Il Blog di Livia Turco

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Lega fuori di testa, Calderoli se ha dignità si dimetta

14 Luglio, 2013 (10:32) | Dichiarazioni | Da: Redazione

“I leghisti stanno perdendo la testa di fronte ad un paese che con normale e dovuta civiltà apprezza il lavoro del ministro Kyenge, valutando la persona non in base al colore della pelle ma a ciò che sa fare. La Lega  e i suoi storici esponenti sono arrivati al capolinea: gli italiani hanno capito che gli slogan e le offese xenofobe,  nascondono solo tanta incapacità e  altrettanta voglia di potere. I capi del Carroccio sono oramai un grumo di rancore e di odio che soffia sulle paure degli italiani  per poter racimolare i voti con il vecchio metodo del terrore verso il “diverso”. Una vera schifezza. Si ricordino gli italiani che questi signori  con verde pochette sono gli stessi che hanno condotto il paese sull’orlo del baratro economico e che cercano di rifarsi una credibilità  con metodi e parole disgustose. Non ci devono riuscire. Calderoli da parte sua se conserva un briciolo di dignità, abbia un sussulto di orgoglio e si dimetta   e abbandoni la vita politica nazionale”.

Lampedusa. Le parole del Papa e la politica

11 Luglio, 2013 (11:50) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Livia Turco, da l’Unità

Una buona politica dovrebbe sempre ascoltare le parole della Chiesa. Comprenderne il significato. In quanto parole che parlano dell’uomo e della sua umanità. Assumerle come lievito nel suo pensare ed agire il bene comune. All’interno di quella distinzione dei piani che sostanzia il principio di laicità.

Continua invece ad accadere che le parole del Papa sono esaltate quando sono condivise o liquidate come interferenti quando non lo sono. Come ha fatto l’on. Cicchitto in merito alle parole di Papa Francesco a Lampedusa. Questo atteggiamento strumentale verso le parole della Chiesa toglie libertà ed autorevolezza alla politica. Tanto più quando si trova difronte ad un messaggio dirompente come quello proposto da Papa Francesco a Lampedusa.

Un messaggio che va oltre la questione dell’immigrazione perché ci obbliga a ritrovare il senso, il sentimento della nostra appartenenza al genere umano. Voglio citare il passaggio cruciale di tale discorso “La cultura del benessere che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri. Ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta alla indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione della indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro che non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende “innominati” responsabili senza nome e senza volto”.

Queste riflessioni ci interpellano come donne e come uomini nella nostra umanità profonda, sul senso della nostra vita. Ma sono riflessioni che riguardano anche la politica non solo per quanto attiene il governo dell’immigrazione ma su quale tipo di società vogliamo costruire, quali cittadini e cittadine vogliamo essere. Ci dice che senza una rivoluzione antropologica che faccia  riscoprire in questo nostro tempo, dopo la bonaccia e le distorsioni dello sviluppo capitalistico e del consumismo, che ha declinato la nostra umanità “sull’io proprietario” sul mito del successo, dell’apparire, della competizione, il senso del riconoscimento dell’altro, la relazione con l’altro, il legame comunitario, senza questa rivoluzione antropologica non si esce dalla crisi attuale e non si costruisce una convivenza umana più serena ed equa.

Non ci sarà più giustizia, più benessere, piu democrazia se non cambia la dimensione umana della nostra vita individuale e collettiva. Se dall’io proprietario ed acquisitivo non si passa all’io relazionale che sa prendere in carico l’altro. Non è solo questione di etica e di felicità individuale. La relazione con l’altro, la capacità di fare gioco di squadra, di costruire comunità è un ingrediente essenziale per la rinascita della democrazia e per rimettere in moto lo sviluppo. Dobbiamo riconoscere con lealtà che la trascuratezza dell’altro, noi donne e uomini dell’Europa, l’abbiamo vissuta in particolare nei confronti dei migranti. Si è come spento in noi lo sforzo di immaginare e capire cosa vuol dire scappare dalla fame e dalla guerra, di capire quell’anelito potente alla libertà ed alla dignità, alla ricerca di una vita migliore.

