Il Blog di Livia Turco

www.liviaturco.it



Le donne nella Rivoluzione d’Ottobre

6 Novembre, 2017 (13:21) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Nella Rivoluzione d’Ottobre  spiccano alcune personalità femminili che hanno inciso sulle scelte della Rivoluzione medesima e di quelle successive e che hanno avviato la lunga battaglia dell’emancipazione femminile in quella parte del mondo ottenendo risultati concreti .Si tratta  di Nadja KRUPSKAJA , Alexandra KOLLONTAJ e di Inessa  ARMAND. La biografia, il pensiero e l’azione di queste tre donne, molto diverse tra loro mettono  in risalto alcuni tratti comuni: figlie della borghesia russa si convertono alla causa della rivoluzione  passando attraverso la militanza nei gruppi che prepararono la rivoluzione medesima, si dedicano con intensità agli studi, fanno esperienza dell’esilio e  dell’emigrazione nei diversi paesi europei . Sono consigliere autorevoli dei loro leader   ed al contempo  danno prova di grande autonomia di pensiero e di vita. Ricoprono ruoli importanti negli organismi  dirigenti del partito. 

Si dedicano con  grande tenacia e passione alla causa dell’emancipazione femminile  costruendo  legami  forti con le donne della loro terra. Nadja  KRUPSKAJA nasce a Pietroburgo nel 1869 , in una famiglia nobile che si era  impoverita nel corso del  tempo, il padre era laureato in Legge  all’Accademia Militare ed aveva fatto parte del Comitato degli Ufficiali Russi in Polonia, una organizzazione democratica anti zarista che sostenne l’insurrezione polacca del 1863.Nadja imaprò da piccola in famiglia a simpatizzare per i rivoluzionari .  Si laurea in Pedagogia e si iscrive  ad un Circolo Socialdemocratico clandestino.

Si dedica all’insegnamento .Tra queste esperienze quella che lei indica come la più significativa è la scuola serale domenicale  di un quartiere di Pietroburgo  frequentato da 600 operai. “ La scuola domenicale offriva allora ottime possibilità per studiare esaurientemente la vita, le condizioni di lavoro, lo stato d’animo delle masse operaie”. Incontrò Lenin nel 1894 in una riunione clandestina a Pietroburgo  con il quale condivise la deportazione, l’esilio, l’emigrazione in diversi paesi europei, lo studio ed anche l’amore. Si sposarono e rimasero legati per tutta la vita nonostante  il cuore di Lenin sia stato attratto, come vedremo successivamente, dalla passione per un’altra donna. Nadja svolse accanto a Lenin il lavoro di segretaria del Comitato Centrale del partito .

Nel 1917 scrisse  e pubblicò un libro che ebbe una larga risonanza “ Istruzione  popolare  e  democrazia ”. La scuola, la formazione delle masse  popolari  fu  la sua missione.  Nella scuola ed attraverso la formazione  bisognava formare “ l’uomo nuovo “  proposto da  Carlo Marx.  L’attività formativa cominciava dai  bambini e dagli adolescenti .Per questo fu inventata l’Organizzazione dei Pionieri  che raggruppava  i bambini dai 9 ai 14 anni ed il Komsomol , l’Unione Comunista  Leninista della gioventù  pansovietica. Il progetto educativo puntava alla costruzione  di una “cultura generale politecnica”  che si proponeva di integrare il lavoro intellettuale ed il lavoro manuale produttivo. Bisognava superare la divisione tra teoria e prassi ,scienza, tecnica e cultura proposte dalla pedagogia nei paesi capitalistici  funzionale alla divisione in classi della società.

Nel 1937 il Piano Didattico fu modificato spostando il rapporto  a favore dello studio e dell’istruzione   non direttamente indirizzate  alla professionalizzazione   rendendo  così  più equilibrato l’impianto formativo. Sempre nel 1937  la KRUPSKAJA elabora  lo “ Statuto del Giardino d’infanzia” in cui  era prevista “la necessità, anche per l’attività prescolastica,  dell’educazione sociale perché il gioco e tutte le altre attività sviluppino nel bambino il senso del collettivismo , li abituino ad agire in modo organizzato , a rispettare le regole interne”. Fu membro del Comitato Centrale del partito  e membro del Presidium del Soviet Supremo.

L’attentato a Lenin da parte  della terrorista Kaplan cadde come un fulmine a ciel sereno. Nadja cercò coraggiosamente di aiutare il marito a superare il difficile momento. Il mattino lo dedicava a lui   donandogli la  lettura dei giornali e delle riviste, di racconti e poesie. Lo invogliava a scrivere con la mano sinistra. Fu una compagna affettuosa e totalmente dedita al marito. Dopo la sua morte, avvenuta il 21 gennaio 1924 , Nadja, ebbe il coraggio di pronunciare  il discorso funebre in suo onore  davanti al Congresso del Soviet. Fu una rivoluzionaria tutta d’un pezzo anche nella straordinaria capacità di tenere nel segreto del suo cuore la conoscenza del legame d’amore che per un po’ di tempo aveva legato il marito ad Inessa Armand, compagna autorevole con la quale  collaborava nella vita politica. Questo aspetto rivela non solo un tratto della personalità di Nadja ma anche della cultura comunista che non consentiva che si mettessero in discussione i legami famigliari.

