Il Blog di Livia Turco

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Il dovere di reagire

18 Luglio, 2018 (15:14) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

I corpi della donna e del bambino ritrovati di fronte alla costa della Libia mi urlano nel cuore dolore, rabbia, indignazione; mi urlano il dovere di reagire. Il dovere di chiedere a me stessa e alle altre donne di trovare le parole, i gesti, la forza per rompere le catene della paura entro cui la politica dei porti chiusi e dei confini spinati di Salvini e del suo governo ci vuole incarcerare.

Dobbiamo farlo prima di tutto noi donne perché conosciamo il valore del “bene comune” che la destra i e il governo vogliono distruggere: la convivenza possibile tra italiani e immigrati. Noi abbiamo scoperto e imparato anche attraverso duri conflitti che “insieme si può”: insieme si può vivere e convivere, si possono affrontare i problemi più difficili come quelli della violenza, del degrado nei quartieri, del lavoro che manca, dei figli lasciati soli, dei servizi troppo costosi, perché sono gli stessi problemi che vivono tante donne italiane e tante donne immigrate.

In questi anni di durissima crisi economica tante famiglie hanno retto perché c’è stata una inedita catena della solidarietà femminile: mamme, figlie, nonne, nipoti, bisnonne e pronipoti che si aiutano tra loro e che non hanno potuto fare a meno di loro: le nuove italiane, le immigrate e le rifugiate.

Da oltre trent’anni italiane e immigrate hanno imparato a vivere insieme condividendo i compiti di cura, la crescita dei figli, la cura degli anziani. Ma anche la a vita nelle scuole, nei quartieri, nella società e nelle istituzioni. Hanno scoperto che sono i gesti della vita quotidiana che costruiscono convivenza: aspettare i figli che escono da scuola, preparare un pranzo, organizzare una festa.

Nella vita quotidiana c’è anche la paura di essere violentate da un immigrato oppure da un italiano, magari quello stesso presso cui si presta il lavoro di cura; la paura che l’altra, l’immigrata veda riconosciuto il diritto alla casa popolare a tuo scapito oppure il posto all’asilo nido; la paura dovuta al fastidio per il modo diverso con cui vive la persona che ti sta accanto.

Le donne hanno imparato che la paura si rompe quando le persone si guardano in faccia, si parlano, entrano in gioco le relazioni umane. Le paure si rompono quando entra in gioco una buona politica che risolve i problemi concreti e sollecita le persone a conoscersi, a costruire una relazione umana e sociale. La paura si combatte con la politica operosa e con la forza delle relazioni umane e sociali.

Nella relazione con l’altro si viene a contatto con la sua umanità, si scopre il suo volto, si guardano i suoi occhi e così cadono le maschere del pregiudizio. Scattano quei sentimenti che parlano un linguaggio universale come la solidarietà, il riconoscimento, l’amicizia. Conoscersi e riconoscersi, costruire relazioni umane sono il nutrimento ed il cuore della cittadinanza.

Le leggi e i diritti rischiano di ridursi a gusci vuoti se non sanno trasmettere il calore delle relazioni umane. Le donne che nel nostro paese sono l’anello forte della convivenza devono entrare in campo e proporre la pratica politica della cura delle relazioni umane, per rompere la paura, la globalizzazione della indifferenza e costruire la globalizzazione della dignità umana.

La cura delle relazioni per rendere vivibili le nostre città, per vivere insieme i beni comuni, per condividere le difficoltà, per avere il coraggio di prendere la parola in luogo pubblico, per costruire sicurezza e democrazia. Non c’è democrazia, non c’è sicurezza, non c’è libertà dalla paura senza la cura delle relazioni umane.

Con la cura delle relazioni umane si può sconfiggere nel cuore delle persone il messaggio brutale di chi gioca sulle divisioni, sulle contrapposizioni, Con la cura delle relazioni l’altro non è più l’estraneo o il nemico. Costruiamo una alleanza tra le donne italiane e le donne immigrate per dimostrare che insieme si può! Costruiamo azioni condivise per comuni obiettivi.