Eppure la nostra società emocratica e del benessere è stata costruita proprio facendo leva sulla potenza di quell’anelito alla libertà ed alla dignità. Dunque dovremmo capire che nel movimento migratorio non c’è caos e disordine ma la forza della speranza per costruire un mondo migliore che è stata nel corso della storia il motore del cambiamento. Certo,l’immigrazione è un fenomeno duro e complesso che va governato con sapienza. Ma un conto è dire ad un uomo ad una donna “non c’e'posto per te” alzando i fili spinati e praticando i respingimenti in mare. Altra cosa è dire a quello stesso uomo a quella stessa donna “non sono in grado di accoglierti perché ci sono tanti problemi anche qui per questo dobbiamo costruire insieme una società più giusta ed umana”. Ed attivare una politica europea di co-sviluppo, di ingressi regolari per lavoro, di valorizzazione delle competenze e del capitale umano di tutte le persone. Native e migranti.

Livia Turco

Kyenge, pasionaria dello ius soli

7 Luglio, 2013 (12:20) | Interviste | Da: Redazione

Intervista di Andrea Malaguti a Livia Turco su La Stampa del 7 maggio 2012
«Io?», insiste. «No, è stato Letta. È lui che ha scelto Cecile». Ma quelle parole - «hai scelto tu, lo sanno tutti» - evidentemente le piacciono. Ci gode Livia Turco. E lo confessa con un po’ di imbarazzo che questa storia la gratifica. Ma in fondo va bene così. Di fatto è una certezza che se non ci fosse stato l’ex ministro cuneese - una donna capace di fare un passo indietro, di rinunciare alla poltrona in cambio dello spazio per due dei suoi pupilli cresciuti in Italia e nati da un’atra parte del mondo - oggi Cecile Kyenge Kashetu, quarantanovenne congolese non sarebbe seduta sui banchi del governo. Donna. E nera. La prima. «È una persona dolce e determinata, che sa che cosa significa lavorare in gruppo. Sono fiera di lei. Così come sono fiera di Khalid Chaouki».

Benvenuti nel nuovo mondo, dove i dirigenti del Pd, il partito più sgangherato della galassia, per scegliere il ministro dell’Integrazione hanno bizzarramente usato un criterio di qualità, portando al ballottaggio uno scrittore, politico e giornalista di Brazzaville, Jean Leonard Touadi, e una mamma medico di Modena, nata a Kambove e italiana per matrimonio. «Ha vinto Cecile solo perché è donna e nera. E da un punto di vista dell’immagine in questo momento funziona di più», spiega cinico un dirigente democratico fumando nel cortile di Montecitorio. È vero? Forse.

Di certo Enrico Letta si accorse di Cecile, quando la vide a Torino a un incontro del Forum Nazionale per l’Immigrazione. Lui, lei, la Turco. La dottoressa era una donna dai modi morbidi e dai concetti chiari, con un’ossessione chiamata «ius soli», diritto di cittadinanza per chi nasce in questa terra. Una bestemmia? Un’ovvietà. Se hai emesso il tuo primo vagito negli Stati Uniti. Da noi no. In ogni caso lei ci credeva. Al punto da firmare - appena eletta - una proposta di legge assieme a Bersani, re senza terra che aveva deciso di consegnarle un seggio sicuro inserendola nel proprio listino di irrinunciabili.

Donna curiosa, Cecile. Diversa da tutte. Un diesel. Una che va dritto allo scopo. Forse perché con un padre poligamo e 37 fratelli ha capito in fretta che era inutile sprecare parole. «Ha la pazienza per arrivare a dama. È moderna. Preparata. E di sicuro non gioca a fare il panda». Scusi? Il deputato modenese Davide Baruffi si illumina. «Io la conosco dal 2006. Lei viene dai Ds, poi è passata nel Pd. Conosce e lavora per il partito. Non bara. Non strumentalizza. Combatte una battaglia in cui crede. E sa quello che dice. Per questo Letta ha puntato su di lei». E lei, portavoce della rete Primo Marzo (l’associazione che nel 2010 organizzò lo sciopero degli immigrati) non ha tremato davanti al compito.
Alla prima occasione pubblica ha dichiarato: «Io non sono di colore. Io sono nera». Applausi. Boati. E una valanga di inevitabili improperi internettistici. «Questo è il governo del bonga bonga», disse schiumando tutta la sua volgarità l’europarlamentare leghista Borghezio.

