e da cui partire è: “Cosa è successo nel Paese dopo l’approvazione del testo Calabrò ?” Perché dobbiamo costruire una legge che sia dalla parte delle persone e del Paese.

Dopo l’approvazione del testo Calabrò, si è determinata una vera e propria rivolta dei Medici, si è levata la loro pressante richiesta di rimuovere lo scandalo contenuto nella proposta di legge approvata al Senato e, non sempre così presente, nel dibattito politico. Mi riferisco all’articolo 3 in cui la proibizione della sospensione della nutrizione ed idratazione riguarda “un eventuale futura perdita della capacità di intendere e di volere” e dunque, tutti gli stati di incoscienza, imponendo di fatto, per legge, l’accanimento terapeutico
Quali sono gli stati di incoscienza?
Stati vegetativi: 1800/2000 persone.
Malati terminali 250 mila di cui 160 mila oncologici e 90 mila con altre patologie .
Malati in terapia intensiva: 150.000 di cui 80.000 incapaci; malattie degenerative come Alzaimer.
Secondo l’articolo 3 del testo approvato al Senato a tutti questi malati, in tutte queste situazioni dovrebbe essere impedita la sospensione dell’idratazione e della nutrizione. Per avere cognizione della portata di questo articolo cito la presa di posizione della Società delle cure palliative, i medici che curano i malati terminali.
“Proprio per questo noi, operatori di cure palliative, che ogni giorno ci troviamo di fronte alle situazioni di confine tra la vita e la morte, con l’obiettivo di accompagnare fino al termine della loro esistenza le persone colpite da una malattia cronica in fase terminale e, la “missione” di non farle soffrire, sentiamo il dovere di mettere in luce che, se dovesse essere approvata una legge che esplicitamente ed indiscriminatamente impone l’idratazione e l’alimentazione per tutti i pazienti, ci troveremmo di fronte a tale obbligo anche per coloro che vivono una fase di inevitabile e prossima terminalità, per le quali non si tratta di non iniziare o sospendere una terapia ma di accompagnarle a una fine dignitosa con tutte le conoscenze e gli strumenti che la medicina oggi ci offre” …… “Per non andare contro questa possibile legge cosa dovremmo fare allora? Dovremmo mettere in atto un trattamento clinicamente inappropriato aumentando la probabilità di un peggioramento di quei sintomi, di quelle sofferenze, che noi stessi siamo chiamati a curare? Questo disegno di legge, è evidente, ci imporrebbe, in ambito palliativo, di attuare delle pratiche contrarie al bene dei pazienti”.

La prima scelta che credo dobbiamo assumerci è quella di non demandare agli emendamenti dell’UDC e di Fini è, proporre noi, un emendamento di riduzione del danno che rimuova lo scandalo della Calabrò e che affermi la possibilità di sospendere la nutrizione artificiale, quando la persona è nella fase terminale della sua vita e quando queste forme di sostegno vitale mutano la loro funzione e non sono più in grado di alleviare le sofferenze del paziente configurandosi come interventi futili e sproporzionati. La valutazione di quando si determinano tali circostanze è demandata al medico curante secondo scienza e coscienza, coinvolgendo i familiari, attraverso una completa informazione, chiamati a tutelare, in una compiuta alleanza terapeutica, il miglior interesse della persona incapace.
Dopo l’approvazione del testo al Senato si è aperto nel Paese un dibattito importante che noi dobbiamo ascoltare e che si è concentrato sulla necessità di adottare un “diritto mite”, una norma che sia giusta perché capace di sollecitare l’assunzione di responsabilità da parte della persona, della famiglia e dei professionisti e, contemporaneamente dia rilievo alla relazione di fiducia tra paziente, medico e famiglia. Segnalo in modo particolare l’importanza del Convegno dei medici promosso dalle Federazioni degli Ordini e delle società scientifiche che costituisce un punto di svolta nell’assunzione di responsabilità pubblica dei medici. Da quel convegno sono scaturite indicazioni importanti sul piano medico-clinico e su quello etico-culturale. Consentitemi di portare nella nostra discussione alcune annotazioni tecniche essenziali per compiere valutazioni politiche corrette e scelte legislative appropriate.