Un’Europa della pace e dello sviluppo. La dignità del lavoro. La scuola interculturale per tutti. Il Welfare delle sicurezze per tutti. La partecipazione politica a partire dai nostri quartieri e luoghi di lavoro. Abbiamo strumenti importanti coma la nostra Costituzione e la Carta Europea dei Diritti Umani Fondamentali.

Incontriamoci, discutiamo insieme, costruiamo in ogni città i tavoli della convivenza, luoghi inediti di partecipazione politica per affrontare insieme i problemi della vita quotidiana e il futuro del nostro paese e della nostra Europa. Per costruire insieme un altra politica dell’immigrazione rispetto alle scelte becere, disumane, inefficaci dei Porti Chiusi, dei confini spinati, del “tutti a casa loro”.

Volere bene agli italiani significa insegnare loro che per essere cittadini oggi bisogna imparare a essere cittadini del mondo. Volere bene agli italiani significa far scoprire il valore della eguaglianza di rispetto, della fratellanza, dello sguardo amichevole. L’unico modo per stare bene e sentirsi sicuri.

Livia Turco

Da Huffington Post

 

Migranti. I disastri di Salvini

15 Luglio, 2018 (07:41) | Dichiarazioni | Da: Redazione

“Fate sbarcare subito le persone che sono sulla nave nelle acque di Pozzallo. E’ in gioco la vita di centinaia di esseri umani, donne e bambini”. E’ l’appello dell’ex ministro Livia Turco che insieme a Giorgio Napolitano ha firmato la prima legge quadro sull’immigrazione.

“E’ giusto chiedere la solidarietà dell’Europa - dice Livia Turco - ma non giocando sulla pelle delle persone. La politica cinica e propagandistica di Salvini sta solo facendo disastri. Non mi rassegno e non mi adeguo - continua - ad una politica in cui la vita delle persone non conta nulla. Non si fa politica con i sondaggi ma con i valori della dignità umana e valutando l’efficacia delle politiche. Quella del governo sull’ immigrazione e’ una politica che porterà l’Italia in un vicolo cieco”. (ANSA).

Dov’è Soumalaya Sacho?

30 Giugno, 2018 (11:31) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Dov’è Soumalaya  Sacho? E’ tornato nel suo paese il Mail, accolto dall ‘affetto e dal dolore straziante  dei suoi famigliari. Dopo aver ricevuto nel nostro  Paese il saluto  degli sfruttati  come lui. Poche sono state le  dichiarazioni della politica. Quella Del Presidente della Camera.  Nessuna parola da parte di chi ci governa impegnato al contrario a spargere messaggi contro gli immigrarti e ad  irridere alle  loro condizioni di vita. Anche la sinistra è stata silente.

Solo gli sfruttati come lui hanno raccolto la sua eredità e ci hanno trasmesso parole  ricolme di dignità. Abourbakar  Soumahoro, l’amico sindacalista,  ha dato una scossa ai suoi concittadini , ha dato volto e voce alla loro rabbia, a loro che lavorano sotto un sole cocente per tutto il giorno da sole a sole, per due euro all’ora. Li abbiamo visti sfilare sabato scorso a  Roma , li vedremo a Reggio Calabria il 23 giugno prossimo. Una luce, una speranza in queste tenebre che avvolgono la nostra democrazia e la nostra convivenza. Soumalya  Sacho deve continuare a vivere in mezzo a noi.

Abbiamo bisogno  di vedere il  suo volto , noi italiani, per ritrovare noi stessi, la nostra dignità di popolo, la nostra etica pubblica di paese solidale, la nostra radice di popolo di emigranti.  Il volto di  Sacho per ricordarci quello  dei nostri connazionali morti a Marcinelle, quelli morti sui barconi che salpavano gli oceani per andare nelle Americhe.

Abbiamo bisogno del volto di Sacho in mezzo a noi, noi sinistra, per rimetterci in viaggio , per ritrovare l’orgoglio  dei nostri valori e delle tante battaglie compiute in passato. Come  quando  a Villa Literno in provincia di Caserta  nel 1989 fu assassinato  un senegalese sfruttato, con regolare permesso di soggiorno che raccoglieva pomodori e che aveva anche lui un grande senso della sua dignità ed un profondo rispetto per il Paese in cui viveva e che lo accoglieva:  Jerrj  Maslo.