La personalità più conosciuta e che maggiormente ha inciso  sul femminismo anche in  Europa è Alexandra Kollontaj. Nata a Pietroburgo nel 1872 ,figlia di un generale, studiò in Svizzera dove nel 1890 aderì al Movimento Socialista. Si accostò ai Menscevichi nel 1906 per poi passare ai Bolscevichi nel 1915,emigrata in Europa e negli Usa tornò in Russia dopo la rivoluzione d i febbraio.

Nel 1921 militò nella opposizione Operaia ,critica verso il Governo Bolscevico e nel 1923 passò al Servizio Diplomatico , rappresentò l’Urss a Oslo ed in Messico, poi a Stoccolma. Morì a Mosca nel 1952.La Kollontaj  fu una personalità complessa dotata di un pensiero originale. Guardava  alla donna  nella sua complessità , alla “donna in quanto essere umano”, che  deve essere capace di indipendenza intellettuale  e sessuale. Sosteneva che le donne dovessero puntare  all ‘ indipendenza economica, alla autonomia culturale ed alla  libertà sessuale.  Fu teorica del libero amore e della libertà sessuale convinta che data la struttura gerarchica e patriarcale esistente, la vita famigliare e coniugale per le donne fosse una forma di  sottomissione o quanto meno di riduzione della libertà personale.

Nel 1913 a Londra scrive un libro  “Maternità e società” in cui sosteneva la necessità che la società deve prendersi cura dei figli. “ Durante il periodo della gravidanza la madre deve ricordarsi che non appartiene  a se stessa ma che sta lavorando per la collettività perché con il suo sangue  produce una nuova unità lavoratrice”. Nel 1917, quando torna a Mosca dopo la caduta dello zarismo  fu la prima donna eletta al Comitato Esecutivo del Soviet di Pietrogrado.  Costruì un rapporto di grande collaborazione e di schietto confronto con   Lenin  di cui aveva approvato  le Tesi di Aprile . Eletta nel Comitato Centrale, fu nominata Ministra all’Assistenza Sociale. Durante il suo breve mandato Ministeriale adottò provvedimenti importanti, decretò la distribuzione ai contadini delle terre appartenenti ai Monasteri, istituì gli  asili nido, l’assistenza alla maternità.

Con il suo impegno le donne sovietiche ottennero il diritto al lavoro ed al salario eguale, il diritto all’istruzione, al divorzio, all’aborto, quest’ultimo  fu poi abolito da Stalin dopo la  morte di Alexandra. Si impegnò moltissimo per la promozione della partecipazione delle lavoratrici alla vita pubblica ,a partire dalla lotta contro l’analfabetismo. Promosse il primo Congresso delle lavoratrici russe in cui fu decisa la costituzione di  un organismo permanente di partecipazione sociale. In contrasto con il governo Bolscevico aderì alla corrente di sinistra e poi passò al Servizio Diplomatico. Gli ultimi anni furono di contrasti politici ed anche di solitudine umana.

Nel 1927 scrisse un libro “ Un grande amore” in cui molti e molte videro il racconto del grande amore tra Lenin ed Inessa Armand. Personalità complessa elaborò un punto di vista molto originale sulla emancipazione femminile  e sul rapporto uomo- donna. Fu punto di riferimento dei movimenti femminili  dei partiti socialisti ma anche dei gruppi femministi che si andavano formando in Europa. Riferimento dialettico perché non sempre le sue tesi sulla libertà sessuale furono comprese e condivise. Ampliò l’orizzonte del pensiero socialista e comunista sull’emancipazione femminile  che troppe volte si limitava alla conquista del diritto al lavoro lasciando inalterati gli altri aspetti della discriminazione subita dalle donne e delle forme di patriarcato.

Inessa Armand è sicuramente la personalità più intrigante e controversa della Rivoluzione d’Ottobre.  Nata a Parigi nel 1874 , sposò un grande industriale dell’impero Russo. Studiò lingue, musica, disegno. Venne in contatto con i gruppi clandestini socialisti e nel 1909 a Parigi conobbe Lenin nel Caffè dove si incontravano gli esuli russi. Il loro fu un legame sentimentale, politico e culturale. Che non emarginò mai Nadja anche per la profonda stima umana e politica che legava le due donne. Anche lei fu portatrice di un pensiero innovativo  ed ampio della emancipazione femminile incentrata sull’istruzione, il lavoro, la libertà affettiva, la partecipazione politica.