Bisogna parlare di nutrizione artificiale che comprende anche l’idratazione, e non di alimentazione. Nutrizione artificiale e alimentazione non sono la stessa cosa, non sono sinonimi. La nutrizione artificiale è una forma di sostegno vitale assicurata da competenze medico – sanitarie secondo la deontologia medica e le evidenze basate sulle prove di efficacia. Nutrizione non è alimentazione perché ciò a cui ci si riferisce è l’utilizzo di nutrienti e non di alimenti che vengono preparati con procedure farmaceutiche e vengono somministrati per via artificiale, parenterale o enterale, cioè senza ricorrere al normale processo di deglutizione. La nutrizione artificiale per essere praticata richiede il consenso informato del paziente, la collaborazione del farmacista, il regolare controllo e monitoraggio del medico specialista. Tale definizione esclude quei pazienti che pur in stato vegetativo conservano anche per molti anni il riflesso della deglutizione e ciò rende, seppur laboriosa, la nutrizione per via normale.

Stato vegetativo
La condizione di stato vegetativo resta gravato da un tasso di errore diagnostico molto elevato e dall’incertezza della prognosi sulla sua evoluzione.
Non si usa più l’espressione stato vegetativo persistente ma stato vegetativo da 3 anni, 5 anni, perché non si è in grado di definire cosa è persistente.
La scienza non è in grado di assicurare che uno stato vegetativo, comunque diagnosticato, si possa considerare una condizione irreversibile.
La definizione di stato vegetativo non è, in alcun modo, definitiva ma solo probabilistica riducendosi in modo progressivo la possibilità di risveglio con il passare del tempo. Ma è in grado di certificare che, con il protrarsi negli anni, di questa condizione, la corteccia cerebrale tende a diradarsi e a sparire. L’opinione prevalente degli specialisti, sulla base dell’evidenza, è che sia altamente improbabile il risveglio e la restituzione alle funzioni cognitive quando si superi un certo numero di anni nella condizione di stato vegetativo. Tuttavia questa possibilità non può essere esclusa.
Le osservazioni hanno messo in risalto:
- Negli stati vegetativi, soprattutto dopo il trascorrere degli anni, si sviluppano patologie non riscontrabili nelle popolazioni sane;
- Subentrano complicanze;
- Quando la persona è prossima alla terminalità l’organismo diventa incapace di assimilare le sostanze fornite o si determina una intolleranza clinicamente rilevabile collegata all’alimentazione. Dunque, è problematico, sul piano clinico, ed è questo un punto condiviso in ambito medico, prevedere la tassativa esclusione della possibilità di interruzione dei trattamenti di nutrizione artificiale così come previsto dalla Calabrò anche per gli stati vegetativi. Questo è un punto condiviso nella Commissione Affari Sociali.

I medici, nel convegno di Terni, hanno affermato: “nelle specifiche condizioni oggi inquadrate come stati vegetativi, la comunità scientifica deve consolidare le evidenze relativamente agli aspetti preventivi, diagnostici e terapeutici, attraverso l’elaborazione di specifiche linee guida, la valutazione degli esiti dei trattamenti riabilitativi, di nutrizione artificiale e di altri eventuali trattamenti di supporto vitale, di prevenzione e gestione delle complicanze (infezioni, embolie, trombosi) anche al fine di costruire un apposito Registro Osservazionale”.
“In presenza di dichiarazioni certificate si ritiene opportuno che nelle particolari situazioni cliniche inquadrate come stati vegetativi, le condizioni di irreversibilità del danno neurologico vanno indagate, validate e certificate secondo le migliori evidenze scientifiche disponibili da trasferire in analitici e rigorosi protocolli diagnostici e prognostici unici a livello nazionale” Credo che queste indicazioni possano orientare i nostri emendamenti.

L’incertezza della prognosi sullo stato vegetativo spiega il duplice atteggiamento dei Medici che li vede da un lato affermare che i trattamenti di nutrizione e idratazione vanno sempre garantiti e dall’altro avvertono la necessità che subentri la valutazione del paziente sulla capacità di vivere la sua condizione di malattia e sofferenza, per metterli nella condizione di garantire una cura efficace. Di fronte all’incertezza, a ciò che è solo probabile nell’evoluzione della malattia, sia dal punto di vista etico che da quello clinico, il dovere di garantire i trattamenti deve coniugarsi con il dovere di ascoltare il peso della sofferenza per le persone malate la cui tollerabilità può essere definita solo dalla persona medesima in qualunque contesto di malattia e in qualunque tipo di patologia.