La sua morte provocò una reazione forte . Ho negli occhi e nel cuore  quella oceanica manifestazione e la richiesta delle associazioni e dei sindacati, dei  partiti di sinistra  di costruire  finalmente una svolta sulla politica dell’immigrazione.

Un Ministro  intelligente, Claudio Martelli, raccolse quella intelligenza diffusa,  quel sentimento di lotta e di indignazione e diede vita ad alla prima legge attraverso una grande Conferenza sull’immigrazione.  Abbiamo bisogno che il volto di Sacho viva tra gli italiani , diventi famigliare agli italiani  per  sollecitarli a porsi delle domande , per ragionare pacatamente. Perché Sacho che aveva un regolare permesso di soggiorno viveva in condizioni così disumane e così sfruttate’? Perché nonostante una buona recente legge contro il caporalato non si riesce a sradicare questo male del nostro Paese?  Sacho non ci rubava il lavoro, faceva quello che gli italiani non vogliono fare, non ci rubava l’alloggio popolare , l’assistenza sociale. Era un lavoratore  senza diritti che si batteva per avere diritti.

Come capita a tanti italiani, soprattutto giovani. Siamo noi popolo di Sinistra che dobbiamo far vivere il volto di Sacho tra noi italiani. Per dire la verità, per infondere il coraggio e la curiosità  verso i  tanti  Sacho che vivono in mezzo a noi. Per sollecitare ciascuno di noi  a costruire un legame umano e sociale con le persone che ci  vivono accanto. Anche quando sono immigrati. Per scoprire l’umanità  dell’immigrato concreto ,  in carne ed ossa che vive  accanto a noi .

Per costruire insieme quartieri più vivibili, città più vivibili attraverso l’incontro, lo scambio umano e culturale, la festa. Mettiamo in gioco l’ umanità di ciascuno, ascoltiamo l’altro, ascoltiamo le storie di ciascuno, costruiamo insieme giustizia e umanità. Affrontiamo finalmente il grande assente dalle politiche pubbliche e dal  dibattito pubblico che è la costruzione della CONVIVENZA. Conoscersi, riconoscersi, superare le distanze, avere e praticare obiettivi comuni per rendere migliore la nostra comunità .Solo così si combatte la paura, solo così si supera la percezione dell’essere invasi e si coglie la fatica ma anche la bellezza di vivere percorsi di vita nuovi, inesplorati.

Come sanno bene tanti italiani che questa fatica e bellezza della convivenza l’hanno scoperta e la praticano da tanto tempo. Non esiste solo il risentimento e la paura. Esiste l’Italia della convivenza anche se è  inascoltata e nascosta. Tocca a noi ,sinistra ,chiamare a raccolta questa “Italia della convivenza”  ascoltare le loro esperienze e proposte per mettere in campo UN’ALTRA  politica dell’immigrazione.

Più umana, più efficace, capace realmente di combattere le paure. Abrogazione della Legge Bossi_Fini.  Lotta alla tratta degli esser i umani ed a tutte le forme di schiavitù .  Una  Politica Europea dell’immigrazione  che si doti di strumenti  istituzionali nuovi ed efficaci.

Livia Turco

Articolo pubblicato su il Manifesto

A rischio la vita di seicento persone

11 Giugno, 2018 (16:40) | Dichiarazioni | Da: Redazione

”Dopo tante chiacchiere vediamo finalmente il primo atto concreto del Governo del Cambiamento: mettere a rischio la vita di seicento persone donne e bambini”.

Lo dichiara Livia Turco, firmataria con l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano della prima legge quadro sull’immigrazione.

”Questo è un Governo disumano - aggiunge l’ex ministro della Solidarietà Sociale - che gioca con la vita delle persone”.”E il Presidente della Camera Fico, che fino a ieri ci faceva prediche di sinistra, ora - sottolinea Turco - tace su questa vergogna e la giustifica dicendo che sulla nave ci sono viveri e medicine. Il trionfo dell’ipocrisia”.