Fu a contatto con le operaie, organizzò manifestazioni, incontri, congressi, diresse riviste dedicate alle donne. Fu madre affettuosa di cinque figli. La sua fu una  vita intensa   in cui mise alla prova tutta se stessa, dimostrando di essere dotata di grande energia culturale ed umana .  Colpita ancora giovane dal colera  morì a Mosca nel 1920.Ebbe la dignità della sepoltura davanti al Cremlino. Queste donne influirono sul pensiero delle donne del Partito Comunista Italiano. Tuttavia le donne Comuniste  Italiane elaborarono una loro autonoma visione  della battaglia di emancipazione femminile   a partire dalla esperienza  della lotta Antifascista e della Resistenza. I movimenti femminili  nati in quegli anni, l’Udi ed il Cif,  la visione dell’emancipazione femminile  collocata all’interno della Democrazia Progressiva elaborata da Togliatti  , la battaglia per il diritto di voto , la partecipazione delle donne alla stesura della Carta Costituzionale definirono un percorso originale e molto incisivo delle Comuniste italiane.

Livia Turco

“Al lavoro e alla lotta. Le parole del Pci”

31 Ottobre, 2017 (09:03) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Raccontare un grande partito come fu il PCI  facendo” un glossario “ delle parole che usava per definire    la sua  strategia politica e la sua  pratica  politica : è l’idea geniale che hanno avuto Franca Chiaromonte e Fulvia Bandoli  e che hanno concretizzata in un libro originale, bello, coinvolgente, utile, che si legge tutto d’un fiato “ Al lavoro ed alla Lotta”(Harpo Editore).

Scrivono le autrici “ Questo lavoro nasce da un idea di Franca, per lei le parole sono sempre state importanti. E dal 2004, quando, si fa per dire, è andata sotto un treno , sono diventate essenziali. Ma anche Fulvia, avendo scelto la politica, ha lavorato molto con le parole. Abbiamo cominciato per gioco a far rivivere il lessico del PCI cercandone le parole più in uso, quelle che ci piacevano e quelle no, quelle che ancora ci parlano e quelle che invece non significano nulla oppure indicano tutt’altro nel presente .

Le abbiamo scritte in ordine alfabetico e confrontate con amiche ed amici(pochi) e ad un certo punto ci siamo rese conto che questo piccolo glossario poteva avere un senso e persino raccontare un pezzetto della storia di quello che, secondo noi, è stato “il partito comunista  più bello “ dell’Europa Occidentale” . Avere a cuore la memoria. Così il lavoro si è fatto più serio.

Mentre il linguaggio della politica diventa sempre più scarno e freddo abbiamo capito che noi continuiamo a preferire un “ discorso politico” che non si riduca ad un tweet”. Al “glossario “ seguono dieci interviste a protagoniste e protagonisti di quella storia, con domande  che partono dal vissuto personale- perché ti sei iscritto, su quali libri ti sei formato - per scandagliare sulla base dei ricordi la pratica politica di quel partito, la sua dimensione umana oltrechè  politica. Franca e Fulvia  anticipano la critica che può essere loro rivolta  “ siete nostalgiche “ e mentre  rivendicano il valore di questo sentimento  dichiarano con grande schiettezza il  punto di vista politico e culturale che orienta la loro ricerca “ Una storia è finita. Ma anche le mummie quando le abbiamo ritrovate ci hanno detto cose che non sapevamo e che ci sono servite”.

 

Dunque  attraverso il glossario e le interviste le autrici ci propongono di ricercare se nella “ mummia “ del PCI ci sia qualcosa che non solo va conosciuto- perché la memoria storica è fondamentale  per non essere fragili ramoscelli - ma se per caso in quella storia non vi risieda “ una vivente lezione” importante ed utile per questo nostro tempo. Seguo pertanto il punto di vista proposto  da Franca e Fulvia e leggo i materiali contenuti in questo libro  per capire se la “ mummia” PCI ha qualcosa da dire che non  sapevamo e soprattutto se  ha qualcosa da dire alla società di questo nostro tempo , ai suoi giovani in particolare. Il glossario inizia con una parola  che non conoscevo, l’unica, ABATINO e si conclude  con VIGILINANZA. ABATINO  “piccolo abate, Il dirigente della FGCI che decideva di restare nell’organizzazione giovanile anche quando aveva superato i 25/30 anni rinviando al più  tardi possibile il suo passaggio al partito.

 

Rispetto all’organizzazione giovanile il partito era percepito come più rigido, meno divertente e piuttosto diffidente verso i giovani.” La VIGILANZA era invece un luogo speciale del PCI e le autrici lo descrivono in modo molto efficace. Io, come loro, lo ricordo come il luogo di cui non potevi fare a meno. Erano un  gruppo di compagni  molto affiatati tra di loro. Quando entravi al Bottegone ti guardavano dalla testa ai piedi per essere sicuri che tutto era a posto, se eri accompagnato, per cortesia , dovevi lasciare loro in modo accurato le generalità della persona che ti stava accanto, ti passavano con gentilezza le telefonate, ti accompagnavano nei viaggi a volte lunghi ed erano  sempre  discreti ed affettuosi.