E alla seconda (facendo mille precisazioni sui propri ruoli e competenze e su quelli del ministro dell’Interno Angelino Alfano): «Lavorerò per l’introduzione dello ius soli e per l’abolizione del reato di immigrazione clandestina». E anche qui boati, applausi e improperi. Di una sgradevolezza dolorosa. Accompagnati da rampogne infastidite e fastidiose di Renato Schifani, Maurizio Gasparri e Bobo Maroni. E da commenti nebbiosamente velenosi come quello della parlamentare Pdl Elvira Savino. «Dopo il ddl sullo ius soli, il ministro intende presentarne uno anche sulla poligamia praticata dalla sua famiglia in Congo?». Ottusità da bar di periferia. «O anche opinioni da mettere in conto, d’altra parte Gasparri non sarebbe lui se non usasse certi toni. E io non mi starei a spaventare. Non lo farà neppure Cecile. Il suo non è un compito facile. Ma il Paese è pronto ad andare avanti. Lei dovrà essere brava a coinvolgere gli altri componenti del governo», chiosa la Turco.

Brava? Una fuoriclasse. Perché per non sentirsi come una farfalla finita in un bicchiere, il più facile degli spot del governo del cambiamento annunciato, dovrà convincere un Parlamento intero che il multiculturalismo non è uno scioglilingua da salotto, ma vita di gente vera. Un salto mortale triplo. Carpiato. E rovesciato.

Kyenge: sull’immigrazione legge pronta dopo l’estate

7 Luglio, 2013 (10:52) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

di Rachele Gonnelli (L’Unità del 7 luglio 2013)

Può darsi che il Santo Graal debba essere una tazza di ceramica povera trattata con noncuranza dai cavalieri dall’elmo lucente come nella saga di Indiana Jones. Così può essere che il catoblepismo - e con esso il modello di partito nuovo, in grado di essere contemporaneamente palestra di nuove idee, scuola-quadri e coordinamento di politiche nazionali - o anche il motore interno che fa funzionare il Pd come partito di massa malgré lui, cioè nonostante le frantumazioni correntizie e la litigiosità del suo vertice, si trovi in ciò che va sotto il nome di Forum immigrazione, articolazione viva del Pd.

La prova sta nell’affollata riunione di ieri nel salone conferenze del Nazareno alla presenza della ministra all’Integrazione Cécile Kyenge - che per altro proprio dal Forum viene - del vice ministro all’Interno Filippo Bubbico e del segretario del Pd Guglielo Epifani. Va in scena la politica che cerca di analizzare i nodi della complessità, che parte dai territori e dà soluzioni e idee, che riesce ad aggregare e a formare i giovani e anche a parlare al mondo della cultura, che dialoga con le associazioni, che riesce a fornire esempi di buone pratiche locali, come richiesto dal ministro Kyenge, e a darle indicazioni utili oltre che sostegno.

È un’esperienza nuova e già matura, che si è strutturata nel corso degli ultimi tre anni a partire dal tema che più incarna le contraddizioni della globalizzazione. Parlare di immigrazione significa infatti parlare di sanità e di scuola, di pace, di identità personale e di popolo, delle forme della partecipazione democratica, dell’emancipazione femminile declinata nelle varie culture e religioni, della battaglia contro le logiche sempre emergenziali e securitarie che creano sprechi e calpestano persone e diritti.

Il Forum è una rete di relazioni ed è vissuto come comunità. Prefigura in sé, anche plasticamente, l’idea di società che vuole portare nel Paese: ieri di qua e di là dal tavolo della presidenza, con al centro Livia Turco, volti di diverso colore e provenienza geografica. Una riunione multietnica sul futuro dell’Italia in cui le diversità, anche abissali, sono sentite da tutti come ricchezza, nel confronto, per far maturare una sintesi comune. Il Forum manda al governo Letta dieci proposte di riforma e una proposta di legge-quadro sull’immigrazione e il diritto d’asilo in dieci punti.