Secondo Livia Turco ”l’unica cosa seria che il Governo doveva fare non l’ha fatta: battersi per modificare il trattato di Dublino per ottenere l’equa ripartizione dei rifugiati tra i paese europei; e poi Corridoi umanitari e politiche di rimpatrio assistito”. Infine propone: ”Di fronte a questo scempio della nostra Costituzione che parla di inderogabile dovere di solidarietà la Sinistra, ma anche tutte persone perbene devono mobilitarsi facendo vedere che il popolo italiano crede nei valori della dignità umana”.(ANSA).

Donne e democrazia, un convegno che parte dalle ‘Costituenti’

8 Giugno, 2018 (10:33) | Dichiarazioni | Da: Redazione

A Roma l’8 giugno organizzato dalla Fondazione Nilde Iotti. A pochi giorni dalla Festa della Repubblica che ha celebrato l’anniversario della Costituzione italiana, e dalle recenti polemiche sulle garanzie costituzionali, la Fondazione Nilde Iotti organizza un convegno ‘Le donne e le nuove sfide della democrazia’, che si terrà a Roma l’8 giugno al Tempio di Adriano.

A interrogarsi e a dibattere su la crisi e i cambiamenti della democrazia in Europa e sulla partecipazione femminile in politica saranno docenti, sociologi, politici e giornalisti. I lavori del convegno saranno coordinati da Livia Turco, presidente della Fondazione Nilde Iotti che avrà anche il compito di presentare il libro ‘L’Italia delle donne. 70 anni di lotte e conquiste’ che parte dalla grande partecipazione delle donne al voto per le prime elezioni dell’Italia repubblicana e prosegue con il racconto del lavoro di quel gruppetto sparuto formato dalle ventuno costituenti, che, pur appartenendo a schieramenti politici diversi, seppe applicare un gioco di squadra su temi come l’uguaglianza, la famiglia, il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la parità salariale, l’accesso delle donne alle professioni. Il libro spiega come furono le ‘madri costituenti’ a costituzionalizzare i diritti, a porre la prima pietra di leggi fondamentali per la vita quotidiana della nazione e per la sua modernità.

Nel corso del convegno, il ruolo delle donne nei partiti politici sarà esaminato dalla politologa dell’Università di Bologna Sofia Ventura mentre delle nuove forme di partecipazione alla cosa pubblica parlerà Elena Pavan, docente della Normale di Pisa. Il tema della crisi di democrazia in Europa sarà affrontato da Paolo Ponzano docente di Diritto europeo all’Università di Firenze mentre delle pratiche di buona politica parlerà la presidente della Commissione nazionale Pari Opportunità dell’Anci Simona Lembi. Tra gli altri interventi quelli del giornalista del Corriere della Sera, Pierluigi Battista, e dell’ex ministro Rosa Russo Jervolino. (ANSA).