 

Con loro a volte parlavo di politica, mi veniva ogni tanto di sfogare le mie arrabbiature ma lo facevo  con discrezione per timore che riferissero ad altri i miei pensieri. Ricordo una mattina, ero da poco arrivata a Roma da Torino  ed avevo poca famigliarità con il Bottegone. Dovevo andare a prendere un treno ed avevo prenotato un passaggio alla stazione. Il treno partiva alle 9 io arrivai alle Botteghe Oscure alle 6! Che ci fai a quest’ora qui? Mi sembrava che fosse un po’ buio ma l’ansia di arrivare in ritardo e di ricevere il rimbrotto di quegli uomini così rigorosi mi incuteva soggezione. Quando glielo confessai si fecero una grande risata, mi accolsero nella loro stanza e mi coccolarono con caffè e biscotti. La lettura del glossario di Franca e Fulvia  racconta la storia del Pci dall’inizio alla fine .

 

Molte parole, scritte in modo accurato, si riferiscono alla strategia politica:  alleanze, alternativa, compromesso storico, austerità ceti medi, classe sociale, classe operaia, doppiezza, egemonia, eurocomunismo, miglioristi, solidarietà nazionale, scissione, svolta, Bolognina, Cosa 1 Cosa2, Quarta Mozione, ecc.”  Ma le parole più intriganti sono quelle che si riferiscono alla vita concreta del partito, al modo con cui i militanti  vivevano e facevano la politica. Sono intriganti perché esse non sono usuali, esprimono l’appartenenza ad un “corpo” che si sentiva diverso ma  che aveva l’ambizione di “aderire a tutte le pieghe della società”,  di rendere protagonista il suo popolo .

 

“ Assemblea, agibilità, al lavoro ed alla lotta, allestimento, amici e compagni attacchinaggio, battaglia delle idee, campagna di massa, casa per casa, comizio, comizio volante, compagno di strada, corteo, forme di lotta ,fraterno, il corpo del partito, magliette a striscia, militanza, musica del PCI, passione, politica della fontanella, popolo, radicamento sociale, qui e ora, rivoluzionario di professione, scuola di partito, sensibilizzare, sezioni, servizio d’ordine, spirito di servizio, territorio, tessera, ufficio elettorale nazionale, vigilanza ,Unità”. Sono parole  intriganti perché  raccontano il modo di fare politica, il modo con cui si sprigionava la passione politica di un popolo che era plurale.  Tra gerarchie, rituali fortemente codificati   e sperimentazione di cose  e parole nuove, apertura a nuovi soggetti. Ciò che rivelano quelle parole è la ricerca   da parte di quel “ corpo” formato da dirigenti e militanti  di un rapporto con le persone per  renderle protagoniste.

 

L’ambizione di coniugare  l’idea di società, la società socialista  con  il “ qui ed ora”  per risolvere  subito i problemi delle persone. La ricerca del legame umano, l’essere compagni significava anche  volersi bene, essere amici, stare bene insieme. Di qui l’attenzione a quelle che sembravano attività minori come l’attacchinaggio, i comizi volanti, l’allestimento degli eventi sapendo riconoscere le singole autorità nelle varie materie, come il mitico compagno Zucconelli che riusciva a rendere qualunque evento del partito bello e ben organizzato. Quella Politica delle  Fontanelle in cui tutti dovevano fare lavoro manuale ed insieme studiare , avere pensieri lunghi e nello stesso tempo preoccuparsi di rendere più belle ed umane le nostre comunità “ partendo dal mondo ed arrivando alle fontanelle”.

 

ll senso , il valore e la passione per quella politica popolare è sintetizzata in modo drammatico nelle ultime parole di Enrico Berlinguer nel giugno del 1984 sul palco di Padova quando sta per cadere “ E ora, compagne e compagni,  impegniamoci tutti,  lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada pe strada, dialogando con i cittadini”. Un testamento ma anche l’esplicitazione e la conferma di quella che era la sostanza, l’essenza del PCI. Quella che ha lasciato nel cuore di migliaia di militanti e iscritti, e dei suoi dirigenti i ricordi più belli come testimoniano le interviste a protagonisti e protagoniste di quella storia contenute nel libro.

 

Diversi tra loro per estrazione sociale, formazione – a conferma che il PCI era realmente un partito di massa e plurale- le dieci personalità  che si raccontano nella loro militanza politica e nella loro vita nel partito fanno tutti, non casualmente,  riferimento alla sezione quale luogo in cui si viveva la politica autentica perché come scrive Lia Cigarini  “Ricordo che le sezioni del PCI erano un luogo di incontro di  diversa provenienza  sociale, di diversa generazione e, infine, di donne e di uomini.  Ad esempio nella mia sezione nel Centro storico di Milano  c’era l’ambulante ed il primo violino della Scala, la portinaia, l’intellettuale, l’artigiano ed il bancario .

