Il Blog di Livia Turco

www.liviaturco.it



100 ANNI DI 8 MARZO

9 Marzo, 2008 (16:14) | Dichiarazioni | Da: cesare fassari

Diritto alla vita, aborto come omicidio perfetto. Parole tonde, altisonanti, chiuse. Che predicano e non chiedono confronto. Che sono e suonano così distanti dalla fragilità della condizione umana.

di Livia Turco

Pubblicata su La Repubblica delle Donne dell’ 8/03/08Perché la vita, quella vera, non è mai compatta, ma è l’intreccio sfrangiato dei suoi successi e dei suoi fallimenti, di impegni e sofferenze, di valori e contraddizioni. Eppure sarebbe importante una parola di uomo, una parola non estranea, che di fronte alla donna che sceglie di interrompere una gravidanza fosse capace di trovare la giusta misura e il giusto posto. Una parola che non dia generica solidarietà, ma che guardi al proprio scacco e nomini la propria responsabilità. Aiuterebbe a creare quella democrazia del due di cui parla Luce lrigaray.E invece. Colpisce questo rumore di fondo, la fatica di accettare la libertà delle donne, la loro autonomia. Ha molte facce questa incapacità: c’è chi mantiene il pregiudizio patriarcale e misogino che ci vuole soggetto minore, altri inchiodano le donne nello stereotipo più vieto che banalizza la sessualità e rende superflua la relazione. Ecco una delle parole incomprese e che invece devono stare dentro un nuovo alfabeto etico: come si fa a parlare di vita, di nascita, senza interrogarsi sul complesso mistero della relazione tra un uomo e una donna e, ancor più, tra una madre e un figlio? No, non basta che i fautori della campagna pro life dicano che non vogliono toccare la 194, quella legge lungimirante e saggia che riconosce responsabilità alle donne e competenza ai medici. Allo strabordante monologo maschile che sostiene che le donne abortiscono con leggerezza rispondo che, laddove non c’è la proibizione della legge o del padre, resti tu, il tuo conflitto e la responsabilità che ti assumi. E che questo è esercizio di un principio morale. Di più. La libertà di scelta delle donne ha prodotto relazioni più umane e consapevoli tra le persone, ha reso più confortevoli le nostre vite, ha riscaldato e reso dinamica la società in cui viviamo. Per non essere sulla difensiva dobbiamo vedere e interrogare questa competenza. Non si tratta soltanto di rivendicare diritti, ma dobbiamo, donne e uomini, essere capaci di costruire progetto e cittadinanza sul riconoscimento dei legami reciproci e sulla capacità di prendersene cura. C’è bisogno di una politica materna, di una società materna: è il rovesciamento della mistica dalla maternità, è l’idea che la relazione e la cura degli altri - dei bambini, dei vecchi? - non sono responsabilità e destino privato e che non c’è specificità femminile nel pensare gli asili nido o richiedere i congedi parentali. C’è un cambiamento maschile che andrebbe interpellato e reso evidente, c’è una presenza delle donne sulla scena pubblica che, soltanto così, troverà il suo agio. E poi c’è la relazione con i ragazzi, con i figli, con quei giovani maschi e quelle giovani donne per i quali conta molto ciò che, su tutto questo, sanno dire le madri e i padri. Le loro parole, per essere ascoltate, devono abitare lo stesso luogo, il luogo della fragilità della condizione umana.

Scrivi un commento

Dovete essere connessi per poter inserire un commento.