Tra le proposte: la cancellazione della tassa sul permesso di soggiorno, la riduzione dei tempi di permanenza nei Cie, l’allungamento dei permessi di soggiorno per chi perde il lavoro, la gestione dei rinnovi dei permessi da parte dei Comuni, il riconoscimento dei titoli di studio dei Paesi extra-Ue, la semplificazione del diritto di voto amministrativo per i migranti comunitari, l’istituzione di un albo dei mediatori interculturali, tempi certi e accorciati per le naturalizzazioni. Kyenge spiega come, a partire dal lavoro avviato dalla commissione Affari costituzionali e del neonato intergruppi parlamentare che prenderà in esame le 20 proposte di legge presentate sulla riforma della cittadinanza, vuole arrivare «dopo l’estate» all’approvazione del testo finale. Lei intende intavolare il compromesso intorno alla proposta del Forum che, sulla scia del progetto Bersani, chiede il riconoscimento della cittadinanza italiana per i nati in Italia prima dell’inizio della prima elementare.

Pieno il sostegno del segretario Epifani che, «grazie anche all’aiuto che ci viene dal nuovo pontificato» e dalla visita di Papa Francesco lunedì prossimo a Lampedusa, è convinto che sullo ius soli - e più in generale sull’ampliamento dei diritti civili - «sia possibile trovare mediazioni più avanzate» in sede parlamentare. Anche se, aggiunge, «non sarà facile» non mettere a rischio gli equilibri di quello che continua a chiamare «governo di servizio». Epifani appoggia anche la richiesta che i responsabili dei Forum Immigrazione locali entrino a far parte di diritto delle segreterie del Pd.

Molti gli interventi che hanno chiesto la chiusura dei Cie e dei Cara per come sono - «una vergogna», ha ricordato Christofer Hein - e la loro sostituzione con altri strumenti, dal potenziamento del rimpatrio volontario assistito all’implementazione dei progetti Sprar per il ripopolamento dei piccoli centri grazie a nuclei di famiglie di asilanti, progetti su cui si sono concentrati gli interventi del sindaco calabrese Giovanni Manoccio e dell’assessora aretina Stefania Maggi. Livia Turco ha dato indicazione di firmare per il referendum radicale di abolizione del reato di clandestinità. E al congresso si discuterà anche una mozione trasversale sull’immigrazione.

Politiche sociali. Basta con i tagli. Governo intervenga

10 Giugno, 2013 (18:28) | Interviste | Da: Redazione

Intervista a Livia Turco di Quotidiano Sanità del 10 giugno 2013

La dura politica di tagli che negli ultimi anni ha visto il depauperamento del Fondo per le Politiche sociali e degli altri fondi dedicati al Welfare non lascia inerme l’ex ministro della Solidarietà sociale (dal 1996 al 2001) e della Salute dal 2006 al 2008), Livia Turco, promotrice della legge quadro di riforma dei servizi sociali, la 328 del 2000, che in quest’intervista chiede al Governo di dare subito una risposta al disagio crescente incrementando il fondo per le politiche sociali di almeno 500 milioni di euro. E poi si rivolge al centrosinistra: “Deve rimettere al centro della sua agenda il tema delle politiche sociali”. Duro attacco al centrodestra. “I tagli operati negli ultimi anni non dipendono dalla crisi ma da una deriva ideologica perpetuata da dieci anni a questa parte”.

Come valuta questa continua erosione ai fondi dedicati al Welfare?
I numeri purtroppo rappresentano una realtà e nella passata legislatura ci siamo battuti per contrastarla fortemente. Mentre il Governo di centrodestra diceva che andava tutto bene intanto tagliava ad uno ad uno ogni Fondo dedicato al Welfare.

Ma la ragione dei tagli non è dovuta alla crisi?
In questo caso non è così, i tagli al welfare fanno parte di una deriva ideologica messa in atto dal duo Tremonti-Sacconi e prima di loro anche da Maroni quando era ministro del welfare. Oltre a dimenticare tutto l’impianto della legge 328/2000 hanno inculcato l’idea che le politiche sociali fossero sprechi e assistenzialismo, contrapponendo in questo modo diritti e carità, politiche pubbliche e dono, gratuità del volontariato. Un errore imperdonabile, figlio di un’ideologia politica, che oggi ci fa decretare la scomparsa delle politiche sociali nel nostro Paese.