 

Cioè luoghi di relazione e di amicizia”. Oppure Emanuele Macaluso “Penso che la migliore pratica fosse quella che si faceva sul campo, nelle sezioni, nelle fabbriche, nei quartieri. Ritengo un fatto enorme che quel partito abbia dato modo a tanti giovani ,uomini e donne di ogni classe sociale, di fare esperienza nel sindacato, nei consigli comunali, nelle cooperative, nelle sue riviste e nei suoi giornali”. Luciana Castellina ci racconta il suo lavoro politico con le ragazze delle borgate romane, dove tante volte per convincerle ad  uscire di casa  costruiva un alleanza con le mamme condividendo le incombenze quotidiane del lavoro famigliare  compreso lavare insieme i piatti. Le parole del Glossario e le parole delle interviste  mi  confermano che la “mummia PCI” ci lascia una vivente lezione, non solo attuale , ma necessaria per far rinascere la democrazia  e ridare  senso  alla  sinistra: la necessità di una moderna politica popolare.

 

Livia Turco

da Il Manifesto

Casa, cultura e lavoro per l’integrazione

22 Ottobre, 2017 (09:59) | Documenti | Da: Redazione

Relazione di Livia Turco al Convegno Sidief,  Banca d’Italia , 18 ottobre 2017

Il tema di questo convegno è molto importante perché affronta una questione  cruciale per ogni persona, italiana o immigrata , e per la nostra comunità : l’accesso alla casa.

 E’ altrettanto meritevole di sottolineatura il fatto che il convegno e le ricerche preparatorie si siano soffermate su quegli immigrarti di cui non parla nessuno che sono i cinque milioni di persone regolarmente presenti sul nostro territorio, che lavorano, studiano, pagano le tasse, versano i contributi Inps, aiutano il nostro welfare. Quegli immigrati che come dicono tutti i dati, a partire dalle tasse versate e dai contributi pagati, dai lavori svolti,  considerando anche il  loro attaccamento e culturale e sentimentale con  nostro paese, sono una ricchezza e ci aiutano a vivere meglio.

La vostra ricerca ci dice che la casa è un fattore di grande precarietà per le persone immigrate a fronte di un loro desiderio e di una loro propensione ed impegno ad essere inseriti pienamente nella nostra  società rispettando i suoi valori e le sue regole.

AFFITTO TROPPO COSTOSO

SOVRAFFOLLAMENTO

PRECARIETA’ ALLOGGIO

QUALITA’ DELL’ALLOGGIO

CONCENTRAZIONE IN DETERMINATI QUARTIERI INDOTTI DA FATTORI ESTERNI E NON PER SCELTA

DISCRIMINAZIONI

MANCANZA DI UNA POLITICA PUBBLICA RELATIVA ALL’EDILIZIA SOCIALE SIA PER ITALIANI CHE PER IMMIGRATI.

LA STRETTA CHE E’ INTERVENUTA NELLA CONCESSIONE DEI MUTUI.

Va ricordato che per quanto riguarda gli alloggi  di edilizia residenziale pubblica messa a disposizione dai Comuni , mentre la partecipazione ai bandi da parte degli immigrati è pari al 50% degli italiani  la quota si riduce nel momento dell’assegnazione dell’alloggio .Gli alloggi assegnati agli immigrati sono in percentuale più bassa rispetto al numero di immigrati residenti in quel quartiere. Ciò è dovuto al fatto che il punteggio che sta alla base delle graduatorie tiene maggiormente conto dei profili delle famiglie italiane.

COSA PREVEDE LA NOSTRA LEGISLAZIONE

La legge 40/98- Turco Napolitano  al Capo terzo, articolo 40 prevede disposizioni in materia di alloggio ed assistenza sociale. Punta in particolare sulla costituzione dei Centri di Accoglienza per organizzare la prima accoglienza; prevede  l’accesso alla edilizia popolare e sociale prevista dalle Regioni e dai Comuni. Prevedeva inoltre la concessione di contributi da parte delle Regioni  ai Comuni o ad enti morali  privati e pubblici che intendevano ristrutturare  alloggi da destinare all’affitto  per  persone immigrate regolarmente soggiornanti. Tale articolo fu poi abrogato dalla Bossi Fini. All’articolo 43 comma 2 lettera c  la legge 40/98  (diventata poi Dgl 286) considera discriminatorio il comportamento di chi illegittimamente impone condizioni più svantaggiate o si rifiuta di fornire accesso all’alloggio allo straniero regolarmente soggiornante ,in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione , etnia, nazionalità. Contro questi tipi di atti di discriminazione è prevista una specifica tutela giurisdizionale: l’azione civile contro la discriminazione ex articolo 44 del Testo Unico sull’ immigrazione (Dgl286/98).

La legge 189/2002 , Bossi-Fini subordina l’accesso alle misure di integrazione sociale al possesso del permesso di soggiorno di durata biennale con regolare contratto di lavoro. E’ questo il requisito per poter accedere agli alloggi di edilizia pubblica. Sono escluse le persone iscritte all’ufficio di collocamento. La legge prevede altresì che il datore di lavoro che stipula un contratto di lavoro debba farsi carico di trovare un alloggio al  lavoratore immigrato il cui costo verrà decurtato mensilmente dallo stipendio del lavoratore medesimo.