Il giudizio unanime dei medici sull’impossibilità di definire una prognosi certa circa l’evoluzione dello stato vegetativo e di definire la condizione d’irreversibilità ci obbliga ad aggiornare la nostra elaborazione.
Il punto di equilibrio, il bilanciamento di valori tra tutela della vita e scelta della persona, noi lo avevamo individuato nella formulazione per cui nutrizione e idratazione sono sempre garantite al paziente, ad eccezione del caso in cui la loro sospensione sia espressamente oggetto delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Idratazione e alimentazione possono essere sospesi nel caso in cui lo stato vegetativo sia assimilabile al fine vita così come identificato in base ai criteri clinici e strumentali stabiliti da una commissione speciale per lo studio, la definizione e la classificazione dello stato neurovegetativo. Il ministro della salute con decreto, sentito il parere del Consiglio Superiore della Sanità istituisce una commissione speciale per il compito prima indicato.
Non credo possiamo confermare questa soluzione. La sua evoluzione è resa necessaria dal fatto che l’opinione del Mondo Medico non ritiene praticabile la strada di una definizione definitiva e standardizzata dello Stato Vegetativo. Dove trovare dunque il bilanciamento di valori e come far vivere il principio di precauzione?
Ciò che dovremmo porre al centro della nostra visione e far diventare il cuore della nostra legge è proprio la relazione di fiducia tra medico, paziente, familiari, che valuta in ogni peculiare situazione e per ciascuna singola e irripetibile persona, secondo, il principio del rispetto della sua salute, della sua vita e del valore supremo della sua dignità. Per usare un’espressione del teologo Bruno Forte “il connubio tra il sacrario della coscienza e la rete di comunione è ciò che vorremmo promosso e rispettato il più possibile in una legislazione sul fine vita”.
Relazione di fiducia e non solo di cura.
La fiducia implica che oltre a curare il medico si prende cura, ascolta le competenze del paziente, non guarda solo alla sua malattia ma alla sua biografia e al suo contesto di vita, alle persone che sono accanto al paziente.
La relazione di fiducia tra paziente, medici, fiduciario, familiglia è la modalità di cura più ambiziosa e difficile ma l’unica efficace; è “ambito etico” perché in essa il fluire della vita dimostra che vita ed autodeterminazione intesa come libertà per fare ciò che è bene non sono tra loro in contrapposizione perché non c’è l’una senza l’altra.
L’autonomia e la volontà del paziente non sono un io solipsistico e un’astratta signoria della mente. L’autonomia e la scelta si esercitano nel contesto delle relazioni umane, della comunità di affetti in cui ciascuno misura la sua dipendenza dall’altro.
Nella relazione di fiducia sono su un piano di dignità, nella distinzione dei ruoli, il medico e il paziente.
L’autonomia e la responsabilità del medico è il motore dell’alleanza terapeutica e della relazione di fiducia ed essa implica e ingloba il rispetto della volontà del paziente.
L’autonomia e la responsabilità del medico, la sua funzione di garanzia e tutela della salute del paziente, all’interno delle DAT è ciò che consente di declinare le medesime dal passato al presente, dall’ipotesi al fatto, dall’ignoto alle migliori evidenze disponibili, per accompagnare ognuno nella sua storia di vita, unica ed irripetibile. Attraverso la relazione di fiducia si può forse cercare di superare la contrapposizione, tra il perseguimento del bene del paziente, oggettivamente inteso e, la sua autonomia. Nella misura in cui la malattia stessa è causa di una compressione della sfera dell’autonomia del malato, allora la medicina, nella sua finalizzazione alla cura della malattia, contribuisce a promuovere l’autonomia del paziente. La tutela dell’autonomia si presenta, in questo senso, quale fine intrinseco della pratica medica e non soltanto quale argomento da contrapporre all’invadenza della medicina moderna. L’autonomia non va ridotta alla sola eccezione negativa della “non interferenza” ma va intesa anche positivamente, sia come fonte del dovere del medico d’informare il paziente e verificare, in un vero e proprio processo di comunicazione, l’effettiva comprensione dell’informazione data; sia come capacità dello stesso medico di ascolto e di comprensione delle richieste del paziente, capacità necessaria per compiere le scelte terapeutiche più opportune e rispettose della persona nella sua interezza. Ciò significa che bisogna superare ogni concezione meramente formalistica o difensivistica del consenso informato.