Al centro sinistra si sente di dover rimproverare qualcosa?
Purtroppo la sinistra non è riuscita a contrastare efficacemente questa deriva culturale. Ci si è battuti in Parlamento ma è evidente che l’idea delle politiche sociali si è allontanata dal centro dell’agenda della sinistra. Ed è per questo che anche a sinistra c’è bisogno di riportare in auge e al centro dell’agenda politica il welfare. Occorre darsi una svegliata. Bene ha fatto il premier Letta a focalizzare l’attenzione sul tema del lavoro. Ma questo non basta. Serve una nuova idea del welfare come quella che si era aperta nella stagione tra il ’96 e il 2001, anni dove si è investito tanto su chi in quel momento non aveva voce e non riceveva risposte rispetto ai suoi bisogni. Basti pensare come in quegli anni è stato costituito il Fondo per le Politiche sociali e nella durissima Legge Finanziaria che servì a farci entrare nell’euro riuscimmo a stanziare 800 milioni per la legge 289 sull’infanzia e per il reddito minimo d’inserimento.

Ma da quale idea di welfare occorre ripartire?
Innanzitutto si deve partire da quattro pilastri irrinunciabili: scuola, sanità, sociale e reti integrate. Solo costruendo un sistema che comunica e che condivide problematiche e scelte si possono indirizzare efficacemente le risorse e soddisfare il disagio di chi è più fragile. E poi bisogna coinvolgere sempre più di i cittadini e le loro competenze. Puntare sulle innovazioni e sulla sussidiarietà. E smetterla assolutamente di guardare al sociale come mero spreco assistenziale. Dobbiamo tornare a parlare di diritti sociali. Quando si parla di servizi sociali si parla di persone, dei loro talenti, della loro dignità, della loro sofferenza. Della possibilità di uscire dal tunnel della sofferenza, della marginalità e della fragilità.

Come vede lo sviluppo del welfare integrativo?
Non ho nessun pregiudizio sul tema o sulle nuove strade. In un quadro in cui le politiche sociali rappresentano un volano di sviluppo è importante coinvolgere anche il privato su questi temi. Penso per esempio anche alla costruzione di veri e propri patti territoriali e di fondi cofinanziati.

Auspica per il futuro che si riesca ad invertire la rotta?
Più che un auspicio questo deve diventare un impegno del Governo così come si sta lavorando su Imu e Iva. Per questo è fondamentale per il 2014 ridare ossigeno al Fondo per le Politiche sociali almeno con 500 milioni di euro. Ma ripeto bisogna intervenire subito perché oggi l’unico welfare in Italia è quello delle famiglie che però sono allo stremo. Il rischio dell’immobilismo è lasciare una moltitudine di persone ancora più sole con le loro fragilità. Bisogna farsi carico delle persone per le quali non basta il lavoro e il reddito ma hanno bisogno di quella risorsa peculiare che è la presa in carico, la relazione umana, l’attivazione di strategie per l’inserimento lavorativo, quello scolastico che possano ridare fiducia alle persone, a risvegliare la propria volontà e le proprie capacità sopite. Non è più accettabile che questo grido di dolore resti inascoltato, sia soffocato dalle altre tante emergenze. Occorre muoversi subito a partire dal fatto che per l’anno prossimo vanno trovati i fondi.

Politiche sociali. Il grido di dolore contro i tagli

8 Giugno, 2013 (12:58) | Articoli pubblicati | Da: Livia Turco

di Livia Turco, da l’Unità dell’8 giugno 2013

Il Governo deve raccogliere subito il grido di dolore che proviene dagli operatori sociali, dalle famiglie, dal volontariato, dai sindaci che non ce la fanno più a reggere il massacro che nel quinquennio scorso è stato compiuto nei confronti delle politiche sociali vedendosi costretti a tagliare i servizi essenziali. Il Governo deve dare subito una risposta: incrementare il fondo per le politiche sociali. Deve considerare tale intervento una “priorità morale”. Sono stati gli stessi Ministri Giovannini e Guerra nel corso della illustrazione del loro programma di Governo alla Commissione Affari Sociali ad affermare con tono allarmato che per il 2014 le regioni sono “a secco” e le poche risorse strappate sul 2013 non sono ancora nelle disponibilità del Ministero della Politiche Sociali e delle regioni.