Il recente  PIANO PER L’INTEGRAZIONE E LA CONVIVENZA  DEI RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO  proposto dal Ministro Minniti  contiene anche qualche disposizione sulla casa.

Le cito “ Includere i rifugiati e richiedenti asilo verificando anche la possibilità’ di includerli negli interventi di edilizia popolare e di sostegno alla locazione. Incentivare fin dalla fase dell’accoglienza l’avvio di percorsi volti a favorire iniziative di caobitazione,  affitti condivisi, condomini solidali come pure la sperimentazione di pratiche di buon vicinato. Prevedere programmi di intervento sociale per rispondere alla complessità relativa agli insediamenti informali nei centri urbani stabilendo procedure di accompagnamento alla fuoriuscita anche attraverso la ricognizione di edifici pubblici in disuso da destinare all’abitare sociale”.

Si tratta di un importante passo in avanti.

Ma, il Piano nazionale per le politiche di integrazione dovrebbe essere prassi normale e riguardare tutte le persone immigrate, tanto più quelle stabili, con lavoro, per studio, con famiglia. Come avviene in molti paese europei.

L’articolo 3 della legge 40/98 lo prevede in modo chiaro: Governo e Parlamento con i Comuni e le parti sociali devono elaborare  un programma triennale sulle politiche migratorie che valuti il fabbisogno di immigrati da parte della nostra economia , la sostenibilità sociale dell’immigrazione, le politiche di integrazione necessarie per dare coesione, serenità e sicurezza al nostro Paese.

Questo articolo, tutt’ora in vigore  è stato applicato solo nel 1998 .con un relativo Fondo nazionale per le politiche di integrazione . Poi l’articolo 3 pur in vigore è caduto nel dimenticatoio. Il fondo Nazionale cancellato. A  conferma che le politiche di integrazione non sono mai state considerate dai governi che si sono succeduti una componente importante del governo dell’immigrazione. Che ha sempre avuto una impostazione emergenziale, tanto più grave ed incomprensibile a fronte del carattere strutturale della presenza degli immigrati. Affidando le politiche di integrazione ai Comuni, alle associazioni, alla società civile ed al mondo economico.

PROPOSTA: COSTRUIRE  UN  WELFARE DELLA  SICUREZZA e DELLA CONVIVENZA  che coinvolga italiani ed immigrati.

Un welfare  che vada incontro alle persone attivando percorsi differenziati per intercettare e coinvolgere i gruppi più vulnerali che solitamente sono i più bisognosi ma anche quelli che restano esclusi dalle politiche pubbliche di sicurezza sociale. Praticare ” l’universalismo selettivo “ che non è un ossimoro ma una pratica reale dell’universalismo. Attivare percorsi  differenziati tenendo conto delle peculiarità dei bisogni delle persone.  Vanno evitate” politiche specifiche”  verso gli immigrati perché  esse alimentano la contrapposizione tra soggetti deboli ed immigrati. Bisogna attivare politiche mirate per superare le discriminazioni e favorire l’integrazione di tutti i gruppi sociali, compresi gli immigrati.

La nostra legislazione prevede parità di diritti tra italiani ed immigrati per quanto attiene l’educazione, l’accesso alle cure, l’accesso ai servizi sociali. Non  dà adeguata attenzione  al problema della casa.

Anzi vi è  il paradosso che per accedere alla casa devi essere in condizioni di regolarità quando questa regolarità è resa difficile proprio dalla carenza delle politiche pubbliche.

Bisogna puntare  come voi indicate  su nuove politiche sociali per la casa: favorire gli affitti; favorire l’accesso ai mutui; ridurre il costo degli affitti; ridurre la burocrazia per contrarre un mutuo.

L’esperienza delle politiche di integrazione e convivenza realizzate nel nostro paese ed in Europa suggeriscono  che bisogna evitare la concentrazione della popolazione migrante in determinati quartieri o caseggiati; bisogna promuovere l’accoglienza e la residenza diffusa; questo favorisce la mescolanza tra italiani ed immigrati, favorisce il dialogo e l’interazione nella vita quotidiana.

Bisogna puntare su un modello di CONVIVENZA  MITE   basato sul superamento delle discriminazioni, sull’inclusione sociale e culturale attiva, che punti al   superamento delle distanze tra italiani ed immigrati,  favorisca la fatica del conoscersi e riconoscersi, la condivisone di azioni quotidiane nel proprio quartiere o contesto di vita, la ricerca di obiettivi comuni e condivisi per quanto riguarda la vita nella propria comunità , dal quartiere alla nazione,  solleciti a costruire alleanze per vivere meglio nella propria comunità. Bisogna far sentire la persona immigrata, parte della comunità, soggetto della Polis con diritti e doveri.