Il rispetto dello Stato di diritto nell’Unione Europea

30 Maggio, 2018 (12:26) | Articoli pubblicati | Da: admin

L’Unione europea si fonda sul rispetto di alcuni valori fondamentali, quali la democrazia, lo Stato di diritto e i diritti umani. In particolare, lo Stato di diritto implica il rispetto della separazione dei poteri e di conseguenza l’indipendenza della magistratura rispetto al potere esecutivo praticata in tutte le democrazie occidentali. Gli Stati membri dell’Unione si sono impegnati a rispettare e a promuovere tali valori fondamentali, che rappresentano anche una condicio sine qua non per l’adesione di nuovi Stati all’Unione europea. L’Unione europea non sarebbe credibile nell’esigere il rispetto di tali valori da parte di paesi candidati all’adesione, quali ad esempio la Turchia, se non fosse altrettanto esigente nel verificarne il rispetto da parte dei propri Stati membri. Peraltro, il rispetto dello Stato di diritto da parte degli Stati membri dell’Unione è vitale per il progresso dell’integrazione europea. Lo spazio giudiziario interconnesso dell’Unione europea è fondato infatti sul principio della fiducia reciproca e sul riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie, principio che sarebbe difficilmente salvaguardato se uno Stato membro non fosse più governato nel rispetto dello Stato di diritto. Nel suo discorso sullo stato dell’Unione il 13 Settembre scorso, il Presidente Juncker aveva ricordato che il mancato rispetto di una sentenza della Corte europea di Giustizia oppure la messa in causa dell’indipendenza della magistratura nazionale equivale a privare i cittadini dei loro diritti fondamentali. Lo Stato di diritto – aggiungeva Juncker – non è un’opzione ma un obbligo in seno all’Unione europea. Questa dichiarazione del Presidente della Commissione europea faceva seguito all’annuncio, da parte del governo ungherese, di non voler rispettare la sentenza della Corte europea di Giustizia sulla ripartizione dei rifugiati nonché al voto di una legge da parte del Parlamento polacco che avrebbe permesso la revoca ed il pensionamento d’ufficio dei giudici della Corte suprema polacca. I Trattati europei hanno previsto il caso in cui uno Stato membro dell’Unione violi i valori fondamentali dell’Unione europea. Se questo avvenisse, il Consiglio europeo deliberando all’unanimità (senza il voto dello Stato oggetto della procedura) potrebbe costatare - sulla base di una proposta della Commissione o di un terzo degli Stati membri - l’esistenza di una violazione grave e persistente dei valori fondamentali e decidere di sospendere alcuni diritti dello Stato in questione, fra i quali il diritto di voto in seno al Consiglio. Appare evidente come tale procedura sia di difficile applicazione, poiché nel caso in cui una violazione dei valori fondamentali fosse commessa da due Stati membri, il veto di un solo Stato membro sarebbe sufficiente per impedire l’applicazione di una sanzione nei confronti dell’altro Stato. Il progetto di Trattato Spinelli del 1984 aveva attribuito alla Corte europea di Giustizia la competenza di certificare la violazione dello Stato di diritto, proprio per evitare un giudizio politico unanime del Consiglio europeo. Anche per la difficoltà di applicare tale procedura, la Commissione europea ha lungamente esitato prima di avviare la procedura sanzionatoria prevista dal Trattato nei riguardi degli Stati che, come la Polonia e l’Ungheria, hanno adottato leggi che mettono in causa l’indipendenza della magistratura nei riguardi del potere esecutivo oppure la libertà di stampa. Quando tuttavia il governo ed il Parlamento polacco hanno avviato nel 2015 un processo di controllo o di eliminazione progressiva di ogni fonte potenziale di opposizione, violando la stessa Costituzione polacca, la Commissione europea ha indirizzato tre avvertimenti successivi, sotto forma di raccomandazioni, al governo polacco. In questi atti formali, la Commissione europea aveva chiesto inizialmente l’esecuzione