La Sottosegreteria Cecilia Guerra ha affermato “manca un’attenzione specifica alla peculiarità delle politiche sociali del nostro Paese”. Vorrei riuscire a trasmettere al Presidente Enrico Letta, di cui conosco la sensibilità umana, lo strazio che incontro andando in giro tra comunità, servizi, operatori. A Genova, come qualche giorno fa a Foggia con la straordinaria Comunità di Emmaus, a Verona dove si incontrano le associazioni della famiglie con persone disabili gravi, o all’ospedale San Gallicano di Roma dove la fila di chi chiede assistenza gratuita si allunga ogni giorno di più. Lo strazio di dover chiudere i servizi essenziali che vuol dire non poter aiutare chi ha bisogno, non poter sostenere e a volte interrompere il percorso di uscita dalla fragilità , dalla marginalità di chi invece potrebbe uscirne, potrebbe farcela. Lo strazio di non potersi prendere cura in modo adeguato dei bambini e degli anziani, degli adolescenti che fanno fatica. Quando si parla di servizi sociali si parla di persone, dei loro talenti, della loro dignità, della loro sofferenza. Della possibilità di uscire dal tunnel della sofferenza, della marginalità e della fragilità.

Non è più accettabile che questo grido di dolore resti inascoltato, sia soffocato dalle altre tante emergenze. È importante e doveroso, come ha fatto il Presidente Letta, ascoltare in modo serio e determinato il disagio di chi perde il lavoro e dei giovani che non l’hanno mai avuto ma insieme bisogna farsi carico delle persone per le quali non basta il lavoro e il reddito ma hanno bisogno di quella risorsa peculiare che è la presa in carico, la relazione umana, l’attivazione di strategie per l’inserimento lavorativo, quello scolastico che possano ridare fiducia alle persone, a risvegliare la propria volontà e le proprie capacità sopite. C’è uno scarto grande, preoccupante, tra il ruolo che i servizi sociali svolgono nel miglioramento e nella crescita della vita delle persone, in tutte le fasi del ciclo della vita, ed il valore sociale, il riconoscimento che è loro attribuito dal senso comune, dai media e dalla politica. Le politiche sociali sono “oro” nella vita delle persone fragili, ma è un oro che non luccica. Bisogna farlo luccicare. Bisogna risalire la china e invertire la tendenza culturale che per colpa del centro destra e in particolare del duo Tremonti-Sacconi ha contrapposto diritti e carità, politiche pubbliche e dono, gratuità del volontariato.

Bisogna contrastare questa impostazione, mettere al centro la dignità della persona che è cittadinanza, diritti, relazioni umane. La dignità della persona si nutre di diritti e della cura dell’altro, idee e valori che sono scritti nella legge quadro del 2000 che deve essere applicata. Stanziando risorse nel Fondo per le Politiche Sociali, facendo finalmente i livelli essenziali di assistenza sociale, portando avanti con determinazione la lotta alla povertà con il Reddito Minimo di Inserimento di cui è in corso una importante sperimentazione. Bisogna cambiare l’ottica. I servizi sociali non sono assistenza. I servizi e gli interventi sociali sono ingredienti fondamentali dello sviluppo e della crescita economica. Le politiche sociali sono politiche di sviluppo.

Nel momento in cui il Governo mette in atto un programma per il lavoro deve considerare quale miniera possano rappresentare i servizi alle persone sia in termini di benessere sia in termini di creazione di posti di lavoro. Servizi che possono essere creati, inventati, gestiti in modo nuovo con la partecipazione attiva dei cittadini, con l’impegno delle aziende, dei soggetti privati. Sono importanti le iniziative di mutualità integrativa, di welfare aziendale, di cittadinanza competente che si stanno sviluppando in molte regioni così come bisogna proseguire sulla strada intrapresa dal Ministro Barca che ha destinato riscorse dei fondi strutturali alla promozione dei servizi per l’infanzia e per gli anziani considerandoli appunto parte della crescita e dello sviluppo economico. Raccogliere il grido di dolore di chi non ce la fa, dei sindaci che non vogliono chiudere i servizi essenziali significa non solo difendere l’esistente ma cimentarsi per creare un welfare nuovo in cui il ruolo del pubblico è quello di costruire la regia, di creare le condizioni affinchè ciascun soggetto economico e sociale dia il suo contributo per promuovere solidarietà ed inclusione sociale.

Il passo in avanti che le istituzioni devono compiere è quello di coinvolgere il sapere e la competenza dei diversi soggetti sociali ed economici per costruire un progetto condiviso di benessere e di inclusione sociale. Il governo raccolga questo grido di dolore per farsi promotore insieme ai Comuni al no-profit, alle famiglie, al volontariato, alla imprese di una nuova primavera delle politiche sociali. Per una Italia più giusta e più serena.

Livia Turco