Per questo la riforma della nostra legge sulla cittadinanza, la 91/92 , tutta  incentrata sullo ius sanguinis e lo ius connubi, grazie alla  quale la cittadinanza si acquisisce  solo per discendenza  o attraverso il matrimonio , va temperata con l’introduzione dello ius soli e lo ius culturae  per i giovani.

Per questo vanno promosse tutte le forme possibili di partecipazione attiva in particolare dei giovani, dallo sport, al servizio civile, alla promozione culturale e vanno estesi, con particolare attenzione alle donne , i corsi di lingua e cultura italiana.

L’accesso alla casa  può favorire,  anzi e’ determinante per favorire questa pacifica  convivenza.

Cittadinanza e convivenza

17 Ottobre, 2017 (14:43) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

C’è  un aspetto  poco  sottolineato nel dibattito  pubblico sulla legge di riforma della cittadinanza per i minori figli di immigrati. Il fatto che tale riforma non solo favorisce l’integrazione dei giovani “ Italiani di fatto “ ma propone una concezione della cittadinanza maggiormente in sintonia con il nostro tempo. Perché  mitiga l’impianto  rigorosamente ed esclusivamente ius sanguinis  del nostro ordinamento.

La legge 91/92che disciplina attualmente la materia della cittadinanza  si basa infatti in modo esclusivo sul legame di sangue . Affonda le sue radici nella famiglia. La cittadinanza si acquisisce  per discendenza, come eredità, o per matrimonio come una dote.

Lo ius sanguinis e lo ius connubii  son gli assi portanti della nostra legislazione in vigore. La legge 91/92 fu elaborata avendo in mente l’Italia dell’emigrazione, fu concepita come uno strumento , in continuità con la legislazione precedente, per mantenere  un  legame forte tra il nostro paese  ed i nostri cittadini emigrati all’estero, legame che attraversa le generazioni. L’articolo 17 della legge 91 aveva  aperto una speciale  finestra  per consentire di  riacquistare la cittadinanza  agli stranieri di origine italiana residenti all’estero che l ‘avevano  persa  per qualunque motivo.

La finestra rimase  aperta  fino al 1997 e consentì  a 164.00 persone di diventare italiane. Recentemente con la legge 124/2006 tale  finestra è stata riaperta senza limiti di tempo. Per la prima volta il legislatore ha introdotto i requisiti della conoscenza linguistica e dei persistenti legami culturali con l’Italia  ma  è sufficiente   avere    almeno un nonno di nazionalità italiana per diventare italiano. Un antenato basta a diventare cittadino con tutti i diritti collegati a questo status che anche per quanto riguarda gli italiani che sono all’estero non sono pochi come il diritto di voto.

Come è noto la legge in vigore stabilisce a dieci anni di permanenza legale continuativa nel nostro paese, con determinati requisiti che attestino la piena integrazione ,  la condizione  per gli immigrati di rivolgere domanda di cittadinanza, il più elevato a livello europeo, mentre per i minori, unico paese in Europa, la legge stabilisce che essi possano rivolgere domanda per acquistare  la cittadinanza se sono vissuti “ininterrottamente” per 18 anni sul territorio italiano.

Dunque un minore che deve rientrare nel suo paese per alcuni anni per ragioni indipendenti dalla sua volontà perde il diritto. Per gli stranieri di origine italiana sono richiesti solo tre anni che diventano due se il soggiorno in Italia è avvenuto prima della maggiore età. L’altra via che ben si inserisce in questa concezione familista della cittadinanza è l’acquisizione per matrimonio. Il requisito richiesto sono 6 mesi di convivenza matrimoniale se la coppia risiede in Italia e tre anni se risiede all’estero.

Tutti gli altri paesi europei richiedono tempi più lunghi di durata del legame per i coniugi residenti nel paese. Con la legge che  consente anche alle donne di trasmettere la cittadinanza italiana( legge 123\ 1983) è concesso anche agli uomini stranieri di fare domanda di naturalizzazione, iure connubii, in  qualità di mariti delle italiane.

La prima discussione sulla riforma della legge sulla cittadinanza si svolse in un seminario promosso nel febbraio del 1999 dal  Ministero della Solidarietà Sociale del Governo Amato. Fu una discussione che coinvolse personalità di culture e appartenenze  politiche diverse e che partiva già allora da quello che gli operatori sociali e gli educatori definivano “ il limbo dell’identità” che vivevano i ragazzi  figli di immigrati cresciuti ed integrati nel nostro paese.

Fu sollecitata anche dalla scelta operata dal Governo e dal Parlamento  della Germania  che riformavano  la loro  legge sulla cittadinanza temperando il principio  dello ius soli.  Ne scaturì  una proposta di riforma complessiva della legge 91\92  che non fu portata in Consiglio dei Ministri e fu depositata dalla sottoscritta in Parlamento insieme con Luciano Violante nell’agosto del 2001 e costituisce la prima proposta di riforma della cittadinanza. Legge che non ebbe neanche la dignità di una discussione.