D’altra parte anche l’implementazione del diritto alla rinuncia consapevole delle cure può esplicare riflessi positivi sul piano della relazione paziente-curante alimentando la fiducia. Se il paziente può confidare che la propria volontà (da accertarsi in concreto con le dovute cautele e garanzie) verrà accolta e rispettata, l’elemento fiduciario alla base dell’alleanza terapeutica ne verrà rinsaldato. Inoltre, proprio la possibilità di richiedere l’interruzione di trattamenti può favorire l’adesione del paziente all’avvio degli stessi che prevedono la dipendenza da macchinari e sono surrogatori di funzioni vitali; trattamenti che potrebbero essere a priori rifiutati proprio per il timore di una perdita definitiva della propria possibilità di autodeterminazione. Queste non sono considerazioni personali ma argomenti che ho trovato molto convincenti contenuti nel documento della Commissione Nazionale di Bioetica sul tema “Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione medico-paziente” del 28 ottobre 2008, e illustrata nella sua audizione al Senato dal Prof. Casavola.
E’ alla relazione di cura e fiducia tra paziente/medico, fiduciario e familiari, ed è nella valutazione caso per caso, della singola ed irripetibile persona che deve essere affidata la scelta, ogni scelta.
La legge, dunque, deve promuovere, sostenere e valorizzare la relazione di cura e di fiducia tra paziente, medico, fiduciario e comunità di affetti.
Ne deriva una conseguenza sui caratteri della DAT che non può essere né orientativa né vincolante ma “impegnativa”.
Ciò in coerenza con la centralità della comunicazione che si sviluppa tra i diversi componenti della relazione di cura e fiducia.
In coerenza poi con il codice di deontologia medico, con l’art. 9 della Convenzione di Oviedo, che recita “i desideri precedentemente espressi saranno tenuti in conto” con il parere del Comitato Nazionale di Bioetica del 2003.
I desideri indicano un “progetto di vita e di coerenza” in ordine ad aspetti che il soggetto ritiene essenziali. D’altra parte le dichiarazioni anticipate vanno contestualizzate sotto il profilo tecnico-professionale non allo scopo di eludere la volontà del paziente ma al fine di verificare la sussistenza o meno delle condizioni cliniche e delle valutazioni tecniche che le hanno informate”. E, per utilizzare a vantaggio della salute delle persone le nuove opportunità che la scienza e la tecnica offre.
Il valore impegnativo delle DAT è una soluzione che da un lato offre al cittadino ragionevoli garanzie di rispetto della sua volontà e dall’altro non solo non mortifica ma esalta l’autonomia professionale del medico che comunque deve essere chiamato a valutare l’attualità dei desideri del paziente ed a comportarsi di conseguenza sulla base delle sue autonome valutazioni.
Dove trovare dunque un bilanciamento di valori tra tutela della vita e scelta della persona e come far vivere il principio di precauzione rispetto alla sospensione di alimentazione ed idratazione?
- Garantire che i trattamenti di nutrizione e idratazione siano sempre assicurati al paziente assumendo come punto di riferimento ciò che è condiviso nell’ambito clinico.
- Consentire che la nutrizione e l’idratazione siano indicate nelle DAT.
- Promuovere, sostenere e valorizzare la relazione di fiducia tra medico e paziente e fiduciario che valuta con il collegio medico caso per caso la situazione della persona ed il suo stato di gravità e valuta quando i trattamenti diventano futili e sproporzionati.
La relazione di fiducia tra paziente, medici, fiduciario, familiari è la modalità di cura più ambiziosa e difficile ma l’unica efficace; è “ambito etico” perché in essa il fluire della vita dimostra che vita ed autodeterminazione intesa come libertà per fare ciò che è bene non sono tra loro in contrapposizione perché non c’è l’una senza l’altra.

 Livia Turco