integrale da parte delle autorità polacche delle decisioni del tribunale costituzionale polacco che il governo aveva rifiutato di pubblicare. Successivamente, la Commissione aveva chiesto alle autorità polacche di non nominare il nuovo Presidente del tribunale costituzionale secondo una procedura non prevista dalla Costituzione. In assenza di una qualunque risposta da parte del governo polacco, la Commissione, invece di avviare la procedura sanzionatoria prevista dal Trattato, ha indirizzato alla Polonia una terza raccomandazione in cui criticava l’adozione di nuove leggi che permettevano al governo di dimettere tutti i giudici della Corte suprema e di controllare l’intero sistema di nomina dei giudici. Secondo la Commissione, l’entrata in vigore delle nuove leggi avrebbe compromesso l’indipendenza della magistratura in Polonia. Il governo polacco non solo si è ben guardato dal dare seguito alle richieste della Commissione ma ha anche messo in dubbio la competenza della Commissione per controllare il rispetto dello Stato di diritto in uno Stato membro. In un comunicato pubblico, il governo polacco ha affermato che la Commissione avrebbe disatteso i principi di obiettività, di rispetto della sovranità e dell’identità nazionale e avrebbe commesso un’ingerenza negli affari interni della Polonia. Tuttavia il governo polacco si è ben guardato dall’adire la Corte europea di Giustizia per far valere l’incompetenza della Commissione europea. Tale ricorso sarebbe stato probabilmente giudicato infondato poiché, se la Commissione dispone della competenza di avviare la procedura prevista dal Trattato (art. 7 TUE) per sanzionare la violazione dei valori fondamentali dell’Unione, in che modo essa potrebbe motivare l’avvio della procedura se non avesse il potere di sorvegliare il rispetto degli stessi valori da parte di uno Stato membro ? Senza addentrarci in un’analisi giuridica, il rispetto dello Stato di diritto è una necessità funzionale, a vari titoli, dell’Unione europea. Da un lato, tale rispetto influisce sulla legittimità del processo decisionale dell’Unione dato il ruolo che spetta agli Stati membri in seno al Consiglio europeo ed al Consiglio dell’Unione. Dall’altro, lo spazio giuridico europeo è uno spazio transnazionale, dove gli atti pubblici di uno Stato membro sono suscettibili di produrre degli effetti giuridici in altri Stati membri (per esempio, decisioni dei tribunali nazionali di ricorrere alla Corte europea di Giustizia, mandato di arresto europeo, ecc…). Come già ricordato, la fiducia reciproca tra gli Stati membri sarebbe compromessa se gli standards democratici non fossero più rispettati in uno Stato membro. La Corte europea di Giustizia deve poter contare sull’indipendenza dei tribunali nazionali nel quadro della procedura di ricorso pregiudiziale prevista dai Trattati. Se analizziamo il problema dal punto di vista politico, dobbiamo riconoscere che gli Stati dell’Est europeo dispongono di un sistema democratico debole, sia perché hanno avuto prevalentemente nella loro storia regimi autoritari – quelli che lo storico ungherese Jeno Szucs riassumeva nella sua opera “Le tre Europe” sotto la definizione di “dispotismo orientale” - sia perché la loro democrazia recente è condizionata dal problema della sicurezza (verso la Russia) e dalla questione migratoria (vista come difesa della loro identità culturale e religiosa). Pertanto, in mancanza di una reale sicurezza garantita da un governo federale europeo, questi Stati pensano di risolvere il problema con l’accentramento del potere nazionale e la limitazione delle libertà fondamentali (come fecero molti Stati europei negli anni ‘20/’30 del secolo scorso). Questo spiega anche perché la Polonia e l’Ungheria fanno riferimento alla nozione di “identità nazionale” - garantita dall’art. 4 del Trattato di Lisbona – per opporsi a quella che essi considerano come un’ingerenza della Commissione europea nella valutazione delle loro riforme del sistema costituzionale.