Bisogna attendere  la legislatura iniziata nel 2008 perché il tema sia  posto nell’agenda politica del Parlamento, anche grazie ad una forte mobilitazione sociale, con una discussione molto forte ed aspra che vide il centrodestra sulle barricate per  impedirne l’approvazione. Non propongo certamente di mettere in discussione il nostro speciale legame con gli italiani che vivono in tante parti del mondo e che da emigrati hanno contribuito a far crescere il nostro paese.

Quello che mi sembra necessario  è porre  il nostro paese in sintonia con i cambiamenti sociali e culturali   che sono intervenuti e dunque  mitigare il legame di sangue e familiare quali esclusivi pilastri della cittadinanza  con una concezione della medesima  che valorizza la permanenza nel territorio della nazione ospitante,   la condivisione  dei  valori e delle regole del nostro paese , il legame di amicizia ed  il perseguimento concreto e condiviso  del bene comune.

La cittadinanza come “amicizia civica e comunità di destini”. In cui conta molto il “ per che cosa viviamo insieme”  “come realizziamo insieme il bene comune”. E’ esattamente questo  il valore aggiunto che apporta la  legge in discussione  sulla riforma della cittadinanza  quando  prevede  che i minori nati in  famiglie  lungoresidenti  e integrate,  gli adolescenti che  abbiano frequentato un ciclo di studi,  siano  considerati  italiani, su richiesta dei genitori e con successiva convalida della scelta al diciottesimo anno da parte del  singolo giovane.

Anziché accanirsi contro queste norme di buonsenso  conviene avere ben presente che lo sforzo grande che deve fare il nostro paese è quello di prevenire il conflitto delle seconde generazioni esploso in altri paesi europei. Come reazione alle condizioni di esclusione in cui sono vissuti  nonostante la promessa di uguaglianza che lo Stato e le istituzioni avevano loro fatto.

Bisogna, insieme alla legge, fare grandi e mirati interventi nella formazione, per creare opportunità  di reale apprendimento della Lingua italiana, della cultura; per  consentire e favorire l’accesso a  percorsi formativi capaci di inserire nel mercato del lavoro.

Ci devono  preoccupare gli abbandoni scolastici, la rinuncia a perseguire gli studi da parte di tanti giovani figli di immigrati. Inoltre, bisogna promuovere tra i giovani, nuovi italiani, un adeguato senso civico attraverso  la cittadinanza attiva come la partecipazione al servizio civile e ad altre forme di impegno sociale e culturale che veda i giovani e le ragazze, italiani e nuovi italiani, tra loro mescolati.

La mescolanza, l’interazione nei gesti della vita quotidiana, la condivisione di obiettivi comuni, il conoscersi e riconoscersi sono le strade che realizzano la convivenza e che garantiscono la sicurezza per tutti/e.

Livia Turco

Articolo pubblicato su Il Dubbio

Una sala convegni della Camera dedicata a Nilde Iotti

11 Ottobre, 2017 (16:15) | Dichiarazioni | Da: Redazione

Una grande e bella notizia la scelta dell’Ufficio di Presidenza della Camera su proposta della Presidente Laura Boldrini di dedicare la nuova sala Convegni di Palazzo Theodoli alla figura di Nilde Iotti.

 Con questo gesto la Presidenza della Camera ricorda il rigore, l’autorevolezza, la generosita di Nilde Iotti e la sua capacità di farsi interprete dei sentimenti del Paese e di essere donna di dialogo profondamente rispettosa di ciascuna persona e di ciascuna forza politica.

Con questa bella scelta la Presidente della Camera e tutti i gruppi parlamentari raccolgono l’eredità  della  eleganza della politica che Nilde Iotti ha saputo praticare in ogni momento della sua vita.

Grazie di cuore alla Presidente Laura Boldrini ed a tutti i componenti dell’Ufficio di Presidenza della Camera.

Livia Turco 

Attacchi a D’Alema ingenerosi

6 Ottobre, 2017 (10:16) | Dichiarazioni | Da: Redazione

“Mi sembra quantomeno improprio e ingeneroso definire leader divisivo Massimo D’Alema che porta il merito storico di aver portato da segretario degli ex Ds per la prima volta la Sinistra al governo e da presidente del Consiglio di un Governo dell’Ulivo ha sostenuto riforme sociali importanti”.

Lo dichiara Livia Turco ministra dei Governi dell’Ulivo che ricorda il sostegno dato da D’Alema a riforme come quella “che ha riqualificato la sanità pubblica, la riforma Bindi, e il primo fondo per il Dopo di Noi dedicato alle famiglie di ragazzi disabili gravi e tanti altri provvedimenti sociali così come e’ avvenuto in tutta la stagione dei governi dell’Ulivo”. “Stagione bella - aggiunge - che ha dato molto al nostro paese”.

“In un tempo nuovo e difficile come l’attuale - conclude Livia Turco - guardare a quella stagione non è nostalgia ma è utile”, per questo, “voglio esprimere profonda ed affettuosa solidarietà a Massimo D’Alema di fronte ai tanti insulti ed attacchi”. (ANSA).