Questa concezione della democrazia nazionale è stata contestata dal Presidente Macron nel suo recente discorso di Strasburgo al Parlamento europeo quando ha opposto l’autorità della democrazia alla democrazia autoritaria. Macron aveva già contestato l’inazione dell’Unione europea quando aveva affermato il 27 Aprile 2017 che non era possibile avere un’Europa “che discuta sui decimali dei bilanci di ogni paese dell’Unione e che decida di non fare nulla quando uno Stato membro si comporti come la Polonia o l’Ungheria su temi relativi ai rifugiati o ai valori fondamentali” della stessa Unione europea. Questa critica diretta del comportamento dei governi polacco e ungherese ha certamente incoraggiato la Commissione europea ad avviare la procedura sanzionatoria del Trattato nei confronti della Polonia per violazione dei valori fondamentali dell’Unione (come anche il Presidente Juncker ad annunciare nel suo discorso del Settembre scorso sullo stato dell’Unione che la Commissione prenderà un’iniziativa prima della fine del 2018 per assicurare il rispetto dello Stato di diritto in seno all’Unione). Un’iniziativa legislativa generale da parte della Commissione europea dovrebbe eliminare il sospetto che le Istituzioni europee concentrino la loro critica sul governo polacco poiché il partito al potere in Polonia è membro del gruppo dei conservatori in seno al Parlamento europeo (che sarà decimato alle prossime elezioni europee in seguito all’uscita dal PE dei conservatori britannici) mentre il partito al governo in Ungheria è membro del partito popolare europeo e contribuisce a rafforzare la maggioranza relativa di cui dispone il PPE. Allo stesso modo, la Commissione europea ha dimostrato la sua volontà di operare a favore del rispetto dei valori fondamentali dell’Unione da parte di tutti gli Stati membri quando ha proposto formalmente il 2 Maggio scorso di introdurre un meccanismo che permetta di proteggere il bilancio dell’Unione europea nel caso di violazioni generalizzate dello Stato di diritto in uno o più Stati membri. Tale meccanismo, se venisse approvato dal Consiglio al momento dell’adozione del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2020-2027, permetterebbe alla Commissione europea di sospendere o addirittura di annullare i pagamenti previsti dai Fondi europei agli Stati membri che non applicassero la regola dello Stato di diritto (salvo decisione contraria del Consiglio presa a maggioranza qualificata). Questa concezione alquanto mercantile dello Stato di diritto (è come se l’Unione dicesse ai suoi Stati membri : “dovete rispettare lo Stato di diritto ma nel caso doveste violarlo è sufficiente il pagamento di una sanzione pecuniaria”) permetterà comunque di aggirare la regola dell’unanimità necessaria per sanzionare la Polonia o l’Ungheria e penalizzerà finanziariamente gli Stati che vogliono continuare a violare i valori fondamentali dell’Unione. L’avvio parallelo da parte della Commissione europea della procedura sanzionatoria dell’art. 7 del Trattato di Lisbona ha già prodotto degli effetti indiretti che confermano l’interconnessione dei sistemi giuridici degli Stati membri e la necessità funzionale del ripristino dello Stato di diritto in tutti i paesi dell’Unione : 1) La decisione del Consiglio sul mandato d’arresto europeo prevede già che, nel caso di attivazione dell’art. 7 del Trattato, uno Stato membro possa rifiutare di riconoscere delle misure nazionali nel campo penale. Pertanto un giudice dell’Alta Corte irlandese ha rifiutato recentemente l’estradizione di un cittadino polacco dall’Irlanda verso la Polonia motivando tale decisione con l’argomento che i cambiamenti recenti della legislazione polacca hanno alterato il rispetto dello Stato di diritto e potrebbero compromettere un giudizio equo della persona di cui è stata richiesta l’estradizione; 2) le disposizioni europee in vigore prevedono che l’attivazione dell’art. 7 del Trattato faccia cadere la presunzione secondo cui il paese oggetto di una procedura sanzionatoria possa ancora essere considerato come un paese “sicuro” ai fini del riconoscimento del diritto di asilo. Detto altrimenti, il diritto di asilo potrebbe essere riconosciuto ad un cittadino polacco che ne facesse domanda e che potesse dimostrare di averne diritto. 3) La Corte europea di Giustizia ha reso recentemente una sentenza nella quale afferma che, nella misura in cui l’applicazione del diritto europeo ed il controllo giurisdizionale sono di competenza sia della Corte stessa che dei tribunali nazionali, il principio generale della protezione giurisdizionale effettiva, in quanto elemento essenziale dello Stato di diritto, è obbligatorio anche per gli Stati membri. Questo principio implica che il rispetto dell’obbligo di assicurare una protezione giurisdizionale effettiva include l’esigenza di rispettare l’indipendenza dei giudici nazionali. Pertanto la possibilità di avere accesso ad un tribunale “indipendente” è un’esigenza legata al diritto fondamentale dei cittadini europei di disporre di un “ricorso giudiziario effettivo”.

L’insieme di questi elementi e sentenze recenti conferma che il rispetto dello Stato di diritto e l’esistenza di una magistratura indipendente non solo fanno parte dei valori fondamentali dell’Unione europea ma costituiscono anche una necessità funzionale affinché sia preservata la fiducia reciproca tra gli Stati membri ed assicurato il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie nazionali.

Paolo Ponzano (Docente di governance europea al Collegio europeo di Parma).